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PUBLIO OVIDIO NASONE
43 A.C. - TOMI 18 D.C.


LE LACRIME DI MIRRA


METAMORFOSI, LIBRO X, vv. 30-515

ADALINDA GASPARINI                 PSICOANALISI E FAVOLE





MYRRAE LACRIMAE
LE LACRIME DI MIRRA
 
300
Dira canam - Procul hinc natae, procul este parentes,
aut, mea si vestras mulcebunt carmina mentes,
desit in hac mihi parte fides, nec credite factum;
vel, si credetis, facti quoque credite poenam.
Si tamen admissum sinit hoc natura videri,
Canterò orrori: via da qui figlie, state lontani genitori
ma se il mio canto attrae le vostre menti,
non fidatevi di me in questa parte, non credete all'accaduto,
ma nel caso che ci crediate, credete anche alla sua punizione.
Se poi natura ci lascia vedere questo delitto,
305
gentibus Ismariis et nostro gratulor orbi,
gratulor huic terrae, quod abest regionibus illis,
quae tantum genuere nefas. Sit dives amomo,
cinnamaque costumque suum sudataque ligno
tura ferat floresque alios Panchaia tellus,
io mi rallegro con le genti di Tracia e col nostro mondo,
mi rallegro con questa terra, perché è lontana da quelle regioni
che hanno dato vita a un'empietà tanto grande: sia pure la terra
di Pancaia ricca di amomo, produca cannella, unguenti
preziosi e incenso che trasuda dal legno e tutti i fiori che vuole,
310 cur fert et myrrham? tanti nova non fuit arbor!
Ipse negat nocuisse tibi sua tela Cupido,
Myrrha, facesque suas a crimine vindicat isto.
Stipite te Stygio tumidisque adflavit echidnis
e tribus una soror. Scelus est odisse parentem:
ma perché anche la mirra? un nuovo albero non valeva tanto!
Lo stesso Cupido nega che le sue freccie ti abbiano fatto male,
Mirra, e rivendica l'estraneità delle sue fiaccole a questo delitto
Ti insinuò l'idea una delle tre sorelle con una torcia stigia
e con tumide vipere. È un delitto odiare il padre:
315
hic amor est odio maius scelus! Undique lecti
te cupiunt proceres, totoque oriente iuventa
ad thalami certamen adest. Ex omnibus unum
elige, Myrrha, virum, dum ne sit in omnibus unus!
Illa quidem sentit foedoque repugnat amori,
questo amore è un delitto più grande dell'odio! Principi
di ogni paese ti desiderano, la migliore gioventù dell'Oriente
intero viene a gareggiare per sposarti. Scegliti un marito
fra tutti loro, Mirra, purché uno solo sia escluso!
Lei se ne accorge e le ripugna quell'amore turpe,
320
et secum "Quo mente feror? quid molior?" inquit.
"Di, precor, et Pietas sacrataque iura parentum,
hoc prohibete nefas scelerique resistite nostro;
si tamen hoc scelus est. Sed enim damnare negatur
hanc venerem Pietas, coeuntque animalia nullo
e si dice: «Dove mi porta la mente? A che tendo?
Prego voi, dei, e l'affetto e i sacri doveri verso i genitori,
vietate questo sacrilegio e opponetevi al mio delitto;
se però questo è un delitto. Ma non sembra che l'affetto
condanni questa unione, si accoppiano gli altri animali
325
cetera delectu, nec habetur turpe iuvencae
ferre patrem tergo; fit equo sua filia coniunx,
quasque creavit init pecudes caper, ipsaque, cuius
semine concepta est, ex illo concipit ales.
Felices, quibus ista licent! Humana malignas
senza distinzioni, e non si considera empia la giovenca
che si fa montare dal padre; diventa moglie del cavallo sua figlia,
va con le capre che ha generato il caprone, e la femmina
concepita dal seme di un uccello concepisce con lo stesso uccello.
Felici coloro che possono farlo! L'inquietudine umana
330
cura dedit leges, et quod natura remittit,
invida iura negant. Gentes tamen esse feruntur,
in quibus et nato genetrix et nata parenti
iungitur, et pietas geminato crescit amore.
Me miseram, quod non nasci mihi contigit illic,
ci ha dato regole maligne, e quel che la natura permette
leggi invidiose lo negano. Eppure si racconta che esistonoe
popoli dove la madre col figlio e la figlia col padre
si congiungono, e il duplice amore accresce l'affetto.
Povera me, che non ho avuto la fortuna di nascere lì,
335
fortunaque loci laedor! Quid in ista revolvor?
Spes interdictae, discedite! Dignus amari
ille, sed ut pater, est. Ergo, si filia magni
non essem Cinyrae, Cinyrae concumbere possem;
nunc, quia tam meus est, non est meus, ipsaque damno
ma in questo luogo che mi rovina! Perché torno sempre su questo?
Andate via, speranze proibite! Cìnira è degno, sì,
di essere amato, ma come padre. Quindi se io non fossi
la figlia di Cinira, con Cinira mi potrei congiungere;
ora, perché è tanto mio, non è mio, e la stessa
340
est mihi proximitas: aliena potentior essem!
Ire libet procul hinc patriaeque relinquere fines,
dum scelus effugiam. Retinet malus ardor amantem,
ut praesens spectem Cinyram tangamque loquarque
osculaque admoveam, si nil conceditur ultra.
vicinanza mi rovina: avrei più possibilità se fossi di un altro!
Vorrei andare lontano da qui e lasciare i confini della patria,
pur di fuggire il delitto. Amante mi trattiene l'ardore malsano
perché restando guardo Cinira e lo tocco e gli parlo
e lo vado a baciare, se non è permesso nient'altro.
345
Ultra autem spectare aliquid potes, inpia virgo?
et, quot confundas et iura et nomina, sentis?
tune eris et matris paelex et adultera patris?
tune soror nati genetrixque vocabere fratris?
Nec metues atro crinitas angue sorores,
Ma che altro puoi aspettarti, empia vergine?
E non ti accorgi di quanto confondi le leggi e i nomi?
Vorresti essere la rivale di tua madre e l'amante di tuo padre?
Ed esser chiamata sorella di tuo figlio e madre di tuo fratello?
E non hai paura delle sorelle che hanno chioma di nere serpi,
350
quas facibus saevis oculos atque ora petentes
noxia corda vident? At tu, dum corpore non es
passa nefas, animo ne concipe, neve potentis
concubitu vetito naturae pollue foedus!
Velle puta: res ipsa vetat: pius ille memorque est
che i cuori impuri vedono avventarsi ai loro occhi e al loro volto
con fiaccole tremende? Ma tu, che hai il corpo ancora
intatto dal delitto, non concepire nell'animo, e non sporcare
l'ordine della natura con una unione proibita!
Pensa di volerlo: la realtà stessa lo vieta: ricorda le leggi
355
moris - et o vellem similis furor esset in illo!"
Dixerat. At Cinyras, quem copia digna procorum,
quid faciat, dubitare facit, scitatur ab ipsa,
nominibus dictis, cuius velit esse mariti.
Illa silet primo patriisque in vultibus haerens
lui, e le rispetta - ma come vorrei che lui sentisse
lo stesso furore! Così si diceva. Ma Cinira, che il gran numero
di degni pretendenti rendeva incerto sul da farsi, vuol sapere
da lei, dicendole i loro nomi, chi vuole che diventi suo marito.
Lei prima resta in silenzio e guardando il viso del padre
360
aestuat et tepido suffundit lumina rore.
Virginei Cinyras haec credens esse timoris,
flere vetat siccatque genas atque oscula iungit;
Myrrha datis nimium gaudet consultaque, qualem
optet habere virum, "Similem tibi" dixit, at ille
si infiamma e le si velano gli occhi di calde gocce.
Credendo Cìnira che sgorghino da un verginale timore,
le proibisce di piangere e le asciuga le guance e la sfiora con i baci;
Mirra ne prova troppo piacere, e alla domanda su quale
marito vorrebbe avere, "Che ti somigli" rispose, ma lui
365
non intellectam vocem conlaudat et "Esto
tam pia semper!" ait. Pietatis nomine dicto
demisit vultus sceleris sibi conscia virgo.
Noctis erat medium, curasque et corpora somnus
solverat. At virgo Cinyreïa pervigil igni
loda le parole che non comprende e: "Sii sempre
affettuosa come sei!". Sentendo la parola affetto,
la vergine abbassò il volto consapevole del suo delitto.
Si era nel cuore della notte, e nel sonno giacevano
i corpi e i pensieri. Ma la figlia insonne di Cinira
370
carpitur indomito furiosaque vota retractat,
et modo desperat, modo vult temptare, pudetque
et cupit, et, quid agat, non invenit. Utque securi
saucia trabs ingens, ubi plaga novissima restat,
quo cadat in dubio est, omnique a parte timetur,
è catturata da un fuoco indomabile e ripresa da desideri furiosi,
e passa dalla disperazione alla voglia di provare, e si vergogna
e desidera, e non trova nulla che possa fare. Come un grande
albero che non sa dove cadere, sotto la scure, quando resta
solo l'ultimo colpo, e da tutte le parti fa paura,
375
sic animus vario labefactus vulnere nutat
huc levis atque illuc momentaque sumit utroque.
Nec modus et requies, nisi mors, reperitur amoris;
mors placet: erigitur, laqueoque innectere fauces
destinat, et zona summo de poste revincta
così il suo animo scosso da diversi colpi oscilla
e vaga qua e là e pende da una parte e dall'altra.
E non trova altro modo e altra quiete all'amore se non nella morte;
la morte le piace: si alza e decide di stringersi la gola
con una corda, e avvinta la cintura alla sommità dello stipite
380
"Care vale Cinyra, causamque intellege mortis!"
dixit, et aptabat pallenti vincula collo.
Murmura verborum fidas nutricis ad aures
pervenisse ferunt, limen servantis alumnae.
Surgit anus reseratque fores, mortisque paratae
"Amato Cinira, addio, capisci la causa della mia morte!"
disse, e col laccio cingeva il pallido collo.
Il mormorio delle parole, come si racconta, giunse alle orecchie
della fedele nutrice, che vegliava sulla soglia della sua bambina.
Subito si alza la vecchia e spalanca la porta, e vedendo pronti
385
instrumenta videns, spatio conclamat eodem
seque ferit scinditque sinus ereptaque collo
vincula dilaniat. Tum denique flere vacavit,
tum dare complexus laqueique requirere causam.
Muta silet virgo terramque inmota tuetur
gli strumenti della morte, urla e insieme si batte
il petto si strappa le vesti e togliendole il collo dal cappio
strappa la cintura. Allora finalmente si permise di piangere,
di stringerla fra le braccia e di chiederle la causa del cappio.
La vergine muta in silenzio immobile guarda per terra
390
et deprensa dolet tardae conamina mortis.
Instat anus, canosque suos et inania nudans
ubera, per cunas alimentaque prima precatur
ut sibi committat, quidquid dolet. Illa rogantem
aversata gemit; certa est exquirere nutrix
e si duole del fallimento della morte che ha tardato.
La vecchia insiste e scopre i suoi bianchi capelli e l'inutile seno,
e la prega, in nome della sua culla e del primo latte,
che si confidi con lei, qualunque sia la sua pena. Lei sospira
distogliendo lo sguardo da lei che domanda, ma la nutrice
395
nec solam spondere fidem. "Dic" inquit "opemque
me sine ferre tibi. Non est mea pigra senectus:
seu furor est, habeo, quae carmine sanet et herbis;
sive aliquis nocuit, magico lustrabere ritu;
ira deum sive est, sacris placabilis ira.
è ferma nella ricerca e non solo le promette di mantenere il segreto.
"Parla," dice, "lascia che ti aiuti. La mia non è una sterile vecchiaia:
se è follia, ho chi lo cura con erbe ed incantesimi;
se qualcuno ti ha fatto il malocchio, un rito magico ti libererà;
e se è anche ira divina, l'ira si può placare con dei sacrifici.
400
Quid rear ulterius? Certe fortuna domusque
sospes et in cursu est, vivit genetrixque paterque."
Myrrha, patre audito, suspiria duxit ab imo
pectore; nec nutrix etiamnum concipit ullum
mente nefas, aliquemque tamen praesentit amorem;
A che altro posso supporre? Sei fortunata e la casa
è a posto e va avanti bene, sono vivi tua madre e tuo padre."
Mirra, sentendo nominare il padre, fu scossa da un sospiro
dal profondo del petto; ma la nutrice che non poteva pensare
a qualcosa di empio intuì che si trattava di amore;
405
propositique tenax, quodcumque est, orat, ut ipsi
indicet, et gremio lacrimantem tollit anili
atque ita conplectens infirmis membra lacertis
"Sensimus", inquit "amas! Et in hoc mea (pone timorem)
sedulitas erit apta tibi, nec sentiet umquam
e tenace nel suo proposito, qualunqe cosa fosse, la prega
che glielo dica, qualunque cosa sia, e la prende nel vecchio
grembo piangente, e stringendola fra le deboli braccia
"Ho capito," dice, "sei innamorata! E in questo caso, non temere,
la mia sollecitudine farà al caso tuo, e non ne saprà mai nulla
410
hoc pater". Exiluit gremio furibunda torumque
ore premens, "Discede, precor, miseroque pudori
parce!" ait; instanti "Discede, aut desine" dixit
"quaerere quid doleam: scelus est, quod scire laboras."
Horret anus, tremulasque manus annisque metuque
tuo padre". Fugge furibonda dal suo grembo e il viso nasconde buttandosi
sul letto, "Vattene, ti prego, abbi pietà della mia povera vergogna!"
dice; e a lei che insiste "Vattene o smetti di chiedere
di cosa soffro: quel che cerchi di sapere è un delitto."
Inorridisce la vecchia, e le tende le mani tremanti per gli anni
415
tendit et ante pedes supplex procumbit alumnae
et modo blanditur, modo, si non conscia fiat,
terret et indicium laquei coeptaeque minatur
mortis et officium commisso spondet amori.
Extulit illa caput lacrimisque inplevit obortis
e l'orrore e cade supplice ai piedi della bambina che ha allevato,
e un po' la blandisce, un po', se non si confida, la spaventa
e minaccia di dire del laccio e del tentato suicidio
e le garantisce il suo aiuto se le rivela il suo amore.
Lei alza la testa e inonda il petto della sua nutrice
420
pectora nutricis, conataque saepe fateri
saepe tenet vocem, pudibundaque vestibus ora
texit et "O" dixit "felicem coniuge matrem!"
Hactenus, et gemuit. Gelidus nutricis in artus
ossaque (sensit enim) penetrat tremor, albaque toto
con un fiume di lacrime, molte volte spinta a parlare,
molte a trattenere le parole, e piena di vergogna nasconde
il volto con le vesti e "O" disse "madre felice
che lo hai sposato!" Si ferma, e sospira.
Un gelido tremito corre nelle membra e nelle ossa, lo sente,
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vertice canities rigidis stetit hirta capillis.
Multaque, ut excuteret diros, si posset, amores,
addidit; at virgo scit se non falsa moneri,
certa mori tamen est, si non potiatur amore.
"Vive," ait haec, "potiere tuo" - et non ausa "parente"
e sulla sua testa bianca si drizzano rigidi tutti i capelli.
E disse ancora tante cose, per scacciare, se era possibile,
l'orribile amore; ma la vergine sa che le dà giusti consigli,
eppure è determinata a morire, se non può avere l'amore.
"Vivi," le dice, "avrai tuo" - e "padre" non osa
430
dicere, conticuit promissaque numine firmat.
Festa piae Cereris celebrabant annua matres
illa, quibus nivea velatae corpora veste
primitias frugum dant spicea serta suarum
perque novem noctes venerem tactusque viriles
dirlo, e ripete la promessa con un giuramento.
Le madri devote là celebravano le feste di Cerere,
durante le quali avvolte di candide vesti
le offrono le primizie dei suoi frutti e corone di spighe
e per nove notti rispettano il divieto del congiungimento
435
in vetitis numerant. Turba Cenchreis in illa
regis adest coniunx arcanaque sacra frequentat.
Ergo, legitima vacuus dum coniuge lectus,
nacta gravem vino Cinyran male sedula nutrix,
nomine mentito veros exponit amores
e anche del contatto con l'uomo. Di quella folla fa parte
Cencrèide, sposa del re, e prende parte ai sacri misteri.
E allora, mentre è libero il letto della  moglie legittima,
la nutrice con zelo malvagio trova Cinira annebbiato
dal vino e mentendo sul nome gli descrive il vero amore
440
et faciem laudat; quaesitis virginis annis
"par" ait "est Myrrhae." Quam postquam adducere iussa est
utque domum rediit, "Gaude, mea" dixit "alumna:
vicimus!" Infelix non toto pectore sentit
laetitiam virgo, praesagaque pectora maerent,
e ne loda la bellezza; quando gliene chiese l'età
"Come Mirra" rispose. E appena ebbe l'ordine di condurla
tornò nelle sue stanze, "Rallegrati," disse, "bambina mia:
abbiamo vinto!" L'infelice vergine non sente gioia
in tutto il petto, il petto è stretto da un presentimento
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sed tamen et gaudet: tanta est discordia mentis.
Tempus erat, quo cuncta silent, interque Triones
flexerat obliquo plaustrum temone Bootes.
Ad facinus venit illa suum. Fugit aurea caelo
Luna, tegunt nigrae latitantia sidera nubes,
eppure si rallegra: tanto è grande la discordia della mente.
Era l'ora in cui tutto è silente, e tra le stelle dell'Orsa,
Boòte aveva inclinato il carro piegando il timone.
Cammina verso il misfatto. Fugge l'aurea Luna
dal cielo, nuvole nere coprono le stelle che si dileguano,
450
nox caret igne suo. Primus tegis, Icare, vultus,
Erigoneque pio sacrata parentis amore.
Ter pedis offensi signo est revocata, ter omen
funereus bubo letali carmine fecit.
It tamen, et tenebrae minuunt noxque atra pudorem,
manca la luce alla notte. Per primo copri, Icaro, il tuo volto
con Erìgone consacrata dal nobile affetto per il padre.
Inciampando tre volte il piede la invita a tornare indietro,
tre volte il lugubre gufo lanciò il suo presagio col verso di morte.
Eppure va, e le tenebre e la notte oscurano il pudore,
455
nutricisque manum laeva tenet, altera motu
caecum iter explorat. Thalami iam limina tangit,
iamque fores aperit, iam ducitur intus; at illi
poplite succiduo genua intremuere, fugitque
et color et sanguis, animusque relinquit euntem.
tiene con la sinistra la mano della nutrice, con l'altra
cerca a tentoni il cieco cammino. Tocca già la soglia del talamo
già apre le porte, è già introdotta; ma le tremano
le gambe, si piegano le sue ginocchia, si dilegua
col sangue il colore, e lo spirito l'abbandona mentre va.
460
Quoque suo propior sceleri est, magis horret, et ausi
paenitet et vellet non cognita posse reverti.
Cunctantem longaeva manu deducit, et alto
admotam lecto cum traderet, "Accipe," dixit,
"ista tua est, Cinyra", devotaque corpora iunxit.
E avvicinandosi al suo delitto cresce il suo orrore, e si pente
di aver osato e vuole poter tornare indietro senza esser riconosciuta.
La vecchia la tira esitante per mano, e mentre la consegna
accostandola all'alto letto, "Prendi, Cinira." disse,
"questa è tua", e congiunge i corpi esecrati.
465
Accipit obsceno genitor sua viscera lecto
virgineosque metus levat hortaturque timentem.
Forsitan aetatis quoque nomine "filia" dixit,
dixit et illa "pater," sceleri ne nomina desint.
Plena patris thalamis excedit, et inpia diro
Accoglie il padre nell'osceno letto il frutto delle sue viscere
e rincuorando lei impaurita toglie il timore verginale.
Forse anche per l'età le parlò chiamandola "figlia",
e lei lo chiamò 'padre', perché al delitto non mancassero le parole.
Piena del padre uscì dal talamo, e il sinistro grembo
470
semina fert utero conceptaque crimina portat.
Postera nox facinus geminat, nec finis in illa est;
cum tandem Cinyras avidus cognoscere amantem
post tot concubitus, inlato lumine vidit
et scelus et natam, verbisque dolore retentis
porta un empio seme e il crimine fecondato.
La notte dopo si raddoppia il misfatto, che non conosce limiti;
quando finalmente Cìnira avido di conoscere l'amante
dopo tanti amplessi, accostando un lume vide
il delitto e la figlia: il dolore lo priva di parola
475
pendenti nitidum vagina deripit ensem.
Myrrha fugit, tenebrisque et caecae munere noctis
intercepta neci est, latosque vagata per agros
palmiferos Arabas Panchaeaque rura relinquit;
perque novem erravit redeuntis cornua lunae,
e dal fodero appeso sguaina la spada lucente.
Mirra fugge, e grazie alle tenebre e alla notte cieca
sfugge alla morte, e vagando per i vasti campi
lascia le terre palmifere del'Arabiae e della Pancaia;
e camminò per nove cicli della falce lunare,
480
cum tandem terra requievit fessa Sabaea,
vixque uteri portabat onus. Tum nescia voti,
atque inter mortisque metus et taedia vitae,
est tales conplexa preces: "O siqua patetis
numina confessis, merui nec triste recuso
quando finalmente si fermò sfinita sulla terra di Saba,
a stento portava il peso del suo seno. Allora non sapendo
a chi votarsi, fra la paura della morte e la nausea della vita,
pregò in questo modo: "Se ci sono dei che ascoltano
chi confessa le sue colpe, ho meritato questo triste
485
supplicium. Sed ne violem vivosque superstes
mortuaque exstinctos, ambobus pellite regnis,
mutataeque mihi vitamque necemque negate!"
Numen confessis aliquod patet: ultima certe
vota suos habuere deos. Nam crura loquentis
supplizio e non lo rifiuto. Ma per non contaminare i vivi
con la mia vita e i morti morendo, mettetemi fuori dai due regni,
e in una forma nuova fermate la mia vita e la mia morte!"

Forse c'è un dio che ascolta chi confessa le sue colpe:
certo il suo ultimo desiderio lo ascoltò un dio. E mentre parla
490
terra supervenit, ruptosque obliqua per ungues
porrigitur radix, longi firmamina trunci,
ossaque robur agunt, mediaque manente medulla
sanguis it in sucos, in magnos bracchia ramos,
in parvos digiti; duratur cortice pellis.
la terra le sale sulle gambe, una radice si estende contorta
dalle unghie spezzate, sostegno di un alto fusto,
le ossa si fanno legno, e nel midollo che resta nel mezzo
il sangue diventa linfa, le braccia rami grandi,
rametti le dita; la pelle indurisce in corteccia.
495
Iamque gravem crescens uterum perstrinxerat arbor,
pectoraque obruerat collumque operire parabat:
non tulit illa moram, venientique obvia ligno
subsedit, mersitque suos in cortice vultus.
Quae quamquam amisit veteres cum corpore sensus,
E già l'albero crescendo aveva avvolto l'utero pesante,
aveva coperto il petto e si preparava a ricoprire il collo:
non può più aspettare, e si inchina al legno,
che sale e immerge il volto nella corteccia.
Pur avendo perduto col corpo la sensibilità che aveva,
500
flet tamen, et tepidae manant ex arbore guttae.
Est honor et lacrimis, stillataque cortice myrrha
nomen erile tenet nulloque tacebitur aevo.
At male conceptus sub robore creverat infans
quaerebatque viam, qua se, genetrice relicta
continua a piangere, e tiepide gocce colano dall'albero.
C'è un onore nelle lacrime, e stillando dalla corteccia la mirra
prende da lei il nome che nessun tempo tacerà.
Ma sotto il legno era cresciuto il bambino concepito nel male
e cercava la via per venir fuori, lasciando la madre.
505
exsereret. Media gravidus tumet arbore venter:
tendit onus matrem, neque habent sua verba dolores,
nec Lucina potest parientis voce vocari.
Nitenti tamen est similis, curvataque crebros
dat gemitus arbor lacrimisque cadentibus umet.
Al centro dell'albero il ventre gravido si ingrossa:
il peso tende la madre, e i suoi dolori non hanno parole,
né può con voce di partoriente invocare Lucina.
Eppure sembra che l'albero abbia le doglie, curvo
emette frequenti gemiti e si bagna di lacrime cadenti.
510
Constitit ad ramos mitis Lucina dolentes,
admovitque manus et verba puerpera dixit.
Arbor agit rimas et fisso cortice vivum
reddit onus; vagitque puer: quem mollibus herbis
Naides inpositum lacrimis unxere parentis.
Davanti ai rami sofferenti si ferma la tenera Lucina,
accosta le mani e dice le parole del parto.
L'albero si fende e dalla corteccia squarciata fa uscire
un vivo fardello; e il bambino vagisce: dopo averlo posato
sul morbido prato le Naiadi lo unsero con le lacrime della madre.






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RIFERIMENTI


Metamorfosi, testo latino

Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi. Testo a fronte. A cura di Piero Bernardini Marzolla. Con uno scritto di Italo Calvino; Torino : Einaudi 1994.

Metamorfosi, traduzione italiana
© Adalinda Gasparini 2011.

Opera omnia di Ovidio in latino

The Latin Library, http://www.thelatinlibrary.com/ovid.html; consultato il 28 ottobre 2018..
Metamorphoses (Ovidius), http://la.wikisource.org/wiki/Metamorphoseon; consultato il 28 ottobre 2018.

The Ovid Project The Ovid Project: Metamorphosing the Metamorphoses; Hope Greenberg, Humanities Computing Specialist, University of Vermont; https://www.uvm.edu/~hag/ovid/aboutovid.html;  consultato il 28 ottobre 2018.

Metamorfosi, traduzione italiana sec. XVI

Le Metamorfosi, traduzione di Giovanni Andrea dell'Anguillara (1563); http://it.wikisource.org/wiki/Le_Metamorfosi;   consultato il 28 ottobre 2018.
Metamorfosi, traduzione italiana contemporanea in versi

http://spazioinwind.libero.it/latinovivo/Ovidio_Metamorfosi.htm; consultato il 28 ottobre 2011.
Publius Ovidius Naso
Publio Ovidio Nasone (43 a.C.-18); http://it.wikipedia.org/wiki/Publio_Ovidio_Nasone;  consultato il 28 ottobre 2018

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IMMAGINE Bernard Salomon, Métamorphoses, Lyon 1557.
Fonte: http://krapooarboricole.wordpress.com/2009/01/09/metamorphoses-dovide-myrrha/ consultato il 28 ottobre 2018; .

Versioni illustrate delle Metamorfosi nei secoli Revisioning Ovid: Alternative Versions of Ovid's Reception in Image and Text. Variation Thematics, or How Else to Illustrate Ovid; site constructed by Daniel Kinney with Elizabeth Styron; http://ovid.lib.virginia.edu/others.html; consultato il 28 ottobre 2018; .

Viaggio interattivo nelle Metamorfosi di Ovidio ICONOS, Cattedra di Iconografia e Iconologia del Dipartimento di Storia dell'Arte della Facoltà di Scienze Umanistiche dell'Università di Roma "La Sapienza"; http://www.iconos.it/index.php?id=85 consultato il 28 ottobre 2018; .

Alberi e dintorni. L'albero della mirra Dalle Metamorfosi di Ovidio: il Mito di Mirra.
http://alberiedintorni.blogspot.it/2017/02/dalle-metamorfosi-di-ovidio-il-mito-di.html; consultato il 28 ottobre 2018.
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NOTE


In nova fert animus mutata dicere formas corpora Ovidio intende stupire il lettore, non per celebrare un'entità trascendente, ma per rendergli familiare il portento, calandolo nelle forme consuete degli uomini, degli animali, delle piante. Non ha mai accettato l'invito di Augusto e del suo amico Mecenate di celebrare Roma. Il solo grande ad accettarlo era stato Virgilio. Confrontando il mirum di Ovidio con il miracolo evangelico, si osserva che mentre il primo descrive i minimi dettagli della trasformazione, il secondo avviene senza che la narrazione ne descriva il modo. Il mirum di Ovidio circonda il lettore come i fenomeni di ogni giorno, e lo induce a percepire il miracolo quotidiano della continuità e della discontinuità delle forme: il seme che diventa pianta, e fiore dai rami secchi, il giacinto odoroso dal bulbo simile a una come una cipolla, e la fioritura dell'iris trasparente come le nuvole, e la crescita di un bambino, e la mobile morfologia dei genitali, e ancor più il cuore che sembra ora morire per poi rivivere come se non avesse mai avuto una pena.
Linguaggio in grado massimo ecfrastico, quello di Ovidio invita a guardare con occhi di poeta narratore la formazione e la trasformazione. La natura madre è osservata nella sua mobile potenza, e le sta di fronte la parola che può muovere l'animo alla sua comprensione, alla sua definizione. Ciò a cui il poeta latino dà nome è la stessa fysis evocata da Goethe nel Faust:

Siedono alcune, altre stanno e si muovono come il caso comporta. Formarsi, trasformarsi, eterno gioco dell'eterno senno, intorno ad esse aleggiano le immagini di tutte le creature.
(Regno delle Madri, Galleria Oscura, tr. it. a cura di F. Fortini, Mondadori Milano 1994; vv. 6286-6288)

(cit. da Jung in Fenomenologia della fiaba, XI, p. 210)


Le offrono le primizie dei suoi frutti e corone di spighe | e per nove notti rispettano il divieto del congiungimento...

Dèmetra, Cerere per i latini, viveva in perfetta felicità con la figlia Kore, Proserpina per i latini: i Greci le chiamavano Le grandi dee, o semplicemente Le dee. Madre e figlia formano una diade perfetta, e quando sono unite nell'isola più fertile, la Sicilia, la terra dà spontaneamente le messi che nutrono gli esseri umani. Quando Proserpina viene rapita dal dio degli Inferi, Cerere la cerca per tutta la terra, alla quale impone di non dare più i suoi frutti. Il genere umano si estinguerebbe se la dea madre non ritrovasse sua figlia, che è stata rapita e presa in sposa dal dio degli inferi Ade, Plutone per i latini. Giove stabilisce che la dea figlia trascorrerà una parte dell'anno sulla terra, con la madre, una parte sotto terra, con lo sposo. La dea madre insegna agli abitanti di Eleusi che l'avevano accolta i suoi misteri e l'arte dell'agricoltura, e la terra fiorisce e dà frutti quando le due dee si riuniscono, mentre diventa fredda e spoglia quando sono separate.
La castità da osservare durante le feste di Cerere ricordano una completezza femminile, rispetto alla quale l'amore incestuoso di Mirra è come la rottura tragica di un tabù. Non solo l'incesto come dramma fra un genitore e una figlia, ma l'amore irresistibile è narrato da Ovidio, il primo amore, il padre, l'unico amore possibile, quando la madre lascia il letto nuziale per celebrare i misteri della dea della fertilità.
Lo sposo della dea figlia, Kore o Proserpina, è misterioso, sotterraneo. E misteriosa è per Cinira l'amante che la nutrice gli conduce per nove notti.


ESCLUSIONE DEGLI INCESTUOSI DALLA COMUNITÀ UMANA, DALLA TERRA E DAL CIELO

Ma per non contaminare i vivi /
con la mia vita e i morti morendo, mettetemi fuori dai due regni... (vv. 485-487)

Non conosco una storia d'incesto che nella sua costruzione, nei versi e in ogni parola inviti a guardare l'abissale complessità del tema, fino a far vibrare nel lettore che voglia e possa seguirla le corde umanissime che appartengono a ciascuno.
Sempre presente e controverso, il mito di Edipo in psiconalisi non cessa di interrogarci, con la ricchezza perturbante dei suoi temi che ricorrono dal mito e dalla tragedia greca a Ovidio, alle leggende cristiane di Giuda, dannato più di ogni altro essere umano, e di Gregorio, che avendo vissuto l'incesto espia la sua colpa e alla fine viene eletto papa.
Il romanzo latino di Apollonio re di Tiro, la cui fortuna dal V al XVIII secolo è stata immensa,  articola in forma quasi fiabesca il tema dell'incesto (vedi anche: La storia di Apollonio re di Tiro. Introduzione, testo critico, traduzione e note a cura di Giovanni Garbugino. Alessandria: Edizioni dell'Orso 2010).
Il tema dell'incesto è in una fiaba tra le più diffuse, che Perrault scrisse intitolandola Pelle d'Asino (1697).
Favole col motivo esplicito dell'incesto sono presenti già nelle Piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola (1551-1553), e nel Cunto de li cunti o Pentamerone di Giambattista Basile (1634-1636).
Il tema ricorre nelle fiabe popolari (vedi: Le tacconelle di Maria di LegnaMaria intavolata).
Una fiaba d'incesto simile alla già ricordata leggenda di Gregorio è stata raccolta in Toscana nel sec. XIX (La treccia rossa).
Ci si limita in questa nota a racconti nei quali il motivo dell'incesto compare esplicitamente.

Online si trova la seguente tesi di laurea magistrale: Claudia Morra, Il mito di Mirra e l'incesto: un'analisi giuridico-semantica di Ov. met., X, vv. 298-524" Tesi di laurea magistrale, aa 2010/'11; Un. di Foggia; http://www.comitatoprocanne.com/public/sintesi_tesi.pdf; consultato il 28 ottobre 2018.
Sofocle, Edipo re
Di fronte a Edipo inorridiscono gli abitanti del demo di Colono che conoscono la sua colpa, e dapprima gli vietano di entrare nello spazio sacro, pensando che lo contamini.

Apollonio re di Tiro
Nel romanzo latino Apollonio re di Tiro, che non ha commesso incesto, ma come Edipo ha risolto l'enigma dell'incesto e ottenuto il regno della coppia incestuosa, dopo la morte della sua sposa e della loro figlia neonata dice ai suoi marinai:

"Proicite me in subsannio navis; cupio enim in undis efflare spiritum, quem in terris non licuit lumen videre." ("Gettatemi in fondo alla nave, voglio esalare fra le onde il mio spirito, che non ha diritto di vedere la luce sulla terra.")

Jacopo da Varagine, Legenda aurea
Nella leggenda di Giuda che diventa apostolo di Gesù dopo aver vissuto la stessa storia di Edipo, narrata nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine il motivo dell'esclusione dalla terra e dal cielo raggiunge il culmine. Il non redento per eccellenza dopo aver tradito Gesù si impicca, ed essendo appeso non contamina né la terra né il cielo.

Hartmann von Aue, Gregorius
Gregorius, nell'opera di Hartmann von Aue (XII secolo) quando scopre di essere figlio di due fratelli e di aver sposato sua madre si fa incatenare su un isolotto dove resta diciassette anni a fare penitenza (vedi, in questo sito, Edipo Papa).

Alessandro D'Ancona, La leggenda di Vergogna e La leggenda di Giuda
Giuda dopo aver tradito Gesù
[A]ndò e impiccossi per la gola ; et impiccato , crepò per mezzo e sparsonsi le'nteriora sue. In ciò fu tolta la ragione alla bocca , che lo spirito suo maladetto non uscisse quindi ; però che non era degnia cosa che quella bocca cosi vilemente maculata fosse, la quale avea tocco così gloriosa bocca come quella di Cristo che degnia cosa era che le 'nteriora ch'aveano ingenerato il tradimento , cadessero rotte , e la gola , della quale era uscita la voce del tradimento , fosse costretta dal capestro , cioè dalla corda che l'affogò impiccandosi. Ancora morìo in aere , acciò che colui il quale offese gli angeli nel cielo e gli uomini in terra, fosse sceverato dalla contrada delli angeli e delli uomini , e fosse accompagniato colle demonia nell'aere. (dal Codice Riccardiano 1254, car. 78; in Alessandro D'Ancona, La leggenda di Vergogna e la Leggenda di Giuda, 1869, pp. 72-73; vedi, in questo sito, Edipo Giuda)



EBBREZZA E INCESTO

Dopo la distruzione di Sodoma le figlie di Lot ubriacano il padre per unirsi a lui.

Nell'immagine: Lot e le sue figlie
Jean Matsys, 1565
30 Poi Lot partì da Zoar e andò ad abitare sulla montagna, insieme con le due figlie, perché temeva di restare in Zoar, e si stabilì in una caverna con le sue due figlie. 31 Ora la maggiore disse alla più piccola: «Il nostro padre è vecchio e non c'è nessuno in questo territorio per unirsi a noi, secondo l'uso di tutta la terra. 32 Vieni, facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre». 33 Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. 34 All'indomani la maggiore disse alla più piccola: «Ecco, ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va' tu a coricarti con lui; così faremo sussistere una discendenza da nostro padre». 35 Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a coricarsi con lui; ma egli non se ne accorse, né quando essa si coricò, né quando essa si alzò. 36 Così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre. 37 La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Costui è il padre dei Moabiti che esistono fino ad oggi. 38 Anche la più piccola partorì un figlio e lo chiamò «Figlio del mio popolo». Costui è il padre degli Ammoniti che esistono fino ad oggi. (Genesi 19, dopo la distruzione di Sodoma)


Laio concepisce Edipo nell'ebbrezza.

Nell'immagine: Edipo uccide Laio
Paul Joseph Blanc, 1867

Essendo stato violentato da Laio, Crisippo, figlio del re Pelope si uccise. Pelope maledisse Laio che consultò l'oracolo di Delfi dal quale seppe che se avesse avuto un figlio questi lo avrebbe ucciso e si sarebbe unito alla madre. Laio, re di Tebe, che per questo si asteneva dalla sposa Giocasta, e secondo una tradizione mitica che non abbiamo verificato Giocasta avrebbe ubriacato Laio per poter avere un figlio da lui.
In ogni caso il neonato Edipo fu abbandonato con i piedi legati, e, trovato da un pastore, venne adottato dai re di Corinto.
A sua volta avendo saputo dall'oracolo che avrebbe ucciso suo padre e si sarebbe unito a sua madre Edipo fuggì dai re che credeva i suoi genitori, e correndo verso Tebe si scontrò con Laio che a sua volta tornava a interrogare l'oracolo. Nello scontro Edipo uccise il padre, che non aveva riconosciuto, né era stato riconosciuto da lui. Rispondendo all'enigma della sfinge sulla via per Tebe aveva liberato la città dal mostro, e per questo aveva ottenuto il trono e aveva sposato la regina vedova. 







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Ultima revisione 5 febbraio 2024