ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE

FIABE ITALIANE ANTICHE, REGIONALI E ALLOGLOTTE
ZIO GILLETTO

ITALIANO
1893



ZIO GILLETTO

E sì che vo' narrare ai piccini, e a voi, donne mie care, quel che mi fece quel diamine di vecchio, da molti vituperato, e fin battuto, ma che alla buon'ora recava a più d'uno del bene. Io dunque era giovinetta a circa quindici anni: era una bella sera di giugno, e noi, dopo il lavoro, sedevamo a godere la luna e prender fresco, avanti alla nostra casetta.
L'orologio della Porticella batteva le due ore di notte, dando i sessantadue tocchi, che dà tuttavia; il che del mio tempo veniva detto la fuor'ora, perché le botteghe si chiudevano, e la gente, coperto il fuoco, andava a riposo.
Mio padre mi disse:
- Levati su, figliuola, prendi l'orciuolo e le poche monete che sono sulla panca, e corri alla cantina di Leonardo, innanzi che chiuda, e digli che te l'empia di vin paesano, ch'ei serba per gli amici.
Toltomi orcioletto e monete, v'andai di buone gambe, e giunsi a tempo. Al ritorno, come fui al largo, vidi venire da sotto la torre dell'orologio, a me vicino, un uomo,  che alla voce riconobbi essere Zio Gilletto; ché al vestire mi sarebbe parso impossibile. Curioso proprio al vederlo! Indossava una giubba di bel verde, calzoni rossi affibbiati alle ginocchia, su calze bianchissime di seta, scarpe lustre, cravatta e corpetto bianco, e berretta di velluto rosso a galloni d'oro; teneva fra le mani un bastoncino elegante, con pomo di perla, a lucida ghiera. Avea la zazzera ben pettinata, guanti gialli alle mani, e oliva tutto di zibetto.
- Buona sera bella ragazza, - mi diss'egli, garbato e amorevole, - ove corri così in fretta?
- A portare il vino per la cena, - gli risposi io, - ché il babbo vuol dormire. E voi, a che così rassetto e attillato, ché mi avete l'aria di uno sposo?
- Non sai? - soggiunse egli, - vado a godermi una festa qui vicino. Oh! I bei dolci e liquori squisiti, e i be' sorbetti, e ogni sorta di delicato mangiare, che saravvi a bizzeffe! Vuoi venir meco, ragazza? Noi sarem presto di ritorno.
- Ma io vado così mal concia ch'è una pietà, - gli risposi – ho indosso una gonnella di casa, e sono scalza per giunta.
Ed egli:
- Ciò è nulla; vieni con me, ché come saremo colà, ti farò far netta, e adornar come a regina, di seta, veli e collane dalle mie comari. Vedrai cose bellissime e nuove.
- Andiamo, - diss'io sedotta dal suo parlare.
Toltomi egli allora di mano l'orciuolo, riposelo in un angolo della piazzetta, dov'eravi dell'ombra. Mossosi tosto di colà, io lo seguii; e come fummo sotto al muro del giardino dei frati, fermossi, e fece col bastone un cerchio a terra: borbottate non so quali parole, vedemmo d'improvviso alla nostra presenza un papero, di tale grandezza, ch'io, in vita mia, non vidi mai l'eguale. Zio Gilletto vi si mise tosto a cavallo, ed invitò me a pormi in groppa. Com'e' videmi adagiata:
- Tienti bene alla coda della mia giubba, - mi disse, - e sta' ferma; e bada a non profferire alcuna cosa che sia di sacro, altrimenti saremmo perduti amendue; ché d'un salto solo la bestia si scaricherà del nostro peso.
Non ancora egli avea pronunziata l'ultima parola, che l'uccellone, allargate le ali, si sollevò da terra, e prese in breve un altissimo volo; tal che a me parea toccar quasi con mano la luna, le stelle, e fin la volta del cielo. Chinando per poco gli sguardi, vidi giù, sott'a miei piedi, città, boschi, villaggi, mare, montagne; e mi pareano divenuti  piccini e come dipinti nei quadri.
In un punto ch'era una gran valle, sentii fischiar la tempesta, e romoreggiar l'uragano; e vidi il guizzare dei fulmini, cui succedeva il rombo del tuono, che udiasi, come portato da' venti, lontano lontano. Ond'io, chiuse le palpebre, tremava a verga, compresa da somma paura; e maledicevo in cuor mio l'ora e il momento che m'era abbattuta in quel dimonio di vecchio. Allora vidi chiaramente esser vere le accuse che gli davano, di star egli mescolato in fattucchierie; e ben meritate le lunghe penitenze, che faceagli spesso fare il nostro arcivescovo, buon'anima. E quai piangente, gli chiesi:
- Ove mi conducete voi stasera? Deh, piacciavi pormi a terra; io tremo tutta dallo spavento, ché veggomi vicina tanto la morte.
- Taci, sciocca, - risposemi Gilletto, - ché or ora giungeremo.
Poi, modulando una sua arietta, cantarellava:
Sopr'acqua e sopra vento
Andiamo a Benevento;
Balliam con le Comari
Ne' lor sacrati lari.
Confortata alquanto dentro di me, pensando ai godimenti promessi, aprii per poco gli occhi, volgendo giù lo sguardo; e parvemi vedere, in una vasta pianura, come de' fuochi risplendenti fra gli alberi d'un bosco, in mezzo ai quali appariva una luce maggiore e più grande. Il valente uccello frattanto, senza perder la rapidità del suo volo, andavasi di mano in mano abbassando verso la terra, finché giunto in un delizioso giardino, pien di vaghissime piante fiorite, e d'alberi con bei frutti maturi, fermossi  piè d'una fontana di bianchi marmi, a molti zampilli e a cascatelle, limpide e deliziose alla vista. Scesi ambo a terra, il papero entrò a nuoto nella vasca; e noi, messici in un viale odoroso per molti e variopinti fiori, dopo alquanti passi fummo dinanzi a bellissimo e meraviglioso palazzo, tutto di cristallo, bene alluminato in ogni sua parte: ed era tanto lo splendore, che, appena, a riguardarlo, potea reggere l'occhio.
Due gentili donzelle, nobilmente vestite, mi vennero incontro, anzi me le vidi d'improvviso davanti, senza aver udito romore de' lor passi, ch'eran sì leggiere, che parea non  poggiassero a terra. E:
- Siate la benvenuta, bella signorina – mi dissero; e presami per mano mi condussero con loro in una stanza terrena, ove spogliatami dal capo ai piedi, mi dettero prima un fresco e odoroso bagno, ch'io mi sentia tutta confortata e rifatta; e quindi mi arricciarono i capelli e li unsero d'olî soavissimi, che olivan di rosa e bergamotto. Poscia aperto un armadio, ne trassero una veste di drappo a ricami, che parea fatta a mio dosso; e calze e magnifici usattini; e tutto  mi posero di bel garbo e con la maggiore prestezza. Tolsero anche una collana, tutta di perle finissime legate ad oro, e me le sospesero al collo; e le trecce mi ornarono di fiori gentili, e lucidi brillanti.
Così adorna com'era e fatta bella, che parea veramente una regina, mi ricondussero nel giardino, dicendomi:
- Divertitevi a vostro agio e piacere – e andaron via.
Vennemi tosto dappresso un gentil cavaliere ad offerirmi il braccio; e così insieme entrammo ne' viali, rischiarati da mille lampade di nitidissimo cristallo, a coglier fiori e ornarcene, e pomi saporosi dagli alberi; e a sollazzarci in piacevoli giuochi, unitamente con altre dame e cavalieri, che entravano pur quivi in folla.
Sedutici poscia tra le piante, chi novellava, chi canterellava, e chi intrecciava allegre carole. Quivi mi avvenne incontrarmi con parecchie persone, ch'io ben riconobbi, tra le quali un sindaco di Francavilla, che sapea, come dicevasi da molti, la virtù di far l'oro; un molto reverendo di Maruggio, che non so in qua' pegole, con iscompiglio de' suoi frati; e un canonico del duomo di Oria, con una monaca, per la qual delirava e basiva; e a quest'ultima rivolta voleva il magagnato per forza sposarla.
Vidi dunque tutti costoro nel giardino delle fate; e tutti vestiti, senza distinzione alcuna, pomposamente, e in leggiadre fogge, baloccavansi in mille guise. Zio Gilletto avea pur esso la sua dama a braccio, forse la più bella e vaga donna ch'io abbia colà veduta. In un tratto udironsi melodiosi suoni di arpe, di flauti, di viole e d'altri piacevoli strumenti di fiato e di corda; i quali avvertivan la brigata, che già aprivasi il ballo.
All'avviso, tutti quant'eran, dame e cavalieri, levatisi, andarono al palazzo; ed io con loro; e salite le scale, ch'eran di fine alabastro, entrammo in una vasta e magnifica sala, di specchi, e preziosi arazzi e frange d'oro, e fiori a festoni, maravigliosamente ornata, e splendente per molti doppieri e lumiere. Datosi cominciamento, io fui graziosamente invitata dal mio cavaliere a un giro di danza, che feci con tale abilità e sveltezza, come ne fossi stata più tempo istrutta. Entrai poscia nelle quadriglie e in altri balli, che succedevansi con ordine e leggiadria; dopo i quali ebber luogo de' giuochi di vaghissime donne con molto ben disposti e gentili giovani: e fu un diletto e divertimento generale, e mai più veduto.


Passando davanti a uno specchio, io mi mirai per poco; e vedendomi sì bella e nuova, dissi fra me medesima: «Oh, io sono veramente la Peregrina, figliuola di Diego il cavaterra, e sorella a Beppe il bettoliere, o pure una gran dama, se non la regina di Napoli in persona?»
E rimasi lì piena di meraviglia per più tempo a mirarmi.
Eransi frattanto apparecchiate le mense, in una sala contigua, ove l'allegra adunanza, a un novello segnale, entrò in fretta a ristorarsi della stanchezza. Le tavole eran coperte di lini bianchissimi, e v'eran vasellami d'argento e d'oro in gran copia, ed anfore e vasi con fiori; e vaschette di terso cristallo, con entro pesciolini di bel colori scambienti e vivaci, nuotanti scherzevoli in limpidissime acque; e gabbiuzze d'oro con uccellini canori, a piume verdi, rossine, cerulee, dorate, e via altre tinte nuove e non mai vedute.
L'ampia sala era tutta profumata di essenze ed aromi, che valeano ad aguzzare vie più l'appetito. Sedutici agiatamente in seggiole dorate e a cuscini di velluto cremisino, ci vennero apprestate da molti familiari, pulitamente vestiti, e con zazzerine pettinate, vivande delicatissime e in molto numero. De' vini non so dirvene, ché ce n'erano d'ogni colore e sapore. V'eran vini di Francia, di Spagna e fino di Grecia, bianchi, vermigli, dolci, asprini: e di tutti bevvi a dovizia, senza che m'avessero per nulla annebbiato il capo. La cena poi veniva allietata da canti e suoni melodiosi e soavissimi, di persone non vedute, e come velati di lontananze, che era un magico incanto. E innanzi che ci levassimo da tavola, entraron nuovi serventi, con vassoi colmi di dolci manicaretti e bevande, tutti entro il ghiaccio e la neve che dispensarono in giro ai commensali.
Ma in un subito, e quasi d'improvviso, l'intera compagnia levossi, e frettolosa uscì dalla sala,  precipitandosi giù dalle scale, come se la volta del palazzo minacciasse rovinarle sul capo. Mi levai ancor io, e fuggii con loro; e chiestone il perché, mi risposero:
- È per suonare mezzanotte; mal per noi se ci cogliesse in questo luogo.
Mi vidi allora dinanzi le due donne, che m'avevano vestita come a gran signora; le quali, trattami nella solita camera terrena, mi spogliarono in un subito, riponendomi i miei sdruciti e grossi panni. Cercato poscia in fretta Zio Gilletto, andammo insieme presso la vasca, da cui uscì tosto il papero: il quale sbuffando, e figgendoci in viso due occhi che parean carboni accesi, ci disse con una voce come di tuono:
- Non la finivate più stasera, sciagurati! Mal gioco sarebbe stato per voi, se v'avesse qui colti la mezzanotte.
Io m'intesi allora far grizze le carni, che mi parea quello nn più papero, ma un dimonio: e senza profferir parola, insieme con Gilletto ci ponemmo sul dorso della bestia; la quale, aprendo, e dibattendo forte le ali, riprese il volo. Dall'alto abbassai verso terra lo sguardo, a mirare, per l'ultima volta, quella magnificenza; ma qual fu la mia meraviglia quando vidi il giardino cangiato in un deserto, ed il bellissimo palazzo in oscuro ed ombroso noce?
Il volo levavasi ancora più, e noi ripassammo per le medesime vie del cielo; e col favor della luna rividi i mari, le città, i boschi, e le stesse montagne, e quant'altro erami caduto sott'occhi nell'andata. Ma in un subito, coll'impeto con cui dall'alto cade in giuso una pietra, si abbassò l'uccellone, e io riconobbi essere a casa nostra, e propriamente sotto il muro del giardino de' frati: e toccata la terra, scendemmo.
- Signore, ti ringrazio, - dissi, vedendomi giunta in salvo; ma com'ebbi pronunziata quella parola, spirò tosto un turbine intorno a noi, il quale sollevò tanta polvere, che oscurossi la luna; e fra que' nugoli s'ascose il papero, e sparì.
Tornato il sereno, non vidi nemmeno accosto a me il vecchio Gilletto; e tremando di gran paura, diedi in lagrime, e così piangente diressimi alla volta di mia casa. Per via incontrai babbo, seguito da mamma che piangeva a dirotto, percuotendosi il viso e strappandosi i capelli, perché temea non m'avessero gli zingari rubata: ai quali narrai fil filo quant'erami accaduto, e mostrai loro per fino il sito ove il vecchio aveva nascosto l'orcioletto, che con nostra meraviglia trovammo quivi stesso, senza mancarvi gocciol di vino. Rientrammo in casa, e andammo, senz'altra parola, a letto: ma chi potea dormire? Io col capo pieno di tante belle e nuove cose, e i miei genitori col sangue rimescolato per l'avuta paura, la passammo tutta notte in veglia.
A giorno levatici, il babbo senza dir motto, si tolse sotto il braccio cinque spanne d'un querciol nocchieruto, che tene a' suoi usi, e uscì soffiando, recandosi difilato a casa di Zio Gilletto, che per maggior sua mala ventura incontrò per via, mentre andava al beccaio in piazza: e guardatolo bieco, gliene diè sulla nuca un paio con tanta violenza, che il rovesciò per terra, e:
- Svergognato stregone, - gridava, - io non so chi mi tenga che non ti lasci freddo qua nel fango. Ti par bene, vecchio assassino, condurre mia figliola a casa del diavolo, e farla trescare co' negromanti, colle streghe e colle fattucchiere?
E gettata via la mazza, gli si avventò con tanto impeto addosso, dandogli calci e pugni a tempesta, che l'avrebbe certo finito, se non gliel levavano di sotto alcune persone, accorse in furia al rumore.
Alle quali il poveraccio, lagrimando e tutto lacero nel volto, nella schiena e in altre parti del corpo, tal che non aveva osso, o capello in capo che ben gli stesse, giurava e spergiurava per tutti i santi del cielo, essere innocente dell'accusa, e che ciò gli si era addebitato per male.


RIFERIMENTI E NOTE
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TESTO
Giuseppe Gigli, "Zio Gilletto", in: Superstizioni pregiudizi e tradizioni in terra d'Otranto.Con un'aggiunta di canti e fiabe popolari. Firenze: G.Barbera, 1893; pp. 247-259
Rist. anast., Sala Bolognese: Arnaldo Forni Editore, 1979.
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TRADUZIONE PP/ASAP
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IMMAGINE The Sleeping Beauty and other fairy tales from the Old French retold by Sir Arthur Quiller Couch, illustrated by Edmund Dulac. New York: Hodder and Stoughton 1909; https://archive.org/details/sleepingbeautyot00quil/page/70/mode/2up; ultimo accesso 19 aprile 2024.
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NOTE

Zio Gilletto
Già nella fiaba "La canzune de lu pueta"(http://www.alaaddin.it/_TESORO_FIABE/FD_Puglia_Menestrello.html) abbiamo visto il ricorso a una figura femminile estranea all'ordine patriarcale di matrice cattolica, grazie alla quale il rischio di morte si trasforma in un finale felice. Qui il ricorso alla magia è addirittura il viaggio a cavallo di un papero demoniaco, grande come l'uccello  Ruch delle Mille e una notte, fino al celebre Noce di Benevento, dove, invece di elementi perturbanti, si svolge una festa degna della Parigi del Re Sole. Vero è che a mezzanotte tutti devono sparire per evitare conseguenze spaventose, ma alla fine la protagonista rientra senza danni nella sua famiglia, e il mediatore tra i due mondi prende una scarica di bastonate dal padre di lei, ma senza conseguenze tragiche.
L'esperienza è un sogno? Una fantasia? Un delirio?
In attesa di avere la traduzione nel salentino di Manduria, paese nel quale è stata raccolta, vogliamo proporla in italiano, per la ricchezza e la coerenza della struttura narrativa, per il linguaggio forse popolare ma certo ricco di espressioni colte, per le immagini anch'esse degne della corte francese.
Certo è una singolare fiaba, che per la sua potenza espressiva non ha nulla da invidiare a raccolte molto più celebri e celebrate, come quelle toscane e siciliane.






online dal 4 agosto 2025