ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE

FIABE ITALIANE ANTICHE, REGIONALI E ALLOGLOTTE
IV
NINETTA DI FIERARMATA

ITALIANO
1893
NENETTE TI FIERARMATA

SALENTINO
2025




NINETTA DI FIERARMATA
(
Del popolo di Manduria)

NENETTE TI FIERARMATA
Il potentissimo re Fierarmata aveva una figliuola a nome Ninetta, sul fulgore degli anni e  della bellezza.
Costei abitava insieme con una giovine dama di compagnia, in una parte del castello decorata con immensa profusione di marmi preziosi, e di preziosissimi legni odorosi. La sua camera da  letto era smagliante di pietre d'alto valore, e il letto ov'ella dormia i suoi placidi sogni di vergine era tutto un pezzo d'oro.
Un giorno ella volle uscire con la sua compagna in città. Ma appena varcata la soglia del portone s'incontrò in una vecchia d'orribile bruttezza.
La giovine regina allora mirandola esclamò:
- Com'è brutta!
Quella vecchia era una fata, che sorrise di disprezzo a quelle parole, e rispose:
- Che tu possa trasformarti secondo il tuo desiderio, e che tu possa innamorarti del figlio del re, e che questo non ti ami, se non dopo che tu avrai fatto la serva!
Ninetta turbossi a questa imprecazione, ma la sua compagna rassicurolla, pregandola a non dare ascolto alle parole d'una vecchia.
Passarono molti mesi.
Un giorno fu annunziato al castello l'arrivo, di un giovine principe straniero, che viaggiava per diporto. Fu ricevuto con la massima cortesia, e rimase ospite della real famiglia per tre giorni. Quel giovine era bellissimo, e toccò il cuore di Ninetta. Quando egli partì per proseguire il lungo viaggio questa rimase profondamente addolorata, senza saperne discacciare dagli occhi la immagine, e dal cuore il desio.
Un giorno, non potendo più tollerare tanto martirio, ne parlò col re suo padre; il quale, amantissimo com'era di quell'unica figliuola, e vedendola lentamente deperire nella salute, le promise che sarebbe immediatamente partito alla volta del reame del padre del giovine principe, per fargli noto un così fervido amore.
Partì infatti, e vi giunse accolto cortesemente dal vecchio re, suo amico. A costui confidò le ansie e il desio della figliuola, pregandolo di farne partecipe il principe.
Il vecchio re promise che tutta la sua autorità interposta, acciò si compissero nozze  lui bene accette; ma quando la sera ne parlò al figliuolo, questi rispose con una solenne risata, e soggiunse:
- No, caro padre, io non prendo moglie!
Il re insistette, facendogli noto il languore e il fervido amore di Ninetta; e quello allora, traendosi di tasca un fazzoletto finemente ricamato, disse:
- Ebbene, fatele pervenire questo fazzoletto, affinché ella, a me pensando, si asciughi le lacrime che verserà per amor mio!
Tornato il re Fierarmata al castello, consegnò il fazzoletto alla figliuola, ripetendole l'ottenuta risposta.
Questa cadde allora in profonda malinconia, e cominciò a soffrire seriamente nella salute.
Suo padre attese parecchi mesi, e, vedendo riuscire vana ogni cura, decise di tornare dal padre del lontano principe, per cercare di riuscire nuovamente nell'intento. Ma neppur questa volta fu felice, perché il crudele giovine, consegnandogli una boccetta ripiena di profumata acqua, disse:
- Io non prendo moglie; però presentate questa boccetta alla vostra figliuola, affinché se l'appressi al naso, quando si sentirà venir meno per me!
Ninetta conosciuta col ritorno del padre la brutta novella, infermò gravemente. Invano re Fierarmata chiamò intorno al suo letto i primi medici del reame; invano promise metà delle sue ricchezze a colui che ridasse la primiera salute alla sua figliuola...
Ed una notte che la malata era per morire, egli si rivolse al suo buon Genio, ed esclamò:
- Fatela ancora vivere, sin ch'io compia un altro viaggio.
Postosi immediatamente in viaggio, dopo tre giorni, giunse al castello del giovine crudel principe. Non appena lo scorse da lontano, con gli occhi pieni di lagrime, gridò:
- Volete dunque farmi morire l'unica figliuola, il solo bene della mia vita? E volete dunque mostrarvi più crudele d'una tigre?
Quello sorrise, e traendosi di tasca un lungo laccio d'oro finissimo, rispose:
- Io non prendo moglie; però presentate questo laccio alla vostra figliuola, affinché, se è vero ch'ella soffre tanto per amor mio, la finisca una buona volta colla vita, e si appicchi con esso a un albero!
Lo sconsolato padre tornò al natio castello, e riferì, tra' singhiozzi, alla figliuola la villana risposta.
Ninetta prese quest'ultimo oggetto, e levandosi improvvisamente da letto, disse:
- Ora sto bene; mi ha guarita il mio buon Genio; però qui non posso più stare, e voi, padre, beneditemi, ché per lungo tempo non ci potremo vedere. Io debbo fare un lungo viaggio.
Il padre cercò di ritenerla con sé, ma riuscendo vane tutte le sue premure di affetto, la benedisse, dicendo:
- Ti accompagni la fortuna, Ninetta!
E Ninetta partì.



2.

Giunta alla città capitale del reame appartenente al re, padre del giovine principe che ella amava, domandò ad alcune popolane qualche informazione su' costumi di quest'ultimo, e seppe ch'egli aveva amorose relazioni con una bellissima donna maritata.
Ella pensò: « Ah, l'infame! Perciò dice di non voler prender moglie! E dunque mi pospone a codesta donna? Voglio vederla ».
Si vestì  poveramente, come una mendicante, e andò a bussare alla porta della sua rivale.
- Sono una povera giovine abbandonata da tutti, - ella disse con voce tremante, - e vi prego di volermi accogliere come serva.
La donna, che ricamava oro ed argento una magnifica sciarpa da guerriero, disse:
- O povera giovine, non ho bisogno di serve.
- O buona signora, accoglietemi per carità; ascoltate, io non voglio alcuna mercede da voi; mi basta un letto, e un pezzo di pane, e vi assicuro che resterete contenta di me. Accoglietemi, o buona signora.
L'onesta e bella faccia di Ninetta commosse colei, che finalmente disse:
- Ebbene, entrate pure in casa.
Dopo  parecchi giorni, tanto la donna come suo marito eran davvero contentissimi delle buone qualità della serva, e ringraziavano la fortuna che l'aveva loro mandata.
Il marito, specialmente, ammirava in lei i bei modi gentili, e la cortese favella, tanto che un giorno, dopo aver fatto un ghiotto pranzo e alzato bene il gomito, chiamandola per nome, disse:
- O Ninetta, tu parli tanto bene; raccontami un po' qualche istoria...
E quella:
- O signore, io ve la racconterò fra qualche giorno.
Intanto la giovane regina non dormiva; ed a furia di spiare, vide che ogni notte la sua padrona abbandonava il letto del marito, e, tratto da un armadio un mazzo di chiavi, con queste apriva quattro porte dell'appartamento, e giunta in una stanza buia, ritrovava il giovane principe, col quale passava molte ore...
Si fu allora un giorno che l'uomo aveva più del solito bevuto generosamente, ella disse:
- O non volete dunque ascoltare una storia?
- Sì, sì, brava Ninetta, racconta pure...
- O signore, io vorrei, ma temo che novellando non dia pena alla mia signora, vostra moglie.
E costei:
- Narra, narra pure.
- Ebbene, ascoltate. Vi è un figlio di re, bello e crudele, che fa soffrire a morte una giovine principessa, padrona del più vasto reame del mondo, per dare il suo cuore a una donna volgare che tradisce il proprio marito. Questa donna ogni notte si leva dal letto, apre un armadio da cui toglie più chiavi, traversa una, due, tre, quattro stanze, si adagia su un letto morbido di piume di cigno, e si inebbria col giovane principe di abbracci e di baci...
La donna, a queste parole, divenne bianca come calce.
Il marito disse:
- E chi è mai questa donna?
- Voi, o signore, l'avete a lato.
- Che dici mai, mia moglie?
- Sì, o signore.
- E in quell'armadio sono le chiavi?
- Sì, o signore.
- Se ciò fosse una vile calunnia, non meriteresti tu la pena di morte?
- Sì, o signore.
Il tradito marito si appressò all'armadio, tolse le chiavi, aprì e attraversò le quattro stanze, attese un'ora, due, e vide comparire il giovine principe...
Il giorno dopo alcuni barcaioli pescavano in mare il cadavere della donna infedele.
Ninetta si era vendicata.


3.

Passarono molti altri mesi, otto, dieci forse.
Il giovine principe era intanto caduto in profonda malinconia, dopo la perdita della donna amata. Il padre suo aveva pure tentato ogni mezzo per distrarlo dai cupi pensieri, ma tutto era riuscito inutile. Si fu allora che qualcuno gli consigliò di accettare la mano offertagli della figlia del re Fierarmata; ma egli rispose:
- Nel mio cuore non c'è che una sola immagine di donna, e questa ora è morta: nessun'altra può supplirla!
Allora il re padre pensò di dare nel suo castello delle sfarzose feste da ballo, alle quali dovessero convenire tutte le più belle donzelle del reame, sperando che di qualcuna di esse potesse innamorarsi il povero figlio suo.
Era una sera di gennaio la prima volta che il castello si aprì a migliaia di invitati. Il giovine principe vide passare sotto lo sfavillio di mille lumi le più vaghe donzelle; ma per nessuna ebbe il più lieve sorriso.
Suonava la mezzanotte quando, all'improvviso, nella sala sollevossi un mormorio di ammirazione. Tutti volsero gli occhi verso l'uscio, e videro apparire la più bella fanciulla che mai mani di fata avessero potuto scolpire. Camminava ella con solennità maestosa, gettando qua e là sprazzi di luce da' diamanti che tempestavano il suo abito, tutto velo e trine. Nel viso aveva tutte le grazie d'una dea, e negli occhi il lume d'una stella.
A quest'apparizione, rimase meravigliato il giovine principe, che, fino allora rimasto seduto malinconicamente in un canto, si levò e invitò alla danza la bella sconosciuta. Questa accettò, e fu vista nelle braccia di colui volare mollemente, più che calpestare co' piedi il terreno.
E allora il principe domandolle.
- Chi siete mai?
- O principe, io non posso dirvelo.
- Almeno ditemi in quale paese nasceste.
- Pur questo è un segreto.
- Voi siete assai bella!
- Grazie, principe.
Chiusa alla mattina la festa, il principe mandò due cortigiani alla ricerca della bellissima fanciulla, per offrirle la sua mano, tanto era innamorato di lei; ma invano quelli picchiarono a tutte le case della città, ché nessuno aveva mai vista o albergata alcuna straniera.
Dopo alquante sere, una nuova festa fu indetta a corte, e non era ancora scoccata intera la mezzanotte, quando novellamente apparve la meravigliosa fanciulla.
Questa volta ella era vestita di azzurro, e sugli abiti suoi v'erano gettate in perle le ricchezze d'un re.
Vederla, e avvicinarsele per invitarla al ballo, fu un momento solo pel principe.
E le disse:
- Io ho pensato sempre a voi, e vi amo. Vi offro un regno e una corona: volete accettare la mia mano?
- O principe, io non prendo marito...
- Se voi rifiutate, io passerò nel pianto la mia vita per amor vostro...
Allora quella trasse dal seno un fine fazzoletto ricamato, e porgendolo a lui disse:
- Se piangete per me, con questo fazzoletto asciugatevi le lacrime.
E sparì.
Il giovane principe si struggea di malinconia.
I medici chiamati intorno a lui non sapevano trovare un rimedio al male.
E dopo tre giorni una novella festa fu indetta a corte. Questa volta la bella sconosciuta apparì vestita tutta di piume di cigno, sicché parea che volasse in una morbida nube. Scorgendo il principe sconsolato, ella sorrise, e avvicinandoglisi mormorò:
- Soffrite, o principe?
- Sì, e per voi. Fra pochi giorni venite almeno a visitare la mia tomba, ove voi, coll'ostinato rifiuto, mi spingeste a poco a poco!
- Mi duole, principe, ma nulla ho da farvi: io sono destinata a non prender marito: lo sapete: ma pure, ecco...
E ciò detto gli porse una boccetta di cristallo:
- Qui è rinchiuso un soave profumo; se per amor mio vi sentirete qualche volta venir meno, odoratelo, o principe...
E sparì.
Il principe moria. Al castello si facevano già i preparativi funebri. Allora egli chiese al padre che prima di morire gli facessero rivedere almeno un'altra volta la misteriosa straniera.
- Date un'altra festa, - egli disse, - così solo potrò ritrovarla.
E la festa fu data. Il principe con gli occhi infossati e il respiro affannoso fu portato nella gran sala.
Quando, in sulla mezzanotte, apparì la bella, egli sentissi rivivere. Questa volta essa era coperta da una fitta rete di smeraldi e di diamanti.
Le si appressò:
- Volete dunque davvero farmi morire disperato come un cane? Volete davvero mostrarvi più crudele d'una tigre?
- O principe – rispose ella, - c'è chi vi ama ed è disprezzata da voi... ora io non posso darvi che questo laccio d'oro, affinché affrettiate la vostra morte, impiccandovi per amor mio a un albero...
E ciò dicendo gli porse un grosso e fine laccio d'oro.
Poi sparì.


4.

Il giorno dopo tutta la corte era in movimento, perché il giovine principe, riacquistata all'improvviso una insolita energia, colla scorta di cento cavalieri, doveva partire pel giro del mondo, alla ricerca della bella sconosciuta.
Un minuto prima della partenza, presentossi alle porte della reggia una mendicante, col viso tinto di carbone e gli abiti sdruciti, la quale chiese di parlare al re. I domestici la volevano respingere, ma in quel momento apparve davvero il re.
-  Maestà, - gridò ella, - io sola ho la possibilità di guarire il figlio vostro.
- E come? - esclamò il re.
Allora quella, presentandogli una focaccia di pane, rispose:
- Mangi il principe di questo pane, e vi assicuro che guarirà.
Il re sorrise per incredulità; pure per la curiosità del nuovo espediente accettolla, e, rientrato in casa, la porse al figlio.
Questi, colla scorta, partì.
A mezzogiorno, nel cuore d'una folta foresta, smontarono tutti da cavallo per riposarsi, e rifocillarsi con qualche leggiera colazione.
Il principe allora prese la focaccia, e nell'aprirla in due, vide cadersi ai piedi un grosso anello d'oro. Raccoltolo, vi lesse per il cerchio queste parole: «Chi tu disprezzasti, ora desideri; tu vai lontano, e te la lasci indietro. Torna nelle sue braccia, Ninetta ti aspetta!»
Stupefatto egli di ciò, comandò alla scorta di tornare al castello, ove giunto, trovò sulla soglia d'entrata, la mendicante che gli aveva fatta pervenire la focaccia. Le comandò allora di venir nelle sue stanze, ove giunti, le disse:
- Spiegatemi il mistero di questo anello.
E quella:
- O principe, imparate a rispettare meglio chi, nata come voi, vi offre il cuore!
Allora, sorridendo, ella all'improvviso trasformossi in vaghissima fanciulla, nella quale il giovine riconobbe la sconosciuta sua bella, la misteriosa visione delle feste al castello, la figlia del Re Fierarmata, Ninetta.
Il giorno dopo le sfarzosissime nozze eran proclamate da cento araldi pe' due potenti reami.

Lu rre Fierarmata, putentìssimu, avìa ’na figghia chiamata Nenette, ca stava allu splendore ti l’anni e ti la beddrazzía.
Essa stava cu ’na giuvinotta ti cumpagnìa, intra ’na parte ti lu castieddhu addecurata cu ’nu spendore ti marmi preziosi e ti ligni odorusi. La sò cammara ti lettu era tutta scintillante ti petre ti gran valore, e lu lettu addò ddurmìa li sò sogni tranquilli ti virgìne era tuttu fattu d’oru massicciu.
’Nu giurnu Nenette vulìu scìre cu la sò cumpagna ppe la città. Ma appena scì passau la soglia ti lu purtune, s’imbattìu cu ’na vecchia ti ’rribbile laidezza.
Allora la giuvina regina, quannu la guardau, scìppau:
– Comu è la brutta!
Quiddha vecchia era ’na fata, ca surrise cu sprezzu a quiddhe paròle, e rispunnìu:
– Ca tu t’ha trasfurmàre secunnu lu to’ disìu, e ca tu t’innamuri ti lu figghiu ti lu rre, e ca iddhu no’ t’ami, finu a quannu tu no’ hai fattu la serva!
Nenette s’attristau a quiddha maledizzioni, ma la sò cumpagna la rassignau, pregannula ti no’ stare a scutare li parole ti ’na vecchia.
Passàru multi misi.
Nu giurnu fu annunziatu intra lu castieddhu l’arrìvu ti ’nu giuvinu principì stranu, ca viaggiava ppe divertimentu. Fu ricevutu cu la massima curtesìa, e ristau ospite ti la famiglia riali pe’ tri jorna. Quiddhu giuvinu era bellìssimu, e tuccau lu cori ti Nenette. Quann’iddhu partìu ppe cuntinuà lu longu viaggiu, essa ristau profondamenti addulurata, senza sapiri cacciàre dagli occhi lu visu, e dal cori lu disìu.
’Nu giurnu, no’ putennu cchiù suppurtàre tantu martìriu, ne parlau cu lu rre sò patri; lu quali, amantìssimu com’era ti quiddha sula figghia, e vidennula lentamente scemàre ’nda la saluti, ci prumìttiu ca subitu partìa ppe lu regnu ti lu patri ti lu giuvinu principì, pe’ farisi sapiri un amore accussì ardenti.
Partì accussì, e arrivau intra lu castieddhu accoltu cu curtesìa dal vecchiu rre, sò amicu. A costu confidau li tribbulaziuni e lu disìu ti la figghia, pregannulu ti n'adduna lu princiu.
Lu vecchiu rre prumìttiu ca tutta la sò autorità avissi stata misa ’n mezzu, accussì ca le nozze si facìssiru comu iddu vulìa; ma quannu la sira ne parlau cu lu figghiu, iddhu rispunnìu cu ’na risata a schernire, e ci mittiu:
– No, patri caru, io no’ pigghiu mugghieri!
Lu rre insistìu, facennulu sapiri la malincunia e l’amuri accussì ardenti ti Nenette; e iddhu allora, tirannusi di tasca ’nu fazzuletto finimenti ricamatu, diss’:
– Ebbè, falli arrivàre stu fazzuletto, accussì ca essa, pensandu a me, si asciughi li lacrime ca versi ppe l’amore mè!
Quann’iddhu turnau lu rre Fierarmata intra lu castieddhu, cunsegnau lu fazzuletto a la figghia, ripetennula la risposta ottenuta.
Iddha sciddicau dopu ’nda ’na malinconìa sempri cchiù scura, e accuminciò a suffrìri malamenti ’nda la saluti.
Sò patri aspettau multi misi, e, vidennu ca ogni cura jìa inutili, decidìu ti turnàre dal patri du giuvinu lontanu principì, pe’ pruàre a riescìri n’autra vota. Ma mancu sta vota fu felici, picchì lu crudeli giuvinu, cunsegnannulu ’na boccetta china di acqua prufumata, diss’:
– Io no’ pigghiu mugghieri; ma purtate sta boccetta a la vostra figghia, accussì ca essa se l’appressi ’u nasu, quannu si sentirà venìri menu ppe me!
Nenette, sapennu cu lu ritorno du patri la brutta novella, s’infermau gravamenti. Invanu lu rre Fierarmata chiamau attornu a lu sò liettu li primi medici du regnu; invanu prumìttiu metà ti li sò ricchezzi a cu ridau la primiera saluti a la sò figghia…
E ’na notte, ca la malata stava pe’ murìri, iddhu si rivolse ô sò Spiritu Bbonu, e lu supplicau:
- Fatila campà ancora, finu a ca io facciu n’autru viaggiu.
Mminticatu subbitu ’ntra viaggiu, dopu tre jorna arrivau ô castieddu ddu principì crudeli. Appena ca lu scerse da luntanu, cu lli uecchi chini ti lacrimi, strillau:
– Vuliti cusì mmurìrimi la sula figghiola mia, l’unicu beni ti la vita mia? E vuliti cusì essiri cchiù crudeli ti ’na tigra?
Quiddhu surrisi, e scigghiannusi ti la sacchetta nu longu lazzu d’oru finissimu, ci rispunnìu:
– Iu no m’azzu pigghiu mugghieri; ma puru, purtàtilu stu lazzu a la figghiola vostra, accussì, si è veru ca suffri tantu pi l’amuri mia, la face finita ’na bona vota cu la vita e s’appicca cu iddhu a nu ’àrbaru!
Lu patre scunsulatu turnau ô castieddu nativu, e tra li singhiozzi cuntau a la figghiola la crudeli risposta.
Nenette pigghiau st’ùrtimu cuersu, e scattannusi all’improvisu di lettu, diss’:
– Mo’ stau bbona; mm’ha guarita lu me’ Spiritu Bbonu; ma ccà no pozzu cchiui ristare, e vui, patre, biniditimi, ca pi tantu tiempu nu’ ni putimu cchiui bbedere. Aju a fare nu viaggiu longu.
Lu patre circau ti tèniri a cchiui, ma tutte le premure ti affettu sciérunu vane; allura la binidissi, dicennu:
– T’accumpagni la furtuna, Nenette!
E Nenette partìu.


2.

Quann’arrivau ’ntra la cità capitale ddu reame ddu re, patre ddu giòvane principì ca iddha amava, si missi a circà quacche pupulana pi sapiri comu si cumportava iddhhu, e scoprìu ca iddhhu tenia amuri cu ’na fimmina biddhissima maritata.
Iddha pinsau: «Ah, l’infami! Ecccu pirchì dici ca no voli pigghià mugghieri! E allura mi metti dopu a sta fimmina? Vogghiu vidilla!»
Si vesti poviramenta, comu ’na mendicanti, e gghiu a bussà ’a porta dâ so rivali.
– Sugnu ’na povira giòvine abbandunata di tutti – diss’ iddha cu voce tremante – e vi preg’ di vulirmi accogliere comu serva.
La fimmina, ca ricamava oro e argentu ’na sciarpa magnifica pi guerrieru, diss’:
– O povira giòvine, no’ mi servi serve.
– O bona signora, accoglietimi pi carità; ascultate, io no’ vogghiu alcuna mercedi da vui; mi basta nu lettu e nu pezzu di pane, e vi assicuru ca ristareti cuntenta di mia. Accoglietimi, o bona signora.
Lu visu onestu e beddhissimu di Nenette commossi colei, ca finalmenti diss’:
– Ebbene, trasiti puru ’n casa.
Dopu tanti jorna, tantu la fimmina comu lu so maritu eranu propriu cuntentissimi di li boni qualità di la serva, e ringraziavanu la furtuna ca l’avea mannata a iddhri.
Lu maritu, chiù di tuttu, stimava in iddha li modi beddhissimi e gentili, e li paroli fine e gentili, tantu ca nu jornu, dopu aviri fattu nu ghiottu pranzu e alzatu beni lu biccheri, chiamannula pi nomu, diss’:
– O Nenette, tu parli tantu beni; cuntami nu pocu di storie…
E iddha:
– O signore, io ve la cuntarò fra quacche jornu.
Intantu la giòvine regina no dormiva; e a furia di spiari, vidìu ca ogni notte la so patruna lassa lu lettu di lu maritu, e, pigghiatu di nu armariu nu mazzettu di chiavi, cu chisti aperia quattru porte di l’appartamentu, e quann’arrivava ’ntra na stanza scura, truava lu giòvane principì, cu cui passava assai ore...
Fu allura nu jornu ca l’omu avia bevutu cchiù di sempri assai, iddha diss’:
– O no vuliti allura ascultà na storia?
– Sì, sì, brava Nenette, cuntala puru…
– O signuri, io vulissi, ma temo ca cuntannu na storia no dia pena a la me signora, vostra mugghieri.
E iddhu:
– Narra, narra puru.
– Ebbè, ascultati. Ci sta nu figghiu di re, beddhissimo e spietatu, ca fa suffrì a morte na giòvine principessa, patruna du cchiù vastu regnu du munnu, pi dari lu so cori a na fimmina vulgara ca tradisci lu so maritu. Sta fimmina ogni notte si leva du lettu, apre nu armariu unni pigghia cchiù chiavi, passa na, dui, tri, quattru stanze, si stende supra nu lettu morbiddu cu piumi di cignu, e si ’mbriaca cu lu giòvane principì di vasuni e abbrazzuni…
La fimmina, a ste paroli, addivintò bianca comu calce.
Lu maritu diss’:
– E cu è mai sta fimmina?
– Vui, o signuri, l’aviti vicinu.
– Chi dici mai, me mugghieri?
– Sì, o signuri.
– E ’ntra chidd’armariu ci su li chiavi?
– Sì, o signuri.
– Si chistu fussi na vigghiara calunnia, no meritaristi tu la pena di morte?
– Sì, o signuri.
Lu maritu tradutu si appressò all’armariu, pigghiò li chiavi, aperse e passò li quattru stanze, aspittò n’ura, dui, e vidìu comparire lu giòvane principì…
Lu jornu doppu cchiui varcar piscavanu ’n mare lu cadavere da fimmina infideli.
Nenette si era vindicata.


3.

Passaru molti autri mesi, ottu, deci forse.
Lu giòvane principì intantu era cadutu ’n profonda malinconia, doppo la perdita da fimmina amata. Lu so patri avia puru provatu ogni mezzu pi distrallu di li pinsèri scuri, ma tuttu era risultatu inutile. Fu allura ca quarcunu ci cunsigliò di accettà la manu ca ci era stata offerta, chidda da figghia du re Fierarmata; ma iddhu rispunnìu:
– ’Ntra lu me cori non c’è ca na sula figura di fimmina, e chista ora è morta: nudda autra la po rimpiazzà!
Allura lu re patri pinsò di fari ’ntra lu so casteddu sfarzusi balli, a cui avissiru a venìri tutte li cchiù beddhizzi donzelli du regnu, sperannu ca di quarcuna di iddhri putissi innamuràrisi lu poveru figghiu so.
Era na sira di jinnaru la prima vota ca lu casteddu s’aprìu a migghiaia di invitati. Lu giòvane principì vidìu passari sutta lu sfavillu di mila luci li cchiù vaghi donzelli; ma pi nudda avia lu cchiù lieve surrisu.
Sunava la menzanotte quannu, all’impruvvisu, ’ntra la sala si suscitò nu mormoriu d’ammirazioni. Tutti volsero l’occhi versu l’usciu, e vidìu comparire la cchiù beddhissima picciotta ca mai mani di fata avissiru pututu sculpiri. Camminava iddha cu solennità maestosa, jittannu qua e là raggi di luci dai diamanti ca tempestàvanu lu so vistitu, tuttu di velu e di trini. ’Ntra lu visu avia tutte li grazia d’una dea, e ’ntra l’occhi lu lume d’una stidda.
A sta comparsa, lu giuvane princiu ristò meravigghiatu, ca, essennu finu allura firmatu e malinconicu ’n un cantu, si susìu e invitò a ballari la beddha scunusciuta. Iddha accittò, e fu viduta ’ntra li braccia soi vulà leggira leggira, cchiù ca calpestari cu li peri lu terrenu.
E allura lu princiu je dumannò:
- Cu sì mai?
- O princiu, io no pozzu dirlu.
- Almenu dimmi in quale paisi nascisti.
- Pur chistu è nu segretu.
- Sì propriu beddha!
- Grazie, princiu.
Quannu la festa finìu a matina, lu princiu mannò du servituri a circà la giuvina beddha, pi offrìrile la so manu, tantu era innamuratu di iddha; ma invanu, chiddi bussaru a tutte le case de la cità, pirchì nuddu avìa mai vistu o avutu a casa alcuna foresta.
Dopu cchiui sere, na nova festa fu fatta a corte, e no era ancora sunata tutta la mezzanotti, quannu novamenti apparìu la giuvina meravigghiusa.
Sta vota iddha era vistuta di turchinu, e supra li so vestiti c’eranu sparsi in perli li ricchezzi du nu re.
Vidirla e avvicinarisi a iddha pi invitalla a ballà fu nu mumentu sulu pi lu princiu.
E je dissi:
- Io t’haju pinsatu sempri a te, e t’amu. Ti offru nu regnu e na curuna: vuoi accettà la me manu?
- O princiu, io no pigghiu maritu…
- Si no accetti, passerò la me vita chi lacrimi pi l’amore tuu…
Allura iddha trasse dal seno nu fini fazzuleddu ricamatu, e purtannulu a iddhu je dissi:
- Se chianci pi me, cu stu fazzuleddu t’asciughi li lacrimi.
E sparìu.
Lu giuvine princiu si consumava de malinconia.
Li medici chiamati attornu a iddhu no sapìanu truà nu rimediu pi lu male.
E dopu tre jorna, na nova festa fu fatta a corte. Sta vota la giuvina sconosciuta apparìu vistuta tutta de piumi de cignu, tantu ca parìa ca vulava intra na nuba morbidda.
Scorgendu lu princiu sconsolatu, iddha je faci nu surrisu, si n'avvicinau a iddhu, e je murmurò:
- Ti dule, o princiu?
- Sì, e pi te. Fra pochi jorna veni almennu a visità la me tumba, unni tu, cu lu to testardu no pigghiari, m’hai spintu a picca a picca!
- Mi dule, princiu, ma nuddu pozzu fari: io sugnu destinata a no pigghià maritu, lu sai; ma puru, ecco…
E dicennu chistu, je purse na bucateddha de cristallu:
- Ccà è chiusu nu profumu soavi; se pi l’amore meo ti sentirai qualchi vota venir meno, annusalu, o princiu…
E sparìu.
Lu princiu stava morennu. A lu casteddu si facìanu già li preparativi pi la sepultura.
Allura je chiestìu a lu patri ca prima de murì l’avìanu a fari vidiri almennu n’atra vota la misteriosa straniera.
- Date n’atra festa - je dissi - accussì sulu la pozzu ritruvà.
E la festa fu fatta. Lu princiu, cu l’occhi infossati e lu respiru affannosu, fu purtatu intra la gran sala.
Quannu, supra la mezzanotti, apparìu la giuvina beddha, iddhru si sintìu riviviri.
Sta vota iddha era cuperta da na fitta rete de smeraldi e djamanti.
Iddhu si n’avvicinau.
- Vui vuliti davveru farimi muriri disperatu comu nu cane? Voi vuliti davveru mustravvi cchiù crudeli de na tigre?
- O princiu - rispunnìu iddha - c’è cu t’ama e ca è disprezzata da te… ora io no pozzu dariti ca stu laccu d’oru, accussì ca affrettati la to morti, appiccicannuti pi l’amore meu a nu arbre…
E dicennu chistu, je purse nu laccu longu e finu d’oru.
Poi sparìu.

4.

Lu jornu appressu tutta la corte era in muvimentu, picchì lu giuvine princiu, ritruvata all’impruvvisu na energia strana, cu la scorta de cientu cavaleri, avìa a partìri pi lu giru du munnu, a circari la giuvina sconosciuta.
Nu minutu prima da partenza, si purtau alle porte da reggia na mendicanti, cu lu visu tintu de carbone e li vistimenti sdruciti, ca chiestìu de parlà cu lu re.
Li domesticu la vulìanu respingiri, ma a chiddhu momentu apparìu davveru lu re.
- Maestà - gridò iddha - io sula haiu la pussibilità de guarìri lu figghiu vostru.
- E comu? - esclamò lu re.
Allura iddha, purtannuli na pitta de pane, rispunnìu:
- Mangi lu princiu sta pitta, e v'assicuru ca guarirà.
Lu re je sorrise senza cridenza; puru, pi vogghia de vidiri stu novu rimediu, la pigghiò e, turnatu intra casa, la dettiu a lu figghiu.
Iddhru, cu la scorta, partìu.
A menzudì, intra lu core de na foresta fitta, scenneru tutti da cavallu pi ripusàrisi e rifocillàrisi cu quarchi mangiatina liggiera.
Lu princiu allora pigghiò la pitta, e quannu la spaccau a menzu, vidìu cadiri a li so peri nu grossu anellu d’oru.
Raccoltulu, ci lesse giru giru chisti palori:
- Cu t’hai disprezzatu, ora desideri; tu vai luntanu, e la lassi arreri. Torna intra li so braccia, Nenette t’aspette!
Stupefattu di chistu, cumannò a la scorta de turnàri a lu casteddu, e, quannu ghjutu, truvò alla soglia du portuni la mendicanti ca ci aveva fattu arrivàri la pitta. La cummannò allura de venìri intra li so stanzi, e quannu ghjutu, ci disse:
- Spiegatimi lu misteru de chistu anellu.
E iddha:
- O prenciu, imparate a rispettari chiù beni cu, nata comu vui, vi rigala lu core!
Allora, sorridendo, ella all'improvviso si trasformò in una vaghissima fanciulla, nella quale il giovine riconobbe la sua sconosciuta bella, la misteriosa apparizione delle feste al castello, la figlia del Re Fierarmata, Ninetta.
Il giorno dopo le sfarzosissime nozze eran proclamate da cento araldi pe' due potenti reami.
 

RIFERIMENTI E NOTE
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ALTRE FIABE SALENTINE
Indice delle dieci fiabe raccolte da Giuseppe Gigli (1893) e trascritte per questo sito: click per aprirle.

I.         La sposa del re
II.        Le tre sorelle
III.       La lampada d'oro
IV.       Ninetta di Fierarmata
V.        Storia d'una sirena
VI.       I fratelli invidiosi
VII.      Zio Gilletto
VIII.     L'Orco
IX.       L'incanto
X.        La canzone del menestrello
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TESTO
Giuseppe Gigli, "Ninetta di Fierarmata", in: Superstizioni pregiudizi e tradizioni in terra d'Otranto.Con un'aggiunta di canti e fiabe popolari. Firenze: G.Barbera, 1893; pp. 216-230
https://books.google.it/books?id=fHcAAAAAMAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false; ultimo accesso: 27/08/25
Rist. anast., Sala Bolognese: Arnaldo Forni Editore, 1979.
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TRADUZIONE Adalinda Gasparini con ChatGPT, agosto 2025
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IMMAGINE .Arthur Rackham, "Queen Mab, who rules in the Garden" From Peter Pan in Kensington Gardens; illustrated by Arthur Rackham(1906); https://it.wikipedia.org/wiki/Regina_Mab#/media/File:110_Queen_Mab,_who_rules_in_the_Gardens.jpg; uktimo accesso 12/08/25
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NOTE













online dal 4 agosto 2025

Ultima revisione 28 agosto 2025