ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE

FIABE ITALIANE ANTICHE, REGIONALI E ALLOGLOTTE
IX
L'INCANTO

ITALIANO
1893



L'INCANTO
(Del popolo brindisino)

Un re e una regina avevano un'unica figliuola, bella sovra tutte le belle, che pareva davvero figliuola d'una fata.
Come la superba fanciulla giunse ai vent'anni, cominciò la regina madre (come soglion far tutte le madri) a pensare a un marito da darle, e che la facesse felice.
E, pensando ora a uno, ora a un altro principe, ne fece motto al re, suo consorte. Questi, alle confidenziali parole della moglie, montò su tutte le furie.
- Come! Come! Come! - esclamò: - E tu ami in tal modo tua figlia, da volerla, ancor così giovine, destinare al più triste dei castighi, qual è il matrimonio?
Rimase sbalordita, a queste parole, la misera donna; e poco dopo, riavutasi dallo sbigottimento, chiese umilmente:
- Ma dunque Vostra Maestà ha deciso di far rimanere sempre fanciulla l'erede al trono?
- No, - rispose il re, - io non desidero ciò: desidero però che il marito di mia figlia debba essere il più valoroso e più istruito cavaliere del mondo. E siccome non molto facilmente ci è dato rintracciarlo, è necessario che aspettiamo fin tanto che il nostro buon genio ce lo faccia capitar qui.
Queste parole lasciarono assai mortificata la regina; la quale non si diede per vinta, e dopo un mese, o poco meno, nuovamente faceva parola al re.
Questi, dopo le moine della moglie, disse:
- Ebbene, giacché vuoi assolutamente dare un marito alla nostra amata figlia, io acconsento, alla seguente condizione: la nostra figliuola sarà rinchiusa in un misterioso palazzo, e ne avrà la mano colui che saprà  rintracciarla: chi falla alla prova sarà per sempre incantato.
La regina fu contenta della proposta.
Allora il re fece costruire, sotto il palazzo reale, un altro palazzo non meno grande e bello: per penetrarvi c'era una sola apertura, la quale era celata da una piccola lastra di marmo, sulla quale poggiava un piede del letto del re.
In questo sotterraneo fu rinchiusa la piccola regina, in compagnia di altre tredici donzelle, anch'esse molto belle e nobili; e tutte furon vestite alla medesima guisa, tanto che difficile era distinguere l'una dall'altra.
Poi fu fatto un bando, che diceva:

Il re offre la mano della principessa a quel principe o cavaliere che saprà in soli tre giorni rintracciare il luogo ov'ella è nascosta, e saprà distinguerla tra quattordici donzelle. Chi non riuscirà nella prova sarà punito con l'incanto.

Era l'incanto somministrato ai perditori da una vecchia fata che viveva nella dimora del re da moltissimi anni: mercé di  esso, eran quelli addormentati in eterno, e deposti uno accanto all'altro in una gran sala.
All'invito pericoloso sì ma pur pieno di lusinghe, accorsero valorosi cavalieri e nobili principi in gran numero: tutti, dopo tre giorni di vane ricerche ebber la sorte dei perditori.
Un giorno giunsero nella capitale tre fratelli, figli di un re lontano, per tentare la prova. Dopo tre giorni, il maggiore di essi si diede per vinto, e fu incantato: dopo altri tre giorni lo stesso destino si ebbe il secondo; il terzo però, ch'era il più vago giovine del mondo, non cominciò le sue ricerche alla maniera degli altri: fecesi egli costruire da un orafo abilissimo una grande aquila d'oro1, con entro deposto un perfetto apparecchio per suonare, e insieme tanto spazio vuoto da poter contenere comodamente una persona.
Ciò fatto, chiamò a sé una vecchia mendicante, e disse:
- Io darotti tutto quel che tu vorrai domandarmi, purché tu tiri sulle ruote quest'apparecchio in giro per la città, senza palesare a nessuno ciò che saravvi nascosto. Tu dirai inoltre a tutti che questa è opera delle fate; e se avverrà che il re voglia ritenerla una notte a palazzo, tu, dopo aver per un poco negato, finirai coll'acconsentire.
Annuì la poveraccia alla lucrosa professione, e alle dimane cominciò a girare, con lo strumento, le vie della città, destando ovunque meraviglia e stupore.
Seppe subito il re il meraviglioso caso, e volle vedere il miracolo: infatti, vedendo quel perfetto lavoro, e udendo suoni così dolci, rimase egli, insieme con la regina, profondamente stupito di così grande opera.
- Oh come sarebbe lieta e felice di ascoltarlo la nostra cara figliuola! - Esclamò a bassa voce la regina.
- Davvero, - disse il re – sarebbe per lei una bella giornata.
E, voltosi alla vecchia:
- Volete voi vendere il vostro strumento? - disse.
- Maestà. - disse quella, - non basta il vostro regno per pagarlo.
- E allora, - riprese l'altro, - lasciatemelo qui almeno per un giorno e per una notte, ed io saprò ricompensarvene ad usura.
La vecchia prima negò, poi cedette alla preghiera del re, e lasciò la bell'aquila nelle sale della reggia.
Quando fu buio, i due reali coniugi, pieni di contentezza, calarono per la misteriosa apertura lo strumento, e dissero alla figliuola, che in quel momento stavasi abbracciata colle sue amiche di prigionia:
- Vedi, vedi, ti abbiamo portato un oggetto che è di meravigliosa bellezza, opera delle fate.
Mentre la principessa e le sue amiche cominciavano ad ammirare il prezioso lavoro, il re toccò una molla nascosta tra le piume dell'uccello, e ne uscì un dolcissimo suono.
Grande fu la sorpresa delle graziose prigioniere nell'udire il bel suono, e specialmente meravigliata parea la principessa, che non si stancava un momento di carezzare e baciare l'aquila.
E poco dopo, nel colmo dell'entusiasmo, volta a' genitori, disse:
- Se volete farmi felice, dovete donarmi quest'oggetto.
- Ah, figlia mia, - rispose il re, - ciò è impossibile, perché non basta tutto il regno per pagarlo.
- E allora, - riprese quella, - lasciatemelo almeno per tutta questa notte, così io potrò inebbriarmi di questa dolce musica.
- Questo sì, - disse il re, - te l'accordo.
Dopo un altro poco di tempo, i due reali personaggi risalirono nel loro palazzo, e le prigioniere rimasero sole, coll'aquila fatata.
Per molte ore esse ballarono e saltarono al suono di dolci melodie2, poi, essendo alta la notte, ognuna di esse tornò al proprio lettuccio, cercando riposo alle stanche membra.
Quando tutte dormivano, l'aquila si aprì, e ne uscì un bel giovine.
Tutti hanno capito chi egli si fosse. Si appressò egli pian pianino al letto della vaga principessa, e le poggiò un leggier bacio su' begli occhi socchiusi. Poi, chiamandola per nome, e scuotendola leggermente, la destò. 
- Non temete, - le disse, - non abbiate paura di me; io son venuto per farvi felice.
Rassicurata da queste parole, dopo il primo sbigottimento, la principessa disse:
- E chi siete voi? E come vi trovate qui?
Il giovine principe allora narrolle ogni cosa, destando meraviglia e dolore nella poverina, che ignorava la vera ragione della sua prigionia, credendola invece un capriccio del padre.
Quando il giovane tacque, ella gli prese una mano, e stringendogliela, disse:
- Vi ringrazio d'avermi salvata da così dura schiavitù, e di avere, nello stesso tempo, salvati anche molti e molti infelici da una sorte crudele, simile a quella incontrata da coloro che vollero tentar la fortuna, fin ora, senza speranza. Voi sarete l'idolo mio.3
Alla dimane l'aquila d'oro fu riportata innanzi al re, e con essa fu il principe restituito alla sua libertà.
Allora presentossi egli al re, e disse:
- Maestà, son venuto da lontano, e ho abbandonato un vecchio re e padre, per tentar la fortuna.
Il re sorrise alle sue parole, e disse fra sé: «Ecco un'altra bella preda.»
Passò il primo giorno, passò il secondo. Al terzo giorno, presentossi egli di nuovo al re, e disse:
- Maestà, in due giorni, non ho trovato nulla; ora me ne resta ancora uno, e questo voglio spendere nel rintracciare il nascondiglio della principessa nel vostro stesso palazzo.
- Fate pure, - disse il re, - impallidendo.
Dopo varie ricerche, il principe si appressò al letto reale, e disse:.
- Maestà, è d'uopo che il vostro letto sia tolto da quel posto.
- E perché? - domandò quello, tremando.
- Il perché lo saprete poi, - rispose il giovine.
Il letto fu tolto.
E il giovine allora, togliendo dal posto la piccola lastra di marmo che chiudeva l'apertura del sotterraneo, disse al re:
- Seguitemi.
E scesero.
- Maestà, - disse di nuovo il giovine, - ecco la prigione della principessa vostra figlia.
- E sapete voi rintracciarla fra tutte?
- Sì, - rispose l'altro, - eccola...
E così dicendo, s'appressò alla bella principessa, e tenendola per mano, disse:
- Maestà, ecco la mia sposa!
Il re rispose:
- Tal sia!






RIFERIMENTI E NOTE
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TESTO
Giuseppe Gigli, "L'incanto", in: Superstizioni pregiudizi e tradizioni in terra d'Otranto.Con un'aggiunta di canti e fiabe popolari. Firenze: G.Barbera, 1893; pp. 269-277
Rist. anast., Sala Bolognese: Arnaldo Forni Editore, 1979.
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TRADUZIONE PP/ASAP
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IMMAGINE Riferimenti mancanti
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NOTE

Zio Gilletto






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