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Legitur enim in quadam historia licet
apocrypha, quod fuit quidam vir in Jerusalem nomine
Ruben , qui alio nomine dictus est Symon de tribu
Dan, vel secundum Hieronymum de tribu Ysaschar, qui
habuit uxorem, quae Cyborea nuncupata est. Quadam
igitur nocte, cum sibi mutuo debitum exsolvissent,
Cyborea obdormiens somnium vidit, quod perterrita
cum gemitibus et suspiriis viro suo retulit dicens:
videbatur mihi, quod filium flagitiosum parerem, qui
totius gentis nostrae causa perditionis existeret.
Cui Ruben: nefariam rem, inquit, nec relatu dignam
profaris et spiritu, ceu puto, phitonico raperis.
Cui illa: Si me concepisse sensero et filium
peperero, absque dubio non spiritus phitonicus
exstitit, sed revelatio certa fuit. Procedente
igitur tempore, cum filium peperisset, parentes
plurimum timuerunt, et quid de eo facerent, cogitare
coeperunt, cumque filium abhorrerent occidere, nec
vellent destructorem sui generis enutrire, ipsum in
fiscella positum mari exponunt, quem quem marini
fluctus ad insulam propulerunt, quae Scarioth
dicitur. Ab illa igitur insula Judas Scariotes
appellatus est, regina autem illius loci carens
liberis ad littus maris causa spatiandi processit et
fiscellam a marinis fluctibus jactari videns, ipsam
aperiri praecepit inveniensque ibi puerum elegantis
formae, suspirans ait: o si solatiis tantae
sublevarer sobolis, ne regni mei privarer
successore. Puerum igitur secreto nutriri fecit et
se gravidam simulavit, tandem se filium peperisse
mentitur et per totum regnum fama haec celebris
divulgatur. Princeps pro suscepta sobole vehementer
exsultat, et ingenti gaudio plebs laetatur. Ipsum
igitur secundum magnificentiam regiam educari fecit,
non post multum vero temporis regina de rege
concepit et suo tempore filium parturivit. Cum autem
pueri aliquantulum jam crevissent, ad invicem
saepius colludebant, et puerum regium Judas crebris
molestiis et injuriis molestabat, et ad fletum
saepius provocabat, regina autem hoc moleste ferens,
et Judam ad se non pertinere sciens ipsum crebrius
verberavit. Sed nec sic a molestia pueri desistebat.
Tandem res panditur, et Judas non verus reginae
filius, sed inventus, aperitur. Quod Judas ut
comperit, vehementer erubuit et fratrem suum
putativum filium regis latenter occidit. Ob hoc
capitalem sententiam timens, cum tributariis in
Jerusalem aufugit seque curiae Pylati tunc
praesidis, mancipavit (et quoniam res similes sibi
sunt habiles) Pylatus Judam suis moribus invenit
congruere, et ideo coepit ipsum valde carum habere.
Universae igitur curiae Pylati Judas praeficitur, et
ad ejus nutum omnia disponuntur. Quadam igitur die,
Pylatus de palatio suo in quoddam pomoerium
aspiciens, illorum pomorum tanto desiderio captus
est, ut paene deficere videretur. Erat autem illud
pomoerium Ruben, patris Judae, sed nec Judas patrem
neque Ruben filium agnoscebat, quia et Ruben ipsum
his marinis fluctibus periisse putabat et Judas,
quis pater aut quae patria sua fuerit, penitus
ignorabat. |
Leggesi (in)
una storia, avegna che non sia autenticata dalla
Chiesa, che fue uno uomo in Gerusalem che avea nome
Ruben, il quale per altro nome era chiamato Simeon
della schiatta di Giuda, o vero, secondo Geronimo,
della schiatta di Isaccar : il quale ebbe una moglie
che fu chiamata Ciborea. Sicchè una notte,
abbiendosi insieme il debito, dormendo, Ciborea vidde
in sogno quello ch'essa dovea partorire con pianti e
con sospiri : lo quale sogno ridisse al marito suo in
questo modo E' mi parea ch'io partorissi uno figliuolo
molto pieno di retade e malizie, il quale sarebbe
cagione di perdimento di tutta quanta la gente nostra.
Alla quale disse Ruben : Maladetta cosa di' tu che non
è degna di mentovare, e pensomi che tu se' rapita
dallo spirilo di Fitone. E quella disse Se io mi
sentirò d'avere conceputo e partorito figliuolo, sanza
dubbio non è stato spirito fitonico, ma rivelazione
certa. Sicchè vegniendo il tempo, quando ella ebbe
partorito il figliuolo, li parenti temettero molto, e
cominciarono a pensare quello che dovessono fare di
lui e conciò fosse cosa che avessoro in orrore
d'ucciderlo , né nutricare non volendo colui che dovea
essere distrugitore della sua generazione, misserlo
entro in una navicella coperta, e lasciarola andare
per lo mare entro e l'onde del mare sì l'
aprodarono ad una isola che si chiama Scarioth onde da
quella isola è appellato Giuda Scarioth. Sicché la
reina di quella contrada non avendo figliuoli, se
n'era andata per solazzo alla riva del mare e
veggendovi la navicella fatta com'una cassetta
approdata là per l'onde del mare, sì comandò che fosse
aperta, e trovaronvi un fanciullo di bella forma.
Sospirando disse O , s'io fossi sollevata da' solazzi
di così fatto figliuolo, acciò ch'io non fossi privata
di successore del reame mio! Sicchè fece nutricare il
fanciullo segretamente, et infìnsesi d'essere gravida.
Alla perfine mostrò falsamente d'avere partorito uno
figliuolo maschio , et andò questa fama palese per
tutto il reame con grande festa. Li baroni
s'allegrarono per la ricevuta schiatta, e il popolo si
rallegra con grande letizia. Fecelo adunque nutricare
secondo la grandezza del reame. Non passòe molto tempo
che la reina concepette del re : nel suo tempo
parturìo uno figliuolo. Et essendo già cresciuti e'
fanciulli alquanto, sì si trastullavano ispessamente
insieme : e Giuda faceva molto increscimento con molte
ingiurie al figliuolo del re, e spesse volte lo faceva
piagniere. E la reina recandosi ciò a noia, sappiendo
e conosciendo che Giuda non s'aparteneva a lei, sì lo
battea molto spesso : né per tanto si rimoveva Giuda
di fare noia a quello fanciullo. Alla perfine si
manifestòe il fatto, e fu aperto come Giuda non era
verace figliuolo della reina, ma era stato trovato et
essendosi Giuda accorto di ciò, fortemente si
vergognò e '1 fratello suo pensativo, figliuolo
del re, uccise celatamente ; e temendo per questo
fatto la sentenzia della testa, sì si fuggi con esso
coloro ch'andavano ricogliendo il tributo: e andonne
in Gerusalem, e mancepossi nella corte di Pylato il
quale era in quello tempo preside. Et imperò che le
cose simigliami s'acostano volentieri insieme,
veggendo Pylato che Giuda si confacea a' costumi suoi
, cominciollo a tenere mollo caro , tanto che fu fatto
proposto di tutta la corte di Pylato , et al suo senno
erano ordinate tutte le cose. Sicchè un die Pylato
guardando del suo palagio in uno giardino, fu tanto
invaghito de' frutti ch'erano in detto giardino , che
poco meno che non ne moriva e quello giardino era di
Ruben padre di Giuda : ma non conosceva Giuda il
padre, nè Ruben il figliuolo, però che pensava ched'e'
fosse perito nell'onde del mare. E Giuda non sapea al
postutto chi fosse suo padre, né quale fosse la sua
madre, né la sua cittade. Chiamòe dunque Pylato Giuda
e sì gli disse: Io sono sì preso dal desiderio di
quelli frutti , che se io no' n' abbo al mio senno ,
io credo veramente morire tosto. Sicchè Giuda andò , e
saltò immantinente nel giardino e prese di quelle
mele. Infratanto venne Ruben , e trovò Giuda che gli
aveva colte le mele sue ; sicchè incominciarono a
contendere fortemente insieme amendue, e doppo il
contendere vennero a darsi insieme e villania ; poscia
vennero alle mani, e batteronsi bene insieme. Alla
perfine Giuda ricolse una pietra , e ferì Ruben con
essa in quella parte del capo ch'è collegato al collo
, sicchè egli l'uccise : ma pure tolse le mele e
portolle a Pylato , e raccontolli ciò ch'era
intervenuto. Sicché
facendosi sera , Ruben fu trovato morto, e pensarono
le persone ched'e' morisse di morte subitana. Allora
Pylato diede a Giuda tutte le possessioni di Ruben , e
Ciborea moglie del detto Ruben sì la diede per moglie
a Giuda. Sicchè un die che Ciborea sospirava e
gravemente, e Giuda suo marito la domandava
diligentemente quello ch'ella avesse , e quella
rispose : Oimè , molto più disaventurata sopra tutte
le femmine , che io attuffai uno mio fantisino
piccolino nell'onde del mare , e trovai morto il
marito mio , non so come. Pylato ancora a me misera à
sopragiunto dolore , che me dolorosissima à dato per
moglie a te , e àmmiti congiunta in matrimonio ,
avegna che non volontarosa di ciò. E conciò fosse cosa
che quella avesse narrato ognie cosa di quello
fantigino , e da l'altra parte Giuda avesse narrato â
lei quelle cose ch'erano intervenute a lui , trovato
fu che Giuda avesse tolto per moglie la madre e morto
il padre. Sicchè mosso da pentimento , e per
confortamento di Ciborea , andossene al nostro Signore
Jesù Cristo , e domandogli perdonanza de' suoi
peccati. Insino a qui si legge di quella storia non
autentica , la quale se da raccontare è , rimanga
nello albitro di colui che la legge , avegna che sia
maggiormente da lasciare stare che di dirla. Sicchè il Signiore lo fece suo discepolo , e di discepolo sì lo chiamò appostolo ; il quale fu tanto famigliare a lui e amato , ch'elli il fece suo procuratore , lo quale sostenne poi per suo traditore , che elli sì portava la borsa di danari , e furava di quello ch'era dato a Cristo. Sicchè dogliendosi al tempo della passione di Cristo che l'unguento che valeva CCC. danari non era stato venduto , perchè potesse anche fare di furare quelli danari , andò e vendèo Cristo XXX. danari , che ogni danaio valeva X. piccioli d' usuale moneta , e così ricompensòe il danaio dell'unguento che valeva CCC. danari o vero , come vogliono dire alcuni, di quello ch'era dato a Cristo di tutto elli furava la decima parte : e però per la decima ch'elli avea perduta nell'unguento , cioè per li XXX. danari , vendette il Signore per tradimento. Sicchè costui in sino a qui usòe in sua vita tre grandissimi peccati : cioè micidio del padre : furare le cose accomandate dal suo Idio : tradimento del suo maestro. I quali danari , essendo pentuto , riportò a coloro che gliele avevano dati , et andò e impiccossi per la gola ; et impiccato , crepò per mezzo e sparsonsi le 'nteriora sue. In ciò fu tolta la ragione alla bocca , che lo spirito suo maladetto non uscisse quindi ; però che non era degnia cosa che quella bocca cosi vilemente maculata fosse , la quale avea tocco così gloriosa bocca come quella di Cristo che degnia cosa era che le 'nteriora ch'aveano ingenerato il tradimento , cadessero rotte , e la gola , della quale era uscita la voce del tradimento , fosse costretta dal capestro, cioè dalla corda che l'affogò impiccandosi. Ancora morìo in aere , acciò che colui il quale offese gli angeli nel cielo e gli uomini in terra, fosse sceverato dalla contrada delli angeli e delli uomini , e fosse accompagniato colle demonia nell'aere. |
Nota
di Alessandro D'Ancona, cit. (testo riprodotto dalla fonte citata, da rivedere, con note nel testo da mettere a posto) |
Nota (pag. 82) Chi ci abbia pazientemente letto sin qui, avrà senza dubbio ricordato come nella mitologia greca vi sieno parecchi racconti che più o meno rassomigliano a questo o a quell'episodio della nostra leggenda. Avrà ricordato Mirra, che per vendetta di Venere, è spinta all' incesto col padre inconsapevole: Perseo, il quale è gettato in una cassetta, perchè non si avveri che di sua mano abbia da morire l' avo Acrisio , e che, salvato dalle onde, compie, senza saperlo, ciò che di lui era stato previsto : Paride fanciullo, lasciato sul monte Ida, che, raccolto dai pastori, diviene, come il fato voleva, cagione miseranda di eccidio alla famiglia e alla città nativa: Adrasto, che uccide prima per errore il fratello, e recatosi presso Creso affine di fuggire l' ira paterna e purificarsi, per nuovo errore uccide anche il figlio dell'ospite ed amico, come 1' oracolo aveva predetto : Telefo, che nato dagli amori furtivi di Auge e d'Ercole, libera l' avo materno dagli assalti di Ida, e ne ha in premio la mano di Auge, la quale nel talamo pone fra se e lo sposo una spada, invocando il nome di Ercole , dal che nasce il riconoscimento, e si evita l'incesto: Edipo, infine, il quale si rende colpevole di quei delitti che si era creduto d' impedire coll' esporlo bambino sul Giterone, e che, ucciso il padre, sposa la propria madre Giocasta. (pag. 83) In tutti questi racconti mitologici, come in quello cristiano di Gregorio, e degli altri che con altri nomi abbiamo già passati a rassegna, noi vediamo un innocente mortale, da una volontà suprema destinato a divenire colpevole, tanto più correre irresistibilmente al delitto, quanto più cerca di allontanarsene e crede esserne discosto. Solamente, ciò che, secondo le credenze greche, è opera dei numi irati o del fato, secondo le credenze cristiane, diviene opera del nemico dell' uman genere, del demonio. Contro il fato nulla può l'uomo pagano, salvo il punire in se medesimo l' ordine morale turbato anco senza volerlo nè saperlo , come vien fatto da Edipo togliendosi la vista e privandosi degli onori regali e fin dell'umano (pag.84) consorzio ; contro il demonio molto può l'uomo cristiano, adeguando alla grandezza della colpa anche involontaria, la grandezza e sincerità della penitenza. Molti già al mito di Edipo paragonarono la leggenda di Gregorio [Riferimento in nota 1: Greith, Spicil. Vatic. pag. 155: « II bel mito di Edipo ci appare come la vecchia radice da cui crebbe questo ramo novello sotto il sole del medio evo, rinnovato nella forma cristiana ». Littré, op. cil. vol. II, pag. 171 Graesse, Lehrbuch einer literàrgesch. etc. II, 2, 953. Al mito di Edipo è stata riavvicinata anche la nota leggenda di S. Giuliano; il quale fuggito dalla casa paterna, affinchè non si avverasse la predizione fattagli che ucciderebbe i genitori , compie involontariamente il delitto ch' erasi tanto studiato di evitare. La leggenda di S. Giuliano avrebbe così ritenuto dell'Edipo la prima parte: il secondo episodio sarebbe rimasto al S. Gregorio: ved. Greith, Spicil. p. 155. 85] chiamando appunto Gregorio un Edipo cristiano, ed opinando che l' una narrazione derivi direttamente dall' altra. Nè noi oseremmo del tutto negarlo , purché s' intenda che la leggenda di Gregorio sia una trasformazione , secondo volevano le nuove credenze, del mito ellenico, e quantunque vi manchi una parte sostanziale di quello , qual è la uccisione del padre; e l'altra poi del bambino dato in balìa delle onde la riaccosti invece al mito di Perseo. Forse da una incerta reminiscenza delle due leggende pagane confuse l'una coll'altra, come vedremo avverarsi anche in qualche altra forma che prenderemo in esame, uscì fuori la [p. 86] leggenda medievale cristiana dì Gregorio (1) [Nota 1] Siamo qui, alquanto discordi dal Prof. Comparetti che a pag. 89. dello scritto già citato conchiude: « Fra questi racconti (S. Gregorio, S. Albino ecc.) e l'Edipodea non esiste certamente verun rapporto di derivazione che sia dimostrabile ». La dimostrazione esatta certo è impossibile; ma la relazione ci sembra evidente. Ma fra le leggende cristiane un' altra se ne trova la quale, a parer nostro, anziché una trasformazione, è una appropriazione del mito ellenico di Edipo ad un personaggio dei nuovi tempi, il quale è, come da principio accennammo , 1' apostolo traditore. Narra la Leggenda che i genitori di Giuda, Ruben e Ciborea, avendo avuto un sogno che loro [(1) Siamo qui, alquanto discordi dal Prof. Comparetti che a pag. 89. dello scritto già citato conchiude: « Fra questi racconti (S. Gregorio, S. Albino ecc.) e l'Edipodea non esiste certamente verun rapporto di derivazione che sia dimostrabile ». La dimostrazione esatta certo è impossibile; ma la relazione ci sembra evidente. ] [87] presagiva un figlio pernicioso ad essi e alla loro schiatta, appena ei nacque lo gittarono in mare entro una cassetta. Le onde portarono il fanciullo all' isola di Scarioth; e poiché probabilmente ei veniva dal paese di faccia, eh' era la Giudea, dalla regina che lo raccolse venne chiamato Giuda Scarioth. Finch' ei fu solo, credette d'esser figlio del re ed erede del trono; quando poi nacque prole legittima e fu chiarito dalla supposta madre della vera origine sua, uccise in rissa il fratello putativo , e si partì per Gerusalemme , ponendosi a servizio presso Pylato. Per gradire al quale, entrato un giorno in un giardino presso al palagio del preside a cogliervi delle frutta molto da questo desiderate, uccise il [88] padrone dell'orto che si opponeva al furto , e che era precisamente il suo proprio padre Ruben. La cosa rimase secreta; e poiché la vedova si lagnava della sua sorte al preside, questi per ricompensare il suo fido e acquetar lei, li congiunse in matrimonio. Ma un giorno, dolendosi Ciborea del malvagio destino che 1' aveva condotta ad esporre in mare il proprio figlio e a perdere poi a un tratto un marito dilettissimo, si scuòpre che i due sposi sono madre e figliuolo: e Giuda, per purificarsi, si fa discepolo di Cristo che poi, per malvagio istinto e cupida natura, tradisce, dandolo in mano a' suoi nemici. [89] Come ognuno vede di leggieri, questa è, appropriata tale e quale a Giuda, la tradizione greca di Edipo. Le cui parti più rilevanti , cioè la predizione, il parricidio e l' incesto son conservate integralmente : e solo è da notare che Giuda non viene, come Edipo, abbandonato sur un monte, ma gettato nelle acque. Non potendo scorgere qui una reminiscenza del Karn.a del Mahâbhârata, nè parendoci nemmeno di trovarvi ricordanza del Mosè della Bibbia, ci sembra piuttosto da ritenere che, anche in questo caso, vi fu nella memoria, confusione di narrazioni assai affini fra loro, e che, in questo episodio, la nuova leggenda cristiana si riferisca all' episodio corrispondente del mito pagano di Perseo. [90 ] Non potrebbesi con precisione affermare quando e da chi fosse fatta questa appropriazione dei delitti di Edipo a Giuda Scariotte, sebbene sia visibile l'intento pel quale fu fatta: a fine cioè di accumulare nuovi orrori sul capo del maledetto. La poesia latina aveva perpetuato il mito greco che non fu ignoto al medio evo e sul quale anzi esercitarono l' ingegno alcuni poeti di quell'età, cantandolo in rozzi versi dell' antica o delle nuove lingue (1). [ [Nota](1) Vedi il Lamento d'Edipo, in Du Méril, Poésies inédit, du moyen âge. pag. 310. Fu ripubblicato da Ozanam, Gali Morell, ed ultimamente da M. Schmidt (Philologus XXIII pag. 545) il quale ha credulo fosse inedito. Le Roman d' Edipus è un antico libretto francese in prosa, ripubbl. nella Collection Silvestre n.° 22. ] La prima traccia del [91] Giuda leggendario si trova in Iacopo da Varagine, vissuto nel xiii secolo, e che dichiara per ben due volte di ripetere il fatto secondo una tradizione non troppo accertata, che il lettore può credere o non credere, ma meglio farà a non credere (1) [ [Nota] (1 ) « Legitur in quadam historia licet apocrypha.... Hucusqe in praedicta historia apocrypha legitur: quae utrum recitanda sit lectoris arbitrio relinquatur, licet sit potius relinquenda quam asserenda ». ]: ne certo cotali dubbi movevano in Jacopo se non da questo, che, dotto quanto i tempi comportavano , scorgeva troppo evidente di sotto al Giuda della leggenda trasparire l'Edipo della mitologia. Forse un monaco o qualche altro ecclesiastico, fu il primo autore di cotesto [92 ] plagio, che poi si perpetuò, ma non perdette mai un certo originale carattere letterario, e non si addentrò mai bene nella coscienza popolare, quantunque la leggenda si trovi in monumenti di letteratura popolare, o per dir meglio, destinata al popolo (1) [[nota 1] Questo intento di render popolare la leggenda trovasi anche sul bel principio della Leggenda latina in versi: Fra i molti uomini del volgo della età passata o della presente cui sia stato o sia noto il nome del traditore, non molti crediamo sapessero o sappiano, e soprattuto credano fermamente , ciò che ne raccontarono 1' autore della Legenda aurea ed altri dopo di lui; mentre molte altre narrazioni , anche più assurde, ebbero assai più diffusione fra il popolo e si procacciarono assai più notorietà e fede che non questa di Giuda. Fra i monumenti di letteratura popolare ove rinviensi la leggenda di Giuda, ricorderemo un poema in versi leonini tratto da un codice della Biblioteca di Monaco, scritto non già nel xiii° secolo, come sostenne il Bâckstrôm, ma nel xv°, come rettifica l'Halm, e che fu pubblicato primamente da Mone, e poi dall' infaticabile Du Méril, che niuna provincia della letteratura antica o moderna ha lasciato inesplorata od inculta (Du Méril, Poésies popul. latines du Moyen âge, pag. 314-368. Un altro poema latino su Giuda, anonimo e di scrittura del sec. XV. ricorda Leyser, Hist. poet. et poemat. m. aevi, pag. 2125. Comincia : « Cunctorum veterum placuerunt poemata multum ». ) Una parte dell' antica leggenda francese intitolata La vengeance de la mort de N. S. (P. Paris , Mss. Franc. , II. 84), nonché un episodio dell' antico Mistero della Passione, secondo le addizioni e correzioni di Jehan Michel (xv° sec.; Douhet, Dictionnaire des Mystères , col. 722 ); un libretto formante parte della Bibliothèque bleue, e che continua a ristamparsi tuttavia (Douhet, Dictionnaire des Légendes col. 717 e 1276. — Socard, Livres po pulaires imprimés à Troyes de 1600 a 1800; Paris, Aubry, 1864, pag. 13 ). Trovasi anche nelle 95 varie traduzioni ed imitazioni del Varagine : cosicché può dirsi non esservi paese d'Europa nel quale o per mezzo del testo latino , o per versioni, o facente parte dei leggendari, dei passionari (Vedi Das alte Passionae, ed. Hahn , p. 312 segg.) e dei misteri , o staccata, la leggenda di Giuda non siasi diffusa (2(2) Du Méril ricorda ( Poes. popul. du m. âge, p. 327) anche una vita di Giuda stampata da Abraham a Sancta Clara nel 1687 intitolata: Judas der Erzschelm (l'arcifurfante) ; e una vita popolare di Giuda in svedese pubblicata da Bàckstròm, Svenska Fòlkbocher II, 198. di cui una traduzione sopra una stampa del 1833 trovasi nel N. Jahr. d. berlin. Gesellsch., VI. 144. Un testo danese si trova nel Nyerup, Morskabslaening , 178. ).Dieta vetusta patrum jam cleseruere theatrum 96 Il testo italiano da noi stampato forma parte, come il latino da cui è tratto, della leggenda di S. Matteo scritta dal Yaragine ; il testo francese è tolto da un cod. del xtv° secolo, e forma il compimento della leggenda di Pylato che lo precede. Nei poemetti popolari italiani, due ne troviamo che portano il nome dello Scariotte : 1' uno intitolato La disperazione di Giu dei teatro di D. Antonio di Zamora trovasi un Judas Iscariote che non ab biam potuto vedere; ma che forse segue la leggenda, secondo possiamo argomentare da ciò che ne dice il Ticknor, Hist. de la lilerat. espan. Ili, 103: « contiene demasiados errores para ser entretenida ». Neanco ci è noto che cosa sia il « Judas Iscariotes, tragoedia nova et sacra » di Tommaso Naogeorgus (sec. XVI) s. a. n. 97 dû , erroneamente attribuito al Tasso (1(1) Ne possediamo due moderne edizioni ad uso del popolo, una s. n. (ma forse di Todi), l'altra, Bologna 1806, alla Colomba. Nella vita del Tasso scritta dal Serassi, pag. 597, si legge che il libraio Scaglia, a cui venne a mano questo poemetto, lo stampò presso il Baba nel 1627, credendolo del Tasso, benché fosse opera di un Giulio Liliani , che non potè mai ottenere di vederlo pubblicato col proprio nome. Infatti se ne hanno altre stampe, sempre col nome del Tasso, di Milano 1628, Cremona 1629, Venezia 1678, Borna 1688 e 1780, non che una traduzione spagnuola stampata a Venezia, Baba, 1564. ), ma nel quale non si fa nessun ricordo della tradizione di che discorriamo; l'altro che invece la riproduce esattamente (2(2) Nascita | vita, e morte | disperata | di | Giuda | Iscariotte | poeticamente descritta | dal signor Nibegno Boclami ro mano. | In Lucca per Domenico Maresc. (Marescandoli) 1807, con approvazione. Il nome dell' autore è evidentemente anagrammatico, ma si indovina soltanto che Nibegno può voler dire Benigno. Lo stile del poemetto non è rozzo, come nelle storie che sono composte da vati popolani , ma gonfio, come si nota in quelle altre che da gente mezzanamente culta sono scritte ad uso del popolo. Riportiamo la l. a ottava: Non più d' armi d' Eroi, d'amor, di sdegni Non più d' imprese egregie e generose , Non più d'illustri e memorandi ingegni, Musa, non più cantar gesta gloriose ; Ma del re degli iniqui , infami e indegni Descrivi i sensi e 1'opre obbrobriose ; Questi fu 1' empio Giuda, il più nefando Di tutti i traditori , il più esecrando. Vi ha pure un altro poemetto popolare col nome di Nibegno Roclani (e non Rodami), Patrizio romano, cioè: « La Regina sfortunata di Cipro ecc. Lucca , Raroni ». Pare che la poesia del Roclani non sia andata a genio alla plebe, perchè anche di quest'altro suo poemetto mi è nota una sola edizione. ). Di esso non è [98] a nostra conoscenza se non una sola edizione, mentre di quasi tutte [99] le altre leggende popolari possediamo buon numero di stampe per ciascuna: il che si potrebbe spiegare col poco favore e la poca adesione che questa leggenda, secondo già notammo, ebbe a trovare nel volgo (1 (1) Il titolo di un raro libercolo del sec. XVII ci aveva indotto nell'opinione che si trattasse di una scrittura la quale si riconnettesse alla nostra materia. Intendiamo alludere all' « Aristo o vero sia l'incestuoso micidiale innocente, opera di Gasparo Ugolini da Rovigo , Podestà di Gazuolo e tutto suo marchesato », che trovammo rammentata nei Novellieri in prosa di G. B. Passano p. 423. Ricorremmo, per averne notizia, al cortese bibliofilo signor Andrea Tessier di Venezia, possessore, forse unico in Italia, di questo romanzetto, e potemmo accertarci che, ad onta del titolo, Aristo non ha nulla che fare con Edipo. Si racconta in questo romanzetto, come Erminia fa venire Aristo ad amoroso congresso notturno, e allontanatasi dalla camera per agevolargli 1' uscita, è fraudolentemente sostituita dalla propria sorella Aurelia, che stava in agguato, invida della fortuna di Erminia: e quando questa ritorna, Aristo credendo sia alcuno che venga a sorprenderlo col1' amata, fra le tenebre la ferisce, ed essa poco dopo ne muore: onde, conclude l'autore, Aristo è incestuoso e micidiale , ma innocente. — Questa operetta di circa 200 pagg. è un mostro singolarissimo di sensi volgari, di stile del più puro seicento, e di errori grammaticali ed ortografici , ai quali sono da aggiungersi innumerevoli spropositi di stampa, forse dovuti all'essere l'edizione datata da Amsterdam, per Gullielmo Winzlaik, 1671. ). Ma il mito greco di Edipo sopravvisse alla caduta del paganesimo, rivestendo anche altra forma da quella del Giuda: e ne troviamo la prova in un racconto albanese, trascritto dall' Hahn, e così volgarizzato dal Camarda. 101 « Fuvvi un re in un luogo, dove regnava; e a lui fu annunziato, che sarebbe stato ucciso da un suo nipote, che non era per anco nato. Per questa cosa quanti fanciulli facevano le due sue figliuole ch'egli aveva, li gettava in mare, e li affogava. — Jl terzo fanciullo che gettò in mare, non si affogò, ma la marea lo rigettò in un angolo del mare sulla spiaggia, e quivi lo trovarono alcuni pastori, che lo presero nella loro mandria, e lo diedero alle loro donne per nutrirlo. — Passa le notti, e passa i giorni, si fece il fanciullo a suo tempo , sino ai dodici anni, ben complesso, e robusto assai. — In quel tempo era uscito un mostro (Lubia) nel luogo del re, sicché erano state disseccate (trattenute) le acque tutte da quello, e fu annunzialo come senza che il mostro mangiasse la figlia del re, non lascerebbe le acque. — Voleva il re, e non voleva. 102 non sapeva che fare: deliberò di dare la figlia a divorare al mostro, e la inviò, e la legò nel luogo dove era il mostro. — Quel giorno passò di là anche il giovinetto che allevarono i pastori , e come vide la figliuola del re, le domandò perchè stava colà e piangeva, ed ella gli espose perchè ve l'aveva mandata il padre. — Non temere, le dice costui, sta' ad osservar bene quando esce il mostro, allora parlami, che io mi nasconderò. Ed egli si nascose dietro ad uno scoglio, e si pose in capo una berretta, che lo cuopriva , e non si vedeva. « Fra un momento uscì il mostro, e la fanciulla parlò adagio al giovine che sentì, e questi uscì dallo scoglio, e come si accostò al mostro , lo percosse tre volte colla clava nella testa, e cadde spento il mostro. Nel momento si sciolsero le acque. — Egli prese il capo del mostro, e lasciò andare la figlia del 103 re, e non sapeva che quel fatto era sua sventura. • Come fu andata la figlia dal re, gli disse in che modo era sfuggita al mostro; e il re aperse un'assemblea facendo decreto , che colui il quale aveva ucciso il mostro andasse al re, che lo farebbe suo figlio, e darebbegli in moglie la figliuola. — Come ciò intese il giovine andò dal re, e gli mostrò il capo del mostro, e prese in moglie la giovine cui egli liberò dal mo stro, e si fecero nozze grandiose. — Nel mentre danzavano, e tripu diavano, il giovine scagliò la clava, e involontariamente colpi il re, e si fece il giovine stesso re (1 (1) Hahn , Albanesische Studien I, pag. 167, e Griech. und albanes. Mdrchen li, pagg. 114 e 310; Camarda , Appendice al Saggio di grammatologia comparata sulla lingua albanese, pag. 20 segg. ) » . 104 « Iir questo racconto — adoperiamo qui le espresse parole di un nostro dotto amico e collega — noi troviamo il mito di Perseo combinato con un elemento dell'Edipodea. Come Perseo, l'eroe è esposto in mare; come Perseo, egli uccide, non il padre, ma l' avo; come Perseo libera una donna esposta ad un mostro. Quantunque il beretto che rende invisibile sia assai comune nei racconti popolari, qui, considerato nell'insieme col resto, è impossibile non riconoscere in esso la Aidos Kyneé , che figura anche nel mito di Perseo. Ravvicina il racconto al fatto di Edipo lo sposalizio colla madre, quantunque accennato in modo .confuso. Evidentemente il racconto è incompleto, ed anche storpiato dalla narratrice , una 105 popolana di Ljabowo nell' Epiro settentrionale (Gaonia). Prima si parla di due sole figlie ambedue maritate, poi si parla di una sola figlia e nubile. Non è detto se questa fosse la zia o la madre dell' eroe rimasta vedova. Ma quella espressione « e non sapeva che quel fatto era sua sventura » non si giustifica se non ammettendo l' idea del più grave incesto. La sola uccisione dell' avo , avvenuta a caso , non si vede quale sventura gli recasse , poiché lo condusse al trono, nè egli sapeva che l'ucciso fosse suo avo. A me par chiaro che manca anche la fine del racconto, in cui l' eroe venga a risapere la sua origine ed a [106] sentire così la sventura a cui sopra si accenna (1(1) Comparetti, Edipo e la mitologia comparata pag. 85. ) ». Più strano assai che presso gli Albanesi, dovrà sembrare che del mito greco si trovi memoria presso le genti finniche. Fra le quali fu trovato vivente nella tradizione orale, il racconto che qui riferiamo, e che, in mezzo ad alcune varianti, conserva tuttavia della forma primitiva i due sostanziali episodj, della incolpevole uccisione del padre e dell' innocente incesto colla madre. Due maghi — dice il racconto finnico che compendiamo — arrivarono a casa di un contadino e 107 \ ? i furono ospitati. La notte una capra ebbe a partorire, e il più giovane dei due propose di aiutarla, benché l'altro vi si opponesse, dicendo che l'agnello na scituro era destinato a finir in bocca al lupo. Nello stesso tempo, le doglie di parto prendono anche alla padrona, che il più giovane propone di aiutare, benché l'altro osservi che il figliuolo che deve nascere ucciderà il padre e sposerà la madre. Il padrone di casa ode il dialogo, lo riferisce alla moglie, ma non han coraggio di uccidere il figliuolo. Un giorno in casa del contadino si fa gran festa e si mette allo spiedo l' agnello : ma avendo poi posta la carne cotta presso alla finestra, cade di sotto, o il lupo che passa la mangia con gran terrore del contadino e della 108 moglie, che già si ridevano delle profezie dei maghi. Allora pensano di disfarsi del figlio, e poiché non han cuore di finirlo, lo feriscono nel petto, e legato a una tavola lo gettano in mare. Le onde lo spingono ad un isola, dove vien raccolto e recato al l'abate del monastero. Ivi cresce e divien bravo; ma noiandosi della vita che mena, è consigliato dall' abate a mettersi pel mondo. Va, e cerca lavoro; e un dì giunge ad una casa di contadini. L'uomo non v'era; v'era la donna, alla quale chiede lavoro, ed essa gli dice: Va a guardare cotesti campi da' ladri. Ei si pone all' ombra dietro un sasso , e vedendo entrare nel campo un uomo a còrvi erbe , mentre questo sta per andarsene, gli tira un colpo e l'uccide; 109 poi torna alla padrona la quale sta in pensieri non vedendo tor nare a pranzo il marito. Allora si scopre che 1' ucciso era il marito; ma poiché 1' uccisione fu senza colpa, dopo molte grida e smanie, la donna per dona al servo che resta presso di lei, ed anzi la sposa. Ma un giorno vedendo al marito la ferita , si pone in sospetto, e finalmente si scopre che sono madre e figlio. Che fare? La donna lo manda a cercar uomini dotti per trovare il modo di espiare il delitto. Ed ei va, e trova un monaco vecchio con un libro in mano: ma il monaco, consultato il libro , dice che non vi è espiazione: onde l'altro, cieco dal dolore, l'uccide. Lo stesso avviene con un secondo monaco : ma un terzo gli dice che 110 non vi ha peccato che non si espii col pentimento, e gli soggiunge che vada a scavar da una rupe un pozzo finche non trovi acqua, e la madre lo assista tenendo in braccio una pecora nera, finche diventi bianca. Vanno, ma passa il tempo, e l' acqua non scaturisce ne la pecora diventa bianca. Intanto passava gente e guardava e dimandava, e un giorno un signore si fermò e domandò chi fosse e che facesse. Ei gli risponde, e poi gli dimanda a sua volta: e tu chi sei? — Io sono uno che fa dritte le cose storte, e ora appunto vo a un giudizio. — Vedendo che sta meglio al mondo di lui, e che a lui non riesce farsi perdonare, il misero si arrabbia e uccide il viandante. Allora la pietra si apre , l' l'acqua scaturisce e la pecora diventa bianca. Ma non sapendo come espiare l'ultimo fallo, il meschino torna dal frate, il quale lo assicura che il miracolo si è compiuto prima del tempo, perchè l'ucciso, colla sua professione, offendeva Dio più di lui, onde era abbreviata la penitenza né eravi d'uopo d'altra espiazione. Sicché il pentito potè d' allora in poi condurre vita quieta e tranquilla (1 (1) Grasse, Mdrchenwelt, Leipzig, 1868, pag. 208. ). Giunti al fine di questo breve ma pur faticoso esame di narrazioni così diverse fra loro per 112 l'età ed i popoli a cui appartengono, per lo scopo a cui tendono, e pel concetto a cui s' informano, ci sia lecito, conchiudendo, dappoiché a tutte potemmo assegnare uno stesso e comune punto storico di partenza, di far notare la vitalità delle antiche favole pagane: le quali , o accettate dal cristianesimo ed appropriate ai suoi personaggi, come accade per la leggenda di Giuda, o modificate sotto l'impero delle nuove credenze religiose, come è per quella di Gregorio, o abbandonate alle incertezze della tradizione orale del volgo che le va alterando, come nei vari racconti popolari, conservarono tuttavia il loro predominio sulle menti degli uomini delle più lontane generazioni commovendone , come 113 ne commoveranno per molto tempo ancora , e la fantasia e gli affetti. Pisa, 1868. ALESSANDRO D'ANCONA |
NOTA DI DOMENICO COMPARETTI |
Mentre stavamo correggendo le
bozze di questa Introduzione, ci pervenne notizia di
una tradizione cipriotta teste messa a luce; e
rivolgendoci all'amico Prof. Comparetti ne potemmo
avere il volgarizzamento, accompagnato da alcune dotte
avvertenze. Il nostro collega, pur facendo certe
restrizioni a quanto afferma 1' editore greco circa il
nesso fra la leggenda vivente e il mito di Edipo,
riconosce tuttavia che questo racconto va collocato
nello stesso ciclo al quale appartiene l'Edipodea.
Perciò ci è parso che questa leggenda cipriotta fosse
necessario supplemento alle notizie da noi raccolte
sul ciclo dell' incestuoso innocente nelle varie sue
forme, e speriamo che i lettori ci sapranno grado che
ad essi la comunichiamo. « Una volta, un tempo c'era*
un Signore e aveva tre figliuole, e s' eran fatte
grandi e non poteva maritarle, ne sapea che cosa
farsi. Or dunque, signora mia, gli venne in mente di
far i ritratti delle sue figliuole e di collocarli
dinanzi alla porta di casa sua, sicché li vedesse chi
passava, forse che così le mariterebbe. Il luogo dove
abitava 117 questo signore era sul mare e molte navi
ci andavano da molti luoghi ad approdare. Ebbene,
signora mia, una volta vide quelle figure un capitano,
e gli piacque la più piccola delle tre, e andò a
chiederla dal babbo di lei: ma il babbo non gliela
voleva dare, perchè voleva prima maritare le maggiori
e poi la più piccola. Lo sposo voleva la piccola; e
gli amici del babbo di lei lo consigliarono, che si
risolvesse a dargliela per fare un buon principio. E
insomma, signora mia, si decise, e diede la piccola; e
dopo pochi giorni, si fecero gli sponsali. Dopo la
benedizione nuziale, se ne andarono tutti i parenti e
gli amici e lasciarono soli lo sposo e la sposa; e
allora la sposa andò a dormire nella sua stanza, e
quando lo sposo andò per dormire con lei, si squarciò
la parete, e ne uscì fuori un fantasima e disse allo
sposo: Stai lontano dalla Rosa (che cosi si chia 118
mava la sposa) perchè la Rosa prenderà suo padre, e
con suo padre farà un figliuolo, e poscia prenderà in
marito anche il figliuolo. Tosto che ebbe udito tutto
ciò lo sposo, senza dir nulla ad alcuno, andò a
trovare il suocero , e gli disse che avea commesso uno
sbaglio, poiché voleva per moglie la grande e non la
piccola. N' ebbe piacere il suocero, il quale voleva
appunto maritare la grande per prima, e li maritò; e
lo sposo si prese la moglie e se ne andò a casa sua. «
Dopo poco tempo, si trovò anche un altro sposo, ed
anche a questo piacque la piccola. Per non farla
troppo lunga , accadde a questo proprio come all'
altro — La povera Rosa dopo essere stata ammogliata a
due mariti, rimase non maritata. Passato un certo
tempo la Rosa, che non sapeva per qual ragione due
uomini l' avevano spo119 sata e l' avean lasciata
tutti e due, ebbe un'idea. Pensò di pregare il babbo
che la lasciasse andare a visitare le sue sorelle,
poiché desiderava vederle, affine di sapere la ragione
per cui i mariti suoi l'avean lasciata ; e il babbo la
lasciò andare, e partì. — Appena arrivata là dove
abitava le sorella maggiore, vide la serva di questa
che andava ad empir la brocca, e la riconobbe, e le
disse: Eccoti questo anello, dallo alla tua padrona,
ed io aspetterò qui fuori che tu mi porti una
risposta. Poco dopo viene la serva e le dice che
favorisca, che la vuole la sua padrona; e trovò la
sorella sola, e si assisero. Sorella mia, le disse,
son venuta perchè desiderava vederti, e vorrei tu mi
facessi un piacere; che la notte quando vai a dormire
con tuo marito, tu spenga il lume ed esca dalla camera
e ci vada io. La sorella le disse: Con piacere; perchè
no? farò quel che vuoi. 120 « Venuta la notte, la
sorella fece quant' essa aveva chiesto, e lasciò il
marito, e la Rosa andò e si coricò col suo sposo:
allora essa, come fosse la moglie di lui, gli disse:
Da tanto tempo che sei mio marito, ho sempre
dimenticato di domandarti la ragione perchè sposasti
mia sorella più piccola e poi la lasciasti. E allora
colui gli disse tutto com'era accaduto. Saputo che
ebbe ciò, Rosa uscì dalla camera e v'entrò la sorella;
il giorno appresso levossi e se ne andò a trovare
l'altra sorella, e dopo che anche dall' altro sposo
ebbe risaputo le stesse cose, tornò a casa sua e dicea
fra di sé: No, non isposerò mio padre come ha detto il
fantasima; piuttosto pagherò degli uomini perchè lo
uccidano — E così, signora mia, pochi giorni dopo essa
paga degli uomini i quali uccidono il suo babbo, e lo
prendono e lo seppelliscono fuori del paese in un
campo; e sul sepolcro in cai avean seppellito il padre
di lei, germogliò un melo che facea di belle frutta. E
dunque un giorno, signora mia, la Rosa vide un uomo
che vendeva mele; lo chiama e compra di quelle mele e
ne mangia, e uscì gravida. Poco tempo dopo cominciò a
farsele grosso il ventre, e non sapeva come mai, ma
poi riseppe che sul sepolcro di suo padre era nato un
melo, e si rammentò che di quelle mela aveva mangiato.
Allora disse fra di sé: neppur ora non voglio che si
avveri il detto del fantasima, e appena partorirò farò
di uccidere il bimbo. E tosto che nacque il bimbo lo
prese e gli die più coltellate nel petto e lo pose
dentro una cassa, la inchiodò ben bene, e la gittò a
mare; e poiché soffiava vento di terra, spinse la
cassa e andò in alto mare. Si trovò a passar di là una
nave mercantile e il capitano della nave vide la
cassa; e dice allora il 122 capitano ai suoi uomini:
Mettete in mare la barca, e prendete quella cassa, e
se e' è dentro qualcosa di prezioso prendetela per
voi, se però e' é dentro anima viva sarà mia. Calarono
la barca e presero la cassa; ci trovarono dentro un
bambino immerso nel proprio sangue; allora il capitano
lo prese per se e lo fece figliuol suo: e dopo che
furono passati molti anni morì il capitano, e ereditò
tutta la sua fortuna il figlio adottivo di lui. E
allora il fanciullo divenuto grande, faceva il
mestiere di suo babbo e viaggiava da luogo a luogo. «
In uno de' suoi molti viaggi accadde che andò nel
paese della sua madre e vide la porta della casa di
lei, e domandò che cosa fossero quelle figure eh'
erano su quella porta, e gli dissero la storia delle
tre sorelle, e gli dissero pure che la più piccola non
avea marito. Allora colui, la prendo io, disse, 123
per moglie; e la prese, e quando furono passati molti
anni ed aveano anche fatto figliuoli, un giorno essa
porse a lui la camicia da cambiare. Allora vide nel
petto di lui le cicatrici delle coltellate che gli
diede quando lo mise dentro la cassa , e sospettò, e
interrogollo: Non mi dici che cosa sono queste
cicatrici che hai nel petto? Colui gli disse ch'ei non
conosceva né babbo né mamma : solo che l' avea trovato
un capitano in mezzo al mare dentro una cassa e l'
avea preso e fatto suo figlio; e quando morì mio padre
io fui suo erede e feci l' arte sua, e venni in questo
paese e ti presi in moglie, e non so altro. Colei gli
disse ; Fin qui mi ha perseguitato la sciagurata sorte
mia; tu sei mio figlio, ed ora che si sono avverale le
cose che disse il fantasima, lascio te addolorato, e
orfani i figliuoli, e vado a morire, poiché cosi ha
voluto il destino. E andò e gittossi da una terrazza e
si uccise ». 124 II racconto che precede 1' ho
tradotto dal dialetto greco dell' isola di Cipro. Il
sig. Sakellarios che lo ha pubblicato (1(1)
Toc KowptorcoÉ. Atene, 1868. T. IH. p. 147 segg.) crede
eh' esso provenga dall' antica favola di Edipo. Io
sarei meno affermativo nello stabilire un rapporto di
derivazione, che veramente fra il racconto ciprio e l'
antica leggenda tebana si scorgono differenze notevoli
ed assai profonde, quale, fra le altre, il non essere
nel racconto ciprio il parricidio punto fatale ne
involontario. Nondimeno è indubitato che questo
racconto appartiene allo stesso ciclo a cui appartiene
1' Edipodea. Fra i racconti dello stesso genere,
questo si distingue 125 per un tipo suo tutto
particolare, e se c' è reminiscenza dell' antico
racconto greco essa è non solo singolarmente alterata
ed inselvatichita, ma mescolata e confusa eziandio con
reminiscenze d' altri racconti. Fra le parti in che
esso differisce da gli altri, quella del modo in cui
ha luogo l'incesto involontario col padre è assai
notevole, e mi ha richiamato a mente un' antica
leggenda, orientale di origine, diffusa poi nel mondo
greco-romano, e riferita da Arnobio (1[(1)
Adv. g ente s , V. 5 segg. ] ).
Secondo questo scrittore, la favola in Pessinunte
narrava che Giove infiammato d'amore per la Gran
Madre, non potendo riuscire nel suo intento, rese
feconda la pietra Agdos da 126 cui la stessa Gran
Madre aveva avuto origine. Quindi nacque Agdistis
essere ermafrodito di straordinaria potenza, il quale
essendo stato evirato per voler degli Dei, dal sangue
di lui sparso in terra nacque un melo granato (1 (1)
Il racconto Ciprio oggi dice soltanto un melo, ma forse
deve intendersi di un melo granato che secondo un' idea
( non però troppo ben fondata) di Bòttiger (Ideen zur
KunstMythologie II p. 250) era per gli antichi il melo
per eccellenza. Negli antichi racconti greci il melo non
ha che far nulla colle idee di morte; ma si bene il
melo granato che fiorisce negli orti di Aide, e nasce
dal sangue sparso violentemente. Veggasi quanto su
di ciò con molta dottrina ed acume osserva Bòtticher,
Der Baumkultus der Hellenen pag. 471 segg. Un fatto da
notarsi è che il melo granato, trapiantato, secondo la
leggenda, d'Asia a Cipro prima che fosse introdotto in
Europa, ha parte nelle leggende Tebane. Cadmo lo portò a
Tebe. Sulla tomba di Meneceo nacque spontaneo, e cosi
pure sulla tomba comune di Eteocle e Polinice.).
Una figlia del (127) fiume Sangario, ammirando la
bellezza dell' albero, ne colse un pomo che riposto in
seno di lei la rese feconda, e così nacque Atti, il
quale fu esposto dal padre di Nana, e divenne poi
l'amante incestuoso di Agdistis — Non istarò a
ripetere qui quanto fosse alla moda nell' Europa
greco-latina questo culto Frigio della Madre degli
Dei, il culto di Venere Assira ed altri culti di
provenienza orientale; e come questa moda durasse a
lungo, e solo si estinguesse coll' estinguersi del
paganesimo che nella sua lotta colla nuova religione
avea cercato in quelli il debole appoggio di una
insulsa 128 teosofìa (1(1) Giovi rammentare il
noto scritto Sulla Madre degli Dei dell' imperator
Giuliano. ). Il nome di Nana lo
troviamo riunito a quello di Artemide in una
iscrizione del Metroon pireense (2(2) V. il mio
articolo Sulle iscrizioni relative al Metroon pireense
negli Annali dell' Isiit. di Corrisp. ardi. T. xxxiv
pag. 38 segg. Sulla provenienza orientale del nome di
Nana o Nanaea , olire agli scrittori da me ivi citati,
veggasi Rawlinson The five great Monarchies, I pag. Mi
segg. e l'Erodoto del medesimo, I p. 521 segg. ),
e si trova assai spesso anche adoperato come nome di
persona (3(3) Cf. Boeckh, ad C. I. G. n.° 3856.).
Quanto a Cipro, la sua posizione geografica, e la sua
storia rendono chiaro per chiunque, come
necessariamente in essa dovessero incontrarsi e
mescolarsi le (129 ) leggende d'Europa con quelle
d'Asia. È nota la grande omogeneità delle due leggende
di Cibele Frigia, e di Afrodite Assira, e come Atti in
quella equivalga ad Adone in questa. Come la memoria
della leggenda di Adone non è pur anco spenta ma vive
tuttora nelle costumanze di qualche popolo orientale
(1), così non sarebbe da maravigliare se mescolata con
elementi d' altra origine una qualche reminiscenza
della leggenda di Atti vivesse tuttora in questo
racconto della più orientale isola greca. (D.
COMPARETTI, pp. 115-129; in Alessandro
D'Ancona, cit.) [vedi la favola cipriota in questo sito] |
Memo: Josafat e Barlaam II 815-832 Enrico destinato a sposare la figlia dell'imperatore, ci riesce nonostante i ripetuti tentativi dell'imperatore Corrado di ucciderlo: motivi fiabeschi, lettere sostituite ecc. II 851 Cristina subisce un'incredibile serie di martìri e alla fine muore santa: motivi fiabeschi: torre in cui la rinchiude il padre, ma lei resta fedele al suo amato, Gesù Cristo I 407 |
Vangelo
di Giuda (II sec.) |
Nel Vangelo
di Giuda, un apocrifo gnostico in greco (130-170),
il tradimento è narrato come un atto di obbedienza,
necessario perché si realizzi il disegno divino. Eroe
maledetto, Giuda muore lapidato dagli altri apostoli. Vedi per questa e altre storie di Giuda: http://it.wikipedia.org/wiki/Giuda_Iscariota#Vangelo_secondo_Matteo_2; ultima consultazione: 7 marzo 2013. Vedi anche: http://www.treccani.it/enciclopedia/giuda_(Enciclopedia_Italiana)/; ultima consultazione: 7 marzo 2013. |
Storia del giovane
insidiato e accusato da sua madre, Legenda
Aurea (XIII sec.) |
Nella
storia di S. Andrea narrata da Jacopo da Varagine (cit.)
si trova un racconto nel quale l'incesto è desiderato
dalla madre, che non ottenendo i favori dal figlio lo
porta in tribunale. Solo alla fine viene scoperta, per
intervento divino. Anche in questo caso, come nelle
storie d'incesto modellate sulla tragedia di Edipo, ci
si riferisce alla tragedia greca (Eurpide, Ippolito,
428 a. C.). Vedi Fedra, http://www.treccani.it/enciclopedia/fedra/;
ultima consultazione: 7 marzo 2013. Scrive Jacopo da Varagine (cit.) che un giovane cristiano si recò dal santo e gli raccontò il suo segreto: Mia madre mi vede bello e attenta alla mia purezza. Poiché non mi ha trovato consenziente è andata in tribunale per far ricadere su di me la pena di tanta colpa : prega per me perché non muoia ingiustamente. Io tacerò davanti all'accussa e preferitò la morte all'infamia di mia madre". Dopo qualche tempo il giovane è chiamato in giudizio e Andrea lo segue. La madre accusa il figlio dicendo che ha tentato di usarle violenza. Il giovane più volte interrogato tace. Allora Andrea disse alla madre: "Donna crudelissima, perché vuoi la morte del tuo unico figlio per soddisfare alla tua libidine?" Disse quella al giudice: "Mio figlio si unì a quest'uomo dopo aver tentato invano di usarmi violenza". Il giudice irato ordinò che il giovane fosse messo in un sacco incatramato e gettato in un fiume e che Andrea fosse incarcerato fino a quando non avesse pensato quale morte gli convenisse: ma Andrea si pose in preghiera e un terribile tuono riempì ognuno di spavento mentre un gran terremoto gettò tutti a terra. La donna fu colpita da un fulmine. Implorato dagli astanti Andrea chiese grazia per essi e i prodigi finirono: il giudice credette con tutta la sua famiglia. (Jacopo da Varagine, Leggenda Aurea; trad. it. Cecilia Lisi; Firenze: Libreria Editrice Fiorentina 1990, 2. voll.; vol. I, p. 14) |
Patranuelo di Juan de Timoneda (Spagna, sec. XVI) | Un nino en la mar hallado Un abad le doctrinò Y Gregorio le llamò Y después fué rey llamado. Vi si racconta di Fabio e Fabella [Il nome della fnaciulla significa favoletta, in latino, ed è il termine con cui Apuleio introduce la storia di Amore e Psiche] figli del re di Palidonia, che , rimasti soli alla morte del padre, s'innamorano e compiono il peccato , il frutto del quale da Fabio, che parte per Roma e naufraga per strada, viene confidato ad un siniscalco. Questi, al solito, lo getta al mare in una barca con alcuni oggetti preziosi ed un foglio , col quale è raccomandato alla pietà degli uomini. Un pescatore lo raccoglie, e lo dà in custodia ad un abate che gli pone il nome di Gregorio. Ma divenuto grandicello, altercando col vero figlio del pescatore , Gregorio conosce il mistero della sua nascita: e presi seco gli oggetti della barca, parte alla ricerca de' genitori. Intanto il principe di Borgogna assedia strettamente la città della regina Fabella, che sempre ha ricusato di congiungersi in matrimonio con chicchessia [Il rifiuto delle nozze attesta la presenza del tema incestuoso, come nelle favole meno esplicite a questo proposito del tipo Turandot]. Gregorio libera la regina dall' assedio, e i baroni la pregano di prenderlo per marito. Ed essa acconsente: ma prima che ciò avvenga, la vista degli oggetti conservati da Gregorio fortunatamente scuopre il vero alla donna: la quale, ingiungendo al figlio il massimo segreto, lo consiglia a sposare , com' e' fa , la vedova del siniscalco [sempre una figura materna! è colei che lo ha cresciuto] (Alessandro D'Ancona, cit., pp. 55-57) |
Tommaso Grapputo (Venezia 1772-1834), Il Convito borghesiano... Opera di messer Grappolino. Londra: Jacson 1800. | La
Novella VII [di dieci] racconta: « Erennio credendosi con Angelica sua fante giacere , con sua madre si giace , la quale rimastane pregna , onde nascondere il suo delitto va girando l'Italia, e giunta in Bologna si sgrava di una bellissima figlia a cui di Bella Nina il nome è dato. Ritorna in Vicenza appo il figlio , e temendo di nuovamente inciampare, lo manda a studio in Roma. Di là egli si porta per tutta l'Europa, e dopo molti anni capitato in Bologna vede Bella Nina, se ne innamora e le dà la fede di sposa. La madre di lui quando ciò intende, non sapendo come impedire il nuovo delitto, in pochi dì addolorata muore, ed Erennio del tutto ignaro , torna in Bologna e con Bella Nina si sposa ». (Alessandro D'Ancona, cit., pp. 62-63) |
IMMAGINI |
|
Michael Pacher, S. Agostino e il diavolo (1471-1475);
Alte Pinakotech, Monaco di Baviera. |
http://3.bp.blogspot.com/-VKwGG8ri-2o/Tn-KR4DvKXI/AAAAAAAAA7I/ylZ3jqI_XoU/s1600/diavolo+michael+pacher.jpg;
ultimo accesso: 7 marzo 2013. http://it.wikipedia.org/wiki/File:Michael_Pacher_004.jpg; ultimo accesso: 7 marzo 2013. |
Giotto, Il bacio di Giuda o Cattura di Cristo (1303-1305), Cappella degli Scrovegni, Padova. | http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c6/Giotto_di_Bondone_-_No._31_Scenes_from_the_Life_of_Christ_-_15._The_Arrest_of_Christ_%28Kiss_of_Judas%29_-_WGA09216.jpg; ultimo accesso: 7 marzo 2013. |
Giovanni Canavesio (XV sec.) Judas Scariotes | Giuda
impiccato con le viscere che fuoriescono e il diavolo
che ne prende l'anima. http://bartesaghiverderiostoria.blogspot.it/2012/08/la-passione-di-cristo-dipinta-da.html; |
NOTE |
|
Tema:
incesto |
Ogni enigma vela e cela, e l'enigma
degli enigmi vela e cela la mescolanza delle generazioni
nel soggetto: l'essere della Sfinge dall'alba al
tramonto è lo stesso, e in lui si mescolano il bambino
il cui desiderio è infinito, l'adulto che agisce, il
vecchio che sa. Le sue tre età sono distinte e sono
confuse, come il suo amore per i figli, i genitori, i
suoi pari. Il transfert in analisi è la risposta alla
sfinge: il soggetto confonde e distingue, desideri e
mete e sapere, per tutta la vita. L'uomo è enigma a se
stesso. Nelle storie di Edipo-Giuda-Gregorio si trovano enigmi e iscrizioni che giocano sull'unicità dell'amore, che nasce e resta incestuoso, che si trasforma in amore per lo sposo o la sposa, e in amore per i figli. Edipo li lega tutti, e se elabora il suo lutto, se giunge ad Atene, nel demo di Colono, dove nacque Sofocle, o a Gerusalemme o a Roma, conferisce invincibilità a questi luoghi sacri. Per questo Gregorio Magno poteva essere l'attante soggetto della storia di Edipo, e diventare papa dopo una lunga penitenza. Molto complesso il motivo dell'attaccamento di Giuda al denaro: Giuda rubava per sé una decima parte di quanto veniva donato a Gesù, Giuda voleva che fossero venduti gli unguenti preziosi che la Maddalena spargeva sul corpo di Gesù, del valore di trecento denari: per questo vendette il Maestro per trenta denari. Da ogni cosa voleva trarre una vantaggio concreto per sé, non poteva quindi comprendere ciò che nell'essere umano non si traduce in danaro. Allo stesso modo Creonte di fronte a Edipo non comprende il valore del suo sacrificio, del suo sapere sull'uomo, e lo forzerebbe a tornare a Tebe per garantirgli la vittoria. Dichiarandosi libero dai vincoli di sangue Edipo apre la sua storia a una giustizia di diversa, espressa da Antigone nella tragedia greca, che, espressa nel Vangelo, costituisce il nucleo vivo del Cristianesimo. |
La grandezza e sincerità della penitenza... |
Alessandro D'Ancona comprende il modo della costanza e della varianza di Edipo. Per ora non ho trovato però riferimenti all'Edipo a Colono, che danno ragione della continuità del motivo della città giusta, Atene, e della città santa, Roma, come nuova Gerusalemme, che accogliendo i corpi degli attanti della favola santifica se stessa. |
Forse da una incerta reminiscenza delle due leggende pagane confuse l'una coll'altra... |
La psicoanalisi permette di cogliere il senso della formazione e della trasformazione dei temi narrativi, lo scambio dei motivi, che possono eclissarsi e riemergere, incessantemente, eterno gioco delle forme eterne (Goethe). Non si tratta con la psicoanalisi di risolvere problemi di filologia o di storia delle narrazioni, anche se la psicoanalisi offre strumenti e studi che possono consentire agli specialisti di questi campi di risolvere qualche enigma. Si esce dal campo psicoanalitico, e ci si dibatte come pesci fuor d'acqua, se ci si riferisce a qualche iperuranio di ispirazione psicoanalitica, del tipo degli archetipi junghiani: il risultato è una nuova mitologia, qui come altrove nelle scuole psicoanalitiche, che pur potendo essere convincente e anche utile nella clinica, basa la sua efficacia sullo stesso fondo oscuro di ogni sistema simbolico, senza avere lo spessore millenario di linguaggi come quello alchemico o astrologico. I grandi sistemi simbolici hanno coerenza se sono proposti come organizzazione di una verità trascendente, e la loro verità è legittimata da una religione che richiede un atto di fede. Oppure hanno una coerenza, come l'astrologia o l'alchimia, la cui ricchissima storia si conclude con la nascita dell'astronomia e della chimica, intorno al XVII secolo. Allo stesso modo la vita del romanzo antico, come Apollonio re di Tiro, si conclude con l'emergere del genere della fiaba, tra XVI e XVII secolo, e del romanzo, a partire dal Don Chisciotte di Cervantes. Restano, le discipline di ricerca e i generi narrativi, come storia, restano come un'eredità, comprendendo la quale è possibile cogliere qualcosa altrimenti inafferrabile, frequentemente rimosso, del presente, proprio come nel lavoro analitico che si svolge fra analista e paziente. Se lo psicoanalista riconosce la straordinaria e continua ripresa del motivo di Edipo, se riconosce l'elaborazione del lutto nell'Edipo a Colono si ricordi che è l'estrema opera di Sofocle, anche se nella triade tragica occupa un posto intermedio fra Edipo re e Antigone ascolta un grande coro e un'immensa orchestra, estesi nello spazio e nel tempo, quasi senza confini, che eseguono diversamente lo stesso motivo ripreso da Freud con le parole del mito tragico, e da ciascuno di noi in noi stessi non meno che nei nostri pazienti. |
Motivo dell'abbandono del bambino alle acque o nel bosco Appena ei nacque lo gittarono in mare entro una cassetta... |
Se il Cristianesimo elabora come abbiamo visto la storia di Edipo, traendone due vicende, una di salvezza, l'altra di perdizione, la Bibbia con Mosè, il bambino abbandonato alle acque e cresciuto dai nemici, racconta una storia di abbandono dalla quale viene la salvezza alla famiglia d'origine, e a tutto il popolo ebraico. Il confronto col fratello faraone trasforma il figlio illegittimo in un rivale imbattibile. Mosè, come i personaggi della leggenda edipica di salvezza, ha sopra di sé il Dio unico, così come Edipo a Colono si mette sotto la protezione del re giusto, Teseo, prima di morire, rendendo invincibile Atene, la città che lo ha accolto. Edipo rinnega i legami di sangue e non accetta di essere complice con la crudeltà di Creonte e l'empietà dei suoi figli maschi. La discendenza che accompagna e sostiene Edipo, giusta fino al sacrificio di sé, è quella femminile, di Antigone. |
Motivo della nascita magica attraverso un frutto Uccise il padrone dell'orto che si opponeva al furto... |
Da comprendere il senso del frutto rubato: il frutto è il figlio, la discendenza, che Giuda ruba a suo padre possedendo la moglie di lui, la propria madre. Questo motivo del furto del frutto è nella favola di Pietropazzo di Straparola, nella quale la figlia del re viene condannata perché rimasta incinta. Quando il padre visita il palazzo dove lei vive col suo sposo, senza riconoscerla, lei gl fa scivolare in seno una mela d'oro, e lo accusa di furto. Quando il re protesta la sua innocenza, lei tira fuori dalla veste di lui la mela rubata, e gli dice che come lui senza colpa si è trovato in seno il frutto d'oro, lei è rimasta incinta senza colpa. Solo a questo punto si fa riconoscere e si riconcilia col padre. |
Motivo della nascita magica attraverso un frutto Il melo granato che fiorisce negli orti di Aide, e nasce dal sangue sparso violentemente. |
Confrontare con il mito di Demetra e Kore, o Cerere e Proserpina. Confrontare con la melograna simbolo di fecondità, ricordando che il figlio è chiamato sangue del mio sangue, e che nell'antica fisiologia lo sperma era sangue che attraversando tutti gli organi ne assumeva le virtù, e infine, passando attraverso il cervello, si sbianchiva, come una sostanza alchemica, divenendo così il fluido più prezioso del corpo umano. Lo sperma contenva infatti l'homunculus, essere umano minuscolo e completo, che nel grembo materno si nutriva e assumeva diverso sesso a seconda del calore dell'amplesso: l'homunculus era dotato di genitali che nel caso della femmina, per mancanza di calore nel concepimento, non si estroflettevano. La coltivazione del melograno vale quindi come espressione del frutto, fatto di soli semi ciascuno dei quali è anche un frutto. che per crescere ha bsogno di uno spargimento di sangue. In questo modo si articola la volenza fra generazioni, e nello stesso momento si denuncia, si comprende, si condanna e si perdona. Sembra che Freud intuisca qualcosa di questo perdono nell'estremo Mosè, mentre prima si arresta alla parte della punizione. Gli manca poi la presenza femminile, perché mi pare che nella Bibbia la donna agisca come avatar temporaneo del maschile, quando gli attanti maschili non bastano avincere un nemico, come i Libri Sibillini nell'antica Roma. In una storia delle Mille e una notte una ricetta a base di chicchi di melograno rende possibile il riconoscimento tra un padre e un figlio, che fino a quel punto era considerato illegittimo. |
Ancora morìo in aere , acciò che colui il quale offese gli angeli nel cielo e gli uomini in terra , fosse sceverato dalla contrada delli angeli e delli uomini , e fosse accompagniato colle demonia nell'aere. |
La colpa tanto grave che chi l'ha commessa non ha posto né in cielo né in terra, né vive né può morire. Così non ha posto la figlia del re Cinira, Mirra, che ha voluto giacere col padre; vedi nelle Metamorfosi di Ovidio, dove Mirra incinta di Adone vaga sola per nove lune e poi prega gli dei: ....per non contaminare i viviGli dei accolgono la sua preghiera e la trasformano nella pianta che stilla gocce di resina profumata. Al momento del parto Mirra viene aiutata dalle dee, la sua corteccia si apre e nasce il bellissimo Adone, che sarà amato da Venere. |
RIFERIMENTI |
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Alessandro D'Ancona, La leggenda di Vergogna e
la leggenda di Giuda |
Alessandro D'Ancona, La leggenda di Vergogna e la Leggenda di Giuda, Gaetano Romagnoli, Bologna, 1869; Introduzione; http://www.archive.org/stream/laleggendadiverg00dancuoft#page/n89/mode/2up; 17/10/11 |
Domenico Comparetti, Edipo e la mitologia
comparata. Pisa: Tipografia Nistri 1897 |
http://www.archive.org/details/edipoelamitolog00compgoog http://www.archive.org/stream/edipoelamitolog00compgoog#page/n8/mode/2up |
Testo latino |
Jacobi a Voragine, Legenda Aurea. Vulgo historica lombardica
dicta ad optimorum librorum fidem. Recensuit
Dr Theodor Graesse; Lipsiae: Impensis Librariae
Arnoldianae 1801; pp. 184-186 Fonte: http://www.archive.org/stream/legendaaureavulg00jacouoft#page/184/mode/2up;
consultato il 18 ottobre 2011. |
Testo italiano |
Alessandro D'Ancona, La leggenda di Vergogna e
la Leggenda di Giuda, Testo del buon secolo,
Codice Riccardiano 1254, car. 78; Bologna: Gaetano
Romagnoli 1869; pp. 63-73; http://www.archive.org/stream/laleggendadiverg00dancuoft#page/n89/mode/2up; consultato il 18/10/11. |