Un re e una regina avevano un'unica figliuola,
bella sovra tutte le belle, che pareva davvero figliuola
d'una fata.
Come la superba fanciulla giunse ai vent'anni, cominciò la
regina madre (come soglion far tutte le madri) a pensare a
un marito da darle, e che la facesse felice.
E, pensando ora a uno, ora a un altro principe, ne fece
motto al re, suo consorte. Questi, alle confidenziali
parole della moglie, montò su tutte le furie.
- Come! Come! Come! - esclamò: - E tu ami in tal modo tua
figlia, da volerla, ancor così giovine, destinare al più
triste dei castighi, qual è il matrimonio?
Rimase sbalordita, a queste parole, la misera donna; e
poco dopo, riavutasi dallo sbigottimento, chiese
umilmente:
- Ma dunque Vostra Maestà ha deciso di far rimanere sempre
fanciulla l'erede al trono?
- No, - rispose il re, - io non desidero ciò: desidero
però che il marito di mia figlia debba essere il più
valoroso e più istruito cavaliere del mondo. E siccome non
molto facilmente ci è dato rintracciarlo, è necessario che
aspettiamo fin tanto che il nostro buon genio ce lo faccia
capitar qui.
Queste parole lasciarono assai mortificata la regina; la
quale non si diede per vinta, e dopo un mese, o poco meno,
nuovamente faceva parola al re.
Questi, dopo le moine della moglie, disse:
- Ebbene, giacché vuoi assolutamente dare un marito alla
nostra amata figlia, io acconsento, alla seguente
condizione: la nostra figliuola sarà rinchiusa in un
misterioso palazzo, e ne avrà la mano colui che
saprà rintracciarla: chi falla alla prova sarà per
sempre incantato.
La regina fu contenta della proposta.
Allora il re fece costruire, sotto il palazzo reale, un
altro palazzo non meno grande e bello: per penetrarvi
c'era una sola apertura, la quale era celata da una
piccola lastra di marmo, sulla quale poggiava un piede del
letto del re.
In questo sotterraneo fu rinchiusa la piccola regina, in
compagnia di altre tredici donzelle, anch'esse molto belle
e nobili; e tutte furon vestite alla medesima guisa, tanto
che difficile era distinguere l'una dall'altra.
Poi fu fatto un bando, che diceva:
Il re offre la mano della principessa a quel principe o
cavaliere che saprà in soli tre giorni rintracciare il
luogo ov'ella è nascosta, e saprà distinguerla tra
quattordici donzelle. Chi non riuscirà nella prova sarà
punito con l'incanto.
Era l'incanto somministrato ai perditori da una vecchia
fata che viveva nella dimora del re da moltissimi anni:
mercé di esso, eran quelli addormentati in eterno, e
deposti uno accanto all'altro in una gran sala.
All'invito pericoloso sì ma pur pieno di lusinghe,
accorsero valorosi cavalieri e nobili principi in gran
numero: tutti, dopo tre giorni di vane ricerche ebber la
sorte dei perditori.
Un giorno giunsero nella capitale tre fratelli, figli di
un re lontano, per tentare la prova. Dopo tre giorni, il
maggiore di essi si diede per vinto, e fu incantato: dopo
altri tre giorni lo stesso destino si ebbe il secondo; il
terzo però, ch'era il più vago giovine del mondo, non
cominciò le sue ricerche alla maniera degli altri: fecesi
egli costruire da un orafo abilissimo una grande aquila
d'oro1, con entro deposto un perfetto apparecchio per
suonare, e insieme tanto spazio vuoto da poter contenere
comodamente una persona.
Ciò fatto, chiamò a sé una vecchia mendicante, e disse:
- Io darotti tutto quel che tu vorrai domandarmi, purché
tu tiri sulle ruote quest'apparecchio in giro per la
città, senza palesare a nessuno ciò che saravvi nascosto.
Tu dirai inoltre a tutti che questa è opera delle fate; e
se avverrà che il re voglia ritenerla una notte a palazzo,
tu, dopo aver per un poco negato, finirai
coll'acconsentire.
Annuì la poveraccia alla lucrosa professione, e alle
dimane cominciò a girare, con lo strumento, le vie della
città, destando ovunque meraviglia e stupore.
Seppe subito il re il meraviglioso caso, e volle vedere il
miracolo: infatti, vedendo quel perfetto lavoro, e udendo
suoni così dolci, rimase egli, insieme con la regina,
profondamente stupito di così grande opera.
- Oh come sarebbe lieta e felice di ascoltarlo la nostra
cara figliuola! - Esclamò a bassa voce la regina.
- Davvero, - disse il re – sarebbe per lei una bella
giornata.
E, voltosi alla vecchia:
- Volete voi vendere il vostro strumento? - disse.
- Maestà. - disse quella, - non basta il vostro regno per
pagarlo.
- E allora, - riprese l'altro, - lasciatemelo qui almeno
per un giorno e per una notte, ed io saprò ricompensarvene
ad usura.
La vecchia prima negò, poi cedette alla preghiera del re,
e lasciò la bell'aquila nelle sale della reggia.
Quando fu buio, i due reali coniugi, pieni di contentezza,
calarono per la misteriosa apertura lo strumento, e
dissero alla figliuola, che in quel momento stavasi
abbracciata colle sue amiche di prigionia:
- Vedi, vedi, ti abbiamo portato un oggetto che è di
meravigliosa bellezza, opera delle fate.
Mentre la principessa e le sue amiche cominciavano ad
ammirare il prezioso lavoro, il re toccò una molla
nascosta tra le piume dell'uccello, e ne uscì un
dolcissimo suono.
Grande fu la sorpresa delle graziose prigioniere
nell'udire il bel suono, e specialmente meravigliata parea
la principessa, che non si stancava un momento di
carezzare e baciare l'aquila.
E poco dopo, nel colmo dell'entusiasmo, volta a' genitori,
disse:
- Se volete farmi felice, dovete donarmi quest'oggetto.
- Ah, figlia mia, - rispose il re, - ciò è impossibile,
perché non basta tutto il regno per pagarlo.
- E allora, - riprese quella, - lasciatemelo almeno per
tutta questa notte, così io potrò inebbriarmi di questa
dolce musica.
- Questo sì, - disse il re, - te l'accordo.
Dopo un altro poco di tempo, i due reali personaggi
risalirono nel loro palazzo, e le prigioniere rimasero
sole, coll'aquila fatata.
Per molte ore esse ballarono e saltarono al suono di dolci
melodie2, poi, essendo alta la notte, ognuna di esse tornò
al proprio lettuccio, cercando riposo alle stanche membra.
Quando tutte dormivano, l'aquila si aprì, e ne uscì un bel
giovine.
Tutti hanno capito chi egli si fosse. Si appressò egli
pian pianino al letto della vaga principessa, e le poggiò
un leggier bacio su' begli occhi socchiusi. Poi,
chiamandola per nome, e scuotendola leggermente, la
destò.
- Non temete, - le disse, - non abbiate paura di me; io
son venuto per farvi felice.
Rassicurata da queste parole, dopo il primo sbigottimento,
la principessa disse:
- E chi siete voi? E come vi trovate qui?
Il giovine principe allora narrolle ogni cosa, destando
meraviglia e dolore nella poverina, che ignorava la vera
ragione della sua prigionia, credendola invece un
capriccio del padre.
Quando il giovane tacque, ella gli prese una mano, e
stringendogliela, disse:
- Vi ringrazio d'avermi salvata da così dura schiavitù, e
di avere, nello stesso tempo, salvati anche molti e molti
infelici da una sorte crudele, simile a quella incontrata
da coloro che vollero tentar la fortuna, fin ora, senza
speranza. Voi sarete l'idolo mio.3
Alla dimane l'aquila d'oro fu riportata innanzi al re, e
con essa fu il principe restituito alla sua libertà.
Allora presentossi egli al re, e disse:
- Maestà, son venuto da lontano, e ho abbandonato un
vecchio re e padre, per tentar la fortuna.
Il re sorrise alle sue parole, e disse fra sé: «Ecco
un'altra bella preda.»
Passò il primo giorno, passò il secondo. Al terzo giorno,
presentossi egli di nuovo al re, e disse:
- Maestà, in due giorni, non ho trovato nulla; ora me ne
resta ancora uno, e questo voglio spendere nel
rintracciare il nascondiglio della principessa nel vostro
stesso palazzo.
- Fate pure, - disse il re, - impallidendo.
Dopo varie ricerche, il principe si appressò al letto
reale, e disse:.
- Maestà, è d'uopo che il vostro letto sia tolto da quel
posto.
- E perché? - domandò quello, tremando.
- Il perché lo saprete poi, - rispose il giovine.
Il letto fu tolto.
E il giovine allora, togliendo dal posto la piccola lastra
di marmo che chiudeva l'apertura del sotterraneo, disse al
re:
- Seguitemi.
E scesero.
- Maestà, - disse di nuovo il giovine, - ecco la prigione
della principessa vostra figlia.
- E sapete voi rintracciarla fra tutte?
- Sì, - rispose l'altro, - eccola...
E così dicendo, s'appressò alla bella principessa, e
tenendola per mano, disse:
- Maestà, ecco la mia sposa!
Il re rispose:
- Tal sia!
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