ME PAGE
FAVOLE PUBBLICAZIONI
INCONTRI BIBLIOSITOGRAFIA SCUOLA
CV
E-MAIL




FORTUNATO STEFANO ARRIGO

DA I FATTI DELLA FERA (1961) E HORCYNUS ORCA (1975)

PER UN FANCIULLO INGAGGIATO COME ANGELO
DA CODICE SICILIANO (1978)



  ADALINDA GASPARINI                    PSICOANALISI E FAVOLE



I FATTI DELLA FERA
HORCYNUS ORCA
ORFEO E NASODICANEMANGIATO GRANVISIRE E MASIGNORA
ACI E GALATEA
ORFEO E NASODICANEMANGIATO
DA I FATTI DELLA FERA
DA HORCYNUS ORCA
274 Passarono, senza che succedesse nient'altro, i mesi con la "r": febbraio, marzo, aprile, venne maggio e finalmente sullo scill'e cariddi s'affacciarono i primi pescispada, e con essi, come sempre, ogni cosa, pensiero o fatto, bello o brutto, passò in seconda linea. Venne, coi mesi senza "r", il gran daffare della passa, dei sorteggi e delle poste, il traccheggio d'amore e di morte. Caitanello Cambrìa salì sull'albero di filere a guidare la quadriglia dei pelli-squadre coi pescispada.
421 Passarono, senza che succedesse nient'altro, i mesi con la r: febbraio, marzo, aprile, venne maggio e finalmente sullo scill'e cariddi s'affacciarono i primi spada, e con essi, come sempre, ogni cosa, pensiero o fatto, bello o brutto, passò in seconda linea. Venne, coi mesi senza r, il gran daffare della passa, dei sorteggi e delle poste, il traccheggio d'amore e di morte, e Caitanello Cambrìa salì sull'albero di filere a guidare la quadriglia dei pellisquadre cogli spada.
I pescispada, se per un verso lo sboriavano, per un altro, mettendogli di continuo sotto gli occhi il loro amore sviscerato per la femmina e quel loro precipitarsi, impazzirsi a morire dietro di lei, con lei, come se ai loro occhi anche il mare morisse con la morte della "fianchipieni", gli mantenevano fatalmente il dito nella piaga.
Gli spada, se per un verso lo sboriavano, per un altro, mettendogli di continuo sotto gli occhi il loro amore sviscerato per la femmina e quel loro  impazzirsi e precipitarsi a morire dietro di lei, con lei, come se ai loro occhi anche il mare morisse, con la morte della fianchipieni, gli mantenevano fatalmente il dito nella piaga.
Caitanello Cambrìa non era ancora tornato ad essere lui: aveva perso il 275 puntiglio e l'animosità che metteva in ogni cosa, e sull'albero non faceva il solito magnifico uso dei suoi occhi di falcone. Faceva mare e casa, dalla parte delle palme nemmeno guardava e di sua moglie non parlava mai, come non la ricordasse né da viva né da morta.
Caitanello Cambrìa non era ancora tornato ad essere lui: aveva perso il puntiglio e l'animosità che metteva in ogni cosa, e sull'albero non faceva il solito magnifico uso dei suoi occhi di falcone. 422 Faceva mare e casa, dalla parte delle palme nemmeno guardava e di sua moglie non parlava mai, come non la ricordasse né da viva né da morta.
Fu verso la fine di luglio, dopo tre mesi fitti di sole in cima all'albero di filere, che una notte si mise a sparlare: rivolgeva la parola a Nasodicane, come fosse lì davanti a lui, e fu quella volta che lui, questo Nasodicane, credette che fosse qualcuno che veniva da parte di sua madre, come si trovasse prigioniera in qualche posto, non morta, condannata "all'isola" per esempio. Per questo, sinché Nasodicane non gli si svelò per femmina, e che femmina, pensò a sua madre che s'illanguidiva al confino di Lipari e si sforzava d'immaginarsela come una sovversiva che aveva ardito anche lei di sfidare i fascisti a fronte alta.
Fu verso la fine di luglio, dopo tre mesi fitti di sole in cima all'albero di filere, che una notte si mise a sparlare: rivolgeva la parola a qualcuno che chiamava non per nome ma con l'intesa di Nasodicane o Nasomangiato, che era poi la stessa cosa, come fosse lì davanti a lui, e fu quella volta che lui credette che questo Nasodicane o Nasomangiato fosse qualcuno, una specie di guardia carceraria, tanto per dire, che veniva da parte di sua madre, come si trovasse prigioniera in qualche posto, non morta, condannata all'isola, per esempio. Per questo, sinché Nasodicane non gli si svelò alla mente per femmina, e che femmina, pensò che sua madre poteva essere una sovversiva e in quel momento s'illanguidiva al confino di Lipari e si sforzava allora d'immaginarsela fra quei sovversivi che i pellisquadre, remando per il Golfo dell'Aria e incrociando il postale che faceva Milazzo Lipari, riuscivano a vedere qualche volta, legati per i polsi con le catenelle, attorniati dalle guardie coi moschetti: stavano isolati verso poppa, girati a guardare il mare fuori dalla murata e don Luigi Orioles quando gli passavano davanti si alzava a mezzo, e levandosi il berretto, si inchinava.
«Finalmente, finalmente...», se n'era uscito a dire Caitanello. «Ti aspettavo, Nasodicane, ti aspettavo. Che novelle mi dai di quella tale personella?» « Finalmente, finalmente... » se n'era uscito a dire Caitanello. « Ti aspettavo, Nasodicane, ti aspettavo. Che novelle mi dài di quella tale personella? » E dopo un po': «E allora? Io pronto sono. Forza, Nasomangiato, fammi strada per dove tieni l'Acitana »
Pareva ci fosse già conoscenza fra di loro. Suo padre credeva forse che Nasodicane lo avrebbe accompagnato dall'Acitana, ma siccome quella col silenzio sembrava dirgli "sangue, sangue" lui pretendeva che portasse lei da lui, là nella "camera per dormire". Ma Nasodicane, sempre zitta, non l'intendeva. Pareva ci fosse già conoscenza fra di loro. Suo padre credeva forse che Nasodicane lo avrebbe accompagnato dall'Acitana, ma siccome, quella, col silenzio sembrava dirgli sangue, sangue, lui pretendeva che portasse lei da lui, là, nella cameraperdormire. Ma Nasodicane, sempre zitta, non l'intendeva.
La strambottò, l'ingiuriò, le sputò sui piedi, la provocò d'ogni modo e maniera, di puttana la prese e di puttana la lasciò. E infine, quando l'ebbe ridotta come una pellepisciata, passò a dettarle le sue condizioni con tono che non ammetteva replica: «Levati di là, spostati», le ordinò. «Lascia il passo a mia moglie. E mentre è qua, scòrdatela. Non t'azzardare di dire o fare nulla, non t'intrigare, non pipìare...» La strambottò, l'ingiuriò, le sputò sui piedi, la provocò in ogni modo e maniera, di puttana la pigliò e di puttana la lasciò. E infine, quando l'ebbe ridotta come una pellepisciata, passò a dettarle le sue condizioni con tono che non ammetteva replica:
« Levati di là, spostati » le ordinò.
« Lascia il passo a mia moglie. E mentre è qua, scòrdatela. Non ti azzardare a dire o   fare nulla, non t'intrigare, non pipìare... »
A sentirlo, era come se fosse lì, presente e viva, sotto i suoi occhi, alle spalle di Nasodicane, l'Acitana. Ed egli, che dormiva sul materasso, fra le sedie nell'antistanza e si era soprassaltato nel sonno, aveva trattenuto il fiato. "Eccolo che tornò lui" aveva pensato. "Eccolo che si risente un uomo di puntiglio, che non s'arrende, e se non è Orlando né Rinaldo, è però Astolfo, parte e va direttamente sulla Luna, a ripigliare il respiro all'Acitana, coraggio ne ha perfino di soverchio, l'ha astolfino il cuore. Tremava per lui e se ne orgogliva: contrastava la morte, la chiamava a disfida: per un puntiglio, per quel puntiglio forse si stava giocando la vita. "Quando finisce di parlare", pensava, "si può considerare morto". Anzi, troppo parlò per il carattere di quella Nasodicane. A sentirlo, era come se fosse lì, presente e viva sotto i suoi occhi, alle spalle di Nasodicane, l'Acitana. Ed lui, che continuava a dormire 423 sul materasso fra le sedie nell'antistanza si era soprassaltato nel sonno, aveva trattenuto il fiato. Eccolo che tornò lui aveva pensato. Eccolo che si risente un potentomo di puntiglio, che non s'arrende e se non è Orlando né Rinaldo, è però Astolfo che non vede pericoli, parte e va direttamente nella Luna, a ripigliare il respiro all'Acitana. Eh, non c'è proprio niente da dire: coraggio ne ha perfino di soverchio, l'ha astolfino, il cuore... Tremava per lui e se ne orgogliva: contrastava la Morte, la chiamava a disfida: per un puntiglio, per quel puntiglio, forse si stava giocando la vita. Quando finisce di parlare, pensava, si può considerare morto. Sin troppo parlò, per il carattere di quella Nasodicane.
Da quello che ne aveva sentito dire sapeva che quella era donna di scopo. Era come il carabiniere, il finanziere e il questurino che se venivano, non venivano mai in visita di piacere. Il suo scopo quella volta era Caitanello Cambrìa, il marito dopo la moglie: presa la pescespadessa, col suo comodo veniva a prendersi lo spasimante puddicinedda. 276 Doveva sapere meglio di tutti, lei, di quell'afflizione del maschio, quando si ritrova solo, senza più la compagna della sua vita, così solo che sembra quasi ringraziare il lanzatore che manda anche lui a morte e lo riaccoppia al suo bene.
Da quello che ne aveva sentito dire, sapeva che quella era donna di scopo. Era come il carabiniere, il finanziere e il questurino che se venivano, non venivano, non venivano mai in visita di piacere. Il suo scopo, quella volta, era Caitanello Cambrìa, il marito dopo la moglie: pigliata la spadessa, col suo comodo veniva a prendersi lo spasimante pulcinella. Doveva sapere meglio di tutti, lei, di quell'afflizione del maschio, quando si ritrova solo, senza più la compagna della sua vita, così solo che sembra quasi ringraziare il lanzatore che manda anche lui a morte e lo accoppia al suo bene.
Però Nasodicane non faceva musione di sorta, suo padre parlava e non gli succedeva niente di male, anche se era pur vero che non gli succedeva niente di bene. Girava, girava ed era sempre a un punto; la sfidava, ma Nasodicane pareva stare in cima alle mura d'una città fortificata, dove teneva prigioniera l'Acitana, e di lassòpra vedeva quel palmo di cristiano, di sotto, nella polvere che gridava, le gettava ingiurie, la sbordellava per provocarla a duellarsi con lui ma a lei da un orecchio le entrava e dall'altro le usciva. Però Nasodicane non faceva musione di sorta, suo padre parlava e non gli succedeva niente di male, anche se era pure vero che non gli succedeva niente di bene. Girava, girava ed era sempre a un punto; la sfidava, ma Nasodicane pareva stare in cima alle mura d'una città fortificata, dove teneva prigioniera l'Acitana, e di lassòpra vedeva quel palmo di cristiano di sotto, nella polvere che gridava, le gettava ingiurie, la sbordellava, per provocarla a duellarsi con lui ma a lei da un orecchio le entrava e dall'altro le usciva.
Le ultime parole che quella volta le indirizzò furono queste, se l'era impresse bene nella mente, perché gli pareva un gran fatto, quello che stava succedendo nella "camera per dormire". Le ultime parole che quella prima volta le indirizzò furono queste, se l'era impresse bene nella mente, perché gli pareva un grave fatto, quello che stava succedendo nella cameraperdormire.
«Nasodicane? Sentimi bene. Porto alla tua conoscenza che venni sulla decisione di abboccarmi con la mia legittima sposa. Ci trovi niente da ridire? T'avviso che se non me la rimandi con le buone, vengo di persona e me la piglio con la forza, vuoi o non vuoi. Eppoi, basta che l'Acitana sente la voce che la chiama e non hai catena forte abbastanza per legarla. C'intendemmo? Ti dissi che m'abbocco e m'abbocco....». « Nasodicane? Sentimi bene. Porto a tua conoscenza che venni nella decisione di abboccarmi con la mia legittima sposa. Ci trovi niente da ridire? T'avviso, che se non me la rimandi con le buone, vengo di persona e me la piglio con la forza, vuoi o non vuoi. C'intendemmo? Ti dissi che m'abbocco e m'abbocco... »
A quel punto, s'aspettò che Nasodicane dicesse finalmente la sua opinione, facendo sentire lasua voce, invece non fiatò, ma non voleva dire che col tacere acconsentiva. Eppure, le parole di Caitanello avevano l'aria troppo mafiosa: se lo poteva mai sopportare Nasodicane? "Che succederà la prossima volta?", si era domandato.
Però, non c'era voluto molto tempo per capire che suo padre parlava troppo per fare fatti e Nasodicane, di parte sua, taceva troppo per non farli, per cui quanto più suo padre vinceva a parole, tanto più perdeva nei fatti.
A quel punto, s'aspettò che Nasodicane facesse sentire finalmente la sua voce, invece non fiatò. Questo però non voleva dire che col tacere 424 acconsentiva, le parole di Caitanello avevano l'aria troppo mafiosa: se lo poteva mai sopportare Nasodicane? Che succederà la prossima volta?  si era domandato. Però, non c'era voluto molto tempo per capire che suo padre parlava troppo per fare fatti e Nasodicane, da parte sua, taceva troppo per non farli, per cui, quanto più suo padre vinceva a parole, tanto più perdeva nei fatti.

D'allora in poi, suo padre e Nasodicane si ritrovarono regolarmente sempre d'estate, nei mesi senza "r", amore contro morte, nel tracchggio di miele e di fiele, fra il ferro della traffinera e le carni di seta rosa delle pescespadesse che seminavano le uova nello zampillìo vaporoso del loro sangue e in quello dei loro maschi che subito si mischiava al loro come se lo calamitasse.

Ogni "fianchipieni"intraffinata era allora, per Caitanello, l'Acitana ed era lui stesso ogni puddicinedda che si gettava a corpo morto per essere trafitto dal ferro che sgocciolava ancora del sangue della pescespadessa, e tentava di saltare accanto a lei sul lontru e tante volte succedeva che restasse in vita, non perché i pelli-squadre si potessero permettere quel lusso di pietà, ma perché la "fianchipieni" gettata sul 277 lontro gli impediva il pieno governo della barca: e succedeva che il puddicinedda seguisse a riva la sua femmina e aspettasse là per ricevere dai pelli-squadre quella grazia.
Ogni fianchipieni intraffinata era allora, per Caitanello, l'Acitana e lui stesso era ogni pulcinella che si gettava a corpomorto per essere trafitto dal ferro che sgocciolava ancora del sangue della femmina, e tentava di saltare accanto a lei sull'ontro e tante volte succedeva che restasse in vita, ma non perché i pellisquadre si potessero permettere quel lusso di pietà, ma perché la fianchipieni, gettata sull'ontro gli impediva il pieno governo della barca; e succedeva che il pulcinella seguisse a riva la sua femmina e aspettasse là di ricevere dai pellisquadre quella grazia.

Di estate in estate era andato persuadendosi che gli spettacoli che vedeva dall'albero di filere, dovevano avere su suo padre effetti contagiosi e catastrofici. Andando a letto, fatalmente, si scambiava col pescespada che al giorno aveva visto impazzirsi attorno al lontru nel mare lacerato dalla sua femmina allora allora ammazzata. E lui, puddicinedda vedovato, si sfiancava attorno al lontru sopra al quale vedeva sfumare in vapori rosa e rossi la grande, leggiadra sagoma della "fianchipieni", e smaniava di morire, s'avventava col suo osso spadato contro l'imbarcazione, lo sbatteva contro lo scafo come bussasse alle porte della morte. Ma Nasodicane stava là, ai piedi del letto, a prora del lontru e con la traffinera lo teneva bordo bordo, nell'odorata sanguinosa dell'Acitana, senza ammazzarlo mai. E per questo, una notte, fece scambio di persona pigliando Luigi Orioles per Nasodicane: "Lanzate, lanzatemi, forza", lo sfidava ingiuriosamente, «lanzatemi, miserabile Orioles Nasodicane. E che vi costa a voi? Che vendetta vi pigliate; lanzate, lanzatemi come lanzaste la femminella mia...» 
Di estate in estate, era andato persuadendosi che gli spettacoli che vedeva dall'albero di filere, dovevano avere su suo padre effetti catastrofici e contagiosi. Il peggio era quel sentore d'ovarume, di quaglio d'ova a cova che gli restava nelle mani e nel naso se quel giorno aveva toccato o accostato la faccia allo spada: perché, lanzato in piena cova e tirato fuori dall'acqua, il pulcinella sfuma da tutto il corpo una specie di forte effluvio, eccitante e schifevole, un fetore improfumato di ovarina e di lattume, una zaffata degli spurghi delle ovaie della fianchipieni che gli arrivavano in una mazzo vischioso con le ova da covare che quella matrona di madre silascia cadere a scatafascio dallo spacco di sotto senza nemmeno girarsi, e che mezzo fa chiudere e mezzo aprire ancora di più le narici. Caitanello però, ne avrebbe aperto quattro di narici, non due, se le avesse avute. Andando a letto, che sapeva tutto di quel dolciastro selvaggio d'ovarume, passato da spadessa a spaduzza, fatalmente si metteva a covare pure lui a maschio e femmina. Col sonno gridava come in delirio e fatalmente, 425 tempo passavae si scambiava con lo spada che al giorno aveva visto impazzirsi attorno all'ontro nel mare lacerato dalla sua femmina, allora allora ammazzata. E allora pure lui, pulcinella vedovato, pure lui si sfiancava attorno all'ontro, sopra al quale vedeva sfumare in vapori rosa e rossi la grande, leggiadra sagoma della fianchipieni, e smaniava di morire, s'avventava col suo osso spadato contro l'imbarcazione, lo sbatteva di punta e di taglio contro lo scafo incatramato, come bussasse alle nere porte della Morte. Ma Nasodicane stava là, come ai piedi del letto, a prora dell'ontro, e con la traffinera lo teneva bordo bordo, nell'odorata sanguinosa dell'Acitana, senza ammazzarlo mai. E per questo, una notte, fece scambio di persona, pigliando Luigi Orioles per Nasodicane. Lanzate, lanzatemi, forza, lo sfidava ingiuriosamente. Lanzatemi, miserabile Orioles Nasodicane. E che vi costa a voi, lazzarone, che vi costa con al traffinera impugnata, pigliarvi sta vendetta? Lanzate, lanzatemi, come lanzaste la femminella mia...
Per una ragione quasi identica, in quanto la fera faceva in quei mesi coi suoi denti, come don Luigi con la traffinera, la sua bella carneficina di pescespadesse, un'altra volta Nasodicane pigliò ai suoi occhi quella sembianza smorfiosa: «Fera? Nasodicanemangiato?», l'aveva apostrofata ed era rimasto per quache momento senza parola, colpito forse dalla straordinaria somiglianza di connotati e di caratteri. «Pensa che bellezza d'intesa ti trovai», le disse quando ritrovò la parola, "Intese, e questa sì che è intesa...", commentariò tra sé e sé, e per la prima volta, da quando faceva quell'opera, lo aveva sentito spremersi un po' di riso, maligno maligno, però. Per una ragione quasi identica, in quanto la fera faceva in quei mesi coi suoi denti, come don Luigi con la traffinera, ma per dieci o cento volte lui, la sua bella carneficina di pescespadesse, un'altra volta Nasodicane pigliò ai suoi occhi quella sembianza smorfiosa: Fera? Nasodicanemangiato? l'aveva apostrofato ed era rimasto per quache momento senza parola, colpito forse dalla straordinaria somiglianza di connotati e di caratteri fra le due illustrissime. Pensa che bellezza d'intesa ingiuriosa ti trovai, le disse quando ritrovò la parola. Intesa ingiuriosa? Ma sentimi, sentimi cheti dico, intesa ingiuriosa ti dico... Ma sentimi, sentilo sto rimbambinito che questa sì che è ingiuria... commentariò e, e questa sì che è intesa...", commentariò fra sé, e per la prima volta, da quando faceva quell'opera, lo aveva sentito spremersi, anche se maligno maligno, un po' di riso.
Non sapeva precisare quando, in quale estate, in quale mese d'està, fece come si abboccasse veramente con sua moglie. Nasodicane però era sempre presente, non riusciva mai a scacciarla dalla camera: forse, vincerla di più non poteva, o forse non voleva e lui stesso si compiaceva che lei assistesse al suo purparlare con l'Acitana.
Ma chi voleva infasciare? Nasodicane? L'Acitana? O solo se stesso? O tutti e tre? O nessuno? Un carusitto come faceva a dirlo? Era cosa troppo grande per l'età sua. Però, poteva dire questo: dopo la pantomima con Nasodicane, Caitanello dava netta l'impressione di abboccarsi con l'Acitana, come se l'apparolamento che faceva con Nasodicane muta, gli servisse per quello, d'incentivo, stimolo, sprone.
Non sapeva precisare quando, in quale estate, in quale mese d'està, fece come si abboccasse veramente con sua moglie. Nasodicane, nemmeno a dirlo, era sempre presente. Aveva voglia a boccaziarsi, parlava per farsi schiuma in bocca, non riusciva mai a scacciarla dalla camera: forse, vincerla non poteva, ma forse non voleva nemmeno e sotto sotto si compiaceva forse che lei assistesse al suo purparlé con l'Acitana. Ma chi voleva infasciare? Nasodicane? L'Acitana? O solo se stesso? O tutti e tre? O nessuno? Ma lui, come faceva a dirlo? Era cosa troppo grande per l'età sua, l'età di un muccusello che era ancora come avesse gli occhi chiusi, ancora all'oscuro di vita di 426 morte di tutto. Però poteva dire questo: dopo la pantomima con Nasodicane Caitanello dava l'impressione di abboccarsi con l'Acitana, come se l'apparolamento che faceva con Nasodicane muta, gli servisse per quello, d'incentivo, stimolo, sprone.
Ora, tirava fuori anche la veste viola, ora, forse, anche la veste viola faceva parte del suo armamentario, aveva bisogno anche di quell'incentivo 278, stimolo e sprone, ora: ora, forse, non ce la faceva più a competere, da solo, col solo coraggio, con Nasodicane, anche un Astolfo si fa vecchiarello.
Per questo, se voleva ancora strappare l'Acitana dalla sua guardiana Nasodicane, gli abbisognava figurarsela davanti agli occhi dentro quella veste viola. E poi, aspettare, aspettare, come il miracolo di San Gennaro, che quella reliquia gli sudasse sangue nel palmo delle mani.
Ora, tirava fuori anche la veste viola, ora, forse, anche la veste viola faceva parte del suo armamentario, aveva bisogno anche di quell'incentivo, stimolo e sprone, ora: ora, forse, non ce la faceva più a competere da solo, col solo coraggio, con Nasodicane, anche un Astolfo si fa vecchiarello. Per questo, se voleva ancora strappare l'Acitana dalla sua guardiana Nasodicane, gli abbisognava figurarsela davanti agli occhi dentro quella veste viola. E poi, aspettare, aspettare, come il miracolo di San Gennaro, che quella reliquia gli sudasse sangue nel palmo delle mani.

Camminando in mezzo alla cannamele, rasente alle case, era risalito fino al canneto: e nello stretto passaggio, ripassando dietro i muri, dietro le spalliere dei letti, aveva risentito il respiro degli addormentati, ora grosso, ora fino.
Camminando in mezzo alla cannamele, rasente alle case, era risalito nuovamente sino al canneto: e nello stretto passaggio, ripassando dietro i muri, dietro le spalliere dei letti, aveva risentito il respiro degli addormentati, ora grosso, ora fino. Questa è la mammina, donna Cristina Schirò, si  diceva nominandoli mentalmente. Queste sono madre e sorella di Duardo, rimaste senza più maschio in casa. E questi, Jano e Margherita Scarfì, e questi poi Arturo e Stena Palamara e figli. E questi, don Luigi e donna Rosalia Orioles, e questa, Marosa, che dev'essere una colomba quando dorme, almeno quando dorme.
Dopo questi respiri cristiani seppe subito di trovarsi  dietro la casa ad angolo, alla fine del canneto, anche se il muro non era più lineato di luce, dal barbaro respirare che faceva invece suo padre: con scompiglio, da gran vegliante, imbrogliandosi col respiro, inghiottendo saliva, gorgogliando e arruffandosi tutto, come un muto che cercasse con fretta disperata la parola. Pareva che soffiasse a grande sbuffi il suo fiato e che questo, smuovendo il tanfo di fera e il sentore d' "acetoforte", sventasse fuori per le lesionature dei muri: ed era come se Caitanello respirasse per tante bocche, quante erano le crepe per cui spirava fuori il suo sospiroso, affannato checchìare di mutangolo. Dopo questi respiri cristiani seppe subito di trovarsi dietro la casa ad angolo, alla fine del canneto, anche se il muro non era più lineato di luce, dal barbaro respirare che faceva invece suo padre: con scompiglio, da gran vegliante, imbrogliandosi col respiro, inghiottendo saliva, gorgogliando e arruffandosi tutto come un mutangolo, che scava, scava e si contorce tutto, per disseppellirsi dentro, alla fine, infelice aborto di parola. Pareva che soffiasse a grande sbuffi il suo fiato e che questo, smuovendo il tanfo di fera e il sentore d'acetoforte, sventasse fuori per le lesionature dei muri: ed era come se Caitanello respirasse per tante bocche, quante erano le crepe per cui spirava fuori il suo sospiroso, affannato checchìare di mutangolo.
Decise, senza nemmeno fermarsi, di accordargli un altro giro, ma sempre con quella impressione di accordarlo anche a se stesso, un altro giro, anche un altro, se occorreva e ancora un altro, sinché insomma suo padre non riaccendeva il lume: e andava passando, svoltava l'angolo con passo leggero, quando la voce di Caitanello si sparpagliò fuori per le fessure: parlava all'Acitana e gli si scioglieva miele in bocca: Decise, senza nemmeno fermarsi, di accordargli un altro giro. Caloma, caloma, si diceva: diamogli ancora caloma, corda, corda, sagola, al pulcinella, finché non si perde di lena ora, tanto fece e finalmente ci arrivò chesmania col ferro della traffinera ficcato nel 427 fianco... Si diceva questo, diceva di volergli accordare a Caitanello un altro giro, un altro po' di tempo, e aveva sempre l'impressione di accordarlo anche, anzi, per primo, a se stesso, un altro giro, un altro rinvio al suo incontro con Caitanello e ne avrebbe fatto un altro ancora, di giri, se occorreva e ancora un altro, sinché insomma suo padre non riaccendeva il lume: e andava passando, svoltava l'angolo con passo leggero, quando la voce cavernosa di Caitanello si sparpagliò fuori per le fessure. Parlava all'Acitana e gli si scioglieva miele in bocca.
«Pàrtiti, vieni "citana"» le diceva. « Non hai bisogno dello stabene di Nasodicane, pàrtiti, vieni, non ti spagnare, Nasodicane nulla ti può e la guerra sarà un mese e mezzo che passò e finì lo sconquasso di bombe e cannonate che non ti faceva sentire quando ti chiamavo. Pàrtiti, vieni, fa' come ti dice Aitanello tuo. Trattieni il respiro, muovi i piedi, spingili per dietro, congiungi le mani, piglia manate d'acqua e càcciatela dai fianchi, apriti l'onda scura. Vieni, così, così...». « Pàrtiti, vieni Acitana » le diceva. « Non hai bisogno dello stabene di Nasodicane, pàrtiti, vieni, non ti spagnare, Nasodicane nulla ti può e la guerra sarà un mese e mezzo che passò e finì lo sconquasso di bombe e cannonate che non ti faceva sentire quando ti chiamavo. Pàrtiti, vieni, fa' come ti dice Aitanello tuo. Trattieni il respiro, muovi i piedi, spingili per dietro, congiungi le mani, piglia manate d'acqua e càcciatela di davanti alla faccia, apriti l'onda scura. Vieni, così, così... »
Anche questa era una novità: si sarebbe detto che l'Acitana gli venisse per mare, ora, perciò la istruiva al nuoto, come andare sott'acqua, sommossarsi e riassommare. Ma il mare, forse l'intendeva metaforico, mare di tenebre: oppure intendeva mare per mare e dunque aveva preso atto che l'Acitana era seppellita nelle sabbie sotto le palme.
Di là, dicevano ai carusi, si scendeva nella sabbia sinché non s'incontrava l'acqua salata, e poi il nero fondo marino. Allora bisognava trattenere il fiato - ma chi l'aveva più il fiato sotto quelle sabbie? - e nuotare, nuotare sinché di sopra non arrivava uno specchio di luce, allora si poteva riassommare e una volta a galla, quello che vedevano, mare calmo 279 e trasparente, traboccante di pesci che sene vengono essi stessi, mansi mansi in mano, senza bisogno di reti né ami, né fiocine né traffinere, quello, era il loro paradiso di mare, là si sarebbero ritrovati tutti, famiglia per famiglia, chiumma per chiumma...
Anche questa era una novità: si sarebbe detto che l'Acitana gli venisse per mare, ora, perciò la istruiva al nuoto, come andare sott'acqua, sommossarsi e riassommare. Ma il mare forse, l'intendeva metaforico, mare di tenebre: oppure intendeva mare per mare e dunque aveva pigliato atto che l'Acitana era seppellita nelle sabbie sotto le palme. Di là, dicevano ai muccuselli, si scendeva sprofondando nella sabbia, si scendeva per laddèntro, lassòtto sinché non s'incontrava l'acqua salata, e scandendo poi il nero fondo marino. Allora bisognava trattenere il fiato, ma chi l'aveva più il fiato sotto quelle sabbie? e nuotare, nuotare sinché di sopra non arrivava uno specchio di luce. Allora si poteva riassommare e una volta a galla, quello che vedevano mare calmo e trasparente, traboccante di pesci che da soli, mansi mansi, saltando in barca, nella mano, senza bisogno di reti né ami né fiocine né traffinere, quello, era il loro paradiso di mare, là si sarebbero ritrovati tutti, famiglia per famiglia, chiumma per chiumma...
Ma doveva sembrargli un azzardo, doveva sembrargli di metterla in un rischio troppo grande:
«No, no, fermati», le gridò pentito. «Non fare musionamento alcuno, rilassati, non ti esporre, delicata acitana, innocente e spratica di tutto. Aspetta, aspettami che ti vengo a pigliare io. Basterà che ti metto una mano sotto il mento e ti tiro qua, leggera, leggerissima. Dammi tempo di scandagliarti dov'è che ti trovi in mare, dammi tempo che m'oriento... »
Ma doveva sembrargli un azzardo, doveva sembrargli di metterla in un rischio troppo grande:
« No, no, fermati » le gridò pentito « Non fare natamento alcuno, rilassati, non ti esporre, tu tanto delicata, innocente e spratica di tutto. Aspetta, aspettami che ti vengo a pigliare io. Dammi tempo di scandagliarti dov'è che ti trovi in mare, dammi tempo che m'oriento... »
 A queste parole era seguìto, dietro il muro, l'arruffìo straziante, ringhioso, di lui che si gettava in quell'impresa come un cane arrabbiato, con la bava alla bocca che scavasse dentro la sabbia con le unghie e coi denti, disseppellendo e gettando all'aria fra la polvere, ossa su ossa, vuote, secche, porose come pietrapomice.  428 A queste parole era seguito, ditero il muro, l'arruffìo straziante, ringhioso, di lui che si gettava in quell'impresa come un cane arrabbiato, con la bava alla bocca, che scavasse dentro la sabbia con le unghie e coi denti disseppellendo e gettando all'aria fra la polvere, ossa su ossa, vuote secche porose come pietrapomice. 
Scavava, questo senso dava: ma dove? dove? Scavava forse nella veste viola, fra le ossa insabbiate dell'Acitana dentro la siluette, sopra, sotto là, affannandosi a scavare, a cercare l'introvabile, fra gli strappi del suo respiro e nugoli di polvere acre e sciroccosa. Certe volte pareva che si riempisse di sabbia anche la bocca e il petto e certe volte pareva che il suo respiro fischiasse, vibrando con un risentimento di corda tesa nel vento, che sfrega contro l'anello e si riscalda e brucia e sfilaccio dietro sfilaccio, sta per spezzarsi con un ultimo sibilo, con fragore di alberatura che rovina. Scavava, questo senso dava, ma dove? dove? Scavava forse dentro la veste viola, fra le ossa insabbiate dell'Acitana e le ragnatele della sua siluette, sopra, sotto, affannandosi a scavare, a cercare l'introvabile, fra gli strappi del suo respiro e nugoli di polvere acre e sciroccosa. Certe volte sembrava che si riempisse di sabbia anche la bocca e il petto e certe volte pareva che il suo respiro fischiasse vibrando con un risentimento di corda tesa nel vento, che sfrega contro l'anello e si riscalda e brucia, e sfilaccio dietro sfilaccio, sta per strapparsi, con un ultimo sibilo e con fragore di alberatura che rovina.
S'allontanò che arrossiva e impallidiva; carusitto che tornava di guerra e stava dietro il muro di casa, marò che dormiva dietro il tramezzo; s'allontanò che sentiva grandi impulsi di di furore e di tenerezza; s'allontanò che pensava; meglio la guerra vera, mortale e dichiarata, meglio la guerra di cannoni e di fucili. "Ah, Caitanello, padre mio meschino! La tua è guerra che non la vuoi né sai perdere, e che non puoi mai vincere". S'allontanò che arrossiva e impallidiva; s'allontanò che gli pareva d'essere, ora muccusello che tornava dalla guerra e stava dietro il muro di casa, ora marinaro che dormiva dietro il tramezzo; s'allontanò che sentiva grandi impulsi di di furore e di tenerezza: s'allontanò che pensava; meglio la guerra vera, mortale e dichiarata, meglio la guerra di cannoni e di fucili. Oh, Caitanello, padre mio meschino, la tua guerra che non la vuoi né la sai perdere, e guerra pure che non sai mai vincere.
Se pensava all'incontro con suo padre, lo prendeva un grande stringimento di cuore, e confusione di mente per le parole, per i gesti che doveva usargli senza tradirsi, senza lasciargli trasparire quello che aveva visto e che non gli pareva, non gli pareva cristiano: non visto, ma stravisto. "Adesso", pensava, "non ha nemmeno bisogno di addormentarsi, l'opera l'arma a occhi aperti, a piacere suo. Ecco, gli viene di abboccarsi con sua moglie, lascia di fare quello che fa e s'abbocca. Anche se quello che fa è cosa abominevole, cosa di fera, mosciame, e con quelle mani non si dovrebbe incalmierare con l'Acitana. Astolfo sprudente, testardo, nel suo piccolo, si comportava come un dio francese, iattante, superbioso, tutto fumo, in quella tanfosa 'camera per 280 dormire' che si era eretto a fortilizio: si fabbricava la vita dell'Acitana con le sue stesse mani come chi tira fuori tabacco e cartina, si fa la sigaretta e se la fuma". Se pensava all'incontro con suo padre, lo pigliava un grande stringimento di cuore e confusione di mente perché, quali parole, quali gesti doveva usargli per non tradirsi, per non lasciarsi trasparire quello che aveva visto e che non gli pareva, non gli pareva cristiano... Ora, pensava, non ha nemmeno bisogno di addormentarsi, l'opera l'arma a occhi aperti, a piacere suo. Ecco, gli viene di abboccarsi con sua moglie, lascia di fare quello che fa e s'abbocca. Anche se quello che fa, è cosa abominevole, cosa di fera, mosciame, e con quelle mani non si dovrebbe mai incalmierare con l'Acitana. Astolfo sprudente, testardo, si comportava nel suo piccolo come un grande dio francese, iattante, superbioso, tutto fumo e polvere in quella tanfosa cameraperdormire che si era eretta a fortilizio: si fabbricava la vita dell'Acitana con le sue stesse mani, come chi tira fuori tabacco e cartina, si fa la sigaretta e se la fuma.
E ora, non solo poteva armare la sua opera di punto in bianco, fra una cosa e l'altra, a lascia questo e piglia quello, ma poteva fare a meno anche della stagione propizia, dell'està e ello spettacolo del puddicinedda innamorato pazzo. Eppure, quante belle e invidiabili estati aveva avuto Caitanello Cambrìa, anche se ora là, dietro la comera buia dove andava facendo il mendico, costava un certo sforzo ricordarsi di quel Caitanello Cambrìa, che non si poteva concepire se non d'estate, a filere sopra gli appoggi dell'alberello del lontru fra vento e sole, a vedetta fileri - per questo titolo lascerei quello di re - coi suoi occhi di falcone maltese che perlustravano la posta e oltre la posta, il mare che saliva e scendeva, la cupa azzurrità di mare rigata dal zigzag dei pescispada, dentro-fuori, dall'amore alla morte: una lavagna d'acque, la lavagna dove il destino di tutti si cancellava, si segnava, tornava a cancellarsi, a segnarsi, senza fine: e così la vita scorreva come il mare, col mare, il mare della vita senza sponde, e la morte non ci poteva. Si può svuotare il mare con le mani?  E ora, non solo poteva armare la sua opera di punto in bianco, fra una cosa e l'altra, a lascia questo e piglia quello, ma poteva fare 429 a meno anche della stagione propizia, dell'està e del sentore vomitoso che sale dai mari dove la fianchipieni si svacantava delle sue ova in punta allo spadino del suo fidelissimo, innamorato pazzo, che gliele cova. Eppure, quante belle e invidiabili estati aveva avuto Caitanello Cambrìa, anche se ora, là, a sentirlo in quella camera come faceva il mendico, costava un certo sforzo ricordarsi di quel Caitanello Cambrìa, che non si poteva concepire se non d'estate, a filere sopra gli appoggi dell'alberello dell'ontro, fra vento e sole, coi suoi occhi di falcone che ora speravano in cima alla feluca, alla vedetta intinnere che gli doveva gettare il grido d'intesa che lo ribellava tutto  ora perlustravano la posta e oltre la posta, il mare montante, il mare calante, la grande fiumara dello scill'e cariddiinalberata di ontri e di feluche, scandagliata da occhi famelici, silenziosa o vociata, con grida di scannati dalle vedette come tanti condannati al palo, al supplizio del sole. Il falcone senz'ali volava cogli occhi sopra la cupa azzurrità di mare rigata dallo zigzag degli spada, dentrofuori, dall'amore alla morte: una lavagna d'acque, scheggiata dai ferri delle traffinere, incrociata dalle balenanti ombre delle lunghe aste, una lavagna schiumeggiante di salsedine, bava e sangue, la lavagna dove il destino di tutti si cancellava, si segnava, tornava a cancellarsi, a segnarsi, senza fine. E così la vita scorreva come il mare, col mare, il mare della vita senza sponde, e la morte, una morte, la morte di una persona, di un'Acitana, a questo mare di vita non ci poteva: i suoi poteri finivano sulla riva, ma il mare della vita dilagava anche a terra, anche a terra, nel suo flusso e riflusso, la cancellava un poco, la morte, la rendeva perlomeno indecifrabile. Così, a giudicare da Caitanello la morte dell'Acitana, mischiandola a sé, confondendola al destino degli spada che muoiono un anno e tornano a vivere tutti gli anni. Ma diceva lui: si può mai svuotare di significato la morte di chi morì? Caitanello, seduto sulla riva, s'era messo a svuotare il mare con le mani?
Doveva dargli ancora caloma, corda: doveva andare a bussargli e guastargli l'opera?
Si rimise a girare i
ntorno alla testa di tenaglia col respiro arruffato di suo padre, ora grosso, ora fino, dentro l'orecchio: il respiro grosso di lui, il respiro fino dell'Acitana, perché Caitanello spartiva con lei il suo stesso respiro, glielo gettava come una cima e con quella corda invisibile, neanche un filo di capello, se la tirava di qua, e qua si stringevano insieme.
Al suo orecchio, quel respirare di uno più uno, meno uno, era come qualcosa di grosso con dentro qualcosa di fino, qualcosa di potente con dentro qualcosa di debole, qualcosa che se fosse stato morto, non sarebbe meno vivo di quanto lo era da vivo.
Doveva dargli ancora caloma, corda, corda: poteva forse andare a bussargli e guastargli l'opera? Si mise a girare intorno alla testa di tenaglia, col respiro arruffato di suo padre, ora grosso, ora fino, dentro l'orecchio: il respiro grosso di lui, il respiro fino dell'Acitana, perché Caitanello spartiva con lei il suo stesso respiro, glielo gettava come una cima e con quella corda invisibile, più sottile d'un capello, se la tirava di qua, e qua si stringevano insieme. Al suo orecchio 429, quel respirare di uno più uno, meno uno, era qualcosa di grosso con dentro qualcosa di fino, qualcosa di potente con dentro qualcosa di debole, qualcosa che se fosse stato morto, non sarebbe stato più morto di quando lo era da vivo.
Davanti agli occhi, come un simbolo, gli venne un verdone, scodato, un verdone che alcune fere avevano preso a tradimento, e gli avevano staccato la coda lasciandolo in mare a galleggiare come un relitto, giocandoci e facendosene miserabile zimbello, spettacolo fra i più terribili e pietosi che lui avesse mai visto. Un pescecane scodato: qualcosa di grosso con dentro qualcosa di fino, qualcosa di potente con dentro qualcosa di debole, qualcosa di vivo con dentro qualcosa di morto. Era brutto citarglielo per simbolo a Caitanello, ma forse, se non era sacrilegio dirlo, era anche bello perché gli pareva di riconoscergli qualcosa di più a suo padre, citandogli per simbolo quel verdone, invece di quello del pescespadello spasimante, gli pareva così di rendergli vera giustizia, anche se così c'era veramente da piangerlo per morto. Davanti agli occhi, come un simbolo, gli venne un verdone scodato, un verdone che alcune fere avevano preso a tradimento e gli avevano strappato la coda, facendolo poi galleggiare come un rottame, giocandoci e facendosene miserabile zimbello, spettacolo fra i più terribili e pietosi che lui avesse mai visto. Un pescecane scodato: qualcosa di grosso con dentro qualcosa di fino, qualcosa di potente con dentro qualcosa di debole, qualcosa di vivo con dentro qualcosa di morto. Era brutto citarglielo per simbolo a Caitanello, ma forse, se non era sacrilegio dirlo, era anche bello, perché gli pareva di riconoscergli qualcosa di più a suo padre, citandogli per simbolo quel verdone, invece di quello dello spada spasimante: gli pareva così di rendergli vera giustizia, anche se così c'era veramente da piangerlo per morto.
Quel verdone, insomma, gli sarebbe venuto per parabola: sennò, perché avrebbe dovuto riassommare dal fondo della sua memoria alla superficie del mare, proprio in quel momento, come muovesse le 281 labbra, dicesse: "Guardami e dimmi se io, gran lazzariatore di pesci, ridotto in questo stato, un moncone, non ti ricordo tuo padre, in questo momento...". Era un rispecchiamento pietroso, lo capiva, non era più quello all'acqua di rose del pescespada. Questo, però, s'attagliava a suo padre, lui per lui, inutile girarci intorno e farsi scrupoli di figlio, Caitanello Cambrìa e il verdone scodato erano due figure, un fatto: il fatto di pestare acqua nel mortaio, il fatto di pensare di navigare e girare a folle senza più timone, il fatto di girarsi cogli occhi all'indietro come per vedersi spuntare la moglie-coda e illudersi di potere ancora nuotare, andare e venire, sopra, sotto, nel grande, profondo mare frale ondose lenzuola, agitando la bella, esaltante, timoniera mogliecoda: il fatto di non capacitarsi, di non avere occhi per vedersi, una volta scodati, ranunchiati per sempre sull'acqua, ancorati, sinché la morte non veniva a liberarli, sopra uno sputo di mare...    Quel verdone, insomma, gli sarebbe venuto per parabola, sennò perché avrebbe dovuto riassommare dal fondo della sua memoria alla superficie del mare proprio in quel momento, come muovesse le labbra, dicendo: guardami e dimmi se io, gran lazzariatore di pesci, ridotto in questo stato, un moncone, non ti ricordo tuo padre in questo momento. Era un rispecchiamento pietroso, lo capiva, non era più quello all'acqua di rose dello spada. Questo però, s'attagliava a suo padre, lui per lui, inutile girarci intorno e farsi scrupoli di figlio. Caitanello Cambrìa e il verdone scodato erano due figure un fatto: il fatto di pestare acqua nel mortaio, il fatto di pensare di navigare e girare a folle senza più timone, il fatto di girarsi cogli occhi all'indietro come per vedersi spuntare la mogliecoda e illudersi di potere ancora nuotare, andare e venire, soprasotto ingirogiro, nel grande, profondo ondoso mare sotto le lenzuola, agitando la bella, esaltante, timoniera mogliecoda; il fatto di non capacitarsi, di non avere occhi per vedersi, una volta scodati, ranunchiati per sempre sull'acqua, ancorati, sinché la morte non veniva a liberarli, sopra uno sputo di mare...   
-
Per avere un'idea di quello che effettivamente può significare la vista di un verdone scodato, bisognerebbe avere prima l'idea di un verdone quando ha ancora la coda ed è il verdone, è cioè un padreterno.
Il verdone è anche lui un pelle-squadra, anzi lui è lo squadro di nome e di fatto, lui è, d'origine, pelle per squadrare, rasposa come la cartavetrata: e come è la pelle, tale è il carattere, rustico e scabroso, dello stesso colore verdastro, bilioso, del perpetuo, micidioso cupocupio, che gli impronta la faccia.
Ma sul verdone, a parte il fatto che è verdone, non c'è proprio niente da dire. Sopra, sotto per lo scill'e cariddi, solo con la sua ombra, fa il suo mestiere e si vede, non si nasconde, né l'intenzione con cui viene né la mano, non finge il contrario: se viene, viene per farti danno, viene lo vedi, lo sai, se puoi, ti ripari. Porta scritto in fronte il suo assassinaggio, non si maschera, è sempre lì che si guadagna il pane da pescecane, campando sulla vita degli altri. Se si pensa alla fera, viene di portarlo in palma di mano: un galantomo, per dirlo con quel pazziscolo di Crocitto, un incallito ma, a modo suo, serio, spartano micidiatore. Non è con lui, con lo squadro, che a cuore leggero può pigliarsi di confidenza l
a fera, quella vigliacchissima e tradimentosa, ma quando le viene a tiro e il calcolo del rischio le viene, pure quello, la confidenza, allora, se la piglia una volta per tutte.
431 Il verdone, si sa, è lui il vero pellesquadra, lui è lo squadro di nome e di fatto, lui è l'origine, pelle per squadrare, rasposa come la cartavetrata: e come è la pelle, tale è il carattere, rustico e scabroso, dello stesso colore verdastro, bilioso, del perpetuo, micidioso cupocupio, che gli impronta la faccia. Ma sul verdone, a parte il fatto che è verdone, non c'è proprio niente da dire. Sopra, sotto per lo scill'e cariddi, solo con la sua ombra, fa il suo mestiere e si vede, non finge il contrario, non se la nasconde l'intenzione con cui viene. Di nascosto, nascosto di natura, ha solo la bocca, che è come gli facesse pure da bocca dello stomaco, ma quella, la bocca, fa presto a mostrarla: se viene, viene per farti danno, viene lo vedi, lo sai, se puoi, ti ripari. Porta scritto in fronte il suo assassinaggio, non si maschera, è sempre lì che si guadagna il pane da pescecane, campando sulla vita degli altri. Se si pensa alla fera, viene di portarlo in palma di mano: un galantomo, per dirlo con quel pazziscolo di Crocitto, un incallito, ma a modo suo, serio, spartano micidiatore. Non è con lui, con lo squadro, che a cuore leggero può pigliarsi di confidenza la fera, quella vigliacchissima e tradimentosa, ma quando le viene a tiro e le viene pure il calcolo del rischio, la confidenza allora se la piglia una volta per tutte: e forse, poche altre cose nella sua vita, che è tutto un piacere, devono darle un piacere più barbaro e raffinato di questo, di questo cioè di vedere quel terribilio ridotto per sempre col culo a terra.
Ricordava come fosse stato ieri quel verdone troncato in coda. Gli avevano sempre detto che strazio era quella vista, una vista che non si poteva descrivere, e poi quel giorno lo vide e veramente gli sembrò allora come se nessuno mai gliela avesse descritta con parole appropriate, quella vista di scempio. Ma come si fa a dire, con quali parole, che un pescecane, un verdone, uno squadro che è dei peggio, vi commosse e vi fece pietà? Ricordava come fosse stato ieri quel verdone troncato in coda. Gli avevano sempre detto che strazio era quella vista, una vista che non si poteva descrivere, e poi quel giorno lo vide e allora fu veramente come se nessuno mai gliela avesse descritta con parole appropriate, quella vista di scempio. Ma d'altra parte, come si fa a dire, con quali parole, che il vero, l'originario pelledisquadro, il pescecane, quello, l'abitué dello scill'e cariddi, il verdone, quel diocenescampi, che è dei peggio, vi commosse e vi fece pietà?
C'era già la guerra, era il mese di novembre del '40, e ricordava che quella volta erano tutta una chiumma di scagnozzi: lui, Duardo, Salvatorello Schirò, Federico Scoma, Enzo Schepis e Ninai Scarfì, tutti, 282 salvo Niani, giovanotti del '20 e del '21, e tutti di lì a poco partivano, chi per il Crem di Taranto, chi per il Crem di La Spezia. Quella era stata, insomma, una delle prime e una delle ultime volte, se non l'ultima, che uscivano da soli, gli scagnozzi, per dimostrare ai pelli-squadre che ormai sapevano buscarselo pure loro il pane: ma qualcuno intanto scriveva il loro nome e cognome, sopra una cartolina e gliela spediva ordinandogli di lasciare tutto e partire. C'era già la guerra, era il mese di novembre del millenovecentoquaranta, e ricordava che quella volta erano tutta una chiumma di scagnozzi: lui, Duardo, Salvatorello, Federico Scoma, Enzo Schepis e Ninai Scarfì, tutti, salvo Niani, giovanotti del venti e del ventuno, e tutti di lì a poco partivano, chi per il Crem di Taranto,  chi per il Crem di La Spezia. Quella era stata, insomma, una delle prime e una delle ultime volte, se non l'ultima, che uscivano da soli, gli scagnozzi, per dimostrare ai pellisquadre che ormai sapevano 432 buscarselo pure loro il pane: ma qualcuno intanto scriveva il loro nome e cognome sopra una cartolina e gliela spediva, ordinandogli di lasciare tutto e partire.
Era un pomeriggio di sole e soffiava un poco di grecale, quel tanto che manteneva allegrotta e scoppiettante l'onda di superficie.
Verso Casablanca, avevano avvistato un piccolo branco di fere. Di lontanto, pareva se la spassassero innocentemente, figurarsi, in un gran mucchio di capriole. Avvicinandosi, videro però che si palleggiavano qualcosa, non si capiva che: qualcosa però che le sciampagnine trattavano come una palla, lanciandola per aria, saltandole dietro, lasciandola cadere in acqua e tuffandosi tutte e insieme per contendersela in mischie piene di gridi schiumeggianti, fra contorsioni, sventagliate di code e becchi che saltavano all'aria gettando risolini di denti.
Era un pomeriggio di sole e soffiava un poco di maestrale, poco, quanto bastava per mantenere allegrotta e scoppiettante l'onda di superficie. Verso Casablanca, avevano avvistato un piccolo branco di fere. Di lontanto, pareva se la sciacquettassero come stilano quando sono sazie, col sacco di merda dello stomaco pieno sino all'orlo di cantàri di sarde. Figurarsi che abbaglio avevano pigliato, vedendole di lontano nuotare e voliare, fare a quel modo le baraondose, tutte un nuovoliare in un grande schiumeggiare intorno intorno sempre in un medesmo mare. Avvicinandosi, videro però che si palleggiavano qualcosa, non si capiva cosa: qualcosa però che quelle sciampagnone trattavano come una palla, lanciandola per aria, saltandole dietro, lasciandola cadere in acqua e tuffandosi tutte insieme a ripigliarla e accapigliandosi a ripigliarla ognuna prima delle altre, in mischie arruffate e schiumeggianti, fra contorsioni e sventagliate di code e becchi che si puntavano per aria, gettando risolini di denti.
Spinti dalla curiosità, erano andati accostando da quella parte e le fere, che se n'erano scandalìate da chissà quanto tempo, avevano allora lanciato quella specie di palla più in là, senza smettere però la pomponella, spostandosi solo di mare: in quel punto di mare che esse avevano sgomberato della loro presenza, apparve allora ai loro occhi il verdone e capirono, vedendolo che era la sua coda quell'affare che si palleggiavano.  Spinti dalla curiosità, erano andati accostando da quella parte e le fere, che se n'erano scandaliate da chissà quanto tempo, avevano allora lanciato quella specie di palla più in là, senza smettere però la pomponella, spostandosi solo di mare: in quel punto di mare che esse avevano sgomberato della loro presenza, apparve allora ai loro occhi il verdone e capirono, vedendolo, che era la sua coda quell'affare che si palleggiavano.
Smorfiose, perfide, maligne, si erano trattenute intorno al disgraziato, a sollazzarsi con la sua coda, sbattendogliela contro i denti, schifandogliela davanti; a fargli, insomma, le mattane dopo la mutilazione. Lui stava a bocca aperta, il terribilissimo, solitario micidiatore, coi denti a sega sotto bava e schiuma: tutto sminchiato, preso dai turchi, girava intorno i tremendi occhi, persi, smarriti, derelitti. Galleggiava pesantemente, affondato a metà, come un natante che imbarca acqua, un natante a cui una tempesta strappò il timone, e non navigherà mai più e andrà come un relitto alla deriva. Quel verdone scodato non lascerà mai più la superficie, mai più si sommergerà, sarà schiavo del sole e della mutevolezza del mare, ora andrà travolto nelle burrasche sbattuto e rovesciato dai cavalloni, ora resterà come inchiodato sulle onde in bonaccia; arriveranno, attirate dal suo fetore, le mosche cavalline e non se ne allontaneranno più, levandosi e posandosi dalla piaga del suo moncone: puzzerà tanto, da appestare il mare per miglia intorno, ma morrà difficilmente in conseguenza della cancrena. Non morrà così presto: prima resterà esposto al crudo capriccio di ogni più vile e mignunara specie di assalitori, ladricelli di strada, immondezzari, minutaglia di pesci come la sarda che prima non erano né grandi, né vivi abbastanza perché il suo occhio si degnasse di vedere che esistevano. Le barbare l'avevano scodato e poi, per sfantasiarsi, gli si erano trattenute intorno a sollazzarsi con la sua coda, sbattendogliela contro, schifandogliela, facendogli insomma, dopo la mutilazione, mattane e martirii. Lui stava con la testa un poco sollevata dall'acqua, a bocca aperta, il terribilissimo, solitario micidiatore, coi denti a sega sotto bava e spuma: tutto sminchiato e come pigliato dai turchi, girava intorno i tremendi occhi, persi, smarriti, derelitti. Galleggiava pesantemente, affondato a metà, come un natante che imbarca acqua, un natante a cui una tempesta strappò il timone, e non navigherà mai più e andrà come un relitto alla deriva. Quel verdone scodato non lascerà mai più la superficie, mai più si sommergerà, sarà schiavo del sole e della mutevolezza del mare, ora lo sconquasseranno le burrasche, sbattuto e rovesciato dai cavalloni, ora resterà come inchiodato sulle onde in bonaccia; arriveranno, attirate dal suo fetore, le mosche 433 cavalline e non se ne allontaneranno più, levandosi e posandosi dalla piaga del suo moncone: puzzerà tanto, da appestare il mare per miglia intorno, ma morrà difficilmente in conseguenza della cancrena. Non morrà così presto: prima, resterà esposto al crudo capriccio di ogni più vile e mignunara specie di assalitori, ladricelli di strada, immondezzari, minutaglia di pesci come la sarda, che prima non erano né grandi né vivi abbastanza perché il suo occhio si degnasse di vedere che esistevano.
Quelle pulci armate di dentuzzi a spillo, e non ve n'è di più taglienti 283 e sbrigativi, sarda e consimile minutaglia, non si sforzeranno nemmeno, non avranno nemmeno bisogno di addentare la sua pelle dura e grisposa come la carta vetrata: dal moncone della coda, morso a morso, sempre nel tenero, lo apriranno, lo scaveranno, gli arriveranno sino al cuore. A centinaia a centinaia, si precipiteranno intorno a lui e ognuno gli porterà via un pezzetto di carne, anche sazi, torneranno ad addentare quello che resta di lui e ne verranno sempre di nuovi, anche solo per un assaggio, per simbolo, perché lui è l'inaccostabile, terrorizzante verdone: ma per quanto numerosi, incarogniti e lesti, la sua agonia non sarà mai breve, la sua morte mai abbastanza rapida. Quelle pulci armate di dentuzzi a spillo, e non ve n'è di più taglienti e sbrigativi, sarda e consimile minutaglia, non si sforzeranno nemmeno, non avranno nemmeno bisogno di addentare la sua pelle dura e grisposa come la carta vetrata; dal moncone della coda, morso a morso, sempre nel tenero, lo apriranno, lo scaveranno, gli arriveranno sino al cuore. A centinaia a centinaia, si precipiteranno intorno a lui e ognuno gli porterà via un pezzetto di carne; anche sazi, torneranno ad addentare quel che resta di lui e ne verranno sempre di nuovi, anche solo per un assaggio, per simbolo, perché lui è, era, l'inaccostabile, terrorizzante verdone: ma per quanto numerosi, incarogniti e lesti, la sua agonia non sarà mai breve, la sua morte mai abbastanza rapida.
Guardandolo, però, si sarebbe detto che neanche a essere mangiato vivo, avrebbe sofferto più di quanto soffriva, in quel momento per lo scherno delle fere che giocavano a carambola con la sua coda, e chissà che avrebbe dato per nuotare un'ultima volta verso quelle sue carnefici.
Quando non le aveva di fronte, perché le onde, come sopra un perno, lo muovevano lentamente intorno, storceva gli occhi da quella parte, e allora non si capiva se era la sua coda che lo richiamasse, gridandogli dal suo sangue "aiuto, aiuto", oppure se era lui che la cercava e non la trovava, ed era questo, forse, il fatto che più doveva disorientarlo, era di sentirsi scodato e d'essere ancora in vita. Nei grandi, terribili sforzi che faceva per disincagliarsi dalla immobilità, riusciva a imprimere al suo moncone uno scodinzolìo, che appena appena si vedeva e come fatto col didietro, una mossa svergognata, quasi d'infemminato.
Guardandolo, però, si sarebbe detto che neanche a esser mangiato vivo, avrebbe sofferto più di quanto soffriva, in quel momento, per lo scherno delle fere che giocavano a carambola con la sua coda, e chissà che avrebbe dato per nuotare un'ultima volta verso quelle sue carnefici. Quando non le aveva di fronte, perché le onde, come sopra un perno, lo muovevano lentamente intorno, storceva gli occhi da quella parte, e allora non si capiva se era la sua coda che lo richiamasse, gridandogli dal suo sangue aiuto, aiuto, oppure se era lui che la cercava e non la trovava, ed era questo, forse, il fatto che più doveva disorientarlo, era di sentirsi scodato e d'essere ancora in vita. Nei grandi, terribili sforzi che faceva per disincagliarsi, riusciva a imprimere al suo moncone uno scodinzolio, che appena appena si vedeva e come fatto col didietro, una mossa svergognata, quasi d'infemminato.
Qualche volta le onde gli si rovesciavano sopra coprendolo tutto, e allora forse doveva temere di affondarsene come peso morto, perché insorgeva e lottava impotentemente col muso dentuto e scattoso, frantumandosi l'acqua davanti come una lastra di ghiaccio che lo imprigionava: in quell'attimo, pareva tornato all'antico, feroce splendore di quando aveva ancora la coda  nel momento in cui s'avventava come un fulmine di silenzio sulla sua preda. Ma dopo quel breve scompiglio, più grande e più tremenda appariva l'impotenza di quel troncone, il tragico e il ridicolo che erano nel corpo scodato di un solennissimo "squadro". La vita medesima, allora, cogli occhi gonfi e sbalorditi del verdone, sembrava guardare stralucendo il mare immenso, da una distanza sempre meno calcolabile per lui, intorno a lui, come lo comparasse alla misera goccia che s'era ridotto sotto di lui, a quello sputo su cui si sarebbe incarognito. Aveva ancora denti e ferocia, astuzia e forza, ma non aveva più la coda, ed era come dire che non aveva più niente. Scodato, era nessuno mischiato con niente: la sua fortuna, la sua scabrosa imperiosità, dipendevano dalla coda, principio del suo vivere - anche se non della sua vita - e principio del suo morire - anche se non della sua morte. Si pensava, guardandolo, che ci fosse qualcosa di 284 terribilmente ingiusto e sbagliato nel fatto che dovesse vivere ancora; perché il troncamento di coda non era al contempo troncamento di vita per lui? Qualche volta, le onde gli si rovesciavano sopra coprendolo tutto, e allora forse doveva temere di affondarsene come pesomorto, perché insorgeva e lottava impotentemente col muso dentuto e scattoso, frantumandosi l'acqua davanti come una lastra di ghiaccio che lo imprigionava: in quell'attimo, pareva tornato all'antico, feroce splendore 434, di quando aveva ancora la coda, di quando s'avventava, come un fulmine di silenzio, in fragore sulla sua preda. Ma dopo quel breve scompiglio, più grande e più tremenda appariva l'impotenza di quel troncone, il tragico e il ridicolo che erano nel corpo scodato di un solennissimo squadro. La vita medesima, allora, cogli occhi goffi e sbalorditi del verdone, sembrava guardare stralucendo il mare immenso, da una distanza sempre meno calcolabile per lui, intorno a lui, come lo comparasse alla misera goccia, che si era ridotto sotto di lui a quello sputo su cui si sarebbe incarognito. Aveva ancora denti e ferocia, astuzia e forza, ma non aveva più la coda, ed era come dire che non aveva più niente. Scodato, era nessuno mischiato con niente: la sua fortuna, la sua scabrosa imperiosità, dipendevano dalla coda, principio del suo vivere, anche se non della sua vita, e principio del suo morire, anche se non della sua morte. Si pensava, guardandolo, che ci fosse qualcosa di terribilmente ingiusto e sbagliato nel fatto che ancora vivesse: perché il troncamento di coda non era al contempo troncamento di vita per lui?
Sulla palamitara si erano zittiti tutti. Poi tutti insieme, tutti con lo stesso pensiero, si erano trovati a remare accanto al verdone. Mentre Federico Scoma lo mirava con la fiocina per dargli il colpo di grazia, il verdone li fissava tutti, uno per uno e nessuno, coi suoi occhi pietrosi, gli occhi di chi non pratica pietà cogli altri e non la chiede per sé. All'ultimo istante, come avvertisse il pericolo, si sforzò ancora di smuovere il suo mozzicone di coda con la pelle a brandelli e la carne sanguinante e schiumata di salsedine. Pareva che lo smuovesse coi denti ma quando Federico gli piantò la fiocina dentro il collo e si ribellò in un morire impressionante, scattoso, fu capace, quel mozzicone di coda, di sbatterla avanti, indietro, fracassandosi quel poco di mare che gli era rimasto di sotto e che gli alzò intorno in un ribollore di schiuma. Quella macchia tempestosa di salsedine spiccava sulla distesa verde e azzurra come uno sfogo furente e miserioso di impotenza. Poi la carogna scodata ricomparve fra le ultime bolle bavose di schiuma e sembrava che la bava del mare fosse la sua stessa bava.
Le fere - c'era bisogno di dirlo? - dopo esserselo goduto tutto, levandosi di mano quel trofeo di coda, svolìarono via, passando ad altro.
Sulla palamitara si erano zittiti tutti. Poi tutti insieme, tutti con lo stesso pensiero, si erano trovati a remare accanto al verdone. Mentre Federico Scoma lo mirava con la fiocina per dargli il colpo di grazia, il verdone li fissava tutti, uno per uno e nessuno, coi suoi occhi pietrosi, gli occhi di chi non pratica pietà cogli altri e non la chiede per sé. All'ultimo istante, come avvertisse la fine, si sforzò ancora di smuovere il suo mozzicone di coda con la pelle a brandelli e la carne sanguinante e schiumata di salsedine: pareva che lo smuovesse coi denti, ma a malapena si vedeva che lo smuoveva. Quando però Federico gli piantò la fiocina dentro il collo e si ribellò in un impressionante morire scattoso, fu capace, quel mozzicone di coda, di sbatterlo avanti, indietro come una mazza, fracassando quel poco di mare che gli era rimasto di sotto e che gli alzò intorno in un ribollore di schiume. Quella macchia tempestosa di salsedine spiccò per un momento ai loro occhi contro la smisurata curvatura marina, bluastra, verde e azzurra, come uno sfogo, misero e furente di impotenza. Poi, la carogna scodata ricomparve fra le ultime bolle di schiuma tra le sue bave confuse alla bava del mare.
Era quel verdone scodato, che ora gli veniva in parabola per suo padre. C'era una sola differenza ed era che il verdone per sua disgrazia o sua fortuna, non si poteva sfantasìare a fare l'opera che faceva suo padre, illudendosi di potersi riattaccare la coda con gli sputi di saliva che gli veniva in bocca a furia di sparlarsi da solo.
Ecco qui infatti: mentre il verdone, perduta la coda, era questione di tempo e perdeva anche la vita, a suo padre, invece, a prestargli orecchio, là, nella "camera per dormire", la coda gli era rispuntata, cioè a dire, a furia di spremersi sopra quella veste viola e farsi sudare sangue nel palmo delle mani, a furia di scavare come un cane dentro le ossa insabbiate di quella siluette, a furia e a furia di bramarla e di sfantasìarla, da tutto questo impasto di sabbia e di polvere, di respiri e sudori, di desideri e di sangue, da questo impasto fangoso di gelo e di calore, di morte e di vita, gli era rispuntata dal fianco la moglie.
Era quel verdone scodato, che gli veniva in parabola per suo padre. C'era una sola differenza ed era che il verdone, per sua disgrazia o sua fortuna, non si poteva sfantasiare a fare l'opera che faceva suo padre, illudendosi di potersi riattaccare la coda con gli 435 sputi di saliva che gli venivano in bocca a furia di sparlarsi da solo. Ecco qui infatti: mentre il verdone, perduta la coda, perdeva issofatto anche la vita, perché il suo dio si scapricciò a farlo senza pinne di galleggiamento, dimodoché lo sventurato micidiatore solo a quel prezzo, col muoversi continuamente, tenendosi a summo col tictac della coda, che si muove come da sola anche di notte quando dorme, si tiene a galla; a suo padre, invece, a prestargli orecchio, là, nella cameraperdormire, sembrava che la coda gli fosse rispuntata, o per meglio dire, a furia di spremersi sopra quella veste viola e farsi sudare sangue nel palmo delle mani scavando come un cane dentro le ossa insabbiate di quella siluette, a furia e a furia di bramarla e sfantasiarla, da tutto questo impasto di sabbia e di polvere, di respiri e sudori, di desideri e di sangue, da questo impasto fangoso di gelo e di calore, di morte e di vita, gli era rispuntata dal fianco la moglie
A furia di tutto quello, ma a furia, in specie, di battibecco e di accapigliamento con Nasodicane muta: poteva mai arrivarci il verdone? poteva mai concepire di giostrarsi a chiacchiere con le sue Nasodicane, le fere, per riavere indietro, anche se in temporanea riconquista, la sua coda? e concepire, poi, che la coda attaccata con uno sputo gli potesse funzionare come prima? Ora, a furia di questo: di tutto questo cristiano, barbaro miscuglio, ma a furia anche e in specie di battibecco e accapigliamento con Nasodicane muta, il verdone, poteva mai arrivarci il verdone? poteva mai concepire di giostrarsi a chiacchiere con le sue Nasodicane, le fere, per riavere indietro, anchese in temporanea riconquista, la sua coda? e concepire, poi, che la coda, attaccata con uno sputo, gli potesse funzionare come prima?

Suo padre, invece, se la giostrava a piacere suo, Nasodicane, se la faceva indispensabile. Tornava a dire che se n'era scandalìato subito, 285 ancora carusino, e se n'era sempre più persuaso col tempo, che per abboccarsi con l'Acitana, suo padre non poteva fare a meno di apparolarsi prima con la sua guardiana Nasodicane e improperiarla della meglio: questo forse gli serviva per infiammarsi al vivo della cosa e superare il punto morto che c'era fra lui e l'Acitana. Suo padre, invece, se la giostrava a piacere suo, Nasodicane, se la faceva indispensabile. Tornava a dire che se n'era scandaliato subito, ancora muccusello, e se n'era sempre persuaso col tempo, che per abboccarsi con l'Acitana, suo padre non poteva fare a meno di apparolarsi prima con la sua guardiana Nasodicane, gettandole ingiurie e improperiandola a levapelo e questo, tornava a dire, doveva servirgli per infiammarsi al vivo della cosa e superare il punto morto che c'era fra lui e l'Acitana.
Doveva aggiungere poi che col tempo gli sembrò che suo padre prendesse vero gusto, proprio un gusto a parte, a fare l'opera con Nasodicane e per dirla francamente, qualche volta ebbe la stranissima impressione che Caitanello, la parte più bella e appassionata della sua amanteria per l'Acitana la mettesse negli accenti sprezzanti e ingiuriosi che sapeva trovare per Nasodicane, come se non fosse più la ragione del contendere che lo ispirava, ma il contendere. Doveva aggiungere poi che col tempo gli sembrò che suo padre prendesse vero gusto, proprio un gusto particolare che non aveva niente a che vedere con quello che si pigliava con l'Acitana, a fare quella pantomima con Nasodicane: anzi, per dirla francamente, qualche volta ebbe la stranissima impressione che Caitanello, la parte più bella e appassionata della sua amanteria per l'Acitana, la mettesse negli accenti sprezzanti e ingiuriosi che sapeva trovare per Nasodicane, 436 come se non fosse più la ragione del contendere che lo ispirava, ma il contendere.
Ma lui, e lo aveva già confessato, aveva avuto immediata l'impressione che Nasodicane non contendesse per niente, e anzi, a orecchio, si sarebbe detto che condiscendesse, e non solo per il fatto che non pigliava mai parola, ma perché, alla conclusione dell'opera, Caitanello otteneva sempre il suo scopo. E ottenuto lo scopo, allorché aveva l'Acitana al suo fianco, Nasodicane fingeva di ignorarla sprezzantemente.
«Assèttati le quattr'ossa»  le diceva certe volte a sfottò. Oppure, all'opera fatta faceva un'aggiunta, uno svolazzo malandrino, e la scacciava fuori dalla stanza:
«Avanti, march, fila, tacchìa», le ordinava. «Fuori, fuori. Levaci il disturbo. Fuori, dietro la porta, aspetta là, se vuoi. Avanti, march».
Ma lui, e lo aveva già confessato, aveva avuto immediata l'impressione che Nasodicane non contendesse per niente, e anzi, a orecchio, si sarebbe detto che condiscendesse, e non solo per il fatto che non pigliava mai la parola, ma perché alla conclusione dell'opera, Caitanello otteneva sempre il suo scopo. E ottenuto lo scopo, allorché aveva l'Acitana al suo fianco, Nasodicane fingeva di ignorarla sprezzantemente. Assèttati le quattr'ossa, le diceva certe volte a sfottò. Oppure, alla pantomima che aveva già fatta, faceva un'aggiunta, uno svolazzo malandrino, e la scacciava fuori dalla stanza. Avanti, march, fila, tacchìa, le ordinava. Fuori, fuori. Levaci il disturbo. Fuori, dietro la porta, aspetta là, se vuoi. Avanti, march.
A sentirlo, chi non l'avrebbe creduto che l'aveva incavallata e che Nasodicane l'obbedisse immantinente, andandosene fuori, dietro la porta, con la coda fra le gambe come un cane, come un nasodicane bastonato? A sentirlo, chi non l'avrebbe creduto che l'aveva incavallata e che Nasodicane l'obbedisse immantinente, andandosene fuori, dietro la porta, con la coda fra le gambe come un cane, come un nasodicane bastonato?
Giudicando dal di fuori, spassionatamente, doveva francamente dire che lui allora si vergognava per questa sblasata di suo padre. Provava una vera pena per Nasodicane che riteneva ingiustamente vilipesa: e se la immaginava, mentre usciva dalla "camera per dormire" e passava accanto a lui, nascosto sotto la coperta, fra le sedie del suo letto, se la immaginava cogli occhi bassi, avviliti, del cane da guardia che non aveva in fondo altra colpa che questa, di fare il cane da guardia all'Acitana. Ma forse s'opponeva a Caitanello? S'avventava contro? Gli abbaiava? Gli ricusava mai il purparlere con l'Acitana? Faceva il cane da guardia per figura, poco mancava che la pigliassero a calci. Giudicando dal di fuori, spassionatamente, doveva francamente dire che lui allora si vergognava per questa sblasata di suo padre. Provava una vera pena per Nasodicane che riteneva ingiustamente vilipesa: e se la immaginava, mentre usciva dalla cameraperdormire e passava accanto a lui, nascosto sotto la coperta, nel suo letto frale sedie, se la immaginava cogli occhi bassi, avviliti, del cane da guardia che non aveva, in fondo, altra colpa che questa, di fare il cane da guardia all'Acitana. Ma forse s'opponeva a Caitanello? Si avventava contro? Gli abbaiava? Gli ricusava mai il purparlé con l'Acitana? Faceva il cane da guardia per figura e poco mancava che la pigliasse a calci.
Adesso, per Nasodicane, non provava più né dispiacere né spiacere e questo invece, dispiacere e spiacere, lo provava tutto per suo padre, che si faceva rispuntare la coda e con quella coda era come quelli che, per un fenomeno di natura, la coda ce l'hanno veramente, una punta, uno spuntone, in fondo alla spina dorsale. Hanno la forza di Sansone, però devono guardarsi dal farsi pigliare per quella punta, perché, afferrati là, diventano debolissimi, si sentono come se ogni spirito di 286 vita li lasciasse e uno che li volesse male, conoscendone il debole, li può mettere in ginocchio,e farli stramazzare a terra con un sol dito.«» Ora, per Nasodicane, non provava più né dispiacere né spiacere e questo, invece, dispiacere e spiacere, lo provava tutto per suo padre, che si faceva rispuntare la coda e con quella coda era come quelli che, per un fenomeno della natura, la coda ce l'hanno veramente, una punta, uno spuntone, in fondo alla spina dorsale. Hanno la forza di Sansone, però devono guardarsi dal farsi pigliare per quella punta, perché afferrati per là, diventano debolissimi, si sentono come se ogni spirito di vita li lasciasse e uno che li volesse male, conoscendone il debole, li può mettere in ginocchio, farli stramazzare a terra con un sol dito.

Cominciava a pensare che donna Rosalia Orioles c'era andata vicino scambiandolo per un fantasma. Girava e rigirava attorno al villaggio, come un'anima in pena, che prima di essere ammessa in una di quelle case, aveva quel pegno da pagare: rivivere il passato, quella che fu la sua vita a fianco di quel padre, e questo forse era il pegno che doveva pagare perché tornava vivo dalla guerra e, vivere, quello era, quello gli costava.
437 Cominciava a pensare che donna Rosalia Orioles c'era andata vicino scambiandolo per un fantasma. Girava e rigirava attorno al villaggio, come un'anima in pena, che prima di essere ammessa in una di quelle case, aveva quel pegno da pagare: rivivere il passato, quella che fu la sua vita a fianco di quel padre, e questo forse era il pegno che doveva pagare perché tornava vivo dalla guerra e vivere, quello era, quello gli costava.
A quello scopo, la casa di suo padre gli faceva da conchiglia.  Se ci poggiava l'orecchio, gli pareva di sentire che per lui risollevava i venti caduti ormai per sempre nel suo medesmo petto, che risoffiava il verso di una vita che non era più vita, e non era ancora morte, ed era un accorante sentire, come è d'un vento quando cade senza riparo e sul nuovo vento che s'è alzato, fa quella mossa infelice di tornare a soffiare e resta un aborto pietoso: come nel grande scirocco di "levante e ponente", quello sghiribizzo incredibile di boria, fina fina, col fiato in gola, che piglia il grecale di tornare, da Malta o dalle Isole, sullo scill'e cariddi, dove fu allora allora detronizzato da quell'africano a doppia faccia, e soffio sopra soffio, s'asfissia nello scirocco, schiacciandosi sopra il mare, come una quaglia sfinita dal vento contrario. A quello scopo, la casa di suo padre gli faceva da conchiglia.  Se ci poggiava l'orecchio, gli pareva di sentire che per lui risollevava i venti caduti ormai per sempre nel suo medesimo petto, che risoffiava il verso di una vita che non era più vita, e non era ancora morte, ed era un accorante sentire, come è d'un vento quando cade senza riparo e sul nuovo vento che s'è alzato, fa quella mossa infelice di tornare a soffiare e resta un aborto pietoso: come nel grande scirocco di levante e ponente, quello sghiribizzo incredibile, di boria finafina, col fiato in gola, che piglia in grecale quando presume di tornare, da Malta o dalle Isole, sullo scill'e cariddi, dove fu allora allora detronizzato da quell'africano a doppia faccia, e soffio sopra soffio, si asfissia nello scirocco, schiacciandosi sopra il mare, come una quaglia sfinita dal vento contrario.
Girò ancora una volta, rasente a tutte quelle pareti di case che parevano, quasi attaccate l'una all'altra, come una cerchia ininterrotta di mura traspiranti di fiati di addormentati, dove c'era chi si lagnava in sonno, chi mandava esclamazioni e sgridava di paura, chiamava, invocava qualcuno, entrando e uscendo da visioni.  Girò ancora una volta, rasente a tutte quelle pareti di case che parevano quasi attaccate l'una all'altra, come una cerchia ininterrotta di mura traspiranti di fiati di addormentati, dove c'era chi si lagnava in sonno, chi mandava esclamazioni e gridava di paura, chi chiamava, invocava qualcuno, entrando e uscendo da visioni. 
Il lume era ancora spento nella "camera per dormire". Origliò alla parete, non sentì niente, ma dopo un poco Caitanello cominciò a sospirare, macinandosi il petto, come avesse basole di lava. Sospirò, sospirò e poi con una stranissima alterazione di voce, come se la sminuisse al femminino, parlò e disse una sola parola ma famosa:
«Granvisire...».
Il lume era ancora spento nella cameraperdormire. Origliò alla parete e non sentì niente, ma dopo un poco, Caitanello cominciò a sospirare macinandosi il petto, come avesse sopra basole di lava. Sospirò, sospirò e poi con una stranissima alterazione di voce, una voce come di femminomo, strozzata al femminino, quasi un filo, un fildiferro tremolante, parlò e disse una sola parola, una, ma famosa:
« Granvisire... »
"Granvisire", era una parola famosa anche per lui. Quando la sentiva dall'antistanza: ecco, pensava, cominciano i conciliaboli. "Granvisire", infatti, era l'appellativo con cui l'Acitana lo apostrofava e che gli riserbava per quelle occasioni. Granvisire, era una parola famosa anche per lui. Quando la sentiva dall'antistanza: ecco, pensava, cominciano i conciliaboli. Granvisire, infatti, era l'appellativo con cui l'Acitana lo apostrofava e lo riserbava come un lusso raro per le epoche di carestia, di miseria.
Ora, doveva pensare, Caitanello si rifaceva a mano pure quella, s'illudeva. Granvisire era una parola splendida, detta di bocca dall'Acitana, s'incantesimava quando gliela sentiva pronunciare dall'altra parte del tramezzo e si svegliava nel buio come in una Mille e una notte. Ora, però, lo spoetizzò sulla bocca di suo padre: ma non era tanto la 287 parola, quanto lui che gli faceva senso con la voce smorfiata alla femminina, una voce talmente ingaglioffita, dell'uomo che non è uomo, che c'era d'arrossirne. Ora però, andava sentendo, Caitanello si rifaceva a mano pure quello, ma s'illudeva, glielo garantiva lui. Granvisire era una parola splendida, detta di bocca dell'Acitana, e lui muccusello s'incantesimava 438 quando gliela sentiva pronunciare dall'altra parte del tramezzo e si svegliava come si trovasse dentro tenebre 'nfatate. Ora però, quella magnificenza d'appellativo, lo spoetizzava sulla bocca di suo padre: ma non era tanto la parola, quanto lui che gli faceva senso con la voce smorfiata al femminino, una voce talmente ingaglioffita, dell'uomo che non è uomo, e c'era d'arrossirne.
Si limiterà all'appellativo, pensò. Sentirà che l'Acitana non c'entra per niente con questa specie di pelodiverme che gli esce di gola? Sentirà che quella vocetta agra e magra, di vecchia sdentata o di vava in fasce, sa più di fera che d'Acitana? Ma, se parlava, poteva contempo sentire? Se sentiva, non sentiva certamente con l'orecchio; e con quello con cui sentiva in quel momento doveva essere convintissimo di smorfiarla alla perfezione la voce dell'Acitana, doveva credersi che l'apostrofasse lei in persona, con la sua intonazione acitana, amabile e un poco neghittosa e sfottentina: Granvisire e quello che gli rappresentava. Si limiterà all'appellativo, pensò. Sentirà che l'Acitana non c'entra per niente con questa specie di pelodiverme che gli esce di gola, sentirà che quella vocetta, agra e magra, di vecchia sdentata o di vava in fasce, sa più di fera che d'Acitana. Sentirà, sentirà, ma se parlava, poteva al contempo sentire? Se sentiva, non sentiva certamente con l'orecchio; e con quello con cui sentiva in quel momento, doveva essere convintissimo di smorfiarla alla perfezione la voce dell'Acitana, doveva credere che l'apostrofasse lei in persona, con alsua intonazione acitana, amabile e un poco neghittosa e sfottentina; e forse si rivedeva ancora Granvisire e quello che allora questo appellativo gli rappresentava.
Con "Granvisire", con questa parola maga, l'Acitana lo rivestiva da Millunanotte, con sbuffi di seta, di fibbie e babbucce trapunte e dorate, con scimitarra damascata, con valore e onore; con questa apostrofe, gli carezzava il pelo arruffato dalle contrarietà: gliela gettava qua e là come un balsamo, come quando, per polpi, rivariva, si stilla olio d'oliva una goccia qua, una là, nella scogliera, e le acque scuree agitate s'illimpidiscono e quietano e allora si può guardare pofondo, così chiaro, che pare d'esserci. Con Granvisire, con questa parola maga, l'Acitana se lo favoleggiava in bocca, lo rivestiva da Millunanotte, con sbuffi di seta, con fibbie e babbucce trapunte e dorate, con scimitarra damascata, con valore e onore, con beni sontuosi di fortuna, con meriti in gran copia, con pregi personali illustri, con imprese da andare alle stampe. Con questa apostrofe, gli carezzava il pelo arruffato dalle contrarietà: gliela gettava qua e là come un balsamo, come quando, per polpi, rivariva, si stilla olio d'oliva, una goccia qua, una là, nello scoglioso, e le acque, torbide e agitate dalla maretta, s'illimpidiscono e quietano e allora si può guardare pofondo, così chiaro, che pare d'esserci.

Poi, quello che temeva, successe, perché Caitanello non si limitò a "Granvisire".
«Granvisire? Granvisire?», riprese a dire la vocetta gaglioffa, scoglionata. «Che avete da sospirare tanto pietroso? Che ambascia vi tiene, che dolidoli? Non volete che vi sgravo, Granvisire? Ditemi, ditemi... Non la fate degna di confidenza, 'sta femminella vostra?».
Poi, quello che temeva, successe, perché Caitanello non si limitò a Granvisire.
« Granvisire? Granvisire? » ripigliò a dire la vocetta gaglioffa, scoglionata. « Che avete da sospirare tanto pietroso? Che ambascia vi tiene, che dolidoli? Non volete che vi sgravo, Granvisire? Ditemi, ditemi... Non la fate degna di confidenza, sta femminella vostra? »
Il senso che faceva. Le aveva sentite anche lui, non sapeva quante volte, quelle parole, dette a suo tempo, da chi andavano dette: e ora, a sentirle, smorfiate da suo padre con quella vocetta di fera, era per lui come se la vera voce di sua madre fosse anch'essa allora, sotto sotto, un poco smorfiosa un poco di fera. Il senso che faceva. Le aveva sentite anche lui, non sapeva quante volte, quelle parole, dette a suo tempo, da chi andavano dette: e ora, a sentirle smorfiate da suo padre con quella vocetta di fera, era per lui come se la vera voce di sua madre fosse allora, sotto sotto, un poco smorfiosa, un poco di fera.
Per la madò, di tutto 'st'organo e argano abbisognava, ora, per quagliare con l'Acitana? Di stimoli e d'espedienti, di veste e voce, di nappe e di nappine? Questo gli portava la vecchiaia? L'intimità un poco spubblicata? L'Acitana alterata? Questo senso aveva per lui la vecchiaia? Questo senso di fera che era per aria, nella camera, nella voce, nella mente? 439 Per la madò, di tutto st'organo e argano abbisognava ora per quagliare con l'Acitana: di stimoli e d'espedienti, di veste e voce, di nappe e di nappine? Questo gli portava la vecchiaia: l'intimità un poco spubblicata? l'Acitana alterata? questo senso di fera che era per aria, nella camera, nella sua voce e nella sua mente?
Sentì che ritornava di voce mascolina: scatarrava armeggiando con le corde grosse della sua voce di natura, diceva ma non era perché si rinsaviva, bensì per dire la sua: «Io, signora, Granvisire? Un tale miserabile lo scambiaste per Granvisire?».
E poi, subito, intrafelandosi, tornò a ingaglioffirsi al femminino: 288
«Granvisire, Granvisire, ve lo giuro...», replicò per bocca sua l'Acitana.
Sentì che ritornava di voce mascolina: scatarrava, armeggiando con le corde grosse della sua voce di natura, ma non era perché si rinsaviva, bensì per dire la sua, cioè a dire, saliva di scena lui, entrava nella parte del maschio per rispondere all'Acitana:
« Io, signora, Granvisire? Un tale miserabile lo scambiaste per Granvisire? »
E poi, subito intrafelandosi, tornò a ingaglioffirsi al femminino:
« Granvisire, Granvisire, ve lo giuro... » replicò per bocca sua l'Acitana.
A questo punto, quella voce da femminomo lo soverchiò e allora s'allontanò ancora, per fare un altro giro. Non c'era più dubbio ormai: Caitanello sarebbe andato avanti a quel modo sempre più dentro nei conciliaboli dove era stato Granvisire, con quella voce a maschio e femmina, marito abboccato a moglie, moglie abboccata a marito... E qui d'improvviso come gli si rivelasse l'arcano, capì che era quello il bello che doveva vederci suo padre in quella voce, capì che per quello se la ingaglioffiva senza vergogna: per il fatto che doveva sembrargli di abboccarsi come mai con l'Acitana, come mai così, come due anime in un corpo. A questo punto, quella voce da femminomo lo soverchiò e allora s'allontanò ancora, per fare un altro giro. Non c'era più dubbio ormai: Caitanello sarebbe andato avanti a quel modo sempre più dentro nei conciliaboli dove era stato Granvisire, con quella voce a maschio e femmina, marito abboccato a moglie, moglie abboccata a marito... E qui d'improvviso, come gli si rivelasse l'arcano, capì che era quello il bello che doveva vederci suo padre in quella voce, capì che per quello se la ingaglioffiva senza vergogna: per il fatto che doveva sembrargli di abboccarsi come mai con l'Acitana, come mai così, come due anime in un corpo.

Il Granvisire arrivava sempre con la carestia di mare, di malotempo.
Per giorni e giorni i pelli-squadre sprovavano il mare in lungo e in largo, in superficie e in profondo, pescando sempre meno, sempre peggio. Scompariva il pesce di valore: ricciola, dentice o cernia, scompariva il pesce di sostanza: palamiti, alalonghe, tonni, runghi; scompariva il pesce medio: tonnacchiolo, murena; scompariva il "quattro un soldo": cefalo, sauro o pisintuni; scompariva alla fine la spatola, e quello era il segno più brutto.
La spatola è la fortunella dello scill'e cariddi, il folletto per casa, il boccone indispensabile che non si fa desiderare mai e per quanto deprezzata dai riatteri, lunga, stretta e argentea, anche a pescarne una, quella sola basta, arrotolata, a riempire occhi e gistra.
Il Granvisire arrivava sempre con la carestia di mare, di malotempo.
Per giorni e giorni i pellisquadre sprovavano il mare in lungo e in largo, in sopra e in sotto, pescando sempre peggio, sempre meno. Scompariva il pesce di valore: ricciola, dentice o cernia; scompariva il pesce di sostanza: palamiti, alalonghe, tonni, arunghi; scompariva il pesce medio: tonnacchiolo, murena; scompariva il quattro un soldo: cefalo, sauro, o sgombro; scompariva alla fine la spatola, e quello era il segno più brutto. Argentata, larga le dita di una mano, lunga da mezzo metro a più d'un metro, di sapore appetente anche se saziante, la spatola è la fortunella dello scill'e cariddi, il folletto per casa, il boccone indispensabile che non si fa desiderare mai e per quanto disprezzata dai riatteri per il fatto, appunto, che si 440 mangia semre e la gente si stufa, anche a pescarne una, quella sola basta, arrotolata, a riempire occhi e gistra.

Quando la spatola manca, allora il pelle-squadra si speranza, quello è segno che la caretia sdiregnò ogni pesce cristiano. Il pelle-squadra s'attacca al pescebestino: un pesce-palumbo o un pesce-vacca diventano sopraffinerie, portarne uno a terra, fare una bravura. Ma dal pesce-palumbo al pesce-vacca, s'arriva al bestino in pietra, al pescecane, a quel tale verdone, quel tale squadro, a quel rusticone di modi, col naso sempre che gli fete. Ma bisogna arrivarci, al verdone, mettergli le mani sopra non è come fumarsi una sigaretta. Però, i pelli-squadre sanno che ce ne sono di quelli che non sono impossibili a tentarci, non si rischia la vita. Sono verdoni coi giorni contati, i verdoni che dopo ogni passa, si vedono in giro con l'osso dello spada che li attraversa da parte a parte: vivi che muoiono manmano che gli va in cancrena la spada che il valoroso puddicinedda gli lasciò dentro, morendo.  Quando la spatola manca, allora il pescatore si speranza, quello è segno che la caretia sdiregnò ogni pesce cristiano. Il pellesquadra s'attacca allora al pescebestino: un pescepalumbo o un pescevacca diventano sopraffinerie, portarne uno a terra pare gran bravura. Ma dal pescepalumbo al pescevacca, s'arriva al bestino in pietra, allo smeriglio, che sarebbe una specie lontana di pescecane ma ha la carne che pare alalonga, e poi al pescecane giusto, a quel tale verdone, quel tale squadro, a quel rusticone di modi, col naso sempre che gli fete. Ma bisogna arrivarci al verdone, mettergli le mani sopra non è come fumarsi una sigaretta. Però, i pellisquadre sanno che ce ne sono di quelli che non sono impossibili e a tentarci, non si rischia la vita. Sono verdoni coi giorni contati, i verdoni che dopo ogni passa, si vedono in giro con l'osso dello spada che li attraversa da parte a parte: vivi che muoiono manmano che gli va in cancrena la spada che il valoroso pulcinella gli lasciò dentro, morendo. «»
Ma anche questi verdoni, segnalati all'occhio dalle punte bianche d'osso che gli spuntano dai fianchi, finiscono: restano quelli sani e restano le fere, restano per dare la misura del mare deserto, dello spopolamento che fece la carestia, come corvi e cacciaventi che volteggiano sopra le carogne nelle grandi morìe. Ma anche questi verdoni, segnalati all'occhio dalle punte bianche d'osso che gli spuntano dai fianchi, finiscono: restano quelli sani e restano le fere, restano per dare la misura del mare deserto, dello spopolamento che fece la carestia, come corvi e cacciaventi che volteggiano sopra le carogne nelle grandi morìe.
289 Ma la carestia di mare, che è la carestia di mare? Cosa difficilissima a dirsi. Di fatto si sa, perdio se lo sa, ma non lo sa dire a parole, non la sa, non la può definire: perché la carestia di mare non è una maledizione che viene necessariamente per tutti in una volta per l'intero Canale e l'intero scill'e cariddi, ma può venire per un pescatore solo, una chiumma, un villaggio, e può succedere persino che nello stesso mare, nella stessissima posta e quasi stessissima goccia di mare, dove uno soffre la carestia, un altro gode di grande abbondanza. Il mare si essicca in un punto solo, la fortuna ha l'uovo storto solo per qualcuno, per certuni. Ma la carestia di mare, che è la carestia di mare? Cosa difficilissima a dirsi. Di fatto si sa, perdio se di fatto si sa, ma non si sa dire a parole, non si sa, non si può definirla: perché la carestia di mare non è una maledizione che viene necessariamente per tutti in una volta, per l'intero Canale e l'intero scill'e cariddi, perché può venire unicamente per un pescatore, una chiumma, un villaggio, e può succedere persino che nello stesso mare, nella stessissima posta e quasi stessissima goccia di mare, dove uno soffre la carestia, un altro gode di grande abbondanza. Il mare si essicca in un punto solo, la fortuna ha l'uovo storto solo per qualcuno, per certuni.

È già cominciata, anche se a terra non se ne scandaliarono ancora, quando comincia il grande mutismo dei pelli-squadre, mutismo fra di loro, fra loro e le femmine, fra le femmine e i vecchi e i carusi: e i carusi, che muoiono sennò, sulle prime si parlano cogli occhi e con le mani, e poi, per sfogarsi a parlare, o si allontanano verso le palme o se ne vanno alla spiaggetta della 'Ricchia, perché non ne possono più di tenersi in bocca quella cosa proibita che diventò la parola. È già cominciata, anche se a terra non se ne scandaliarono ancora, quando comincia il grande mutismo dei pellisquadre, mutismo fra di loro, fra loro e le femmine, fra le femmine e i vecchi e gli sbarbatelli; eppoi i muccuselli, i muccuselli che muoiono sennò, sulle prime si parlano cogli occhi e con le mani, e poi, per sfogarsi a parlare, 441 o si allontanano verso le palme o se ne vanno alla spiaggetta della 'Ricchia, perché non ne possono più di tenersi in bocca quella cosa proibita che diventò la parola.
Il primo e più impressionante segno della carestia è sempre questa generale morìa di parole e non di discorsi, ma di parlottamenti e sgridii e incitamenti del varo: "Ooo-oh! Issa a cca mo' ora!" come questi, tanto per dire, e persino degli elementari saluti, bongiorno, bonanotte, benedìcite: insomma, quel poco, stretto necessario, scambio di parole che stila il pelle-squadra, nemmeno quello si sente più e come una morìa di animali nel periodo di siccità, come il malsecco che stronca le limonare; le parole si seccano e muoiono perché non sono più abbeverate dagli argomenti, dagli argomenti chiamati pesci. Il primo e più impressionante segno della carestia è sempre questa morìa di parole, e non di parole di discorsi, ma di parlottamenti e di sgridii e incitamenti del varo: oooh... issa, mo', ora... come questi, tanto per dire, e persino degli elementari saluti, bongiorno, bonanotte, benedìcite. Insomma, quel poco, cioè lo stretto necessario scambio di parole che stila il pellesquadra, nemmeno quello si sente più, è come una morìa di animali in periodo di siccità, come il malsecco che stronca le limonare: le parole si seccano e muoiono perché non sono più abbeverate dagli argomenti, dagli argomenti chiamati pesci.
Il silenzio viene dal mare e pare, certe volte, che i pelli-squadre escano in mare solo per farne delle grandi imbarcate e di lontano, a giudicare dalla pesantezza della remata, verrebbe da credere che fecero finalmente scialibi di pesce: e poi, mentre disarmano, pare veramente di sentirlo che si rovescia sulla riva e fa un gran fracasso di taciturnità all'orecchio. Il silenzio viene dal mare e pare, certe volte, che i pellisquadre varano solo per farne delle grandi imbarcate e di lontano, a giudicare dalla pesantezza della remata, verrebbe da credere che fecero finalmente scialibi di pesce: e poi, mentre disarmano, pare veramente di sentirlo che si rovescia sulla riva e fa un gran fracasso di taciturnità all'orecchio.
Il silenzio si sprigiona di là, dalle acque incarognite, e tocca terra, entra nelle case, contagiando tutto e tutti, come un vento colloso che appuzzisce il fiato e s'attacca strettamente alle labbra, e queste si seccano e piagano come provate da una sete di mare, prolungata e incattivita dall'acqua salata: per la lingua invece, pare nutrimento ricco e malvagio, cresce, si gonfia in bocca, si muove come per scappare e col suo contatto velenoso dà bruciature al palato in tutto simile a quelle che dà la medusa, dolorosissime. Il silenzio si sprigiona di là, dalle acque incarognite, e tocca terra, entra nelle case, contagiando tutto e tutti, come un vento colloso che appuzzisce il fiato e s'attacca strettamente alle labbra, e queste si seccano e piagano come provate da una sete di mare, prolungata e incattivita dall'acqua salata: per la lingua invece, pare nutrimento ricco e malvagio, cresce, si gonfia in bocca, si muove come per scappare e col suo contatto velenoso dà bruciature al palato in tutto simile a quelle che dà la medusa, dolorosissime.
L'ultimo atto di parole dei pelli-squadre è per spiegare ai riatteri - di solito dopo tre giorni di novità Enne Enne - che per qualche tempo 290 si possono risparmiare la venuta, dato che caddero in carestia: quando sia che finisce, se gli lasciò ancora fiato in corpo, gli dànno loro una voce, a quella bella gente. L'ultimo atto di parole dei pellisquadre è per spiegare ai riatteri, di solito dopo tre giorni di: novità? enne enne, che per qualche tempo si possono risparmiare la venuta, dato che caddero in carestia: quando sia che finisce, se gli lasciò ancora fiato in corpo, gli dànno loro una voce, a quella bella gente.
Poi i pelli-squadre si ritirano dentro di loro e pare che fecero tacitamente voto di perdersi l'uso della parola. A guardarli, allora, se putacaso le parole si potesse vederle, si vedrebbe che gli cascano a ognuno di loro, dalla bocca intorno alla persona, una sopra l'altra, come mattoni che si alzano in giro come le pareti di un pozzo e li murano.
Continuano a fare le stesse cose di prima, nel senso che varano sempre e sempre tornano a mani vuote, ma ogni cosa a bocca chiusa, ormai. Nemmeno per nome si chiamano più: del resto, che avrebbero da dirsi?
Poi, i pellisquadre si ritirano dentro di loro e pare che fecero tacitamente voto di perdersi l'uso della parola. A guardarli allora, se putacaso le parole si potesse vederle, si vedrebbe che a ognuno di loro gli cadono dalla bocca intorno alla persona, una sopra l'altra, come mattoni che si alzano in giro, come le pareti di un pozzo, e li murano. Continuano a fare le stesse cose di prima, nel senso che varano sempre e sempre tornano a mani vuote, ma ogni cosa a bocca 442 chiusa, ormai. Nemmeno per nome si chiamano più: del resto, che avrebbero da dirsi?
Lui, aveva avuto la sua prima carestia a sette anni e ricordava tre cose, massime, fra tutte: quel silenzio; il ridere delle fere la notte e certe volte di giorno, e allora faceva impressione ancora di più della notte, come un risolino di veri e propri spiriti maligni che uscivano nel mezzogiorno a pigliarsi sazio delle disgrazie della povera gente; e, terza cosa massima, ricordava suo padre mutangolo, quando, alla calata del sole, sedevano alla tavola davanti alle suppiere ripiene di niente. Lui, aveva avuto la sua prima carestia a sette anni e ricordava tre cose, massime, fra tutte: quel silenzio, il ridere delle fere la notte e certe volte di giorno, che faceva impressione anche più della notte, come un risolino di spiriti maligni che uscivano nel mezzogiorno a pigliarsi sazio delle disgrazie della povera gente; e terza cosa massima, ricordava suo padre mutangolo, quando, alla calata del sole, sedevano alla tavola davanti alle suppiere ripiene di niente.
La prima cosa, infatti, in quella carestia del '27, che non potettero più comperare fu l'olio: mangiarono pasta scondita, pasta d iqualità sempre più deprezzata, sinché non poterono comperare nemmeno quella e mangiarono solo pane, prima pane con companatico di costardelle salate, poi di qualche "occhio di pesce-spada" sottosale, e poi arrivarono al mosciame: a tutti, pelli-squadre esclusi, s'intende, perché i pelli-squadre si nutrivano d'aria,venne, in conseguenza di questi mangiari, una sete tale, che femmine e carusi facevano per le dune un gran viavai con bomboli e quartare portando acqua dai giardini, però senza potersela mai spegnere, quella sete arrabbiata.
-
Poi, per giunta, dato che al peggio non c'è mai fine, successe che s'essiccò il filo d'acqua che cala dall'Antinnammare e va nelle gebbie per abbeverare, in capo ai giardini. Si sentì dire che c'era stata una grande frana, perché sopra all'Antinnammare pioveva da giorni e giorni, anche se era aprile e pareva estate. Per qualche giorno patirono così, con la fame, anche la sete, sinché non venne a piovere pue alla marina, un diluvio d'acqua che durò un giorno, la notte e il giorno dopo.
-
Il giorno dopo, la carestia finì: i pelli-squadre tornarono con le barche a livello, pelo-pelo all'acqua, traboccanti di pesce e di pioggia. -
A terra, se ne stavano tutti all'aperto, racimolando acqua nei bacili e alluvionandosi a dissetarsi con la bocca aperta alla pioggia. Si vedeva poco sulla marina e a mare era tutto un ribollìo tenebroso come piovesse di sopra e di sotto. Di laddèntro, avevano sentito i pelli-squadre gridare dalle due palamitare che non viste, stavano toccando terra, lì a un passo: «Aiutate, aiutate... Venite a dare una mano!».
-
291 La pioggia aveva tagliato la carestia come tante volte taglia la pestilenza, sventando i focolai, disperdendo e fugando i vapori pestiferi.
Ma questa era stata la conclusione e il Granvisire, invece, arrivava una notte delle più nere della carestia, la luna sua sorgeva allora, né prima né dopo, in unadi quelle notti di quelle sere che diceva.
-
Era il momento che moriva il giorno e dovevano sbrigarsi se volevano darsi ancora un'occhiata, perché nemmeno il lume accendevano più, per mancanza di petrolio. In quel momento la faccia di suo padre gli sembrava ogni volta la faccia di uno che andava sott'acqua e tratteneva il respiro un poco più sotto ogni giorno di più come si misurasse la lena per scommessa, rischiando addirittura di asfissiarsi. Sembrava sommozzato, cogli occhi irritati di sale e annacquati, con la pupilla smorta e contempo spiritata, stretta o dilatata come quella del gatto che si guardìa da qualcosa, da qualcuno. Allora, dovevano sbrigarsi e approfittare dell'ultimo sole se volevano darsi ancora un'occhiata, perché nemmeno il lume accendevano più per mancanza di petrolio. In quel momento, la faccia di suo padre gli sembrava ogni volta la faccia di uno che andava sott'acqua e tratteneva il respiro, un poco più sotto ogni giorno di più, comesi misurasse la lena per scommessa, e rischiando ogni giorno di più di asfissiarsi. Sembrava sommozzato, cogli occhi irritati di sale, annacquati, con la pupilla smorta e contempo spiritata.
Veniva una sera in cui pareva di vedergli zampillare il sangue dalla bocca e dagli occhi. Pensava allora: "Stanotte, stanotte riassomma, sale a pigliarsi una boccata d'aria fresca. Stanotte riaggalla al fianco dell'Acitana e s'abbocca con lei per rinnovarsi l'aria, rianimarsi gli spiriti..." Veniva una sera in cui pareva di vedergli zampillare il sangue dalla bocca e dagli occhi. Pensava allora: stanotte, stanotte riassomma, sale a pigliarsi una boccata d'aria fresca, stanotte riaggalla al fianco dell'Acitana e s'abbocca con lei per rinnovarsi l'aria nei polmoni, rianimarsi gli spiriti...
E quella notte, o l'altra, Caitanello faceva con l'Acitana viva quello che faceva ora con l'Acitana morta: lui, allora, un poco era e molto si faceva morto, e l'Acitana, di parte sua, per ravvivare lui, un poco era e molto si faceva viva. E quella notte, o l'altra, Caitanello faceva con l'Acitana viva quello che faceva ora con l'Acitana morta: lui, allora, un poco era e molto si faceva morto, e l'Acitana di parte sua, per ravvivare lui, un poco era e molto si faceva viva: perché, quella notte o l'altra, agli occhi dell'Acitana, quell'uomo lazzariato spariva e apapriva il Granvisire. Il Granvisire arrivava una delle notti dei giorni più neri della carestia, quando non avevano più da mangiare nemmeno una crosta di pane per pane e una mollica per companatico: sorgevano allora le tre lune del Granvisire, le tre lune che credeva di vedere guardando dentro all'Acitana, specchiandosi in quel pozzo senza fondo.
Erano le notti dei giorni di carestia che mandavano conciliaboli: le notti dei giorni arrabbiati, le notti dei giorni di morìa di parole che puzzavano nel fiato. In una di quelle notti, i conciliaboli sgocciolavano nel buio come la pioggia, dopo mesi che non piove, sopra il fango secco, le pietre arroventate, il polverone... Erano le notti di carestia che mandavano conciliaboli: le notti dei giorni arrabbiati, le notti dei giorni di morìa di parole che puzzavano nel fiato. In una di quelle notti, i conciliaboli sgocciolavano nel buio come pioggia di chicchi di riso, come gocce dure di pioggia, dopo mesi che non piove, sopra il fango secco, le pietre arroventate, il polverone: la pioggia che tante volte, quasi che col suo 443 tambureggiare richiami a galla i pesci, taglia la carestia, come tante volte taglia le pestilenze, sventando i focolai e disperdendo i vapori pestiferi.
GRANVISIRE E MASIGNORA
DA I FATTI DELLA FERA
DA HORCYNUS ORCA

291 “Il f…”, si dice “non vuole pensieri”: ma allora, quello del Granvisire e dell’Acitana che era? che era quella specie di fiore che facevano fiorire col loro fiato nottetempo? il fiore di una piantina paragonabile al ficodindia selvaggio che spunta dalla sabbia polverosa, in giro alla plaia, dove non arriva filo d’acqua e fa quel frutto mignunaro, spinosissimo, che in bocca ha un sapore acidulo, come se si masticassero formiche… Che era quello?

443 Il fottere, si dice, non vuole pensieri; ma allora, quello del Granvisire e dell’Acitana che era? che era quella specie di fiore che facevano fiorire col loro fiato nottetempo? il fiore di una piantina paragonabile al ficodindia selvaggio che spunta dalla sabbia polverosa, in giro alla plaia, dove non arriva filo d’acqua e fa quel frutto mignunaro, spinosissimo, che in bocca ha un sapore acidulo, come se si masticassero formiche? che era quello?
    Forse non era vero f… o non era solo quello: o non era quella parola o non era quello il fatto o non era quello il significato o non era quella la sostanza. Certamente non era f… per f…, non doveva essere quello per quello. Almeno per lui, che stava a sentire dall’antistanza, tutto il teatrino basso basso che facevano, come tenessero la bocca sotto le lenzuola e poi a un certo punto, pareva che se ne scendessero dentro la sabbia, dentro dentro, nascosti, vergognosi. Per lui, allora, calava il sipario, perché un muccuso dell’età sua poteva immaginare 292 mai che chiusi i conciliaboli, continuassero l’opera dietro il sipario, in qualche altra maniera, senza più parole, a bocca chiusa?     Forse non era vero fottere o non era solo quello: o non era quella parola o non era quello il fatto o non era quello il significato o non era quella la sostanza. Certamente non era fottere per fottere, no, non doveva essere quello per quello. Almeno per lui, che stava a sentire dall’antistanza, tutto il teatrino basso basso che facevano come tenessero la bocca sotto le lenzuola e poi a un certo punto pareva che se ne scendessero dentro la sabbia, dentro dentro, nascosti, vergognosi. Per lui, allora, calava il sipario, perché un muccuso dell’età sua poteva immaginare mai che chiusi i conciliaboli, continuassero l’opera dietro il sipario, in qualche altra maniera, senza più parole, a bocca chiusa?

In quelle notti, col sonno leggero a causa della pancia vacante, il primo sordellino che si facevano, le prime parole soffiate fra le labbra strette ad anello, bastavano a svegliarlo: subito, al suo orecchio, era come se il silenzio si spaccasse qua e là, ai sospiri di suo padre, come una crosta di sangue secco.
    In quelle notti, col sonno leggero a causa della pancia vacante, il primo sordellino che si facevano, le prime parole soffiate fra le labbra strette ad anello, bastavano a svegliarlo: subito, al suo orecchio, era come se il silenzio si spaccasse qua e là, ai sospiri di suo padre, come una crosta di sangue secco.
    Caitanello faceva all’inizio come se si sforzasse di spietrarsi del fiele, di tutte quelle pietre verdastre; e faceva come se avesse una gran difficoltà di parola, si arruffava con le sillabe e soffriva di non riuscire a spiccicarne una: la lingua, troppo gonfia, gli s’imbrogliava fra i denti, gli sforzava il palato e, come se gli si rovesciasse in gola, ne venivano fuori suoni di mutangolo.     Caitanello faceva all’inizio come se si sforzasse di spietrarsi del fiele, di tutte quelle pietre verdastre e faceva come avesse una grande difficoltà di parola, si arruffava con le sillabe e soffriva di non riuscire a spiccicarne una: la lingua, troppo gonfia, gli s’imbrogliava fra i denti, gli sforzava il palato e come gli si rovesciasse in gola, ne venivano fuori suoni di mutangolo.
    Ogni volta, immancabilmente, lui pensava che a furia di silenzio si era divezzato al punto, che forse aveva perso l’uso di parola. Ormai, fattane esperienza, doveva sapere benissimo che si trattava del solito preambolo, che era mezzo d’ingraziamento e mezzo d’amanteria: l’esperienza però non gli giovava, e l’assaliva sempre quel pensiero, che non parla oggi, non parla domani, gli s’atrofizza la favella.     Ogni volta, immancabilmente, lui pensava che a furia di silenzio si era divezzato al punto, che forse aveva perso l’uso della parola. Ormai, fattane esperienza, doveva sapere benissimo che si trattava del solito preambolo, che era, mezzo d’ingraziamento e mezzo d’amanteria: l’esperienza però non gli giovava, e l’assaliva sempre 444 quel pensiero, che non parla oggi, non parla domani, gli s’atrofizza la favella.
    Erano quelli, invece, i primi segni che gli tornava la parola; per parlare, però, lui aspettava che parlasse l’Acitana, come se col suo esempio lei lo istruisse sul modo di muovere la lingua, di formare le labbra e di farsi uscire di bocca le parole.     Erano quelli, invece, i primi segni che gli tornava la parola; per parlare, però, lui aspettava che parlasse l’Acitana, come se col suo esempio lei lo istruisse sul modo di muovere la lingua, di formare le labbra e di farsi uscire di bocca le parole.
    Checchìava, e sospirava da rompersi il petto. L’Acitana, o dormiva veramente, o, per abbellirgliela, si faceva sospirare un po’ di tempo, prima di farsi viva. Stilava così: come se il segno che era il momento per lei di comparire, fosse quando Caitanello faceva un certo stabilito numero di sospiri. Poi, inaspettata tanto, quando era aspettata, entrava in scena con la sua voce fina, com’era lei nel personale, una voce che pareva pensata molto, perché si sentiva che prima di dirla, se la era ripetuta dentro muta muta.     Checchìava, e sospirava da rompersi il petto. L’Acitana, o dormiva veramente, o per abbellirgliela, si faceva sospirare un po’ di tempo, prima di farsi viva. Stilava così: come se il segno che era il momento per lei di comparire, fosse quando Caitanello faceva un certo stabilito numero di sospiri. Poi, inaspettata tanto, quando era aspettata, entrava in scena con la sua voce fina, com’era lei nel personale, una voce che pareva pensata molto, sembrava, perché si sentiva che prima di dirla, se la era ripetuta dentro muta muta.

«Chi si lamenta? Chi soffre e si martirìa? Chi ha tale dolidoli come avesse basola di lava sopra il petto?», faceva, tutta ignara, in primo dire. Poi, come se allora allora girasse gli occhi intorno e lo vedesse, esclamava:

«O Granvisire, voi qua?».
    « Chi si lamenta? Chi soffre e si martiria? Chi ha tale dolidoli che è come avesse basola di lava sopra il petto? » faceva, tutta ignara, in primo dire. Poi, come se allora girasse gli occhi intorno e lo vedesse, esclamava: « O Granvisire, voi qua? Voi, splendidissimo, sulla soglia della misera dimora mia? »

Lo appellava sorpresissima, con la meraviglia di chi all’improvviso si vede comparire qualcuno davanti agli occhi: quel Granvisire che forse aveva passato i guai suoi nel Canale, salendo da Malta, si trovava a passare lì davanti, col suo veliero provato dalla tempesta, che navigava lento, accostato a riva. A bordo, quel Granvisire sospirava talmente che i sospiri arrivavano all’orecchio dell’Acitana dentro casa e lei istintivamente usciva incontro a quei sospiri, perché il cuore le diceva che quel particolare 293 accento di sospiri, lei lo aveva già sentito.
    Lo appellava sorpresissima, con la meraviglia di chi all’improvviso si vede comparire davanti agli occhi qualcuno che mai si sarebbe aspettato di vedere. Una volta lui aveva cercato di immaginarsi la scena: quel Granvisire che forse aveva passato i guai suoi nel Canale, salendo da Malta, si trovava a passare lì davanti, col suo veliero provato dalla tempesta, che navigava lento, accostato a riva. A bordo, quel Granvisire sospirava talmente che i sospiri arrivavano all’orecchio dell’Acitana dentro casa e lei istintivamente usciva incontro a quei sospiri, perché il cuore le diceva che quel particolare accento di sospiri, lei lo aveva già sentito.

Così, ogni volta era dai sospiri che pigliava lo spunto per appellarlo:

«Oh Granvisire, Granvisire…», lo apostrofava, e, apostrofandolo, lo salutava, ossequiava, compiangeva, desiderava, implorava, serviva, comandava…

Così, ogni volta era dai sospiri che pigliava lo spunto per appellarlo:

« Oh Granvisire, Granvisire… » lo apostrofava, e, apostrofandolo, lo salutava, ossequiava, compiangeva, desiderava, implorava, serviva, comandava…

Caitanello stava, stava e poi come Granvisire tornava parlante per ricusarsi, in primis, a quel titolo grandioso:

«Io, Granvisire? Un miserabile pari mio, Granvisire? Ah, Masignora, me lo merito il vostro sfottò, non mi merito altro…».

Caitanello stava, stava e poi come Granvisire tornava parlante per ricusarsi, in primis, a quel titolo grandioso:

« Io, Granvisire? Un miserabile pari mio, Granvisire? Ah, Masignora, me lo merito il vostro sfottò, non mi merito altro… »

Per un poco, andavano avanti così, fra cerimonie di lei e querimonie di lui: quasi mai cambiavano, quasi mai ci mettevano novità di parole, quasi mai d’altronde cambiavano le cose, quasi mai la vita ci metteva novità di fatto e di fatti; e il sentimento che c’era fra loro due, nemmeno quello, poteva avere cambiamento alcuno, perché scalarlo era impossibile e crescerlo altrettanto.

L’amore fra Caitanello e l’Acitana era infatti come un figlio nella pancia di una incinta ai nove mesi, quando è ormai bello e completo di fattezze e non resta che partorirlo e farlo vivere da solo. L’unica differenza era, che essi non lo partorivano mai e sempre ne erano incinti, sempre, perenne, lo tenevano in quello stato calmo e trionfante, vecchio e bamboleggiato, perfetto e manchevole, maturo e acerbo, fisso e svagato, in cui vive e a volte sembra che sogni, una in due, la femmina incinta.
    Per un poco andavano avanti così, fra cerimonie di lei e querimonie 445 di lui: quasi mai cambiavano, quasi mai ci mettevano novità di parole, quasi mai d’altronde cambiavano le cose, quasi mai la vita ci metteva novità di fatto e di fatti; e il sentimento che c’era fra loro due, nemmeno quello poteva avere cambiamento alcuno, perché scalarlo era impossibile e crescerlo altrettanto. L’amore fra Caitanello e l’Acitana era infatti come un figlio nella pancia di una incinta ai nove mesi, quando è ormai bello e completo di fattezze e non resta che partorirlo e farlo vivere da solo. L’unica differenza era, che essi non lo partorivano mai e sempre ne erano incinti, sempre, perenne, lo tenevano in quello stato calmo e trionfante, vecchio e bamboleggiato, perfetto e manchevole, maturo e acerbo, fisso e svagato, in cui vive e a volte sembra che sogni, una in due, la femmina incinta.
    «Granvisire, Granvisire, ve lo giuro…», insisteva lei, con calore di fiamma. «Ah, se voi vi vedeste con gli occhi miei, se vi vedeste, se vi… V’apparireste pure voi a voi stesso un Granvisire…».     « Granvisire, Granvisire, ve lo giuro…» insisteva lei, con calore di fiamma. «Ah, se voi vi vedeste con gli occhi miei, se vi vedeste, se vi… V’apparireste pure voi a voi stesso un Granvisire… »

E il Granvisire:

«A mare, mi vorrei vedere Granvisire…».

E il Granvisire:

« A mare, là, mi vorrei vedere Granvisire… »

E l’Acitana:

«C’è bontempo e c’è malotempo ve lo debbo dire io? Certo, per un Granvisire, bontempo o malotempo, sempre un tempo dovrebbe essere, il tempo che gli aggrada a lui. Forse, glielo faceste mancare mai il pescedipane alla gente di casa vostra, a moglie e figlio? Quello, ce lo pescaste sempre, da vero Granvisire».

E l’Acitana:

« C’è bontempo e c’è malotempo, ve lo devo dire io? Certo, per un Granvisire, bontempo o malotempo, sempre un tempo dovrebbe essere, il tempo che gli aggrada a lui. Però, glielo faceste mancare mai il pescedipane alla gente di casa vostra, a moglie e figlio? Quello, ce lo pescaste sempre, da vero Granvisire »

E il Granvisire:

«Il pescedipane, Masignora, s’ignesca senz’esca, asciutto e secco, col pelodiverme della credenza, sinché il fornaio faroto ce la fa… Ma il pesce di mare, quello non si pesca a credenza. Eh, sì, a mare, col pesce pescato, là mi vorrei vedere Granvisire…».

E il Granvisire:

« Il pescedipane, Masignora, s’ignesca senz’esca, asciutto e secco, col pelodiverme della credenza, sinché il fornaio faroto ce la fa… Ma il pesce di mare, quello non si pesca a credenza. Eh, sì, a mare, col pesce pescato, là mi vorrei vedere Granvisire… »

E l’Acitana:

«E non vi vedete quando siete a vedetta-fileri, quando siete, bello alto, sull’albero del lontru e vi scappellate per cavalleria a una maestosa “fianchipieni” che s’avanza, e d’ogni posta di Sicilia e di Calabria, v’ammirano e v’invidiano col vostro cappello di paglia scappellato. 294 “Quello è Caitanello Cambrìa”, si dicono, perché vi conosce Dio e tutto il mondo, famoso come siete per gli occhi di falcone maltese. Non vi vedete a mare, no, che siete un Granvisire? Possibile che non vi vedete, Granvisire?».

E l’Acitana:

« E non vi vedete quando siete a filere, agli appoggi dell’ontro, no? Non vi vedete che bellezza di Granvisire mi diventate non appena l’intinnere della feluca si scappella per segnalarvi qualche maestosa fianchipieni che s’avanza col meschino pulcinella che bacia il mare per dove lei passa? Non vi vedete come vi ribellionate in cima al vostro alberello e come pigliate potere di voce e di governo di barca? E il putiferio che fate, e quant’almo ci mettete per gridare alla chiumma? Alle palelle… Alle palelle… Là, là di prora, di prora, lanzatela, lanzatela, per l’anima mia, per l’anima mia miratela, lanzatela, 446 ahi ahi ahi, vi scapola, vi scapola, per l’anima mia, ’ma mia, ’maa mia, ’maaa ’maaa… quando gridate questo, non vi vedete, eh? Non vi vedete che pare questione di vita o di morte, che o muore la fianchipieni o morite voi e pare che gridate madre, madre, ’maaa ’maa, e invece gridate alla chiumma d’ammazzarla, ammazzarla la fianchipieni salvarvi l’anima a voi, e la chiumma di sotto si sente venire i brividi alla spina dorsale, non vi vedeste, no? E non vi vedete che d’ogni posta di Sicilia e di Calabria come tutti si fermano e v’ammirano? Quello è Caitanello Cambrìa, si dicono, perché vi conosce Dio e tutto il mondo, famoso come siete per gli occhi di falcone maltese. Non vedete a mare, no, che siete un Granvisire? Ma se non vi vedete voi, vi vedo, vi vedetti io, Granvisire, quando vi sorteggiano la posta ravvicinata a terra e avete un tal rintrono di voce che mi pare di essere sopra all’ontro, sotto a voi, coi brividi che mi vanno e vengono per la spina dorsale… Ma possibile, possibile mai che coi vostri occhi di falcone maltese non vi vedete, Granvisire? »

E il Granvisire:

«Gli occhi di falcone maltese? Per cosa vedere dopo agosto, Masignora, mi dite? Per cosa vedere d’altro quando vedettero l’ultimo pescespada? Dopo la passa, Masignora bella, ha voglia di scandagliare, il falcone maltese… Ah, Masignora bella, vi pare che bastano due occhi di vista buona per fare un Granvisire?».

E il Granvisire:

«Gli occhi di falcone maltese? Per cosa vedere dopo agosto, Masignora, me lo sapete dire? Per cosa vedere d’altro quando vedettero l’ultimo spada? Dopo la passa, Masignora bella, a voglia di scandagliare, il falcone maltese… Ah, Masignora, vi pare che bastano due occhi di vista buona per fare un Granvisire? »

E l’Acitana:

«Bastano, bastano e avanzano… E se m’è lecito farvi un esempio, io femminella a voi Granvisire, vi conto di una certa signorina di Aci che un giorno che si trovava a innaffiare il basilico sopra il balcone di casa sua verso marina, vede un giovanotto che sbarca da una barca con altri giovanotti e s’avanza, prepotente a vedersi, con un terribilio d’occhi neri e maliatori che arrivano dappertutto e di tutto sembrano s’impadronire. E questi occhi, quando arriva di sotto, li alza al balcone e per la signorina di Aci è finita. Il giovanotto veniva dallo Stretto per ordinare certi remi proprio al padre della signorina, con quegli occhi che le stralucìano in faccia e in mente, lo piglia per un potentato saraceno, un Granvisire sotto mentite spoglie, che passò il Canale e sbarcato guarda, e tutto quello dove si posa il suo sguardo, femmine, plaie e marine: “È tutto mio”, sembra dire. La signorina s’incantesima, resta col rituffo di caffè in mano, si scorda del basilico, non è capace di dire nemmeno ah, e le pare quasi che il giovanotto gli dette ordine ai suoi occhi di falcone maltese di volarsene sopra il balcone e mettendole le unghia al collo, d’impadronirsi di lei, come fosse un coniglietto. Così, in effetti, fu. E voi dite che non bastano due occhi come quelli vostri a fare un Granvisire?».

E l’Acitana:

«Bastano, bastano e avanzano… E se m’è lecito farvi un esempio, io femminella a voi Granvisire, vi conto di una certa signorina di Aci che un giorno che si trovava a innaffiare il basilico sopra il balcone di casa sua verso marina, vede un giovanotto che sbarca da una barca con altri giovanotti e s’avanza, prepotente a vedersi, con un terribilio d’occhi neri e maliatori che arrivano dappertutto e di tutto sembrano s’impadronire. E questi occhi, quando arriva di sotto, li alza al balcone e per la signorina di Aci è finita. Il giovanotto veniva di sopramare, precisamente di qua, dello scill’e cariddi, per ordinare certi remi proprio al padre della signorina, però lei lo piglia per un potentato saraceno o fatevi conto, per un Granvisire d’Oriente, un Granvisire sotto mentite spoglie, che passò il Canale e sbarcato, guarda, e tutto quello dove si posa il suo sguardo, femmine, plaie e marine: è tutto mio, sembra dire. La signorina s’incantesima, resta col boccale d'acqua in mano, si scorda del basilico, 447 non è capace di dire nemmeno ah, e le pare quasi che il giovanotto gli dette ordine ai suoi occhi di falcone maltese di volarsene sopra il balcone e con artigli di velluto, rapirla insomma, come fosse un conigliuzzo. Così, in effetti, fu: per la signorina, vederlo e seguirlo fu tuttuno, e per il padre fu come se la figlia gli fosse intrafugata dai pirati, in un vedere e svedère. E voi ancora dite che non bastano due occhi come quelli per appellare Granvisire che li porta?».

E il Granvisire:

«Bell’impresa che fece quel giovanotto, si può proprio premiare dei suoi occhi di falcone. Pescatore pezzente, s’azzardò con una signorina come quella, figlia unica, servita di tutto punto, una signorina che disponeva di balcone e maritatasi se lo dovette scordare per sempre. Ah, quale abbaglio pigliò la signorina d’Aci, stimando quel miserabile un Granvisire! Doveva avere il sole che le straluceva negli occhi quella mattina…».

E il Granvisire:

«Bell’impresa che fece quel giovanotto, si può proprio premiare dei suoi occhi di falcone. Pescatore pezzente, s’azzardò con una signorina come quella, figlia unica, una signorina servita di tutto punto, una signorina che disponeva di balcone e maritatasi se lo dovette scordare per sempre. Ah, quale abbaglio pigliò la signorina d’Aci, stimando quel miserabile un Granvisire… Doveva avere il sole che le straluceva negli occhi quella mattina…».

E l’Acitana:

«Il balcone, il balcone, questo balcone che sempre dite, Granvisire, a che mi serviva il balcone se restavo ad Aci una volta che vedetti voi? A piangerci forse, innaffiando di lagrime il basilico? O mi serviva per gettarmi di sotto, una volta o l’altra, scrutando notte e giorno di vedervi ricomparire? Il balcone finì di servirmi, tenetevelo a mente, Granvisire, quando di là vi vedetti voi».

E l’Acitana:

« Il balcone, il balcone, questo balcone che sempre dite, Granvisire, a che mi serviva il balcone se restavo ad Aci una volta che vedetti voi? A piangerci forse, innaffiando di lagrime il basilico? O mi serviva per gettarmi di sotto, una volta o l’altra, scrutando notte e giorno di vedervi ricomparire? Il balcone finì di servirmi, tenetevelo a mente, Granvisire, quando di là vi vedetti a voi »

295 E il Granvisire, che non voleva soltanto essere vinto ma anche convinto:

«Ve lo raccomando, Masignora, ve lo raccomando il vostro Granvisire, ridotto come un pezzentiere dalla carestia. E vi pare, Masignora, che un Granvisire non troverebbe il modo e la maniera di sputarci sopra alla carestia? Non troverebbe, un Granvisire, di armare e navigare per qualch’altro mare, avventurandosi per Malta, nel Canale e occorrendo, gettarsi per Gibilterra nel grande oceano? Non dovrebbe, un Granvisire, tentare l’intentabile, avere questo coraggio civile, farsi così ardito? Eh, Masignora, vi deve ispirare ribrezzo un Granvisire tanto misterioso, tanto meschino…».

E il Granvisire, che non voleva soltanto essere vinto ma anche convinto:

« Ve lo raccomando, Masignora, ve lo raccomando il vostro Granvisire, ridotto come un pezzentiere dalla carestia. E vi pare, Masignora, che un Granvisire non troverebbe il modo e la maniera di sputarci sopra alla carestia? Non troverebbe, un Granvisire, di armare e navigare per qualch’altro mare, avventurandosi per Malta, nel Canale e occorrendo, gettarsi per Gibilterra nel grande oceano? Non dovrebbe, un Granvisire, tentare l’intentabile, avere questo coraggio civile, farsi così ardito? Eh, Masignora, ribrezzo, ribrezzo, vi dovrebbe ispirare un tale Granvisire incarognito… »

E l’Acitana:

«Ah, darei una bella parte della vita mia per farvi vedere come vi vedo io, con questi occhi, Granvisire. Ma questa sarebbe opera di magia e non è per me: io, meschinella, io ho solo le parole mie e queste non saranno mai all’altezza vostra, della figura che vi vedo io, di Granvisire che mi naviga bello e pieno di ardimento di vita, sopra un veliero prezioso di legno di cedro e di vele di seta, un Granvisire che mi dà tutto ’st’onore e piacere, che mi entra in casa e in persona, e casa e persona me le sento ricolme d’ogni essenza di profumi, di merletti e di trine, e in bocca e negli occhi è come avessi il colore e il sapore dei pesci dal gusto più reale e sopraffino: ricciole, dentici e cernie, sarachi, orate, spigole, ombrine e pescispada, pescispada, pescispada che lanzaste cogli occhi vostri, Granvisire mio…».

E l’Acitana:

« Ah, darei una bella parte della mia vita per farvi vedere come vi vedo io, con questi occhi, Granvisire. Ma questa sarebbe opera di magia e non è per me: io, meschina me, io ho solo le parole mie e queste non saranno mai all’altezza vostra, della figura che vi vedo 448 io, di Granvisire che mi naviga bello e pieno di ardimento di vita, sopra un veliero prezioso di legno di cedro e di vele di seta, un Granvisire che mi dà tutto ’st’onore e piacere, che mi entra in casa e in persona, e casa e persona me le sento ricolme d’ogni essenza di profumi, di merletti e di trine, e in bocca e negli occhi è come avessi il colore e il sapore dei pesci dal gusto più reale e sopraffino: ricciole, dentici e cernie, saraghi, orate, spigole, ombrine e spada, spada, spada che lanzaste cogli occhi vostri, Granvisire mio… »

E il Granvisire, che più lei lo lustrava, più lui, almeno a parole, s’appannava:

«Che strana lingua parlate, Masignora. Ricciole, dentici, pescispada… che roba è? Roba che si mangia, per caso? Sarebbero pesci, questi che dite? Forse li conobbi, in passato, ma quasi ne persi memoria di quant’è che non ne vedo più. C’era un mare, bello, qui davanti. Una volta, una volta… Ora, quel mare malandrino ci diventò peggio del pantano di Ganzirri, una lordura, una spazzatura di mare, una carogna, un carognone…»

E il Granvisire, che più lei lo lustrava, più lui, almeno a parole, s’appannava:

« Che strana lingua parlate, Masignora. Ricciole, dentici, spada… Che roba è? Roba che si mangia, per caso? Sarebbero pesci, questi che dite? Forse li conobbi, in passato, ma quasi ne persi memoria di quant’è che non ne vedo più. C’era un mare, bello, qui davanti, una volta, una volta… Ora, quel mare malandrino ci diventò peggio del pantano di Ganzirri, una lordura, una spazzatura di mare, una carogna, un carognone… »

E l’Acitana, risentita e pietente con lui, come avesse detto sacrilegio:

«Non gli mostrare sprezzo, per carità, Granvisire. Fatelo per amor mio, non schifatelo così azzardosamente, ché potrebbe farci pentire…».

E l’Acitana, risentita e pietente con lui come avesse detto sacrilegio:

« Non gli mostrare sprezzo, per carità, Granvisire. Fatelo per amor mio, non schifatelo così azzardosamente, ché potrebbe farci pentire… »

E il Granvisire:

«Ma come? Dovrei usargli riguardo per giunta, a quel lazzariatore delle nostre carni? Vi scordaste da quanti giorni è che mi presento a voi, frontoso, a testa bassa, cogli occhi dello sventurato che andò limosinando a questa e a quella porta di questo spettabile mare, bussandogli persino al suo ricco Golfo dell’Aria e dicendogli: Consentimi 296 di campare quella moglie e quel figlio, oppure consentimi di morire a me… Ma lui non apre né porte né finestre, l’eccellentissimo: forse lo riguarda la carestia dello scill’e cariddi? È talmente grande, lui, che nemmeno gli va il pensiero allo scill’e cariddi…».

E il Granvisire:

« Ma come? Dovrei usargli riguardo per giunta, a quel lazzariatore delle nostre carni? Vi scordaste da quanti giorni è che mi presento a voi, frontoso, a testa bassa, cogli occhi dello sventurato che andò limosinando a questa e a quella porta di questo spettabile mare, bussandogli persino al suo ricco Golfo dell’Aria e dicendogli: consentimi di campare quella moglie e quel figlio, oppure: consentimi di morire a me… Ma lui non apre né porte né finestre, l’eccellentissimo: forse lo riguarda la carestia dello scill’e cariddi? È talmente grande, lui, che nemmeno gli va il pensiero allo scill’e cariddi… »

E l’Acitana:

«Vi fa tornare, Granvisire, questo so, di questo non mi scordo. Sinché vi consente di tornare, sinché vi rivedo bello che mi tornate in grazia sua, Granvisire, ve lo giuro, anche faglio, agli occhi miei pescaste tutti i pesci che si potrebbero desiderare di più. Per farvi un’idea, Granvisire, vi dico questo: se il mare fosse un mendico spiaggiante, piagato, coperto di croste, infetto e puzzolente, e un giorno mi comparisse qua davanti sotto queste apparenze, io lo farei accomodare sopra sedia e cuscino e gli laverei i piedi e quell’acqua che mi servì per lavarglieli, la serberei in un bacile e me la berrei sorso a sorso in faccia a lui senza mostrargli schifo o disgusto, un sorso per ogni volta che vi fece tornare, un sorso per ogni volta che vi farà tornare. Questo farei, Granvisire, se il mare mi comparisse di persona qua davanti. Perché vi fece tornare sempre, perché vi faccia, vi faccia, Granvisire».

E l’Acitana:

«Vi fa tornare, Granvisire, questo so, di questo non mi scordo. Sinché vi consente di tornare, sinché vi rivedo, bello vivo, che mi tornate in grazia sua, Granvisire, ve lo giuro, anche faglio, agli occhi miei mi sembra che pescaste tutti i pesci del mare. Per farvi un’idea, Granvisire, vi dico questo: se il mare fosse un mendico 449 spiaggiante, piagato, coperto di croste, infetto e puzzolente, e un giorno mi comparisse qua davanti sotto queste apparenze, io lo farei accomodare sopra sedia e cuscino, gli laverei i piedi e quell’acqua che mi servì per lavarglieli, me la berrei sorso a sorso in faccia a lui, senza mostrargli schifo o disgusto, un sorso per ogni volta che vi fece tornare, un sorso per ogni volta che vi farà tornare. Questo farei, Granvisire, se il mare mi comparisse di persona qua davanti. Perché vi fece tornare sinora, perché vi faccia, sempre, vi faccia, Granvisire… »


«Torno, sì, torno, per vedere voi che mancate di tutto e vi desiderate dall’acqua al sale… Se penso che a casa vostra di signorina, vi fosse anche venuto il desìo di lingue di uccelli di paradiso, don Ignazio, vostro padre buonanima, lasciava di svetrìare i remi che aveva per mano, non ci pensava due volte e partiva pure a piedi per farvi passare quel desìo. Ora, io: “Caitanello”, mi dico, “la rovinasti quella figlia unica di don Ignazio, sulla coscienza te la porterai, la signorina imbalconata di Aci”…».

E il Granvisire, che qui stava un poco di più a rispondere:

« Torno, sì, torno, per vedere voi che mancate di tutto e vi desiderate dall’acqua al sale… Se penso che a casa vostra di signorina, vi fosse anche venuto il desìo di lingue di uccelli di paradiso, don Ignazio, vostro padre buonanima, lasciava di svetriare i remi che aveva per mano, non ci pensava due volte e partiva pure a piedi per farvi passare quel desio. Ora, io: Caitanello, mi dico, la rovinasti quella figlia unica di don Ignazio, sulla coscienza te la porterai, la signorina imbalconata di Aci… »

E l’Acitana, che qui aveva uno scoppiettìo di riso come lo tenesse stretto in una piega del lenzuolo, apriva e subito richiudeva:

«Oh, Granvisire, ma che andate pensando? Vi pare che ancora signorina, mi sentivo di tali voglie di maritata incinta? Oppure, mi fate una principessa pallida e spitittata che si scapriccia di lingue di uccelli di paradiso? Questa impressione vi detti? Vi feci forse impazzire con voglie consimili quando m’ingravidai di nostro figlio, eh, Granvisire?».

E l’Acitana, che qui aveva uno scoppiettio di riso come lo tenesse stretto in una piega del lenzuolo che apriva e subito richiudeva:

« Oh, Granvisire, ma che andate pensando? Vi pare che ancora signorina, mi sentivo di tali voglie di maritata incinta? Ero forse una principessa pallida e spiritata che si scapriccia in lingue di uccelli di paradiso? Questa impressione vi detti? Vi feci forse impazzire con voglie consimili, quando m’ingravidai di nostro figlio, eh, Granvisire?».
    Vinto e convinto da quel lato, Caitanello sonava un’altra corda. Ripigliava a lamentarsi, ma ora si lamentava per stare meglio.
    Vinto e convinto da quel lato, Caitanello sonava un’altra corda. Ripigliava a lamentarsi, ma ora si lamentava per stare meglio.
    L’Acitana lo aspettava: lo lasciava sospirare ancora per un poco e poi era ancora lei a dargli il la:
«Oh, Granvisire, non mi regge il cuore a sentirvi come vi macinate di sospiri…».
    L’Acitana lo aspettava: lo lasciava sospirare ancora per un poco e poi era ancora lei a dargli il la:
« Oh, Granvisire, non mi regge il cuore a sentirvi come vi macinate di sospiri… »

E il Granvisire:

«Fossi nato fera! Quella sì, che si può pretendere a Granvisire… Per lei veramente, bontempo e malotempo è sempre un tempo… Fossi, fossi nato fera…».
   
297 Era insaziabile: sapeva di darle una trafittura ma sapeva pure che lei si sarebbe provata a non fargli invidiare la fera.


E il Granvisire:

«Fossi nato fera! Quella sì, che si può pretendere a Granvisire… Per lei veramente, bontempo e malotempo è sempre un tempo… Fossi, fossi nato fera…».
    Era insaziabile: sapeva di darle una trafittura ma sapeva pure che lei si sarebbe provata a non fargli invidiare la fera.


E l’Acitana:

«Oh, Granvisire, non mi vi fate sentire! Tanto vi decadde lo spirito da desiderarvi fera? Perché, dico io, non vi spensierate un poco? Mi posso ardire, splendidissimo, mi posso, ditemi, di pregarvi a mani giunte di sbarcare qua davanti, per qualche momento, e degnarvi d’entrarmi in casa e darmi una stampa d’udienza? Allianatevi un poco, Granvisire, datevi un poco di ricreo. Avvampo a dirvelo, sfacciata che non sono altro, ma fate che vi sbroglio a uno a uno questo gomitolo di sospiri e poi ripigliate mare, se dovete, ma ormai rianimato gli spiriti e le forze. Eh, Granvisire, per sfrontata mi pigliate?».

E l’Acitana:

450 « Oh, Granvisire, non mi vi fate sentire… Tanto vi decadde lo spirito, da desiderarvi fera? Perché, dico io, non vi spensierate un poco? Mi posso ardire, splendidissimo, mi posso, ditemi, di pregarvi a mani giunte di sbarcare qua davanti, per qualche momento, e degnarvi d’entrarmi in casa e darmi una stampa d’udienza? Allianatevi un poco, Granvisire, datevi un poco di ricreo. Avvampo a dirvelo, ah che sfacciata che sono, ma fate che vi sbroglio a uno a uno questo gomitolo di sospiri e poi ripigliate mare, se dovete, ma ormai rianimato gli spiriti e le forze. Eh, Granvisire, per sfrontata mi pigliate? »

E il Granvisire:

«Sapete, Masignora, che mi domando tante volte? Che potetti fare per meritarvi? Che feci, che potetti, oltre che stare sempre sperso per mare? Questo mi domando tante volte».
    Si capiva che ormai era sulla porta e metteva piede in casa e già si scioglieva l’armatura e si rilassava.


E il Granvisire:

«Sapete, Masignora, che mi domando tante volte? Che potetti fare per meritarvi? Che feci, che potetti, oltre che stare sempre sperso per mare? Questo mi domando tante volte »
    Si capiva che ormai era sulla porta e metteva piede in casa e già si scioglieva l’armatura e si rilassava.

    E l’Acitana:
    «Oh, Granvisire, scordatevi ora di quel mare tinto, fatemi questo complimento: scordatevi di lui e ricordatevi di me. Pigliatevi svago, sboriatevi con questa femminella, datele due soldi di trattenimento. Ancoratevi qua col vostro veliero intartarato e venite, venite avanti, datemi la mano, venite qua vicino, ecco, ecco, ancora un poco avanti, così, accomodatevi, entratemi nella divozione, datevi agio, ricreatevi, qua nel vostro siete, questo è mare fedele, pescosissimo, qua con ogni diritto mi potete vedere Granvisire, Granvisire voi e io vostra devota, devotissima…».
    E l’Acitana:
    « Oh, Granvisire, scordatevi ora di quel mare tinto, fatemi questo complimento: scordatevi di lui e ricordatevi di me. Pigliatevi svago, sboriatevi con questa femminella, datele due soldi di trattenimento. Ancoratevi qua col vostro veliero intartarato e venite, venite avanti, datemi la mano, venite qua vicino, ecco, ecco, ancora un poco avanti, così, accomodatevi, entratemi nella divozione, datevi svago, ricreatevi, qua nel vostro siete, questo è mare fedele, pescosissimo, qua con ogni diritto vi potete vedere Granvisire, Granvisire voi e io vostra devota, devotissima…».
    Il Granvisire, qualche volta sì, qualche volta no, sospirava grosso un’ultima grossa volta, facendo un risucchio col fiato e sembrava allora che pigliasse una grande boccata d’aria come se già allora, da viva, l’Acitana si trovasse al fondo di un mare e lui si doveva sommozzare e nuotare a lungo sott’acqua per raggiungerla e abboccarsi con lei.
    Il Granvisire qualche volta sì, qualche volta no, sospirava grosso un’ultima grossa volta, facendo un risucchio col fiato e sembrava allora che pigliasse una grande boccata d’aria come se già allora, da viva, l’Acitana si trovasse al fondo di un mare e lui si doveva sommozzare e nuotare a lungo sott’acqua per raggiungerla e abboccarsi con lei.

L’Acitana l’accoglieva e non li sentiva più né parlare né respirare: era come morissero, come se appena morti i loro corpi fuggissero via; o come se accogliente e accolto, fitti abbracciati, trattenendosi, abboccati l’uno con l’altro, il fiato, passassero per il letto e per la sabbia calandosi in fondo al mare, dentro una grotta dove, per il tempo che ci stavano, stavano fuori del mondo, ma non si potevano dire né veramente vivi né veramente morti.

L’Acitana l’accoglieva e non li sentiva più né parlare né respirare: era come morissero, come se appena morti i loro corpi fuggissero via; o come se, accogliente e accolto, fitti abbracciati, trattenendosi, abboccati l’uno con l’altro, il fiato, passassero per il letto e per la sabbia, calandosi in fondo al mare, dentro una grotta, dove, per il tempo che ci stavano, stavano fuori dal mondo, ma non si potevano dire né veramente vivi né veramente morti.
A quel punto, sempre, con rabbia e pianto, carusitto ancora non scandaliato di niente, nel suo letto, dietro il tramezzo, s’immaginava d’esser rimasto solo al mondo: s’alzava sui gomiti, sbarrava gli occhi nel buio, stava un poco in ascolto ma di là non 298 veniva mai segno di vita. Intorno a lui era solo silenzio, sopra il silenzio rotolava il mare, che risonava cupo cupo contro le grotte della ’Ricchia e quel fragore ingigantiva ogni volta il pauroso silenzio notturno che si erano lasciati dietro, Caitanello e l’Acitana, scomparendo senza pensiero di lui.
A quel punto, sempre, con rabbia e pianto, muccusello ancora non 451 scandaliato di niente, nel suo letto dietro il tramezzo, s’immaginava d’esser rimasto solo al mondo: s’alzava sui gomiti, sbarrava gli occhi scuroscuro, rizzava gli orecchi, stava un poco in ascolto ma di là non veniva mai segno di vita. Intorno a lui era solo silenzio, sopra il silenzio rotolava il mare, che risonava cupocupo contro le grotte della ’Ricchia, e quel fragore ingigantiva ogni volta il pauroso silenzio notturno che Caitanello e l’Acitana si erano lasciati dietro, scomparendo senza pensiero di lui.

Pensava di chiamare; “Ma’, ma’…” e ci rinunciava, pensava d’andare a vedere e ci rinunciava, poi il sonno lo ripigliava a tradimento e gli risolveva ogni patema, almeno per il momento. Però lo seguiva sino a dentro il sonno, una specie di risentimento per padre e madre come se gli avessero fatto un torto grande, perché gli pareva che lo avessero lasciato orfano senza nemmeno avvertirlo che morivano e forse, senza essere morti.
Pensava di chiamare: ma’, ma’… e ci rinunciava, pensava d’andare a vedere e ci rinunciava, poi il sonno lo ripigliava a tradimento e gli risolveva ogni patema. Però, lo seguiva sino a dentro il sonno una specie di risentimento per padre e madre come se gli avessero fatto un torto grande, perché gli pareva che lo avessero lasciato orfano senza nemmeno avvertirlo che morivano e forse senza essere morti.
Ma questo successe sinché l'esperienza non lo rassicurò del fatto che Caitanello e l'Acitana, dopo che scomparivano, ricomparivano sempre. Ma questo successe sinché l'esperienza non lo rassicurò del fatto che Caitanello e l'Acitana, dopo che scomparivano, ricomparivano sempre, e sempre come rinati.
-
Per quella notte, per quella volta, il Granvisire e la Masignora non ricomparivano più: era come se il Granvisire avesse ripigliato mare, addobbatizzo dalla Masignora, la quale, a sua volta, s'era ritirata in casa per riuscire alla nuova comparsa del veliero del Granvisire.
-
Il Granvisire e la Masignora, in altre parole, avevano fatto la loro parte: perché, di quei due appellativi, col primo che richiamava il secondo, l'Acitana e Caitanello se ne servivano come di maschere sotto le quali si nascondevano il rossore del piaceruzzo che siandavano a pigliare e poi, una volta che se lo erano pigliato, le maschere se le levavano e di Granvisire e Masignora non se ne parlava più, quasi che si vergognassero di quel poco di teatrino che avevano fatto per non sentirsi troppo svergognati di quello che stavano per fare.
-
Qualche volta succedeva che ricomparivano ed erano già usciti al naturale: Caitanello s'accendeva un mozzicone d'indigena, se l'aveva, e l'Acitana, come per fargli compagnia sinché lui non avevafinito di fumare, gli dava un po' di conversario, e naturalmente gli domadnava della carestia in corso, a che punto era, perché ora sapeva di potergliene domandare. Per quella notte, allora, era tutto finito. E doveva dire che a criterio dell'Acitanam il Granvisire, quell'appellativo che era tutto il suo sotterfugio di femminella, la sua pantomima 452 di ritegno a conclusione della quale, un po' per ridere e un po' per non morire portava Caitanello al suo piaceruzzo di marito, come un bicchiere d'acqua e limone che gli facesse bere per levarsi un poco della grande bile, quel Granvisire cghe degnatosi digradire la sola cosa di lusso che una Masignora acitana poteva offrire aun Granvisire, subito spariva, dato che solo per quello appariva, voleva dire che quel fotterello che si era pigliato come Granvisire, quello bastava da solo a spietrare dalla bile Caitanello, a dargli quel rilassamento e allianamento di cui abbisognava per andare ancora avanti con quella vita, con quella carestia, con quella vita di carestie.
-
Questo però dipendeva dalla bile  dall'ammutimento e lazzaramento di Caitanello, dipendeva cioè da come si era messa la carestia, perché se la carestia si era messa barbara, e due su tre si mettevano sempre barbare, l'Acitana allora doveva sapere in partenza che il Granvisire, e quello che gli dava come Granvisire, non poteva bastargli a Caitanello, per levarsi un poco dai pensieri neri come di tartaro: dovevadargli qualcosa ancheper la mente, qualcosa di più di un Granvisire, di un appellativo, di una parola di fumo, qualcosa di più di un fotterello, di un bicchiere d'acqua e limone.
-
Gli dava allora un nome, un nome che doveva avere portato per lui dal suo paese, come parte della sua dote di signorina: un nome con cui lo dichiarava reale e che faceva coppia con un altro, per lei, con cui lui le faceva gala.
-
Così, madre e padre che erano scomparsi come Masignora e Granvisire, che erano come persone di famiglia per lui, con la loro lingua andante, di tutti i giorni, ricomparivano che non sembravano più gli stessi, come fossero veramente rinati, in altro luogo, con altri nomi e altre vite, e lui non c'entrasse più.


 
  ACI E GALATEA
DA I FATTI DELLA FERA
DA HORCYNUS ORCA
298 Prima veniva come un rumore di rena rotolante, una cascata sabbiosa da cui sfuggivano gemiti e richiami di persone seppellite vive e che boccheggiavano per mancanza d'aria: si risvegliava dal suo sonno ancora fresco con l'impressione di sentire delle anime di purgatorio.
Venivano poi grandi sospiri e risospiri e se li immaginava allora come se fossero caduti in catalessi per un qualche mancamento e solo in quel momento se ne sollevassero. E venivano infine delle voci precipitose e  incomprensibili, anche se all'orecchio arrivavano sempre più vive, come se Caitanello e l'Acitana s'avvicinassero di lontano tenendosi a braccetto. Facevano un bell'effetto trillante di musica senza suono e senza senso, ed erano strani, perché senza un solo motivo per dirlo, si sarebbero detti allegri, felici come si può dirlo di un cicaleccio di passeri, un ciccì, ciccì tra le fronde delle aranciare.
Prima, veniva come un rumore di rena rotolante, una frana sabbiosa da cui sfuggivano gemiti e richiami di persone seppellite vive, che boccheggiavano per mancanza d'aria. Venivano poi grandi sospiri e risospiri e se li immaginava allora come se fossero caduti in catalessi e solo in quel momento se ne sollevassero. E venivano infine delle voci affannose e incomprensibili, che però arrivavano all'orecchio sempre più vive, come se Caitanello e l'Acitana s'avvicinassero di lontano, tenendosi a braccetto e stranamente ciuciuliando, perché si dicevano solo due parole, una lei, una lui, e 453 quasi sempre la stessa, eppure, forse perché la sillabavano complimentosamente, davano quella impressione di ciuciulio tenebroso, ovattato e trillante, come un cicaleggio, a punta di becco, di passeri sull'aranciara.
«Aci mio», gli diceva lei. Oppure: «Mio Aci reale» « Aci mio » gli diceva lei. Oppure: « Aci reale mio »
«Gala a tea», le rispondeva lui; «Gala a tea». « Galatea » le rispondeva lui. Oppure: « Gala a tea »
Solo questo, ma che intendevano dirsi? Era bello all'orecchio, specie quando pareva che si parlavano in fretta in fretta strofinandosi il becco passera e passero: un poema.

Solo questo, ma che intendevano dirsi? La prima volta che li aveva sentiti, gli era parso che lei gli dicesse: Acireale mio, come lo chiamasse, chissà perché, col nome del suo paese di nascita, mentre in effetti gli diceva Aci reale mio. E gli era parso che lui le dicesse, una volta Gala a te, come la proclamasse degna di pompa e di sfarso, e un'altra: Galatea, come le dicesse galatota, col nome del paese di Galati Mamertino che però non c'entrava, né con lei né con lui, mentre in effetti la chiamava Galatea.
Era come se si passassero e si ripassassero sempre uno stesso garofano lei a lui, sempre una stessa rosa lui a lei: ogni volta però pareva che un altro garofano si aggiungesse a quell'unico, e un'altra rosa a quella sola rosa, come scoprissero, in effetti, una sfumatura sempre nuova di colore nel garofano e nella rosa che si regalavano, come un pensiero, una frase detta in toni sempre differenti e alla fine era come si infiorettassero con grandi, sempre più grandi, con freschi, sempre più freschi buché di complimenti,  complimenti che sarebbero stati capaci di farsi per notti e notti ancora, per mille e una notte di giorni di carestia di mare. Sì, sì: ma chi erano questo Aci e questa Galatea?
La prima volta che li aveva sentiti, ricordava che gli avevano dato una stretta al cuore, l'Acitana e Caitanello.
Nell'opera che armavano il Granvisire e la Masignora, alla fine se ne uscivano al naturale: erano l'Acitana e il Caitanello di tutti i giorni. Se s'inventavano qualcosa nei loro conciliaboli nei loro conciliaboli notturni, era solo l'amore che durava come la prima volta tra lui, che con la pesca sembrava sempre partito in un lungo viaggio per mare, e lei che ne aspettava i ritorni, costante, fedele e senza mutamento, per un ritratto in cornice. Per il resto, il Granvisire e Masignora non si servivano del loro teatrino per farsi delle illusioni sul mare e sui pesci e sui riatteri, sulla loro vita che sarebbe cambiata in meglio, anzi: il loro amore sembrava bello proprio per questo, perché gli faceva da scudo sia di fronte alla realtà della loro vita com'era e sia di fronte all'illusione della loro vita, quale avrebbe dovuto essere, diversa da com'era.
L'opera invece che armavano con Aci e Galatea, la prima volta l'aveva presa addirittura per opera di pazzia: "Che s'inventavano di essere?", si era domandato. "Si rimbambirono, uscirono di senno?". Gli erano parsi anche un poco ridicoli e vergognosi, come se tornassero a fare zito con la zita e come si parlassero in italiano, con la lingua fra i denti, e questo certamente dipendeva dal fatto che mentre Granvisire e Masignora erano appellativi inventati da loro, e li capiva, non sapeva se "Aci" e "Galatea" erano anch'essi nomi inventati o se esistevano, e così non li capiva.
Risentendoli, gli pareva che lei gli dicesse: "Mio Acireale", come lo chiamasse, chissà perché, col nome del proprio paese di nascita, mentre in effetti gli diceva: "Mio Aci reale". E gli era parso che lui gli dicesse una volta: "Gala a te", come se la proclamasse degna di pompa e di sfarzo, e un'altra le dicesse: "Galatea", come la chiamasse Galatota, col nome del paese di Galati Mamertino che però non c'entrava con lei né con lui, mentre in effetti le diceva "Galatea".

Solo questo, sempre questo: Aci mio... Aci reale mio... lei, e: Galatea... Gala a te... lui, ed era come se si passassero e ripassassero, sempre uno stesso garofano lei a lui, sempre una stessa rosa lui a lei: ogni volta però, pareva che un altro garofano si aggiungesse a quell'unico, e un'altra rosa a quella sola rosa, come scoprissero una sfumatura sempre nuova nel garofano e nella rosa che si regalavano, come un pensiero, una frase detta in toni sempre differenti e alla fine era come si infiorettassero con grandi, sempre più grandi, con freschi, sempre più freschi buché di complimenti, e come se di tali complimenti sarebbero stati capaci di farsene per notti e notti ancora, per mille e una notte di giorni di carestia di mare. Allora, però, a lui muccusello potevano mai venirgli in mente garofani e rose? In mente sua invece, quel ciuciulio meschinello, continuo: Aci mio, Galatea. Aci reale mio. Gala a te... gli faceva pane e pane, crosta con mollica, mollica con crosta. Per questo, gli ricordavano qualche volta i muccuselli come lui, quando mangiavano pane e spezzando si dicevano: questo è pane, mangio pane e carne di pane, oppure: questo è capicollo, mangio pane e capicollo: oppure questo è panedispagna, mangio pane e panedispagna... Ma padre e madre si mettevano pure loro a fare i muccuselli giocando a pane con idem come prima? Si mangiavano quei due nomi, accompagnandoli forse con carne di belle frasi, con capicollo di galanterie, con panedispagna di pensieri reali e di parole di gala? In fondo, quel muccusello, scherzandoci, era andato molto vicino alla verità, ma che poteva saperne allora lui di quella verità? Allora, al senso suo, al senso 454 di quel muccusello, quella gli pareva una nonsenseria. La prima volta l'aveva pigliata addirittura per opera di pazzia: che s'intendano di essere ora? si era domandato. Si rimbambirono? Uscirono di senno? Gli erano parsi anche un poco ridicoli e vergognosi come tornassero a fare zito con la zita, come se parlassero con la lingua fra i denti e senza sapere perché, all'orecchio gli facevano lo stesso effetto di quelli che tornano dal servizio di leva in continente e non fanno che ripetere: mica, mica, e credono di parlare italiano con quella paroletta che nel mangiare italiano si mette come il prezzemolo, dove c'entra e dove non c'entra, ma da sola è come un mangiare di solo prezzemolo. Ma chi era quell'Aci che era detto reale? qualche principe di sangue per caso? E quella Galatea? sua moglie, c'era da immaginare, per avere Gala anche nel nome, no? Ma chi erano, chi erano, che nomi erano quelli, che suggestione gli davano, quanta varietà di cose, quanta sfumatura di rose e di garofani, quanta carne e capicollo e panedispagna gli rappresentavano davanti agli occhi, solo a pronunciarli, solo a dirli, sempre sempre, idem come prima? Era gente di Aci e Acireale sicuramente: questo lo diceva il nome di lui a prima vista, tanto che pareva che fosse un'intesa che gli avevano messo col nome stesso del paese, oppure doveva essere uno di quei principi e baroni così ricchi che anche il nome del paese dove stanno è come proprietà loro. Eppoi, se ce ne fosse stato bisogno, che fosse gente di Aci l'ebbe confermato da qualcosa che l'Acitana disse a Caitanello, una volta che non era di carestia e non era di notte e che fu poi l'unica volta, sia di notte e sia di giorno, che a Caitanello e all'Acitana lui sentì fare un accenno a quel riguardo e dire qualcosa in più dei nomi puri e semplici. E che c'entra? sentì dire quella volta all'Acitana, in risposta a qualcosa che Caitanello doveva averle detto a proposito delle Grotte di Polifemo, che sarebbero, delle scogliere vicino Milazzo, e lassòpra c'era il carcere. E che c'entra Milazzo? Il fatto ad Aci successe, ad Acireale: e sennò, quello si chiamava Aci e reale per giunta? Ma potrebbe pure essere che quello lì, il gigantone, Polifemo Unocchio, scappa scappa, arrivò a Milazzo e s'ingrottò là. Questo sì, ma quanto al fatto, fu fatto successo ad Aci, quello...
-
Gente di Aci: ma chi erano? chi erano, che fatto gli era successo e che c'entrava quel tale Polifemo Unocchio? Ma chi gli poteva rispondere? Questo sapeva e questo seppe, se era sapere quello. Gente di Aci, precisamente questo erano per lui, forestieri e sconoscenti, 455 che apparivano, facevano coi nomi quella sconclusione di ciuciulìo e poi sparivano; gente di Aci che in quelle notti di carestia se n'andavano come venivano e a lui gli lasciavano solo un solletichio di suoni senza senso, assonnolenti, all'orecchio, come se quel ciuciulìo di sillabe, passando per l'anima delle canne del tramezzo, si fosse raccolto tutto lì, nel suo orecchio.
-
Gente di Aci, non gente di Cariddi, gente di casa, confidente, come il Granvisire e Masignora. Con questi, tanto per dire, avrebbe potuto intrigarsi a occhi chiusi nei loro conciliaboli: svegliandosi, poteva dire subitaneamente a che punti erano arrivati: perché il Granvisire e Masignora s'inventavano solo quel poco di fottere e era come se l'inventassero per la prima volta e per questo ogni volta un po' per celia un po' per non morire, armavano quell'operetta, quella pantomima a Granvisire e Masignora come per sconoscersi un poco e vergognarsi di meno; e poi se n'uscivano subito al naturale: l'Acitana e Caitanello andanti, con la lingua e le cose di tutti i giorni, tornavano gli afflitti e patiti padre e madre che appena giorno, sursincorda, sursincorda, avrebbero ripigliato ad andare avanti con quella vita.
-
Aci e Galatea invece, si svegliava e poteva dire che erano sempre a un punto. Non s'inventavano nulla, non armavano nessun'opera, nessuna pantomima, facevano solo quel ciuciulìo di nomi: acimiogalateacirealemiogalaté... Solo questo, eppure questo solo gli dava all'intonazione di voce un'aria di sazietà, dava alla loro voce un tono felice di sazi, sembrava dall'intonazione di voce dargli un'aria di felicità, una felicità piena, sazia anche se malinconica, sotto sotto contristata da qualcosa, come se quella felicità gli costasse troppo, l'avessero raggiunta a caro prezzo. Una nonsenseria, questo gli pareva allora, ma contempo, allora, era come lo capisse che se gli pareva una nonsenseria era perché non se ne capacitava.
Non era cosa che lui potesse decifrare coi suoi soli mezzi, era una cosa troppo intima, segreta fra lui e lei. La morte di sua madre scoprì un fianco a quell'enimma, proprio come lasciò un posto vuoto a letto: e una notte, per un caso, fu quasi sul punto, per quel varco, di trovarsi dentro all'enimma, nel mezzo, fra Galatea e Aci. "Per un caso", diceva: "per un azzardo", doveva dire, un vero azzardo, un azzardo di quelli che può commettere solo un caruso. Non era cosa che lui potesse decifrare coi suoi soli mezzi, era cosa segreta, troppo intima, segreta fra lui e lei. La morte di sua madre scoprì un fianco a quell'enimma, proprio come lasciò un posto vuoto a letto: e una notte, per un caso, fu quasi sul punto, per quel varco, di trovarsi dentro all'enimma, nel mezzo, fra Galatea e Aci. Per un caso, diceva: per un azzardo, per un vero azzardo, un azzardo di quelli che incoscentemente può fare solo un muccuso.
Era successo una notte: sua madre era morta da qualche anno e da pochi giorni suo padre gli aveva detto di venirsene a dormire al posto di lei. S'illudeva forse che questo gli registrasse gli spiriti esaltati: perché doveva averlo per forza qualche sospetto di come, una notte "Granvisire", una notte "Aci", tornava a muovere i pupi con "Masignora" 300 e "Galatea", da quel punto dove li aveva lasciati con la morte dell'Acitana. Era successo una notte che sua madre era morta da alcuni mesi 456 e da pochi giorni suo padre gli aveva detto di venirsene a dormire al posto di lei. S'illudeva forse che questo gli registrasse gli spiriti esaltati: perché, doveva averlo per forza qualche sospetto di come, una notte Granvisire, una notte Aci, tornava a muovere i pupi con Masignora e Galatea, da quel punto dove li aveva lasciati con la morte dell'Acitana.
Perlopiù, si trattava di mugugni come se sproloquiasse a bocca chiusa e di tante parole solo qualche sbavatura succedeva che gli passasse fra le labbra ma rarissimo pronuciava parole nette, che avessero un senso, se si eccettuavano "Masignora" e "Galatea", "Granvisire" e "Aci": ma anche quando pronunciava questi nomi, subito dopo pareva parlarsi dalla bocca verso dentro, giù giù per la strozza. Perlopiù, si trattava di mugugni come se sproloquiasse a bocca chiusa, e di tante parole solo qualche sbavatura succedeva che gli passasse fra le labbra, ma rarissimo pronuciava parole nette, che avessero un senso, se si eccettuavano Masignora e Galatea, Granvisire e Aci: pronunciava questi nomi belli chiari, ma subito dopo pareva parlarsi in dentro, con la lingua imbrogliata, dalla bocca giù per la strozza.
Quella notte disse «Galatea», ma con sua sorpresa, non aveva finito di dirlo che lo ridisse, però interrogativo: «Galatea?»
E poi, come se nel più profondo del sonno lo cogliesse un sospetto, si era incantato come un disco a chiamarla, chiamarla:
«Galatea? Galatea? Galatea?»
Quella notte, potevano essere ancora nel primo sonno, aveva detto:
« Galatea » ma con sua sorpresa, non aveva finito di dirlo che lo ridisse, però interrogativo: « Galatea? » E poi, come se nel più profondo del sonno lo cogliesse un terribile dubbio, si era incantato come un disco a chiamarla chiamarla: « Galatea? Galatea? Galatea? »
A lui gli faceva pena ma anche, e di più, paura. Istintivamente, si era ritirato nel suo angolo di letto, e là gli era venuto un groppo di lagrime e questo groppo era riuscito a scioglierlo senza un singhiozzo, inghiottendosi le lagrime.
Poi come se fosse di un altro, aveva sentito la sua voce parlare da sola, salirgli dalle venature lagrimose del petto e uscirgli di bocca, come la voce di un invisibile folletto che diceva:
«Aci mio... Mio Aci reale...»
A lui gli faceva pena, ma anche, e di più, paura. Istintivamente, si era ritirato nel suo angolo di letto, e là gli era venuto un groppo di lagrime e questo groppo era riuscito a scioglierselo in gola, inghiottendosi le lagruime senza nemmeno un singhiozzo. Poi come se fosse di un altro, aveva sentito la sua voce parlare da sola, salirgli come un filo d'acqua, tremula e prorompente, dalle venature lagrimose del petto e sgorgargli di bocca, come fosse la voce di un invisibile folletto che diceva dentro di lui:
« Aci mio... Aci reale mio »
Non doveva essere completamente in sensi per commettere un simile azzardo, una tale insensatezza, di rispondere a suo padre, spacciandosi per l'Acitana. Ancora non aveva finito di dire mio e già sbarrava gli occhi di terrore, già si diceva che non doveva avere i sentimenti completamente a posto per commettere un simile azzardo, una tale insensatezza, di rispondere a suo padre spacciandosi per l'Acitana.
Caitanello aveva fatto con la testa di qua e di là sul cuscino, come un cieco che sente un ostacolo ignoto e impreveduto davanti alla faccia. Aveva sentito la stonatura e questa doveva avergli strambato un poco il sonno. No, non era tornato in sensi, questo fortunatamente no: il sonno gli si era solo incantato e come un sonnambulo, ci stava sospeso sopra come un filo. Caitanello aveva fatto con la testa di qua e di là sul cuscino, come un cieco che sente un ostacolo ignoto e impreveduto davanti alla faccia. Aveva sentito la stonatura e questa doveva avergli strambato un poco il sonno. No, non era tornato in sensi, questo fortunatamente no, il sogno gli si era come incantato, lasciandolo che pareva sospeso a un filo, come un sonnambulo.
«Galatea? Galatea?», aveva chiamato ancora, o tentato di chiamare. 457 « Galatea? Galatea? » aveva chiamato ancora, dopo qualche secondo.
Quella voce a occhi chiusi, impastata di speranza, di dubbio, di incredulità con un che di guardingo e di sospettoso nell'interrogare un'ombra nell'ombra gli aveva dato i brividi. Aveva un tono accigliato, tremendo che a lui lì, al suo fianco, faceva trattenere il fiato: sembrava che da dentro il suo sonno, aguzzando gli occhi di diffidenza, si orientasse verso quella voce che in risposta, lo aveva apostrofato «Aci mio... Mio Aci reale...». Se lo immaginava nel sonno come circondato da alte caverne che gli rimandavano l'eco lontana dell'Acitana, con un timbro così fresco che per forza doveva sentirla ancora viva, lì dintorno, fra le caverne del letto, le pieghe delle lenzuola. Quella voce a occhi chiusi, impastata di speranza, di dubbio, di incredulità, con un che di guardingo e sospettoso nel fare la riprova, nell'interrogare un'ombra nell'ombra, gli aveva dato i brividi. Aveva un tono accigliato, tremendo che a lui lì, al suo fianco, faceva trattenere il fiato: sembrava che da dentro il suo sonno, aguzzando gli occhi di diffidenza, si orientasse verso quella voce che in risposta lo aveva apostrofato Aci mio... o Aci reale mio... Se lo immaginava nel sonno come circondato da alte caverne che gli rimandavano l'eco lontana dell'Acitana, con un timbro così fresco, che per forza doveva sentirla ancora viva, lì dintorno, fra le caverne del letto, le pieghe pietrose delle lenzuola.
«Galatea? Galatea?», sprovò ancora Caitanello.
«Aci mio...», gli fece eco lui, perché di eco si trattava.
« Galatea? Galatea? » sprovò ancora Caitanello.
«  Aci mio... » gli fece eco lui, perché di eco si trattava.
301 Ormai s'era compromesso, non poteva più tirarsi indietro, ormai ci voleva più coraggio a zittirsi che dire «Aci mio...» o «Mio Aci reale...».
Se chiamando "Galatea", si fosse sentito rispondere il silenzio, anche il silenzio avrebbe potuto dargli un contraccolpo e risvegliarlo. Se non si svegliava del tutto, era per quella specie di eco che lo teneva come imbalsamato, fermo dov'era, là in sonno.
Ormai s'era compromesso, non poteva più tirarsi indietro, ormai ci voleva più coraggio a zittirsi che dire Aci mio... o Aci reale mio... Se chiamando Galatea, si fosse sentito rispondere il silenzio, anche il silenzio avrebbe potuto dargli un contraccolpo e risvegliarlo. Se non si svegliava del tutto, era per quella specie di eco che lo teneva come imbalsamato, fermo dov'era, là, pelo pelo al sonno.
Ma con la paura che aveva, anche lui era rimasto come assincopato nella stessa posizione in cui si trovava quando il primo "Aci mio" gli era uscito dal petto: con la coperta tirata sulla faccia, gli occhi girati dall'altra parte, non osava muovere nemmeno un sopracciglio, perché era sicuro che se appena cambiava posizione, variava anche solo il respiro, quello solo sarebbe bastato a risvegliarlo. Ma con la paura che aveva, anche lui era rimasto come assincopato nella stessa posizione in cui si trovava quando il primo Aci mio... gli era scappato di bocca: con la coperta tirata sulla faccia, gli occhi girati dall'altra parte, non osava muovere nemmeno un sopracciglio, perché era sicuro che se appena cambiava posizione, variava anche solo il respiro, quello solo sarebbe bastato a risvegliarlo.
«Galatea?»
«Aci mio...»
«Galatea?»
«Mio Aci reale...»
« Galatea? »
« Aci mio... »
« Galatea? »
« Aci reale mio... »
Caitanello era parlante, ma non sembrava respirare, non muoveva neanche le labbra ed era come se la voce gli uscisse dal ventre: stava smanicato con le braccia fuori dalla coperta, a faccia all'aria. Con la coda dell'occhio poteva vedere il suo profilo nero, un poco sollevato sul cuscino, come si sporgesse in avanti verso una visione, con l'orecchio teso. Caitanello era parlante, ma non sembrava respirare, non muoveva neanche le labbra ed era come se lavoce gli uscisse dal ventre; stava smanicato con le braccia fuori dalla coperta, a faccia all'aria. Con la coda dell'occhio poteva vedere il suo profilo nero, un poco sollevato sul cuscino, come si sporgesse in avanti verso una visione, con l'orecchio teso.
Cominciò a metterci lentezza nel chiamare ma a lui quella lentezza dava i sudori freddi, perché in essa gli pareva addirittura di poterlo vedere, con la fronte aggrottata mentre scandagliava con l'orecchio, col naso e con la mente e con tutto, quella "Galatea" che gli veniva data in risposta.
Forse lavorava di fantasia, ma era persuaso chepartitosi di lontano, confuso e ingombro di sonno, passo passo dietro quella voce di Galatea, avesse viavia guadagnato sempre più in sensi e lucidità di mente; e doveva essersi scandalìato del trucco, per cui pensava con terrore che da un momento all'altro gli sarebbe comparso lì a fianco e tutt'uno, avrebbe girato gli occhi verso di lui e alzata la mano a rovescio per sbattergliela sulla bocca.
Cominciò a metterci lentezza nel chiamare, ma a lui quella lentezza 458 dava i sudori freddi, perché in essa gli pareva addirittura di poterlo vedere, con la fronte aggrottata, mentre scandagliava con l'orecchio, col naso e con la mente e con tutto, teso teso, insomma, dallo sforzo di figurarsi Galatea nella voce che gli veniva data in risposta. Forse lavorava di fantasia, spagnato com'era, ma aveva l'impressione che partitosi di lontano, confuso e ingombro di sonno, passo passo dietro quella voce di Galatea, Caitanello avesse viavia guadagnato sempre più in sensi e lucidità di mente e ormai doveva essersi scandaliato del trucco: per questo, andava pensando con terrore che da un momento all'altro gli sarebbe comparso lì a fianco e tuttuno, avrebbe girato gli occhi verso di lui e alzata la mano, per sbattergliela di cozzo sulla bocca.
Veniva a toccare con mano, in ogni senso, lo sapeva, quello era Caitanello, e poteva dire quasi dire di sentire il sapore del sangue sulle labbra. Caitanello, nelle cose dove, secondo lui, si vedeva quant'era furbo, doveva sempre dare una qualche pubblicità di parole e di gesti maniscoli, per pentirsene magari subito dopo.
Veniva a toccare con mano, in ogni senso, lo sapeva, quello era Caitanello, e gli pareva di sentire già il sapore del sangue sulle labbra. Caitanello, nelle cose dove, secondo lui, si vedeva quant'era furbo, doveva sempre dare una qualche pubblicità di parole e di gesti maniscoli, per pentirsene magari subito dopo.
Ma da dove mi venne di fargli l'Acitana?, si chiedeva. Non poteva nemmeno pentirsene, perché sapeva di non averci niente a che fare con quella voce spiritata che gli era uscita di bocca. Ma chi me la ispirò, chi?, si chiedeva. Ma da dove mi venne di fargli l'Acitana? si chiedeva. Non poteva nemmeno pentirsene, perché sapeva di non averci niente a che fare con quella voce spiritata che gli era uscita di bocca. Ma chi me la ispirò, chi? si chiedeva.
Era persuaso di non potersi dare una risposta, ma nello stesso tempo 302 che se lo chiedeva, aveva avuto come una rivelazione. Pensò che gliela avesse potuta ispirare lei stessa, l'Acitana, per pietà del suo Caitanello: non si trovava forse al posto di lei nel letto, dove forse era rimasto il suo spirito quando se n'era andato col corpo? In quel momento non ebbe più paura, non solo, ma sentì dentro uno scatto di ribellione contro la pietà dell'Acitana e contro se stesso, perché le aveva fatto da portavoce. Non era giusta, ma era benigna quella pietà: sprofondava la guancia dentro il cuscino e gli pareva così di gridarla in un sussurro direttamente a lei, all'orecchio dell'Acitana, quella protesta e quella pena che gli gonfiava il cuore. Era persuaso di non potersi dare una risposta, ma nello stesso tempo che se lo chiedeva, aveva avuto come una rivelazione. Pensò che gliela avesse potuta ispirare lei stessa, l'Acitana, per pietà del suo Caitanello. Non si trovava forse al posto di lei, nel letto, dove forse era rimasto il suo spirito quando se n'era andato il corpo? In quel momento non ebbe più paura, non solo, ma sentì dentro uno scatto di ribellione contro la pietà dell'Acitana e contro se stesso, perché le aveva fatto da portavoce. Non era giusta, ma era benigna quella pietà: sprofondava la guancia dentro il cuscino e gli pareva così di gridarla in un sussurro direttamente a lei, all'orecchio dell'Acitana, quella protesta e quella pena che gli gonfiava il cuore.
Quel momento venne: senza aprire gli occhi, senza muoversi, Caitanello mandò il suo braccio a tastare da quella parte del letto. Incontrò il suo fianco, sollevò la mano e gliela posò fra i capelli e, come per appurare se si trattava di capelli corti o lunghi, li scorreva a ciuffi fra le dita; gli prese poi l'orecchio, come cercasse al lobo un orecchino.
Quel momento venne: senza aprire gli occhi, senza muoversi, Caitanello mandò il suo braccio a tastare da quella parte del letto. Incontrò il suo fianco, sollevò la mano e gliela posò fra i capelli e, come per appurare se si trattava di capelli corti o lunghi, li scorreva a ciuffi fra le dita: gli pigliò poi l'orecchio, come cercasse al lobo un orecchino.
Qui, però ribellato da uno scoppio di tosse, si svegliò completamente: a fior di labbro, allora, come volesse e non volesse appurare chi era la persona che gli stava a fianco, lo chiamò:
«'Ndrja?» fece una prima volta e poi una seconda: «'Ndrja?».

Qui, però ribellato da uno scoppio di tosse, si svegliò completamente. 459 A fior di labbro, allora, come volesse e non volesse appurare chi era la persona che gli stava a fianco, lo chiamò:
« 'Ndrja? » fece una prima volta, pianissimo, e poi una seconda, più piano ancora di prima: « 'Ndrja? ».
Sapeva benissimo che era sveglio, nessuno glielo avrebbe levato di testa, ma doveva essere convinto che quel muccuso, per paura di lui, si sarebbe guardato bene dal rispondere, standosene tacito tacito, bello e innocentemente addormentato come gli faceva comodo a lui.
Non era venuto, perciò, per toccare con mano la verità né per gonfiare le labbra a suo figlio che gli imitava l'Acitana, non veniva col coraggio civile di appurare l'inganno ma anzi, con la paura che il figlio gli stroncasse il piacere dicendogli: «Te la rifeci io l'Acitana, io ti risposi con "Aci mio" o con "Mio Aci reale"»; non veniva a domandargliene conto ma al contrario a piatirgli silenzio e complicità: non veniva, insomma, realistico ma illuso, illusorio.
Sapeva benissimo che era sveglio, nessuno glielo avrebbe levato di testa, ma doveva essere convinto che quel muccuso, per paura di buscarsi qualche pelliata, si sarebbe guardato bene dal rispondere, standosene tacitamente addormentato, come gli faceva comodo a lui.
Non era venuto, perciò, per toccare con mano la verità né per gonfiare le labbra a suo figlio che gli imitava l'Acitana, non veniva col coraggio civile di appurare l'inganno, ma anzi, con la paura che il figlio gli stroncasse il piacere dicendogli: te la rifeci io l'Acitana, io ti risposi con Aci mio o con Aci reale mio
; non veniva a domandargliene conto ma al contrario, a piatirgli silenzio e complicità: non veniva insomma, realistico ma illuso, illusorio.

Fu questione di istanti; capì che non ci avrebbe riprovato a chiamarlo, ormai doveva pensare che il figlio si sarebbe tenuto la posta, e non doveva, non doveva...
«Eh?
», gli fece.
«Mi chiamasti pa'?»
Fu questione di istanti: capì che non ci avrebbe riprovato a chiamarlo, ormai doveva pensare che il figlio si sarebbe tenuto la posta, e non doveva, non doveva...
« Eh? » gli fece, e per non lasciargli scampo, non si volle fingere nemmeno che era stranottato, che usciva allora allora di sonno . «Mi chiamasti pa'?»
Qualcosa gli succedeva dentro: gli moriva quel bene ammirativo che aveva sempre sentito per suo padre, e un'altra specie di bene lo sostituiva ed era come lo stesso bene alla rovescia, come il bene di un padre verso un figlio, tenero e duro, un bene, in una parola, protettivo. Qualcosa gli succedeva dentro: gli moriva quel bene ammirativo che aveva sempre sentito per suo padre, e un'altra specie, uguale e diversa, di bene lo sostituiva e a lui sembrava il bene di prima scambiato con quello di suo padre per lui, come il bene di un padre verso un figlio, un bene tenero e duro, un bene, in una parola, protettivo.
«Ah, non dormi?», gli fece Caitanello, finto incredulo. E poi:  «E quant'è che non dormi?»
«Mah, sarà un'ora».
« Ah, non dormi? » gli fece Caitanello, finto incredulo. E poi:  « Quant'è che non dormi? »
« Mah, sarà un'ora »
Stette un gran pezzo a sciropparsi questo: s'accese il mozzicone di 303 "indigena", che teneva sempre a portata di mano, tirò qualche boccata, poi disse, gettandosi allo sbaraglio:
«M'arrivò una voce strana in sonno che non so che diceva: "Accia, acciara, acciarino...". Qualcosa così, ma non l'afferrai la parola vera. Non mi spiego che fu, chi fu...
»
Stette un gran pezzo a sciropparsi questo: s'accese il mozzicone di indigena, che teneva sempre a portata di mano, tirò qualche boccata, poi disse, gettandosi allo sbaraglio:
« M'arrivò una voce strana in sonno che non so che diceva: accia, acciara, acciarino... Qualcosa così, ma non l'afferrai la parola vera. Non mi spiego che fu, chi fu...
»
«Sì, sì, non te lo spieghi...», gli fece con rabbia, e scese le gambe a terra, sedette sulla sponda del letto dandogli le spalle:  «chi fu, chi fu... Pare che non lo sai che fui io...»
«Tu? Parlasti tu?»
«Uffa, lo sai, pa', lo sai»
«Oh, muccuso? Che tono mi usi, eh, muccuso?».
Gli diceva "muccuso, muccuso", e lui sentiva che questo non aveva più senso per lui, proprio perché sentiva di non essere più un muccuso e come lui e come lo sentiva lui, doveva sentirlo forse anche suo padre.
« Sì, sì, non te lo spieghi... » gli fece con rabbia, e scese le gambe a terra, sedette sulla sponda del letto dandogli le spalle:  « Chi fu, chi fu... Pare che non lo sai che fui io... »
460 « Tu? Parlasti tu? »
« Uffa, lo sai, pa', lo sai »
« Oh, muccuso? Che tono mi usi, eh, muccuso? » Gli diceva muccuso, muccuso, e lui sentiva che questo non aveva più senso per lui, proprio perché sentiva di non essere più un muccuso e come lui e come lo sentiva lui, doveva sentirlo forse anche suo padre.
«Parlò lui, parlò... Ma che disse, vorrei sapere, che disse questo muccuso?» andava scandagliandolo, si capiva. « Parlò lui, parlò... Ma che disse, vorrei sapere, che disse questo muccuso? » andava scandagliandolo, ma non lo sfidava più a non dire, che a dire, si capiva.
«Dissi "Aci mio" e dissi "Mio Aci reale", questo dissi», gli fece papale papale, per levargli ogni illusione, anche se, a dirgli questo, là sulla sponda del letto, si era sentito avvampare gli orecchi. « Dissi Aci mio... e dissi Aci reale mio... questo dissi » gli fece papale papale, per levargli ogni illusione, anche se, a dirgli questo, là sulla sponda del letto, si era sentito avvampare gli orecchi.
Caitanello pigliò tempo a rispondere e quando rispose, non si mostrò animoso, ma arrendevole, arrendevole e stanco, e stranamente bisognoso di sapere, di appurare. Caitanello pigliò tempo a rispondere e quando rispose, non si mostrò animoso, ma arrendevole, arrendevole e stanco, e stranamente bisognoso di sapere, di appurare.
«E perché dicesti questo? Da dove ti venne?»
«Nemmeno io lo so. Mi scappò»
«Ma da dove ti venne? Da qualche parte ti dovette venire...»
«Forse mi venne perché stavo a letto qua»
«E che senso gli dài tu al fatto che stavi a letto qua?»
«Che senso? Il senso che tu dicevi "Gala a tea" e a me mi venne di dirti "Aci mio"... »
« E perché dicesti questo? Da dove ti venne? »
« Nemmeno io lo so. Mi scappò »
« Ma da dove ti venne? Da qualche parte ti dovette venire »
« Forse mi venne perché stavo a letto qua »
« E che senso gli dài tu che stavi a letto qua? »
« Che senso? Il senso che tu dicevi Gala a tea e a me mi venne di dirti Aci mio... »
Caitanello masticò la sua saliva, sbatté le labbra, si vedeva il fianco scoperto e non sapeva che farci.
«Ma tu, muccusello, che fai?
», finì col dirgli, forse solo per un proforma di prestigio. «Invece di dormire, ti metti alla misa, gli orecchi tesi a spiare quello che si sognano gli altri?»
« Sì, sì, ora vuole ragione, per giunta... Si mette all'orecchio, si mette a musica notte per notte e vuole che dormo... »
« E perché non te ne torni a dormire dove dormivi prima? Perché non vai e ti pari il letto fra le sedie, eh?»
Caitanello masticò la sua saliva, sbatté le labbra, si vedeva il fianco scoperto e non sapeva che farci:
« Ma tu, muccusello, che fai?
» finì col dirgli, forse solo per proforma di autorità e prestigio. « Invece di dormire, ti metti alla misa, gli orecchi tesi a spiare quello che si sognano gli altri? »
« Sì, sì, ora vuole ragione, per giunta... Si mette all'orecchio, si mette a musica notte per notte e vuole che dormo... »
« E perché non te ne torni a dormire dove dormivi prima? Perché non vai e ti pari il letto fra le sedie, eh?»
E qui, all'incirca a questo punto, per la rabbia gli erano venute le lagrime. Si sentiva il cuore stretto in una morsa, perché suo padre cadeva sempre più nelle bambinaggini, mentre l'idea sua era che doveva levarlo lui dalle bambinaggini, dato che erano due e uno doveva fare per forza il realistico, se l'altro faceva poesia. Per questo piangeva, 304 perché sentiva che per lui era arrivato il momento di fare il grande prima del tempo, come nelle case dove un giorno il padre non torna dall'uscita in mare e il primo maschio, sbarbatello o muccuso, diventa capofamiglia. Piangeva per questo, e quelle erano forse le sue ultime lagrime di muccuso. E qui, all'incirca a questo punto, per la rabbia, gli erano venute le lagrime. Si sentiva il cuore stretto in una morsa, perché suo padre cadeva sempre più nelle bambinaggini, mentre l'idea sua era che doveva levarlo lui dalle bambinaggini, dato che erano due e uno doveva fare per forza il realistico, se l'altro faceva poesia. Per questo piangeva, perché sentiva che per lui era arrivato il momento di fare il grande prima del tempo, come nelle case dove un giorno il padre non torna dall'uscita in mare e il primo maschio, sbarbatello 461 o muccuso, diventa capofamiglia. Piangeva per questo, e quelle erano forse le sue ultime lagrime di muccuso.
Si alzò dal letto e fece qualche passo, piangeva e diceva: «Pure subito, ora, me lo vado a parare il letto...»
«Fermati», gli intimò, alzandosi sul busto. «Non ti muovere di dove sei. Te lo dico quando te ne devi andare. Ma guardate, guardate questo muccuso quant'acqua che sta pigliando... Piange ora, piange: Ihihih... Prima s'intromette, s'intriga in cose che non gli competono, e poi piange... »
Col torto che aveva, faceva schiuma, schiumogeni, era naturale.
Si alzò dal letto e fece qualche passo, piangeva e diceva:
«
Pure subito, ora, me lo vado a parare il letto... »
« Fermati » gli intimò, alzandosi sul busto. « Non ti muovere di dove sei. Te lo dico io quando te ne devi andare. Ma guardate, guardate questo muccuso quant'acqua che sta pigliando... Piange ora, piange: ihihih... Prima s'intromette, s'intriga in cose che non gli competono, e poi piange... »
Col torto che aveva, faceva schiuma, schiumogeni, era naturale.
Poi passò tanto tempo, che sembrava tutto finito. Lui si era seduto nuovamente sulla sponda, Caitanello aveva trafficato con mozziconi di sigarette e cerini, e poi a poco a poco si era allungato sul letto. Poi passò tanto tempo, che sembrava tutto finito. Lui si era seduto nuovamente sulla sponda, Caitanello aveva trafficato con mozziconi di sigarette e cerini, e poi a poco a poco si era allungato sul letto.
"E che conclusi?", s'andava dicendo. "Ora lo persuade di nuovo il sonno, e si rimette a musica con 'Gala a tea'. E allora che conclusi con questa scena?" Ma era qui che si dimostrava ancora muccuso, perché credeva che in una cosa come quella si potesse arrivare a una conclusione, e perché credeva che potesse dipendere da lui, arrivarci. E che conclusi? s'andava dicendo. Ora lo persuade di nuovo il sonno, e si rimette a musica con Gala a tea. E allora che conclusi con questa scena? Ma era qui che si dimostrava ancora muccuso, perché credeva che in una cosa come quella si potesse arrivare a una conclusione, e perché credeva che potesse dipendere da lui, arrivarci.
Non se lo sarebbe mai aspettato che Caitanello ripigliasse lui il discorso:
«Ndrja?», lo aveva chiamato, « mi devi dire perché dicesti "Aci mio". Eh, perché?»
«Perché ti sentii dire a te "Gala a tea". Per questo, te lo ripeto»
« Io dissi "Gala a tea"? A me lo sentisti dire?»
«A chi allora? A te. Parlasti in sogno»
«Io, parlai in sogno?»
«Ah, non lo sai? Ti pare la prima volta che parli? Parli sempre...»; glielo disse abbassando la voce in soffio, come si vergognasse di svergognarlo.
Non se lo sarebbe mai aspettato che Caitanello ripigliasse lui il discorso:
« Ndrja? » lo aveva chiamato. « Mi devi dire perché dicesti Aci mio. Eh, perché? »
« Perché ti sentii dire Gala a tea. Per questo, te lo ripeto. »
« Io dissi Gala a tea? A me lo sentisti dire? »
« A chi allora? A te. Parlasti in sogno »
« Io, parlai in sogno? »
« Ah, non lo sai? Ti pare la prima volta che parli? » Glielo disse abbassando la voce in soffio, come si vergognasse di svergognarlo.
Suo padre, allora, con un tono sincerissimo di curiosità, gli domandò:
«Ma tu che ne sai di questo "Aci" e di questa "Galatea"?
»
«Niente ne so. Che ne posso sapere io?»
«Però dici "Aci", se senti "Galatea"...»
«Vi sentivo a te e a ma'... Ma' che diceva "Aci mio" e tu che le rispondevi "Gala a tea"»
«"Galatea"», lo corresse lui. «"Ga... la... te... a"»
«...e tu che le rispondevi "Ga... la... te... a"», si corresse lui.
Suo padre allora, con un tono sincerissimo di curiosità, gli domandò:
« Ma tu che ne sai di questo Aci e di questa Galatea?
»
« Niente ne so. Che ne posso sapere io? »
« Però dici Aci, se senti Galatea... »
« Vi sentivo a te e a ma'... Ma' che diceva Aci mio e tu che le rispondevi Gala a tea »
« Galatea » lo corresse lui. « Ga... la... te... a »
462
« Ga... la... te... a » si corresse lui.
«Sentivi...», fece Caitanello come ci riflettesse.
«Dormivo e mi svegliavo...», disse a sua scusante.
«Parlavamo tanto forte io e tua madre?»
305 «No, anzi, leggerissimi. Però vi sentivo e mi svegliavo
»
«E tu allora che pensavi?»
«Niente: che dovevo pensare? Sentivo solo il vostro ciuciulìo»
«Ciuciulìo? Allora non sentivi solo "Aci" e "Galatea"?»
«No, solo "Aci" e "Galatea", "Mio Aci reale", "Gala a tea", "mio", "tea"... Questo ciuciulìo».
« Sentivi... » fece Caitanello come ci riflettesse.
« Dormivo e mi svegliavo... » disse a sua scusante.
« Parlavamo tanto forte io e tua madre? »
« No, anzi, leggerissimi. Però vi sentivo e mi svegliavo
»
« E tu allora che pensavi? »
« Niente. Che dovevo pensare? Sentivo solo il vostro
ciuciulìo
»
« Ciuciulìo? Allora non sentivi solo Aci e Galatea? »
« No, solo Aci e Galatea »
« Ma non dicesti che sentivi un ciuciulìo? Che ciuciulìo? »
« Aci mio, Galatea, Aci reale mio, Gala a tea... Questo ciuciulìo »
Perché non gli aveva detto anche del Granvisire e di Masignora? forse perché il Granvisire e la Masignora, alla fine, si scoprivano la faccia e tornavano andanti, giornalieri, quelli che conosceva: Caitanello e l'Acitana con la loro vita e lingua di tutti i giorni. Ora se Caitanello si pretendeva a Granvisire, anche ora che l'Acitana era morta,  e rifacevano, lui e Masignora, i conciliaboli di una volta, questo non poteva riuscirgli pericoloso, non poteva creargli nessuna spietata illusione. "Aci" e "Galatea", invece, non sapeva chi o che cosa gli rappresentavano, non avevano l'aria andante e giornaliera del Granvisire e della Masignora, col loro parlare delle cose di tutti i giorni, compresi i sogni, che poi non erano altro che i loro sogni. Per questo, quelli non gli ispiravano fiducia. Poteva escluderlo lui che a Caitanello quell'Aci non gli avrebbe fatto un effetto chimerico, ora che quella Galatea era morta?
Perché non gli aveva detto anche del Granvisire e di Masignora? Forse perché il Granvisire e la Masignora, alla fine, si scoprivano la faccia e tornavano andanti, giornalieri, quelli che conosceva: Caitanello e l'Acitana con la loro vita e lingua di tutti i giorni. Ora se Caitanello si pretendeva a Granvisire, anche ora che l'Acitana era morta,  e rifacevano, lui e Masignora, i conciliaboli di una volta, questo non poteva riuscirgli pericoloso, non poteva creargli nessuna illusione spietata. Aci e Galatea invece, non sapeva chi o che cosa gli rappresentavano, non avevano l'aria andante e giornaliera del Granvisire e della Masignora, col loro parlare delle cose di tutti i giorni, compresi i sogni, che poi altro non erano che i loro bisogni. Per questo, quelli non gli ispiravano fiducia. Poteva escluderlo lui che a Caitanello, a lui come a quell'Aci, non gli avrebbe fatto un effetto amaro, maligno, ora che quella Galatea era morta?
«Ma per te, per te» insisteva Caitanello, «che senso avevano 'st'Aci e 'sta Galatea? Lo avevano un senso e che senso per te?»
«Che senso?», ripeté con un risolino, «che senso dovevano averne? Nessuno, per me»
«Niente, niente? non ti dicevano niente a te?»
«Niente. Un ciuciulìo, te lo ripeto, un ciuciulìo».
« Ma per te, per te, » insisteva Caitanello, «  per te, che senso avevano st'Aci e sta Galatea? L'avevano un senso e che senso per te?»
« Che senso? » ripeté con un risolino. « Che senso dovevano avere? Nessuno, per me »
« Niente, niente? Non ti dicevano niente a te? »
« Niente. Un ciuciulìo, te lo ripeto, un ciuciulìo »
Sbuffò, poi allungò un braccio, gli mise una mano sulla spalla e lo tirò come se gli pigliasse il nervino:
«Ma allora, don muccuso, perché non ti stai zitto se senti tuo padre che si fa un morso di sogno e gli scappa qualche parola di bocca? Mi vuoi spiegare perché t'intrighi in cose che nemmeno capisci, eh? Perché pigliasti parola, vorrei sapere io? Ti competeva a te, forse, dirmi "Aci mio", eh?»
Sbuffò, poi allungò un braccio, gli mise una mano sulla spalla e lo tirò asé con uno strappo come se gli pigliasse il nervino:
«Ma allora, don muccuso, perché non ti stai zitto se senti tuo padre che si fa un morso di sogno e gli scappa qualche parola di bocca? Mi vuoi spiegare perché t'intrighi in cose che nemmeno capisci, eh? Perché pigliasti parola, vorrei sapere io? Ti competeva a te, forse, dirmi Aci mio, eh? »
«Me ne pentii subito...», gli fece.
Lo strinse più forte alla spalla.
«Mi volevi pigliare in giro, per caso?»
«Sì, in giro... 'Sta voglia mi sentivo... Ma se nemmeno lo so come fu. Mi sentii dire "Aci mio" senza sapere come».
463 « Me ne pentii subito... » gli fece.
Lo strinse più forte alla spalla:
« Mi volevi pigliare in giro, per caso? »
« Sì, in giro... Sta voglia mi sentivo... Ma se nemmeno lo so come fu. Mi sentii dire Aci mio senza sapere come »
Le lagrime gli risalirono agli occhi, gli scivolarono in bocca e fra le lagrime aveva aggiunto:
«Poi mi passò in mente persino che mi indettò l'Acitana...
»
«L'Acitana?», ripeté come se si scandalizzasse del nome, di sentire 306 come fosse la prima volta, che anche lui la chiamava incoscientemente Acitana. «Dai la colpa a tua madre, ora? La pigli a scusante?»
«Te lo giuro, che veramente questo mi parve, che me la dette lei, ma', l'ispirazione, per quant'era, forse, che ti sentiva chiamare senza poterti mai dare risposta di persona»,
Le lagrime gli risalirono agli occhi, si scivolarono in bocca e fra le lagrime aveva aggiunto:
« Poi mi passò in mente persino che mi indettò l'Acitana...
»
« L'Acitana? » ripeté come se si scandalizzasse del nome, di sentire, come fosse la prima volta, che anche lui la chiamava innocentemente Acitana.
« Dai la colpa a tua madre, ora? La pigli a scusante? »
« Te lo giuro che veramente questo mi parve, che me la dette lei, ma', l'ispirazione, per quant'era forse, che ti sentiva chiamare senza poterti mai dare risposta di persona »
«Ma non era per caso che ti sognavi pure tu, eh?»
«Ah, non mi credi che la bocca mi parlò come se fosse la bocca di ma' e ci parlasse di dentro a me lo spirito suo che diceva "Aci mio"? Ah, non mi credi che mi lasciò a bocca aperta?»
«E l'Acitana sceglieva un muccuso pari tuo per darmi la risposta? Non è che le facevi lo sfottò? Le facevi la ripassata, tanto per dire?»
«Non è vero! Non è vero!», gli gridò sbattendosi e sgocciolandosi tutto di lagrime, «lo sfottò, la ripassata... A me mi venne l'istinto di rivoltarmi contro l'Acitana, questo mi venne di farle: di rivoltarmi, non di farle lo sfottò...»
«Che dicesti, che dicesti muccuso?», fece lui strabiliato, «ti venne di rivoltarti contro l'Acitana? E perché?»
«Perché mi smuoveva la lingua a me per dirti "Aci, Aci..." per farti la pietosa. Perché ti faceva la piaga cancrenosa...», s'ardì azzardosissimo di dirgli.
« Ma non era per caso che ti sognavi pure tu, eh? »
« Ah, non mi credi che la bocca mi parlò come se fosse la bocca di ma' e come se parlando di dentro a me lo spirito suo diceva Aci mio? Ah, non mi credi che mi lasciò a bocca aperta? »
« E l'Acitana sceglieva un muccuso pari tuo per darmi la sua risposta? Non è che le facevi lo sfottò? le facevi la ripassata, tanto per dire? »
« No, no... » gli gridò sbattendosi e sgocciolandosi tutto di lagrime, « Lo sfottò, la ripassata... A me mi venne quasi l'istinto di rivoltarmi contro l'Acitana, questo mi venne di farle: di rivoltarmi, non di farle lo sfottò... »
« Che dicesti, che dicesti muccuso? » fece lui, strabiliato. « Ti venne di rivoltarti contro l'Acitana? E perché? »
« Perché mi smuoveva la lingua a me per dirti Aci, Aci... per farti la pietosa. » s'ardì azzardosissimo di dirgli. « Perché ti faceva la piaga cancrenosa...»
Qui Caitanello s'avventò come una murena, gettandosi verso di lui col pugno ma gli sembrò che si volesse limitare alla mossa:
«Oh, muccuso!
», lo apostrofò fra i denti, «non t'azzardare, muccuso, di parlarmi con questo tono di tua madre, sennò ti stampo un tale buffettone in faccia che t'insordisco... Gli venne di rivoltarsi a questo muccuso, gli venne di rivoltarsi, si rivolta, si rivolta, questa pulce, contro sua madre si rivolta... Ha ancora la bocca che gli puzza del latte di madre e si rivolta per addentare la minna che l'allattò...»
Qui Caitanello s'avventò come una murena, gettandosi verso di lui col pugno, ma si limitò alla mossa:
« Oh, muccuso!
», lo apostrofò fra i denti, «non t'azzardare, muccuso, di parlarmi con questo tono di tua madre, sennò ti stampo un tale buffettone in faccia che t'insordisco... Gli venne di rivoltarsi a questo muccuso, gli venne di rivoltarsi, si rivolta, si rivolta, questa pulce, contro sua madre si rivolta... Ha ancora la bocca che gli puzza del latte di madre e si rivolta per addentare la minna che l'allattò... »
S'avvilì tutto a sentirlo come cercava di cambiare le carte: alla donna Acitana, ora, metteva sopra la regina madre, la rimetteva nei riguardi di madre perché ora gli conveniva questa carta per vincere la partita col figlio. 464 S'avvilì tutto a sentirlo come cercava di cambiare le carte: alla Donna Acitana, ora, metteva sopra la Regina madre, la rimetteva nei riguardi di madre perché ora gli conveniva questa carta per vincere la partita col figlio.
«Per causa tua, per causa tua, fu, se mi venne voglia di rivoltarmi...», gli gridò e tanto per cambiare, s'inondò ancora di lagrime. «Per causa tua, che chiami sempre Galatea, ti spremi, ti spremi, e l'Acitana a te ti pare che non ti sente, che non si risente, a te ti pare, ma la sento io dentro all'origliere come fa ciuciulìo: "Aci mio... Aci mio...". Tu chiami, lei chiama, vi chiamate tutti e due e non vi sentite. Io, invece, di fuori ti sento a te e di dentro sento a lei. La sento, la sento dentro all'origliere, come la sentivo all'epoca, quando lo faceva con te il ciuciulìo, e quell'Aci che sempre dice, che dice che è reale e che è suo, mi entra nell'orecchio a me notte per notte. E così stanotte mi uscì di bocca, per forza mi doveva uscire. E per questo tu la sentisti, per me: sennò tu mai la sentivi. Che ci dormi, tu, sull'origliere suo? Non 307 ci dormi tu, tu no, mentre tutto succede per causa tua, per causa tua...».
« Per causa tua, per causa tua fu, se mi venne di rivoltarmi...» gli gridò e tanto per cambiare, s'inondò ancora di lagrime. « Per causa tua, che chiami sempre Galatea, ti spremi, ti spremi, e l'Acitana a te ti pare che non ti sente, che non si risente, a te ti pare, ma la sento io dentro all'origliere come ciuciulìa: Aci mio... Aci mio.... Tu chiami, lei chiama, vi chiamate tutti e due e non vi sentite. Io, invece, di fuori ti sento a te e di dentro sento a lei. La sento, la sento dentro all'origliere, come la sentivo all'epoca, quando lo faceva con te il ciuciulìo, e quell'Aci che sempre dice, che dice che è reale ed è suo, mi entra nell'orecchio a me, notte per notte. E così stanotte mi uscì di bocca, per forza mi doveva uscire. E per questo tu la sentisti, per me: sennò tu mai la sentivi. Ci dormi tu, forse, sull'origliere suo? Non ci dormi tu, tu no, mentre tutto succede per causa tua, per causa tua... »
Lo fece sfogare e non lo interruppe. Stava rialzato, col gomito sul cuscino, e stava a sentirlo: stava a sentirlo con sentimento, questo era lo sbalorditivo. Gli rinfacciava la sua colpa e lo stava a sentire come se si dichiarasse vinto davanti a suo figlio, al muccuso: come se ne morisse sulle parole che si sentiva dire, se ne morisse di pietà per se stesso e di amore per l'Acitana e di dolcezza per suo figlio. Lo fece sfogare e non lo interruppe. Stava rialzato, col gomito sul cuscino e stava a sentirlo: stava a sentirlo con sentimento, questo era lo sbalorditivo. Gli rinfacciava la sua colpa e lo stava a sentire come se si dichiarasse vinto davanti a suo figlio, al muccuso: come se ne morisse sulle parole che si sentiva dire, se ne morisse di pietà per se stesso e di amore per l'Acitana e di dolcezza per suo figlio.
Per lui era come un balsamo. Era come se suo padre lo abbracciasse, allacciandolo a poco a poco, con braccia tenere, impacciate, con braccia che non ardivano, braccia di elemosinante; ma dentro quelle braccia, al figlio gli passava l'infuriatura, pensava all'Acitana, a quanto gli voleva bene a questo terribilio di palmo d'uomo, e si sentiva un vero malazionario, al confronto. Per lui era come un balsamo. Era come se suo padre lo abbracciasse, allacciandolo a poco a poco, con braccia tenere, impacciate, con braccia che non ardivano, braccia di elemosinante: ma dentro quelle braccia al figlio gli passava l'infuriatura, pensava all'Acitana, a quanto gli voleva bene lei a questo terribilio di palmo d'uomo, e si sentiva un vero malazionario, al confronto.
Si sporse poi, attraverso il letto e allongò il braccio come per dargli la mano: «Avanti, 'Ndrja, vienitine a letto a dormire, qua, accanto a me», lo invitò con voce stranamente fessa. «Sennò al Golfo dell'Aria come vieni? Restammo intesi con don Luigi che dopo Enzo, Salvatorello e Federico, ti toccava a te stavolta di venire al Golfo mase non dormi... Che ora facemmo?», gli domandò.
Si sporse poi attraverso il letto e allungò il braccio come per dargli la mano:
« Avanti, 'Ndrja, vienitene a letto a dormire, qua, accanto a me
» lo invitò con voce stranamente fessa. « Sennò al Golfo dell'Aria come vieni? Restammo intesi con don Luigi che dopo Enzo, Salvatorello e Federico, ti toccava a te stavolta di venire al Golfo, ma se non dormi... Che ora facemmo? » gli domandò.
Andò a spiare dalla finestrella sul canneto; là, era ancora scuro fitto ed era ancora segno che la luna si trovava ancora a salire in mezzo al cielo, sullo Stretto.
«Saranno le nove
», gli disse tornando.
«Ci sono ancora buone tre, quattro ore di sonno. Vieni, 'Ndrja, vieni e dormi. Sennò t'addormi nella palamitara e don Luigi mi fa: "Ma questo caruso non l'ha un letto a casa? Che venne al Golfo, per dormire?».
Andò a spiare dalla finestrella sul canneto: là, era ancora scuro 465 fitto ed era ancora segno che la luna si trovava ancora a salire in mezzo al cielo, sullo scill'e cariddi.
« Saranno le nove
» gli disse tornando.
«Ci sono ancora buone tre, quattro ore di sonno. Vieni, 'Ndrja, vieni e dormi. Sennò t'addormi sulla palamitara e don Luigi mi fa: Ma questo caruso non l'ha un letto a casa? che venne al Golfo, per dormire? »
Ma che pensava, di dargli lo zìttiti? Credeva forse d'accattarselo con quella andata al Golfo?...
«Dormo, dormo...
», gli fece smaccandogli, «dormo se tu mi fai dormire, dormo se dormi pure tu».
«E che faccio io: veglio forse?», fece, come non ricordasse più la questione.
Lo zìttiti, pensava, di dargli, lo zìttiti: credeva forse d'accattarselo con quella andata al Golfo...
«Dormo, dormo...
» gli fece, smaccandogli, «Dormo, se tu mi fai dormire, dormo. se dormi pure tu »
« E che faccio io? Veglio forse? » fece, come non ricordasse più la questione.
Se doveva fargli il realistico, quello forse era il momento. E così si trovò a parlare a suo padre come se si fossero scambiati i vestiti:
«Non vegli, ma nemmeno dormi. Ti sogni, questo fai
», gli precisò senza avere pietà, «e ti sogni sempre di 'st'immaginari Aci e Galatea. Forse, penso io, tu ti fai qualche illusione che sai tu, e a te forse ti pare bella, ti pare benigna 'st'illusione. Eh, certo, nemmeno a dirlo, io non posso parlare: che ne capisco io? che conto io? Muccuso, muccuso, tu dici, però pure io, muccuso, lo capii che quella Galatea e quell'Aci non ti possono rappresentare bene, ma male, penso io. All'epoca dell'Acitana vi servivano per farci ciuciulìo, ma ora che l'Acitana non c'è più, ti possono forse servire ancora per ciuciulìo? Ti pare che 308 bene ti fa? Muccuso, sì, muccuso, ma a me mi fa specie quando ti sento che t'intraffichi con 'st'immaginari Aci e Galatea. Quasi quasi pare che te li personifichi ora che non c'è l'Acitana, mentre con lei si capiva che erano parole a ciciulìo...».
Se doveva fargli il realistico, quello era il momento. E così si trovò a parlare a suo padre come se si fossero scambiati i vestiti:
« Non vegli, ma nemmeno dormi. Ti sogni, questo fai
» gli precisò senza avere pietà. « E ti sogni sempre di st'immaginari Aci e Galatea. Forse, penso io, tu ti fai qualche illusione che sai tu, e a te forse ti pare bella, ti pare benigna st'illusione. Eh, certo, nemmeno a dirlo, io non posso parlare: che ne capisco io? che conto io? Muccuso, muccuso, tu dici, però pure io, muccuso, lo capii che quella Galatea e quell'Aci non ti possono rappresentare bene, ma male, penso io. All'epoca dell'Acitana vi servivano per farci ciuciulìo, ma ora che l'Acitana non c'è più, ti possono forse servire ancora per ciuciulìo? Ti pare che bene ti fa? Muccuso, sì, muccuso, ma a me mi fa specie quando ti sento che t'intraffichi con st'immaginari Aci e Galatea. Quasi quasi pare che te li personifichi ora che non c'è l'Acitana, mentre con lei si capiva che era solo ciuciulìo di parole... »
In mezzo al letto, Caitanello di tanto in tanto pendolìava il capo come se non si capacitasse delle parole del figlio o delle proprie notturne gesta. Alla fine, sollevò la testa e disse:
«Ah muccuso, muccuso. Ah, quante cose capisti, muccusello. Capisti pure che Aci e Galatea non sono nessuno, non esistettero, furono sempre immaginarii, immaginari che ci facevamo l'Acitana e io, eh? Ah quanto capisti muccusello scaltro... Capisti più tu, muccusello, che padre e madre, eh?
», concluse e lui quasi ci credeva, tanto era serio, triste lo smacco che gli faceva.
In mezzo al letto, Caitanello di tanto in tanto pendolìava il capo come se non si capacitasse delle parole del figlio o delle proprie notturne gesta. Alla fine, sollevò la testa e disse:
« Ah muccuso, muccuso. Ah, quante cose capisti, muccusello. Capisti pure che Aci e Galatea non sono nessuno, non esistettero, furono sempre immaginarii, immaginari che ci facevamo l'Acitana e io, eh? Ah quanto capisti muccusello scaltro... Capisti più tu, muccusello, che padre e madre, eh?
», concluse e lui quasi ci credeva, tanto era serio, triste lo smacco che gli faceva.
Stette un poco a sbuffare dalle narici, dondolìandosi col busto, e poi sembrò pigliare una grande decisione:
«Portami qua quel lume
» gli ordinò e accese un cerino per fargli luce dal letto verso il canterano.
Gli portò il lume e mentre l'accendeva e regolava la fiamma nel tubo, diceva:
«Ora lo vedi, se 'st'Aci e 'sta Galatea esistono, oppure no, ora li vedi, ora li vedi...».
Stette un poco a sbuffare dalle narici, dondolìandosi col busto, e poi sembrò pigliare una grande decisione:
466 « Portami qua quel lume
» gli ordinò e accese un cerino per fargli luce dal letto verso il canterano.
Gli portò il lume e mentre l'accendeva e regolava la fiamma nel tubo, mormorò:
« Ora lo vedi, se st'Aci e sta Galatea esistono, oppure no, ora li vedi, ora li vedi... »
Pareva che il lume gli servisse per illuminare in faccia Aci e Galatea, come li sapesse presenti là, in qualche angolo, nel buio.
Gli fece rimettere il lume sul canterano da dove la luce cadeva ai piedi del letto: s'accese una "indigena" nuova e si mise seduto comodo coi ginocchi alzati e le spalle alla testiera del letto, poi gli ordinò di venirgli accanto e allora, tirando boccate di fumo, cogli occhi fissi al lume, sembrò lì lì per ammetterlo a quella grande confidenza, confidenza che lui s'aspettava che lo facesse grande da muccuso, confidenza che invece non ci fu e lui restò più muccuso di prima.
Pareva che il lume gli servisse per illuminare in faccia Aci e Galatea, come li sapesse presenti là, in qualche angolo, allo scuro.
Gli fece rimettere il lume sul canterano, da dove la luce cadeva ai piedi del letto: s'accese un'altra indigena e si mise seduto comodo coi ginocchi alzati e le spalle alla testiera del letto, poi gli ordinò di venirgli accanto e allora, tirando boccate di fumo, cogli occhi fissi al lume, sembrò lì lì per ammetterlo a quella grande confidenza, confidenza che lui s'aspettava che lo facesse grande da muccuso, confidenza che invece non ci fu e lui restò più muccuso di prima.
Suo padre infatti sembrava essersi alloppiato a guardare il lume: aveva avuto come una scossa solo quando la sigaretta, consumandosi, gli aveva bruciato le dita, ma nemmeno allora, nemmeno per un momento, aveva levato gli occhi dal lume. Pareva che il lume gli avesse cancellato ogni memoria, oppure che gliela facesse insorgere tutta, passata e anche futura, dalla fiamma del lume. Suo padre infatti sembrava essersi alloppiato a guardare il lume: aveva avuto come una scossa solo quando la sigaretta, consumandosi, gli aveva bruciato le dita, ma nemmeno allora, nemmeno per un momento, aveva levato gli occhi dal lume. Pareva che il lume gli avesse cancellato ogni memoria, oppure che gliela facesse insorgere tutta, passata e anche futura, dalla fiamma del lume.
Lui se ne stava zitto, lo guardava di sotto, dal fianco, e gli nasceva un'immensa, quieta, malinconica rassegnazione di fronte a quel fatto più grande di lui.
Capiva che suo padre s'era messo a sbrigare faccende sue, di mente e di cuore. Lo aveva sentito che si passava e ripassava la mano sulla faccia come per togliersi delle fuliggini. Pareva che qualcosa gli smaniasse dentro, lo sforzasse per traboccargli di fuori e lui la tratteneva per vergogna del figlio: era come un lamento che gli veniva di eruttare, 309 un rantolo di visceri attorcigliato e confuso fra godere e soffrire, un groppo rauco di parole che lo strozzavano.
Poi se n'era stato zitto come se dormisse. Ma lui lo aveva sentito a lungo, sveglio, a faccia all'aria. Senza volerlo, gli si era spinto a poco a poco vicino, stretto stretto, schiacciandosi sotto: di là passava gli occhi assonnati dalla palla al lume a Caitanello che stava a faccia all'aria, cogli occhi aperti e non si muoveva più: ed era come guardasse al passato dentro i suoi pensieri dentro la memoria dentro la stanza dentro al letto dentro la palla del lume sul canterano.
Lui se ne stava zitto, lo guardava di sotto, dal fianco, e gli nasceva un'immensa, quieta, malinconica rassegnazione di fronte a quel fatto più grande di lui. Capiva che suo padre s'era messo a sbrigare faccende sue, di mente e di cuore. Lo aveva sentito che si passava e ripassava la mano sulla faccia come per togliersi delle fuliggini. Pareva che qualcosa gli smaniasse dentro, lo sforzasse per traboccargli di fuori e lui la tratteneva per vergogna del figlio: era come un lamento che gli veniva di eruttare, un rantolo di visceri attorcigliato e confuso, fra godere e soffrire, un rigurgito di sensazioni e ricordi, di parole e cose  che gli facevao groppo e lo strozzavano.
Poi se n'era stato zitto come se dormisse. Ma lui lo aveva sentito a lungo, sveglio, a faccia all'aria. Senza volerlo, gli si era spinto a poco a poco vicino, strettostretto, schiacciandosi sotto: di là passava gli occhi assonnati dalla palla al lume a Caitanello che stava a faccia all'aria, cogli occhi aperti e non si muoveva più: ed era come guardasse al passato dentro i suoi pensieri dentro la memoria 467 dentro la stanza dentro al letto dentro la palla del lume sul canterano.
Aveva chiuso gli occhi sotto quel profilo come se cadesse in avanti tra i barbagli fumosi del lume: gli era parso di aggrapparsi alla spalla di suo padre e doveva essersi addormentato là, sotto quell'ala dura e rasposa di pelle-squadra, dentro il suo gomito puntuto. Aveva chiuso gli occhi sotto quel profilo come se cadesse in avanti tra i barbagli fumosi del lume: gli era parso di aggrapparsi alla spalla di suo padre e doveva essersi addormentato là, sotto quell'ala dura e rasposa di pellesquadra, dentro il suo gomito puntuto.
Si era svegliato sulla palamitara in mezzo ai pelli-squadre che remavano fra le fumate dei loro respiri: suo padre doveva averlo portato in braccio e caricato come facesse parte dell'armamento.
C'era la luna ancora ma era giorno ormai: da poco si erano lasciate a manca le Isole e davanti ai suoi occhi si apriva il Golfo dell'Aria con la costa tauretana che sidelineava di fronte, in lontananza, ed era come si riguardasse da mare aperto, come se la palamitara tornasse da una lunga navigazione in altomare.
Si era svegliato sulla palamitara in mezzo ai pellisquadre che remavano fra le fumate dei loro respiri: suo padre doveva averlo portato in braccio e caricato come facesse parte dell'armamento. C'era la luna ancora, ma era giorno ormai: da poco si erano lasciate a manca le Isole e davanti ai suoi occhi si apriva il Golfo dell'Aria con la costa taureana che si delineava di fronte, in lontananza, ed era come si riguardasse da mare aperto, come se la palamitara tornasse da una lunga navigazione in altomare.
«Benedìcite», gli fecero a sfottò i pelli-squadre, «Vossia dormì bene? Lo dondolìammo a dovere a vossìa o non sia mai, ebbe qualche scossa?»
«Datti da fare», gli disse suo padre, «fagli vedere a 'sti signori di che sei capace».
« Benedìcite » gli fecero a sfottò i pellisquadre. « Vossia dormì bene? Lo dondolìammo a dovere a vossìa o non sia mai, ebbe qualche scossa? »
« Dàtti da fare » gli disse suo padre. « Fagli vedere a sti signori di che sei capace »
Doveva incunearsi a poppa e manmano che lo calavano, favorirgli e agevolargli lo sbrogliamento del conzo: rete e lenze, sugheri, piombi, pelidiverme, mazzi di ami ed esche, casomai il conzo si fosse imbrogliato nell'arrotolamento delle reti dentro le gistre. Doveva incunearsi a poppa e manmano che lo calavano, favorirgli e agevolargli lo sbrogliamento del conzo: rete e lenze, sugheri, piombi, pelidiverme, mazzi di ami ed esche, casomai il conzo si fosse imbrogliato nell'arrotolamento delle reti dentro le gistre.
Intanto che i pelli-squadre scioglievano le lenze, spuntavano dal sughero i mazzi di ami ignescati per pisintuni coi fiocchetti di lana di Mongolia, si portò a poppa tenendosi mezzo in equilibrio alle spalle dei pelli-squadre, ma prima di farsi posto fra le gistre fece la pipì. Intanto che i pelli-squadre scioglievano le lenze e spuntavano dal sughero i mazzi di ami ignescati per sgombri coi fiocchetti di lana, si portò a poppa, tenendosi mezzo in equilibrio, alle spalle dei pellisquadre: e là, prima di farsi posto fra le gistre, fece pipì.
Di quella notte non ebbero più motivo di parlare: né di quella notte, né dell'Aci e della Galatea di quella notte. Intendiamoci: non ebbero mai motivo di parlarne insieme, perché, di Galatea, da Aci, suo padre continuò a parlarne per conto suo, e forse continuava ancora a quello che sembrava: anzi, di più, perché senza l'Acitana, viva di persona, che gli restava da fare se non parlare di lei con lei, di lei con chi non poteva mai morire: Galatea per l'appunto, o di lei con chi aveva fatto morire la Masignora acitana, con  Nasomangiato per l'appunto? E col passare 310 del tempo, con lui che invecchiava e lei che restava eternamente giovane, aveva bisogno di parlarne sempre di più, sempre più e non più, forse, per averci ricchi purparleri e abboccamenti ma solo per scambiarsi qualche mezza parola a scappa e fuggi, qualche sillaba o mossa di labbra alla ladricella, come coi carcerati a colloquio in parlatorio; per lui doveva essere come chinarsi a raccogliere le mollichelle, i resti ormai invasi dalle formiche, di un banchetto sontuoso, e doveva essere anche come distillare un intero, già splendidissimo giardino attaccato dal malsecco per una sola goccia inafferrabile di quel profumo. Di quella notte non ebbero più motivo di parlare: né di quella notte, né dell'Aci e della Galatea di quella notte. Non ne parlarono. Non ebbero mai motivo di parlarne insieme, beninteso, perché, di Galatea, finto Aci, Caitanello continuò a parlarne sempre per conto suo, e continuava ancora, a quel che sembrava: anzi, di più, perché senza l'Acitana viva di persona, che gli restava da fare se non parlare di lei con lei, di lei con chi, almeno per lui, non poteva mai morire: Galatea, perlappunto? E col passare del tempo, con lui che invecchiava e lei che restava eternamente giovane, aveva bisogno di parlarne sempre di più, sempre di 468 più e non più forse per averci ricchi purparlé e abboccamenti, ma solo per scambiarsi qualche mezza parola a scappa e fuggi, qualche sillaba o mossa di labbra alla ladricella, come coi carcerati a colloquio in parlatorio: per lui doveva essere come chinarsi a raccogliere le mollichelle, i resti ormai invasi dalle formiche, di un banchetto sontuoso, e doveva essere anche come distillare un intero, già splendidissimo giardino, attaccato dal malsecco, per una sola goccia inafferrabile di quel profumo.
E quanto a lui, con l'andare del tempo, andò capacitandosi sempre più che quelle non erano cose da poterci fare i realistici: meno che meno con le forze di un caruso d'una diecina di anni che si trovava a competere con soggetti che avevano l'ossa come quelle di Nasodicanemangiato, troppo dure per i denti ancora teneri della sua mente.
Se la citava, quella nottata d'arruffamento fra padre e figlio, era solo per la storia: per lui, e forse pure per suo padre, era rimasto tutto come prima. Anche se erano esistiti, anche se Caitanello e l'Acitana li avevano conosciuti di persona, non gli potevano aggiungere né levare nulla a lui, non gli cambiavano in niente il ricordo di quelle notti dei giorni di carestia, quel ciuciulìo nell'aranciara con le sillabe a-ci-ga-la-te-a come miglio nel becco. Quello era il suo ricordo e quello restava al suo orecchio: comedi musica senza suono, di suoni senza senso.
Suoni senza senso e senza prezzo, come il "
rumore della carrozza", l'eco della festa ricca con cui si diverte la povera gente, il rumore di un'altra vita, della vita che va in carrozza e chi non può andarci sopra, si contenta e gode del rumore.
Era tutto quello con cui sii svagavano l'Acitana e Caitanello imbeccandosi di due, tre sillabe: e dietro di loro, dietro al loro rumore di carrozza, era tutto quello con cuisi svagava lui,
una notte, inaspettatamente, una di quelle notti di quei giorni di carestia in cui i conciliaboli di moglie e marito cadevano goccia a goccia nel buio, come pioggia chiamata dai petti a dare ristoro all'aria siccitosa, rigonfia di contagio.
Quello che lo lasciava ancora a bocca aperta, era l'impressione sbalorditiva che davano, con Aci e Galatea, di
non aver più bisogno di nulla, ma non era come se campassero d'aria ma proprio come se si fossero effettivamente sbisognati di tutte le privazioni della carestia. Da quegli meschini "Masignora" e "Granvisire" che partivano, lasciandosi dietro quel tribolo di pescidipane e di pane di pesci, madre e padre, tornavano addobbatissimi di tutto nelle vesti di Aci e Galatea, spirando benessere da dentro quel ciuciulìo, come una specie di sazietà di spirito e di pancia, di occhi abbuffati dalla vista di grandi pescate al Golfo dell'Aria, di lanzate di maestose "fianchipieni".
Si stranìava, allora, dietro a loro con l'illusione che un poco del loro fumo odoroso gli addobbasse la pancia anche a lui.
311 Si trasformavano talmente, ciuciuliandosi con questo aci-agi-galateo-galeotto, si pronunciavano così sazi, felici e leggeri di testa che quella Masignora e quel Granvisire, andanti, di tutti i giorni, che aveva visto al momento di andare al letto e che avrebbe rivisto l'indomani, sempre muti e patiti, gli uscivano completamente di mente, ed era come se madre e padre fossero veramente morti portandosi via la carestia e lasciandosi dietro quel ciuciulìo comedi un mangiarello alloppiante che non li saziava mai perché la loro felicità non c'è cibo che la possa saziare.
E quanto a lui, dopo quella notte forse era veramente cresciuto, veramente aveva finito di essere muccuso. Con l'andare del tempo, andò capacitandosi sempre più che quelle non erano cose da poterci fare i realisti: meno che meno, con le forze di un muccuso d'una diecina di anni che si trovava a competere con soggetti che avevano l'ossa come quelle di Nasodicanemangiato, troppo dure per i denti ancora teneri della sua mente. Se la citava, nottata d'arruffamento fra padre e figlio, era solo per la storia: per lui, come per suo padre, era rimasto tutto come prima. Anche se quell'Aci e quella Galatea erano esistiti, anche se Caitanello e l'Acitana li avevano conosciuti di persona, non gli potevano aggiungere né levare nulla a lui, non gli cambiavano in niente il ricordo di quelle notti dei giorni di carestia, quel ciuciulìo nell'aranciara finofino, tenebroso, con le sillabe acimiogalateacirealemiogalaté come miglio nel becco. Quello era il suo ricordo e quello restava al suo orecchio di muccusello: suoni di parole senza le parole, suoni senza senso. Solo dopo, con l'andare del tempo, gli era passato per la mente che quella che credevo una nonsenseria, quel ciuciulìo di acimiogalateacirealemiogalaté, proprio quei nomi col reale e con la gala, quello, per Caitanello e l'Acitana, potesse essere il rumore della carrozza, l'eco della festa ricca con cui si illude la povera gente, il rumore, l'illusione dell'altra vita, della bella vita che va in carrozza. Doveva essere con quello che si svagavano l'Acitana e Caitanello col suono di due, tre sillabe, col lontano rumore di una carrozza sulla quale sedevano un certo Acireale e una certa Galatea: una notte, inaspettatamente, una di quelle notti di quei giorni di carestia, in cui le parole, le sillabe di moglie e marito cadevano goccia a goccia fra le tenebre, come pioggia chiamata dai petti a dare ristoro all'aria siccitosa, rigonfia di contagio. E cosa che lo lasciava ancora a bocca aperta, subito dopo, da padre a madre, veniva quell'impressione sbalorditiva di sazietà che davano col loro
acimiogalateacirealemiogalaté, come non avessero 469 più bisogno di nulla, ma non era come se campassero d'aria, bensì come se si fossero effettivamente sbisognati di tutte le privazioni della carestia. Da quegli splendidi, meschini Masignora e Granvisire che partivano, lasciandosi dietro quel tribolo di pescidipane e di pane di pesci, madre e padre, sotto il nome di Aci e Galatea, pareva che tornassero addobbatissimi di tutto, spirando benessere da dentro i loro nuovi, magici nomi, come una specie di sazietà di spirito e di pancia, ed era come se avessero gli occhi abbuffati dalla vista di grandi pescate al Golfo dell'Aria, di lanzate di maestose fianchipieni. La Masignora e il Granvisire erano andati a seppellirsi con la carestia ed erano venuti Aci e Galatea col loro ciuciulìo come un mangiarello di sillabe che non li saziava mai, perché la loro felicità doveva forse consistere tutta nel fatto che non si potevano saziare mai, perché la felicità non c'è cibo che la possa saziare.
Gli pareva che quelle poche sillabe, filtrando sino a lui per anelli e spirali dell'anima della canne del tramezzo, ricevessero ogni volta mille e mille variazioni di tono e di significato: girandosi e alternandosi, baciandosi e combaciandosi, isolate o a coppie, tutte e nessuna. Quante e quali cose trovavano da dirsi e quanti modi per dirsele, strani, impensati, senza senso, felici, anche se era sempre, una sillaba o l'altra, un modo o l'altro, sempre, sempre, idem come prima...
Che poteva ricordarsene? Stille:
«Aci, Acire, Aciremi, Gala, Galatè, tè, tè, Aciga, Acigala, ciga, cigala, agà, galà, gala a tea, a ci, gala a ci, ci, ci, Aci, ai, aici, ai, aita, a tea, tè, tè, ci-tea, ci-te-citea, ci-tè. Ci-ci-ci-ci, ciccicci, ciccicci, ciccicci...».

-
A dire "ciccicci, ciccicci", le due voci si confondevano, e davano l'idea di aver figliato tante altre voci in una sola a maschio e a femmina: perché a quel punto facevano veramente come i passeri nell'aranciara che pare che si baciano e s'imboccano, ma non si sa, non si riesce a vedere, a capire quello che precisamente fanno dentro il frullare delle loro ali, toccandosi e ritoccandosi col becco, arruffandosi e allisciandosi le piume all'unisono con quel ciuciulìo, quel tintinnìo di becchi, e fra vista e udito è come un capogiro, un leggero, inebriante senso di vertigine. A un certo punto, nel ciuciulìo, era come facessero un'altra specie di fottisterio, perché le due voci si confondevano, le sillabe di Aci dentro le sillabe di Galatea, e davano allora l'idea di aver figliato tante voci in una sola a maschio e a femmina. A quel punto, però, facevano veramente come i passeri nell'aranciara che pare che si baciano e s'imboccano, ma non si sa, non si riesce a vedere, a capire quello che precisamente fanno dentro il frullare delle loro ali, toccandosi e ritoccandosi col becco, arruffandosi e allisciandosi le piume all'unisono con picchiettio di becchi, quel ciuciulìo basso e dolce, piano e veloce veloce, e fra vista e udito, è come un capogiro, un leggero, inebriante senso di vertigine.
Richiudeva gli occhi a sentirli: il sonno lo invadeva, e quel suono col sonno, quel "ciccicci", quella gentile miserevole nullità del mondo, era come gli favoleggiasse di qualcosa di stranamente, di indecifrabilmente, di potentemente persuasivo, di cui l'Acitana e Caitanello conoscevano il segreto. Richiudeva gli occhi a sentirli: il sonno lo invadeva, e quel suono col sonno, quel ciuciulìo conciliante, quella gentile miserevole nullità del mondo era come gli favoleggiasse di qualcosa di indecifrabile e di potentemente persuasivo, di cui l'Acitana e Caitanello conoscevano il segreto.
Il più delle volte, forse perché il più delle volte, nella sua mente, la carestia pigliava l'impronta delle labbra di suo padre, mute, secche e screpolate dal silenzio, come zolle di terra inaridite dalla siccità, quel suono di sillabe che si lasciava fuori dal sonno, quel pigolìo e picchiettìo di parole sminuzzate sulle labbra secche, gli si rappresentava veramente al senso come quello delle prime gocce di pioggia che battevano alla superficie del mare la notte e si sentivano venire dal largo verso la riva, e sulle prime non ci si spiegava quel picchiettare lontano contro l'acqua, come di uccelli trampolieri che zampettavano 312 sulle onde e s'avvicinavano fragorosamente ed erano gocce di pioggia. Il più delle volte, forse perché il più delle volte nella sua mente la carestia pigliava l'impronta delle labbra di suo padre, mute, secche e screpolate dal silenzio come zolle di terra inaridite dalla siccità, quel suono di sillabe che si lasciava fuori dal sonno, quel pigolio e picchiettio di parole sminuzzate sulle labbra secche, gli si rappresentava veramente al senso come quello delle prime gocce che battevano alla superficie del mare la notte e si sentivano venire dal largo verso la riva, e sulle prime non ci si spiegava quel picchiettare lontano contro l'acqua, comedi uccelli trampolieri che zampettavano 470 sulle onde e s'avvicinavano fragorosamente ed erano gocce di pioggia.
E sempre, sempre, all'ultimissimo istante, col tacere di tutto, col sonno, gli risorgeva all'orecchio il rumore magno del mare. Gli pareva allora di lasciare per sempre il mondo, bombardato dalla dolcezza di quel rombo che saliva dalla 'Ricchia sino a sotto il suo materasso steso fra le sedie, sino a oltre il tramezzo, sotto il letto dell'Acitana e di Caitanello: gli pareva anche che madre e padre e figlio, con tutte le loro grandi pene e tutte le loro piccole illusioni, scomparissero a poco a poco, rapiti in quella eco dolce e tremenda che andava e veniva, su e giù, su e giù, e si alzava ai lati del letto, ai piedi, alla testa, li chiudeva, li isolava, su e giù, su e giù, ora era una culla, ora era una bara, ora il rombo soffocato, abissale della loro vita, ora il silenzio fragoroso, assordante, della loro morte... E sempre, sempre, all'ultimissimo istante, col tacere di tutto, col sonno, gli risorgeva all'orecchio il rumore magno del mare. Gli pareva allora di lasciare per sempre il mondo bombardato dalla dolcezza di quel rombo che saliva dalla 'Ricchia sino a sotto il suo materasso steso fra le sedie, sino a oltre il tramezzo, sotto il letto dell'Acitana e di Caitanello: gli pareva anche che madre e padre e figlio, con tutte le loro grandi pene e tutte le loro piccole illusioni, scomparissero a poco a poco, rapiti in quella eco dolce e tremenda che andava e veniva, su e giù, e si alzava ai lati del letto, ai piedi, alla testa, li chiudeva, li isolava, su e giù, su e giù, ora era una culla, ora era una bara, ora il rombo soffocato, abissale della loro vita, ora il silenzio fragoroso, assordante, della loro morte.
 


NOTE
Pulcinella
Un aspetto terribilmente moderno di D'Arrigo, sia in Codice Siciliano, sia in Horcynus Orca - come nei Fatti della fera - sia, ancora più esplicitamente, in Cima della nobildonne, è la necessità vitale psicologicamente della donna per l'uomo, per l'uomo completo, come Caitanello, come gli altri pellisquadre. E 'Ndrja? Ha l'arma, il fallo, del pesce spada, ma non ha la donna, non ha la consapevolezza del suo bisogno della donna, di essere per lei Aci e Granvisire, e fianchipieni - Acitana muore partorendo, come la femmina spada emette morendo le sue uova dal profumo attraente che è odore repellente. In quell'odore, in quella femmina, Caitanello ritrova la sposa nel momento della morte, quando lui era lontano in mare, impedito dalla tempesta. I dialoghi con Nasodicane sono evocazione del non visto, del momento della morte della sua femmina, morta partorendo come la femmina dello spada morendo emette le sue uova perché il maschio le fecondi. Il pesce spada muore con lei, seguendola fino a riva per farsi uccidere, Caitanello non smette di seguirla, di cercarla, di sentirne l'odore dai tre vestiti, anche se l'odore ormai è di naftalina, e  si mischia all'odore del mosciame di fera e dell'aceto.
Anche se quello che fa, è cosa abominevole, cosa di fera, mosciame, e con quelle mani non si dovrebbe mai incalmierare con l'Acitana. Astolfo sprudente, testardo, si comportava nel suo piccolo come un grande dio francese
Nei Fatti della fera il brano a sinistra è compreso in un discorso fra virgolette, in Horcynus Orca le virgolette sono scomparse. In entrambi i casi si passa dopo il punto fermo dal presente fa - quel che sta accadendo nella cameraperdormire e che 'Ndrìa vede e sente, come lo sentiva senza vederlo da bambino - alll'imperfetto si comportava, mentre si enuncia una specie di giudizio sulla iattanza di Caitanello, rispetto al quale il figlio diventa padre, senza aver avuto modo di diventare adulto e di generare a sua volta.
Azzarderei l'ipotesi che questo cambiamento di tempo dipenda dal fatto che a guardare Caitanello nel suo rito tenero e repellente, come l'odore cheviene dalla emissione di uova della femmina di pesce spada nel momento in cui è colpita a morte.
Qui leggo quanto più mi interessa. Se la mappa erotica - della fregola, dell'accoppiamento - diventa la supermappa della coscienza, quella che fornisce il carburante alla corteccia, quella che nutre la coscienza, quella che deve tenere insieme le mappe locali, autonome e quasi indipendenti le une dalle altre nei mammiferi, l'unione erotica non è più tutt'uno con la generazione, e allora è vero che il bambino si sente dolorosamente escluso quando assiste alla scena primaria, e ha ragione di sentirsi escluso.
L'esclusione di Edipo è letterale, agita dalla madre e dal padre, e per questa doppia esclusione è tragica. Nelle fiabe l'atto dell'esclusione è dellaregina madre, la suocera. Nel mito di Perseo è Acrisio, il nonno, e insieme al nipote è abbandonata alle acque la madre Danae. La tragedia di Edipo implica l'esclusione da parte di entrambi i genitori. Che sono una specie di Giulietta e Romeo, ovvero di eredi degli amanti le cui tombe erano nel deserto oggetto di venerazione. Di amanti ai quali dedicavano il culto i beduini, la cui poesia è la stessa del Cantico dei Cantici. Ora capisco che è giuto dire che dice dell'amore fra Cristo e la Chiesa, perché la legge d'amore insegnata da Cristo è lastessa degli amanti riuniti dopo la morte nella tomba, legge d'amore da applicare al proprio vicino. In questo modo si apre la possibilità di un dissoggettamento della mappa erotica non solo dall'unione voltaalla procreazione, ma di un suo dissoggettamento dalla costituzione della famiglia, e di tutte le associazioni che come la mafia della famiglia ripetono la struttura. Ripenso all'episodio riportato senza differenze sostanziali in tutti i Vangeli tranne che in Giovanni:

Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! (Marco, 3, 31-34, CEI)

E ancora, prima, Gesù che lascia il padre e la madre per discutere coi dottori nel Tempio, episodio presente solo ne Vangelo di Luca:
I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole.
Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. (Luca, 2, 41-52, CEI)
Ma essi non compresero le sue parole. Francesco le comprende nel momento in cui lascia a suo pa, fidando che saremo vestiti e sfamati, come i fiori e come gli uccelli e gli animali tutti?
Nel mito di Prometeo ed Epimeteo, e nella Genesi stessa l'uomo è deprivato come il bambino che si sente escluso dal paradiso dei genitori che si amano nel lettone, e l'esclusione è tanto più cocente quanto più l'unione fra i genitore è ricca.
Anche il desiderio del desiderio dell'altro di Lacan, anche la condanna all'erranza ebraica dell'analisi infinita fanno centro nel desiderio immortale di partecipare a quel che si sente e non si vede e non si può dire, che accade nel lettone, che il bambino comprende e non comprende. Il lutto per l'irraggiungibile comprensione di sé e dei genitori, la scelta di accettarlo, che è di Freud, la scelta di negarlo, che è di Jung come di Lacan, è la percezioni infantile dell'esclusione: il mito della cacciata dall'Eden e gli innumerevoli miti analoghi, sparsi in tutto il mondo, è pagano.
Gesù invita a superare questo lutto, amando indipendentemente dal fatto che l'altro ci ami o non ci ami - il nemico. Riporta il soggetto, l'Io, al centro della mappa erotica che coordina tutte le mappe locali. Ma questa centratura dell'Io è possibile solo estendendo l'amore al vicino, qualunque vicino. Questo accade in ogni analisi degna di questo nome, che l'amore è fra analista e paziente, vicini, con il tavolo fra loro o senza guardarsi, comunque vicini. E se da quel che accadedi buono in analisi si potesse immaginare un vero amore per il vicino, e che questo fondasse un'identità, una volta crollato l'axis mundi, il primato fallico dell'identità vigente fino ad ora? E se il giudeo Joshua avesse compreso questa caduta, questo cambiamento epocale rispetto alla storia dell'uomo dal paleolitico all'imero romano?


Riproduzione del pesce spada



Pesce spada
Immagine di larva di pesce spada lunga circa 37 mm. Da Wikipedia: La riproduzione avviene nella stagione calda. La femmina depone fino a 800.000 uova pelagiche di meno di 2 mm di grandezza e dotate di una goccia d'olio per favorire il galleggiamento. La larva che se ne schiude è lunga circa 4 mm ed è molto diversa dall'adulto. Il rostro compare quando raggiunge circa 1 cm di lunghezza. I giovanili hanno entrambe le mascelle allungate, sono presenti scaglie e denti, una sola, lunga pinna dorsale e una sola anale. L'accrescimento è molto veloce, le femmine si accrescono più velocemente dei maschi.

Il maschio segue la femmina perché deve fecondare le uova, e come in tante specie, questo compito prevale sul compito di restare in vita. In ogni caso, non le cova, come scrive D'Arrigo
...e allora non si capiva se era la sua coda che lo richiamasse, gridandogli dal suo sangue aiuto, aiuto, oppure se era lui che la cercava e non la trovava...
Ancora Orfeo: è il poeta che vuole strappare alla morte l'amata, o è l'amata che gli chiede di essere affrancata dalla morte?
...gli era rispuntata dal fianco la moglie... Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse:
«Questa volta essa / è carne dalla mia carne / e osso dalle mie ossa. / La si chiamerà donna / perché dall'uomo è stata tolta».
Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.  (Genesi, 2, 20-24, CEI)

Con la costola: in realtà pare che l'originale ebraico dica che Dio prese un fianco ad Adamo - forse anche un lato? Per questo l'Acitana spunta dal fianco di Caitanello?
Verdone (verdesca o squalo blu, Prionace glauca)

      
Ora, a furia di questo: di tutto questo cristiano... Qui annoto che maggiore è la frequenza dei due punti nelle frasi, che mi pare eludano l'alternativa paratassi popolare/ipotassi colta. I periodi sono comressi ma grazie ai due punti le frasi germogliano l'una dall'interno dell'altra, dando al discorso uno spessore pari a quello del costrutto ipotattico che però non ha un ritmo diverso da quello popolare o incolto. La lingua, come ciò che racconta non è meno popolare che colta, meno tradizionale che sperimentale: una lingua di romanzo assolutamente democratica, che non ha lo scopo di mostrare la superiorità di chi è colto né l'inverso - complementare, che non cambia nulla nella gerarchia fra chi ha studiato e chi non ha studiato. La loro differenza, oltre a qualche beneficio economico, è solo nell'avere e nel non avere studiato.
...il fatto di girarsi cogli occhi all'indietro come per vedersi spuntare la mogliecoda...
Come Orfeo, Caitanello deve controllare se è rispuntata la moglie-coda, ovvero colei che dà valore alla sua coda, al suo pesce/uccello. Maciriesce, perché arma un abboccamento notturno, che non varca la soglia del giorno, prima sognando, poi vaneggiando. Orfeo con la poesia, col canto - con al sua arte - vuole vincere la morte. Caitanello vuole solo una libera uscita della moglie, accompagnata dalla morte, che mai gliela lascia senza la sua presenza.
Nasodicane o Nasomangiato o Nasodicanemangiato
Divinità infera unica, che Caitanello deve incontrare nel primo movimento della sua discesa agli inferi, per poi ritrovare l'Acitana nel secondo movimento. Mentre Orfeo ha una sola occasione, Caitanello ha tutte le notti della sua vita, e non chiede come Orfeo di riportare in vita l'Acitana, ma solo di abboccarsi con lei.
Non può fare a meno di Nasodicane: Caitanello non cerca di riportare in vita lasuasposa, come Orfeo, ma di incontrarla, non può fare a meno di incontrarla, perché è solo per lei che la sua coda/sesso è segno di una virilità gloriosa come quella del Granvisire delle millunanotte e dei paladini del teatro dei pupi. Per questo deve averla per vivere, come il verdone, ma il verdone non ha possibilità di costruire una scena onirica e delirante notturna, nel sonno o nella veglia. Non ha l'ausilio di una veste viola, conservata per tanti anni con la naftalina insieme alle altre due vesti portate in dote dall'Acitana, perché solo gli esseri umani si vestono e si spogliano. Caitanello non si arrende alla morte, e quindi non si arrende alla vita. Non è un verdone, ma non è un essere umano che accetta il limite della morte. Caitanello e l'Acitana costruiscono un luogo eminentemente letterario, forzano i confini immaginari fra sogno, desiderio, delirio, azione, e per farlo assumono la posizione edipica come la loro posizione. La posizione da dove si può partire per ogni direzione, e anche tornare sempre al punto di partenza, partecipa della vicenda tragica di Edipo. Come può non essere un eroe il figlio maschio, un eroe che procura a tutti opera di mano e risorse per ricominciare a vivere dopo il bombardamento della guerra, dopo la violenza degli incomprensibili invasori inglesi e americani? E se è un eroe, deve morire.
...non pigliava mai la parola... Nasodicane Nasomangiato non parla mai perché la Morte è il limite della parola. La parola cantata, la poesia di Orfeo, forza questo limite, ma non riesce a riportare Euridice sulla terra. La parola dell'unica lingua di Caitanello, ricamata e rammendata con la tradizione araba, di poesia e di millunanotte, con l'Acitana come Lisabetta che non appassisce al balcone rimpiangendo la sua grasta furata, con il melodramma dell'attesa di madama Butterfly, la sua parola che è all'opposto della perfezione della poesia di Orfeo, è efficace nella mediazione novecentesca, senza Dio e senza dei, e ricostruisce il senso della presenza data dall'assenza. Il silenzio di Nasodicanenasomangiato è il contrappunto necessario alle parole di Caitanello, l'eco dall'abisso crea una parola che non è più corporea, emessa volontariamente o delirando dal soggetto, ma è ancora del soggetto e fatta d'aria sottile. In aria sottile s'invera, e dissolvendosi questa verità umanissima si perde. La condizione della perdita è condizione della sua esistenza. Solo gli amanti nell'estasi dell'unione, come i mistici, maschi e femmine, alla pari, attingono a questa verità, e in questa verità si acquieta la loro ansia, il loro darsi pensiero. L'opera armata da Caitanello, opera di pupi, nutrita di poemi cavallereschi, di melodrammi, di mitologia, è come il gioco teatrale di Prospero:     
                      
You do look, my son, in a moved sort,
As if you were dismay'd: be cheerful, sir.
Our revels now are ended. These our actors,
As I foretold you, were all spirits and
Are me melted into air, into thin air:
And, like the baseless fabric of this vision,
The cloud-capp'd towers, the gorgeous palaces,
The solemn temples, the great globe itself,
Ye all which it inherit, shall dissolve
And, like this insubstantial pageant faded,
Leave not a rack behind. We are such stuff
As dreams are made on, and our little life
Is rounded with a sleep.
(The Tempest, Act V)

Il figlio di Prospero - il signore alchimista di Shakespeare non ha un figlio maschio - può essere solo un eroe, ovvero rendere reale ciò che suo padre ha sognato per non morire, per non dissolvere il suo desiderio di fronte alla morte. La forza di 'Ndrja, diversa e pari a quella di Caitanello-falcone-maltese lo porta a guidare la lancia dei vincitori stranieri, a guadagnare con la sua vita e con la sua morte quello che serve perché non si estingua la sua famiglia di pescatori, quello che appariva impossibile, irragiungibile: quanto l'Acitana per Caitanello sepolta nella terra-sabbia sotto il palmizio. Senza la tensione verso l'impossibile uomini e donne - bambini, adolescenti, adulti, non-più-giovani e vecchi - appassiscono senza fiorire e senza dare frutto. Se è vero che la prima osservazione scientifica è la distinzione fra stelle fisse - nello zodiaco - e mobili - i pianeti, possiamo comprendere quale ardire dia il ritmo alla nostra vita, fin dalla preistoria, fino ad oggi. La nostra malattia è pensare che non è necessario osare, che anzi osare e rischiare sono peccati mortali: lo stato provvede a noi, ci libera anche dal fastidio dei nostri simili, di pelle bianca dall'Europa orientale, di pelle nera oltre il bordo meridionale del Mare Nostro, che vorrebbero godere dei nostri stessi beni. Lo stato laico, fallendo l'utopia democratica, promette - spesso non mantenendo la promessa, mai riconoscendo la sua mancanza, classificandola anzi come mancanza di altri - di soddisfare qualunque bisogno, in cambio di un'adesione fideistica, cieca, infantile, ai suoi riti.
Be cheerful sir, state allegro, signore, sono sparite le visioni che vi inquietavano, come spariranno, con un diverso tempo e la stessa dissoluzione, le mura e le città e tutto quello su cui poggiamo la nostra vista e il nostro piede, sicuri della loro consistenza, che vale la nostra consistenza.
Avanti, march
Questo è il potere della farfalla, di Psiche, Anima, della nostra mente: nello spazio che costruiamo con la nostra immaginazione la morte non può entrare se non di straforo, se i tarli mangiano un manoscritto o lo rosicchiano i topi. Ma difficilmente l'opera si perde: per associazione con la Sicilia penso alla Tabula Rogeriana o Nuzhat al-mushtāq fi'khtirāq al-āfāq, distrutta dai baroni in rivolta sia strappando o bruciando il manoscritto arabo e le sue 70 tavole, sia facendo a pezzi il planisfero d'argento. Ne esistevano già delle copie, e queste copie sono bastate a testimoniare la vittoria degli esseri umani sulla morte: l'alleanza fra il normanno re cristiano e il coltissimo viaggiatore nobile Muhammad al-Idrisi ha dato vita qualcosa che non esisteva, un'opera di geografia che i navigatori avrebbero utilizzato dall'XI secolo alle grandi esplorazioni da Cristoforo Colombo, fino a quando nuove mappe avrebbero preso il posto di quella di al-Idrisi e Re Ruggero. In questo processo qualsiasi divinità della Morte resta fuori, come resta fuori dalla cameraperdormire di Caitanello quando gli arriva l'Acitana.
Faceva il cane da guardia per figura...
Qui si coglie l'identificazione di 'Ndrja con Nasodicane. Come lei il bambino è estromesso dalla cameraperdormire, come lei resta ammutolito, teme come lei di poter subire una dura punizione perché come Nasodicane è costretto ad esserci, come figlio, nella stanza accanto, sul materasso fra due sedie, e altrettanto a non esserci, come figlio, restando muto, in silenzio, come se potesse ignorare quel che succede frapadree madre nella cameraperdormire. 'Ndrja infrange il divieto dopo la morte della madre, chiedendo al padre di fermare il suo gioco con la morte e con la moglie morta. Caitanello accende il lume e promette di svelare il segreto, ma nessuno svela niente. Perché significherebbe passare dal mondo psichico a quello concreto, e questo passaggio annulla sempre quel che esisteva, quel che si voleva conoscere meglio.
...farli stramazzare a terra con un sol dito.
La stessa riflessione riguarda la lacrima di Batavia o Goccia del principe Rupert, nel romanzo di Peter Carey Oscar e Lucinda (Australia 1988). Nemmeno un martello può rompere la goccia di vetro temprato battendo sul bulbo, né la lacrima si rompe gettandola dal quinto piano, mentre basta un graffio sulla sua coda a mandarla in frantumi, come con un'esplosione. Per l'essere umano è lo stesso: basta toccare il punto di rottura e andiamo in frantumi, in un modo che è inspiegabile per il senso comune, per la psichiatria, per la psicoterapia, per qualuqnue lettura logico-razionale. Se la psicoanalisi dimentica questa fragilità qualitativa, si riduce ad ancella delle altre cure psico-. Si potrebbe chiamare la psicoanalisi farfallanalisi? Porrebbe servire proporlo umoristicamente a centrare il fatto che la nostra psiche non funziona secondo il senso comune? Che nella misura in cui la si considera funzionante secondo il common sense si ottengono conferme, ma molti esseri umani, e tanta parte dell'umanità di ciascuno di noi viene estromessa, imprigionata, reclusa, rimossa? Quando poi viene scotomizzata, come nel nazi-fascismo, le conseguenze sono tragiche e insostenibili. Ma come ho scritto altrove, non la poesia è impossibile dopo Auschwitz, ma la vita senza poesia. Per questo il romanzo di D'Arrigo è il più bello almeno del dopoguerra italiano, se non del secolo breve, se non d'Europa. 'Ndrja, che si sente sempre muccuso, dopo tre anni nella Regia Marina, dà la sua vita per la poesia del padre, anche se a momenti trova meno dolorosa la guerra vera, che la guerra fra Caitanello e Nasodicane. Ma è perché il padre abbia la possibilità di continuare, anche non potendo mai vincerla, la guerra con Nasodicanenasomangiato, e di abboccarsi con l'Acitana, che non si ferma davanti a nessuno dei confini che sembrano invalicabili, bombardati, insanguinati, definitivi. La sua morte è il sacrificio dei popoli senza scrittura di fronte all'eclissi di sole, e se è vero che il movimento dei luminari non ha mai avuto relazione con i sacrifici umani, è altrettanto vero che gli esseri umani hanno consistenza resistendo come possono alle eclissi e alla morte. Se poi inventare, armare un'opera, sia delirio, sia romanzo, porti alla nostra autodistruzione, ne sarà valsa la pena, o comunque sarà qualcosa che abbiamo scelto senza mai sceglierlo, un impulso irresistibile che si è+ formato dentro di noi: inganno dei sensi o scintilla divina, è grazie a questo che il pescatore resiste al jinn, che Orfeo commuove le divinità della morte, che Caitanello ritrova la compagnia della quale non può fare a meno. Ed è per questa prerogativa umana che l'eroe dà la vita alla vita, unisce la sua vita alla vita di coloro che ama, perché li ama, non perché i loro desideri coincidono col suo.

Ma più della lacrima di Batavia qui il riferimento è a Sansone: nessuno ha forza come Caitanello Cambrìa con l'Acitana, ma nessuno è debole come Caitanello senza di lei. Grande è la forza di Sansone, ma dando il suo cuore e il suo segreto a Dalila la perde tutta e muore. Il vero Antiedipo è 'Ndrja Cambria, tenuto dentro da Caitanello e dall'Acitana come Edipo è estromesso da Laio e da Giocasta. In entrambi i casi il figlio è eroe civilizzatore, perché 'Ndrja porta salvezza al suo paese come Edipo ad Atene. Entrambi devono morire, perché sono caruso e adulto, 'Ndrja è padre pietoso di suo padre e custode della memoria di sua madre, quando si dispiace sentendone le parole smorfiate da Caitanello. Edipo è parricida e sposo della madre. Entrambi, in modo completamente diverso, sono due generazioni in una, e la rottura del tabù dell'incesto è fatale.
...come una quaglia sfinita dal vento contrario.
Qui come altrove ricorrono le immagini della poesia Per un fanciullo settenne ingaggiato come angelo. La questione è semplcie: di che è fatto un uomo? e cos'è per lui la donna? Il romanzo non dice cos'è la donna per se stessa, non vergognandosi, come Freud, dell'ignoranza sulla donna, il continente nero della psicoaa

...di vecchia sdentata o di vava in fasce.. Ovvero dell'essere che cammina con tre gambe o con quattro, non dell'adulto che cammina con due gambe e va veloce. Qui 'Ndrja, nonostante i tre anni passati in guerra nella Regia Marina, è il muccusello dietro il tramezzo, che non ha diritto di parola ma no npuò non sentire, e che la volta che parla è lui il padredi suo padre, e suo padre gli promette di rivelargli alverità, ma non mantiene la priomessa: accende, sì, il lume, ma mentre sembra pensi a come parlare a suo figlio dopo la morte della madre, 'Ndrja si addormenta consolato dalla posizione paritaria di suo padre, se non di una posizione subordinata, coem se il padre i nrealtà fosse lui, e Caitanello suo figlio. Né parlerà mai di Aci a Galatea, limitandosi al gioco lieve di Masignora e Granvisire. Sempre Caitanello è l'amante, e questo fa di 'Ndrja l'eroe che suggella con la morte il suo destino.
Il Granvisire arrivava sempre con la carestia di mare, di malotempo.
Parla Caitanello? Parla l'Autore onnisciente? Il fatto che mi ponga la domanda credo significhi che in molte pagine 'Ndrja Cambrìa e Stefano D'Arrigo coincidono. Ma non si confondono, sono piuttosto due attori che interpretano lo stesso personaggio: colui che intende, il cui principale intendimento è intendere, ascoltare, sentire, capire. E poi ridire, raccontare. Se l'opera armata da Caitanello è di abboccarsi con la moglie morta, l'opera di 'Ndrja e Stefano è abboccarsi con un insieme imprecisato fatto di conosciuti - pochi - e sconosciuti - molti, forse moltissimi, addirittura tutti, tutti gli abitanti del mondo.
...come pioggia di chicchi di riso, come... Il riferimento mi pare sia al rito propiziatore della fecondità che ancora oggi si fa all'uscita degli sposi dalla cerimonia, religiosa e civile, di gettare loro addosso manciate di chicchi di riso. Insieme, allargando l'attenzione a tutto il periodo, quel che D'Arrigo dice insieme a 'Ndrja sentendo - guardando suo padre e sua madre, ma soprattutto sentendo la loro voce, come cantanti di un melodramma di massimo successo - sentendo le loro parole durante la carestia, mi pare coincida con quel che per bocca di Diotima per bocca di Socrate per bocca di Platone dice il Simposio:
Perciò non ti meravigliare se per natura ogni essere onora il proprio germoglio, poiché é in vista dell’immortalità che ognuno è accompagnato da questo zelo e da questo amore.
Diotima/Socrate, Masignora/Granvisire, Galatea/Aci, Acitana/Caitanello partecipano dell'immortalità, perché l'atto erotico quando è pieno dell'uomo e della donna ritrova la forza e la certezza generativa che è dei nostri parenti mammiferi, per il quale non esitano a mettere in palio la vita. Per questo l'amore fra Caitanello e l'Acitana vince la carestia, confinando Nasomangiato Nasodicane fuori dalla porta. Ma 'Ndrja, il bambino, vegliando e trovandosi Nasomangiato da un lato e i genitori uniti dall'altro, prova compassione per la Morte beffata, perché e solo perché in questo modo reagisce alla beffa che subisce in silenzio. Il bambino partecipa della carestia e della morte delle parole, vale a dire di ogni difficoltà che i suoi genitori e la sua comunità attraversano, ma è escluso dalla loro unione che li sfama e li rende gransignori e simili agli dei.
...taglia le pestilenze...
Il riferimento a Diotima prende corpo: Diotima è definita come la donna di Mantinea che ad Atene, in occasione di un sacrificio, ritardò di dieci anni la pestilenza. E ancora, lasciando libero il pensiero, Edipo è colui che risponde all'enigma, ma la risposta come è guarigione dalla peste è nuova peste, perché la Sfinge non cessa di interrogare i passanti, i viandanti, i pellegrini, i flaneur, i beneandanti, gli ebrei erranti... Alla donna non si chiede di eliminare, guarire dalla peste, la donna sa sospendere la peste: sospende la carestia per Caitanello, sospende la peste ad Atene, sospende la condanna a morte di tutte le donne decretata dal Sultano. O, almeno, arma un'opera senza peste, qui con D'Arrigo, come l'onesta brigata che lascia Firenze corrotta e inabitabile dalla peste nera e racconta cento novelle, o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo, quando Boccaccio inventa una letteratura che non ha bisogno di legittimare nulla e che nulla conferendole una legittimazione l'autorizzi ad esistere. Se basta sospendere la peste, la morte, la dittatura dell'inumano e del disumano, per vivere, la letteratura diventa l'opera che l'Eros allestisce, il teatro, il gioco, il ludus nel quale viviamo, dalla nascita alla morte. La dittatura pretende - anche nel senso di to pretend inglese, fingere - che solo un teatro sia vero, ed elimina tutti coloro che giocano una parte in un'altra scena, e la letteratura evade regolarmente da questa scena unica, che si erige sulla distruzione delle altre. Lo stesso processo riguarda l'identità personale. D'altra parte l'identità umana si fonda sulla certezza che il proprio teatro sia il teatro: questo pensa 'Ndrja sentendo Caitanello e l'Acitana, e lui non ha posto in questo teatro. Per questo tornando dalla guerra, stanco che non sa tenersi in iedi, non riesce a ottenere dal padre che rimandi il suo racconto di guerra di pesca a quando lui avrà dormito. Il figlio è ora il testimone dell'amore dei genitori, tanto grande che per lui non cisarà mai uno spazio diverso da quello del materasso fra due sedie, o dal diventare marito della madre o moglie del padre. 'Ndrja non può rifiutare questa parte, troppo grande è il fascino della coppia genitoriale, irrinunciabile e fatale entrare a pieno titolo nel lettone, e in questo modo può solo vivere da eroe e morire da eroe.
...Pigliando Luigi Orioles per Nasodicane... La storia di Caitanello con l'Acitana fa pensare a un Lorenzo che porta via e sposa Lisabetta, che per questo è ripudiata dai fratelli, come il padre dell'Acitana ripudia l'unica, amatissima figlia. La Morte incombe come in Giulietta e Romeo, e fa la sua entrata in scena approfittando di un caso vantaggioso per lei, gravido di conseguenze tragiche per gli altri. Come il frate Lorenzo trattiene Romeo, causando la morte sua e di Giulietta, così una tempesta marina trattiene Caitanello e 'Ndrja con gli altri pescatori facendoli rientrare a casa solo quando l'Acitana è già morta insieme alla sua creatura, e sepolta. Magicamente efficace, della magia che è propria della poesia e delle formule magiche, di attraversare strati e strati del nostro cervello, fino a quello del rettile, il più antico, il desiderio e il disgusto per il profumo di uova e di sesso e di neonato delle uova della spadessa, che ricorda la morte per parto. La confusione fra Luigi Orioles e la Morte è comprensibile con varie analogie: la prima è quella del Commendatore che porta all'inferno Don Giovanni, poi il baritono che non vuole che il soprano e il tenore vadavo a letto insieme, cosa che invece loro vogliono. Il Destino è lo stesso della Morte, Nasodicane o Nasomangiato, ed è lo stesso del padre della donna, come Lear e tutti i re della fiaba del sale. La Legge umana, con i suoi divieti, assume la funzione del Destino, che per l'uomo è il Caso, il Fato, le Fate Nere, le Moire, o le fate dellefiabe bopolari, checome la baba-yaga russa è sia propizia sia nefasta. Noi chiamiamo destino tutto ciò che esula dalla nostra capacità di costruire nessi causa-effetto che salvaguardino la nostra dignità e il nostro orgoglio di soggetti, e cerchiamo di propiziarcelo sia razionalmente, sia magicamente, sia pregando, proprio coem i popoli senza scrittura di fronte a un'eclissi sacrificano una coppia di giovani belli, e credono di aver rabbonito il dio punitore quando l'eclissi finisce.
Questo è uno dei passaggi dove maggiore è presente il nuovo testo inserito nelle bozze, ora I fatti della fera. In particoalre si fa allusione alla gravidanza e alla morte per parto, all'amore e all'odio per il figlio che ha causato la morte della madre. Inoltre le righe sull'odore sia bramato - Caitanello avrebbe aperto quattro narici, se le avesse avute - e disgustoso mette in parola il mistero di fronte ai fluidi del corpo, che sono sia oggetto di disgusto che eccitanti erotici. Questi fluidi nei notri parenti mammiferi animali fanno sorgere il desiderio della femmina nel maschio, e l'amore per il neonato nella madre o in entrambi i genitori. Gli odori della famiglia non sono cattivi, e l'odore del proprio bambino non suscita disgusto nei genitori e forse anche nei nonni, ma è innocente, piacevole. Gli odori dell'amato e dell'amata per l'amante sono più buoni di qualunque profumo: Mi baci con i baci della sua bocca! / Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino. / Per la fragranza sono inebrianti i tuoi profumi... (Cantico dei cantici, 2-3, CEI).
Allo stesso modo gli odori del corpo, orina, sudore, feci, genitali, dell'estraneo sono disgustosi, repellenti. Sono invece oggetto di piacere nel gusto quando ricordano gli odori del corpo: ostriche, tartufo, certi formaggi. Che infatti possono essere estremamente costosi, e possono sia piacere moltissimo, sia non piacere affatto. Non esistendo vie di mezzo, non essendo neutri per nessuno, penso permettano un piacere rimosso, oppure essere oggetto di rimozione dello stesso piacere: odorare feci o genitali o il capezzolo materno col piacere che comporta prima che i prodotti corporei siano oggetto dirimozione. Nel caso di Caitanello, le uova della fianchipieni evoca la condizione dell'Acitana, gloriosamente gravida di lui, e a causa delal gravidanza scomparsa, finita sotto il controllo di Nasodicane, Commendatore, Suocero involontario, baritono nel melodramma, o basso nel caso del baritono Don Giovanni di Mozart, Luigi Orioles leader e quindi padre dei pescatori.
Nel caso degli animali questi odori sono attraenti aut respingenti - marcano il proprio territorio e avvertono altri di stare distanti - nel caso degli esseri umani sono attraenti aut respingenti. Quelli dei propri neonati non sono respingenti per i genitori ma lo sono per tutti gli altri. Quelli dei fluidi corporei sono attraenti per l'amato/amata e l'amante, repellenti per gli altri. Ma quel che più è significativo è che quando l'amore finisce, gli stessiodori sono repellenti.
presente e viva
E le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei. Così tra questa / immensità s'annega il pensier mio: /e il naufragar m'è dolce in questo mare.
Altro naufragio quello del pellesquadra Caitanello, che si tuffa nell'immenso panorama e muore e vive insieme all'Acitana viva e morta.
Il fottere, si dice, non vuole pensieri; ma allora, quello del Granvisire e dell'Acitana, che era? che era quella specie di fiore che facevano fiorire col loro fiato nottetempo?
Frutto non coltivato, non colonizzabile, come il ficodindia, dolce-acido, estatico, erotico: il sublime, ypsùs.
L'adulto parla con se stesso bambino, comprende, come solo l'adulto che ritrovi se stesso bambino può comprendere. Solo la compresenza di bambino adulto, della creatura che cammina con quattro e due e tre gambe comprende la vita.
Quel che Freud non conosce è l'estasi, anche lui, come 'Ndrja da muccuso, come chi separa con un taglio le diverse età. Ma forse è solo di fronte alla morte che questa realtà si comprende. O, almeno, fronteggiando la morte, come i mistici, come i martiri, come gli amanti che devono la loro unione a una rotturadelle convenzioni, come Caitanello e l'Acitana. E 'Ndrja che non ha più patria, e muore per amore della patria nuova come della patria antica, muore sospeso fra futuro e passato,con il solo presente della nave della Regia Marina.
E se italica fosse una sfinge con una lunga fila di capezzoli, della quale non c'è traccia nelle sfingi greche, senza pensare alle sfingi egizie, maschili?
E se le sfingi degli egizi, i maestri dei greci, fossero maschili perché a quella cultura di arte figurativa, segni e immagini, è estranea la divisione del potere? Se l'astrazione greca, ava della scienza, fosse possibile solo riconoscendo il femminile e rimuovendolo, ma collocando nel femminile tutto ciò che non è assoggettabile al fallo? Tutto ciò che si sottrae al dominio della parola? Come il luogo muffito di cui parla Esiodo nella Teogonia, aborrito da tutti gli dei, dove sono attorte le radici di ogni cosa? Quello che nausea Lear pensando alla parte inferiore della donna? Il momento in cui dopo averlo evocato chiede un'oncia di zibetto per profumare la sua immaginazione?
E se la cultura fallico-patriarcale - non quella egizia, né quella, forse, che parlava o scriveva sanscrito -, quella monoteistica preceduta da quella greca e forse anche da quella ebraica, avesse escluso il femminile, ponendo nel grembo e nella mente della donna la morte e l'errore irredimibile, per avere un terreno libero da ciò che nessun dio, né Jahvè, il Padre creatore, né Allah col suo profeta unico, può controllare? Se così fosse cominciata la storia della colonizzazione dello spazio umano, della regolarizzazione delle immagini prodotte dal telaio magico con le sue innumerevoli spole danzanti, luminescenti e multicolori, perché solo espellendo dall'area della realtà condivisa, dell'oikumene nbonificato dagli eroi, il gioco simile alla danza cosmica della Via Lattea (Sherrington), o anche affermando che si possono comandare le sfere luminescenti per farle danzare al proprio ritmo, il progetto colonizzatore ha ragione d'essere? La colonizzazione è volta all'esterno come all'interno, e se quella volta all'esterno sembra conclusa, quella rivolta all'interno si manifesta com impossibile, come se il pianeta crescesse, con i suoi mari, i monti, le pianure e le creature viventi e morenti e generati che lo abitano, mano a mano che Colombo, Vespucci e Cook ne visitano parti fino a quel punto non mappate, assenti dalle carte.
Era giusto che fino al secolo scorso si continuasse l'opera di colonizzazione che annette, converte o distrugge i barbari, che invia eserciti e sacerdoti per conquistare e convertire, l'illimitata bonificazione dello spazio, terra e mare, che da selvaggio e naturale diventa oikumene. Ma Freud dice che la nostra interirorità non è colonizzabile, che pone interrogativi inquietanti, come in Jenseits des Lustprinzips. Non è la libido unica a essere messa in crisi con il saggio del 1920, ma la possibilità di colonizzare - e quindi curare come colonizzare, bonificare, come trasformare le paludi olandesi, il mare interno dello Zuiderzee. È come se Freud avesse intravisto il movimento cosmico della Via Lattea, e ne avesse intuito la possibile morte. Perché è la morte di ciò che finora abbiamo considerato pregevole, la vetta dell'umano.
In Cima delle nobildonne, protagonista è la placenta, che custodisce, nutre, fa crescere la nuova creatura, la placenta dimenticata, come la natura dimenticata, come il femminile rimosso dal progetto di colonizzazione. Quel resto del femminile è preso dalla ridarella, capita alle donne a qualunque età, irrefrenabile, megli ose sconveniente. Qualcosa delle donne ride di una verità impronunciabile, la stessa che provoca il riso di Demetra al gesto scurrile di Baubò, la fine del suo lutto, la coscienza del limite del potere fallocentrico, limite che la donna conosce: solo la donna, la donna alleata con l'uomo, gli permette di mantenere questa rimozione attingendo al rimosso attraverso il suo corpo, la sua accoglienza nell'amore e il suo dono del figlio, sola testimonianza viva della fecondità di lui, che attraverso la fecondità di lei può conoscersi, come lui amando e penetrando la donna le dà cognizione della cavità accogliente del suo corpo, conoscenza che precede quella esperita mese dopo mese durante la  gravidanza. Per non dire della cognizione tragica del parto.
[P]oteva immaginare mai... Il bambino ascolta, sente, non può dire o non sa dire, ma il suo silenzio, nel quale annega ogni volta il suo proposito di parlare, testimonia una sua percezione di quanto accade.
Queste pagine di Stefano D'Arrigo descrivono quanto intende Freud con Urszene meglio di quanto Freud stesso abbia fatto o potesse sperare. Ma insieme all'oscura percezione di un evento minaccioso, vicino alla morte che possono darsi gli esseri umani, c'è la tenerezza infinita di un uomo e di una donna che si amano, rimemorata dopo tanti anni, quando la madre è morta e quando il padre continua ad amarla. E in questa tenerezza affiorano Le Millunanotte, che in Sicilia hanno avuto circolazione fin da quando vi abitavano gli arabi, prima di Aci e Galatea, e le novelle di Boccaccio. Sembra che l'Acitana dica a Caitanello che senza il suo amore, e se non lo avesse seguito, per quanto povero e sgradito a suo padre, sarebbe stata simile a Lisabetta da Messina col suo testo/testa di basilico.
Vedi, qui sotto, i vasi di Caltagirone.
La signorina s'incantesima, resta col boccale d'acqua in mano, si scorda del basilico...
Poteva Stefano D'Arrigo non avere in mente, sapendo di averla, volendo rendere omaggio a quel capolavoro e al suo Autore, e alla canzone alla quale si allude nel finale della novella, canto popolare siciliano, struggente d'amore e di morte, Chi mi furò la grasta? L'amore fra i genitori di 'Ndrja salva l'anima femminile dallo struggimento, perché Caitanello torna sempre, mentre Lorenzo è morto, come Ceice nella favola di Alcione. Lisabetta annaffia il basilico suo pedemontano, e muore di dolore e di solitudine. Motivo poetico che parte da una posizione edipica - il padre dell'Acitana avrebbe soddisfatto qualunque voglia dell'unica figlia, come il padre di Pelle d'Asino, pur di averla tutta per sé, e anche i fratelli di Lisabetta tardavano a darle marito, la volevano quindi tutta per loro. Alla fine anche l'Acitana morirà durante l'assenza dello sposo e del figlio, morirà di parto insieme al secondo bambino, e i suoi uomini non potranno far nulla. Anche l'Acitana rompe una norma, seguendo un povero marinaio contro il volere del padre. Ma l'incanto dell'amore si prolunga, pieno di nostalgia, fra un padre - Caitanello o Laerte - che non lascia mai la sposa, fingendosi malato, non pazzo, e un figlio che parte senza avere ancora una sposa, e che non ha da chi far ritorno, e non avendo una terra, un regno, una sposa, un letto al quale tornare, può solo morire tentando di salvare qualcosa dei padri e delle madri che non può ereditare, perché la guerra l'ha distrutto. Lisabetta può rifiutare la condizione incestuosa con i fratelli, come Galatea, che rifiuta l'amore del ciclope Polifemo, grande come il padre per la bambina. Ma non possono opporsi alla condanna, che si realizza con la morte dell'amante-amato, Aci, Lorenzo. 'Ndrja come loro vive per destino la tragedia che condanna l'amore a manifestarsi in una cornice edipica - con un baritono che vuole per sé tutto l'amore, come Caitanello si oppone all'unione del tenore e del soprano.

Vedi la novella di Boccaccio Lisabetta da Messina, quarta giornata, novella quinta. Vedi anche, su Youtube: Le teste di moro. Una storia d'amore, gelosia e vendetta dietro un'icona della Sicilia.
Dopo il salto dalla tradizione collocata nel secolo XI al XIV secolo, di Boccaccio, un altro salto, per associazione e per significato tragico, indotto dai vasi della figura centrale, ci porta al XVII secolo, vale a dire alla tragedia di Otello e Desdemona.
Spingendoci oltre, volando più che saltando, ricordiamo la fiaba della Bella e la Bestia, la cui unione ha come antecedente - nesso temporale che vale, come nei sogni, come nesso causale - un legame totalizzante con la figura genitoriale di sesso opposto (per lui, la Bestia, la fata o strega che pretendeva le nozze col principe, che trasforma in bestia dopo il suo rifiuto - vedi anche il Re porco; per lei, la Bella, il padre, amato tanto teneramente che per aiutarlo lei rifiuta le nozze e per salvarlo è pronta a immolarsi alla Bestia). Sia Lisabetta, sia l'Acitana, sia la Bella non hanno madre - o non è menzionata la figura materna - e sono sorelle uniche o figlie uniche o predilette di fratelli o padri che le accontenterebbero in tutto ma non le trovano marito. L'alternarsi delle generazioni porta la Bestia alla Bella - o la Bella alla Bestia - e all'unione con la bestia, il misero, il diverso, che nella novella di Boccaccio e nella tradizione popolare alla quale fa riferimento la canzone Chi mi furò la grasta, come nell'Otello di Shakespeare porta alla rovina, nella fiaba al lieto fine. Il rimosso - l'unione feconda fra creature della nuova generazione - torna come relazione impossibile. Così la sintetizza mirabilmente George Bernard Shaw definendo il melodramma italiano, ultima forma di successo mondiale della grande tradizione narrativa italiana: il tenore e il soprano vogliono andare a letto insieme e il  baritono lo impedisce. Ultima grande versione popolare della narrazione che ha nell'eroe tragico greco per eccellenza, Edipo, il suo grande antenato, posto da Freud a origine - il suo amore vietato per la madre dopo la morte del padre - e pietra angolare della mitologia psicoanalitica.
Se pensiamo alle contraddizioni e alle leggi e alle variazioni, e alla soluzione mai definitiva, dell'unione fra diversi, l'unione feconda, e della separazione fra generazioni, l'alternarsi vitale tra vecchi e giovani, decrescenti e crescenti, possiamo capire perché Edipo è sia la pietra angolare della mitologia psicoanalitica, sia l'eroe tragico per eccellenza. Le molteplici versioni dei vasi - sia uomo arabo e donna italica, sia  entrambi italici o entrambi neri - racconta la complessità della relazione, e la tragicità derivante dalla possibilità non meno che dall'impossibilità di definire in maniera certa e stabile cosa è uguale e cosa è diverso. E come amarsi, essere fecondi, vivere, sia un compito normale e insieme impossibile.
Leggi anche la canzone popolare Chi mi furò la grasta, insieme ad altre notizie sulla vicenda di Lisabetta e ad alcune grandi riprese, come quella di John Keats e dei pittori preraffaelliti. Per amore di precisione occorre ricordare che l'esistenza della canzone popolare è peraltro attestata soltanto dal verso citato da Boccaccio alla fine della quinta novella della quarta giornata del Decameron, nella quale, sotto il reggimento di Filostrato, si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine - ovvero la morte degli amanti. E non apriamo il vaso di Pandora su questo tema, anche se ci piacerebbe comparare le novelle e le storie a finale tragico con le fiabe che hanno una analoga struttura narrativa ma si concludono col lieto fine...
Chi ha tale dolidoli che è come se avesse basola di lava sopra il petto? La basola è una lastra di lava che pesa sul petto, ed è quello che grava sul petto del sultano Shahriyar, che uccide la sposa che lo ha ingannato e tradito, e poi ogni sposa al mattino, dopo averla presa la sera e per la notte, fino a quando una fanciulla racconta a lui, il sultano Shahriyar, lei, Shahrazad figlia del gran visir del sultano, storie e storie per mille e una notte. Shahrazad non gli racconta quanto lui, il sultano, è bello e grande, ma storie di grandi e di piccoli, di uomini e di donne, di poveri e di ricchi, di magie e di azioni umane. Shahrazad lo distrae, e vive, e lo guarisce. Altrimenti la morte è inevitabile, anche se sembra a Caitanello e l'Acitana di averla scongiurata, ma è così vicina che si amano per anni sempre restando amanti, ma anche amanti infelici, che pagano con la morte l'amore, come Aci e Galatea. Aci Reale e Gala a tea...

In cima al vostro alberello...
                                 
Un po' per ridere un po' per non morire Io senza dar risposta / me ne starò nascosta / un po' per celia, un po' per non morire / al primo incontro : così canta Butterfly affermando/immaginando il ritorno di Pinkerton.
Ancora qui è la favola che rende possibile l'amore fra l'Acitana e Caitanello, e la sua stessa vita. D'Arrigo non ha vergogna, o lo fa nonostante la vergogna, di dire la fragilità dell'uomo, un pescatore, povero ma forte e orgoglioso, e quanto la donna gli sia necessaria. Ed era necessaria la sposa al Sultano delle Millunanotte, tanto che per garantirsene il possesso e la fedeltà ne prendeva una nuova ogni sera, uccidendola all'alba. Lasciando che abitasse solo la notte, per affrontare il suo giorno senza paura che lo abbandonasse. Il racconto che rende possibile restare insieme è faccenda del monoteismo, della religione del libro. Perché, se c'è un libro ce n'è un altro, se un libro è sacro, se ne scrive e se ne stampa presto uno profano. Di novelle, o favole, o parabole,o storie, che dir le vogliamo. Così Boccaccio, introducendo il Decameron.anifestars
Un po' per celia un po' per non morire armavano quell'operetta, quella pantomima a Granvisire e Masignora come per sconoscersi un poco e vergognarsi di meno... A distanza di alcune pagine torna madama Butterfly, questa volta sullo sfondo del dramma mitologico, mentre la precedente lo sfondo era la favola del melodramma pucciniano. Immagino che la sensibilità di D'Arrigo gli consenta non solo di comprendere come la potenza maschile abbia bisogno dell'immersione notturna nel mare fedele, pescosissimo della sua sposa, ma di ricordare quanto la donna rischia di morire se l'uomo al quale offre il ristoro della sua divozione, non la ricambia col riconoscimento di quanto lei sia necessaria a lui come lui è diventato necessario a lei, che da quel momento non ha più nulla da fare col basilico nel testo/testa da annaffiare sul balcone, nella casa del padre pronto a soddisfare i suoi desideri.
Quando la donna apre all'uomo il grembo della sua anima per dargli ristoro, deve essere ricambiata da un riconoscimento d'amore, che la allontana dalla famiglia d'origine, che le permette di trasformare l'amore per il padre nell'amore per lo sposo. Ma non si può dimenticare che l'Acitana muore sola, di parto, mentre Caitanello e 'Ndrja sono in mare. Solo la morte eterna l'amore? La morte che sempre minaccia Shahrazàd nei manoscritti antichi, arabi, la morte di Aci colpito dal masso di Polifemunocchio, un masso come quello che per poco mancò la nave di Nessuno/Ulisse? E non è forse vero che la morte come la pagina bianca deve sempre venire per quanto è meraviglioso, per quanto ci fa sentire in un Eden dal quale non siamo esiliati per sempre, dove rientriamo, con o senza serpente, con o senza angeli, con o sensa albero proibito. In fondo questa felicità di Caitanello e dell'Acitana, ha qualcosa della ýbris che gli dei vedono nella coppia felice di Alcione e Ceice, che grazie al loro amore non provano invidia o gelosia nemmeno per il re e la  regina degli dei, Giove e Giunone. Così ci spieghiamo la fine, un dio invidioso manda l'arcangelo con la spada infuocata e ci caccia dal luogo della gioia, gli dei che
puniscono gli esseri umani che si paragonano a loro, pur non togliendo niente a loro, senza nemmeno la colpa di aver violato il primo comandamento: non conoscere il bene e il male, obbedisci. Non crescere somigliandomi quanto alla potenza. Resta sempre piccolo e disperato, come un bambino, come ogni generazione oppressa dal potere dei grandi, degli antenati, della storia, della cultura, della tradizione... Se cresci, sarai punito: morirai, ti ucciderò giustamente. E così la morte diventa giusta, una giusta punizione per la felicità trovata senza istruzioni, senza lavorare con gran sudore né partorire con gran dolore. E così si salva la fiducia nel creatore, generatore, genitore, e così si può sopportare la vita, la perdita di chi si ama, i tradimenti, la dissolvenza inesorabile delle illusioni, la ripetizione della illusione e della disillusione che ogni vita fa sperimentare, e si scopre da vecchi che i genitori e tutti gli avi lo sapevano, e non ce lo avevano detto, per amore, e noi non lo diciamo ai figli, per amore e compassione, di noi, di loro, dei padri e delle madri, dei muccuselli.
Aci e Galatea

Mille e una notte
Nella grande raccolta araba, che doveva circolare in Sicilia anche prima della prima traduzione europea (vedi, di chi scrive, Breve storia delle mille versioni) l'amore per le storie - di Shahrazàd che ne sa mille e una, di Shahriyar che non si stanca di ascoltarle - sospende la morte. Qui è in gioco il valore della parola e della letteratura, lo stesso, in scala diversa, delle fiabe popolari o di quelle di una raccolta letterariamente pregevole, o anche un di un capolavoro come le settecentesche Mille et une nuit di Galland o il secentesco Cunto de li cunti di Basile. La struttura narrativa è articolazione della vicenda dell'esistere, inconcepibile senza una relazione e senza un tempo che la contiene, tempo al quale la relazione dà esistenza. Il mythos o fabula è forma primaria del linguaggio, sia quello delle pitture preistoriche delle grotte franco-cantabriche, sia quello di una canzone popolare come Chi mi furò la grasta o di una sinfonia, linguaggio che coinvolge e connette e attraversa molti 'strati' della mente e del cervello, passando con una carta magica, un magico pass, da un viottolo capestre a una rete stradale a una rotta oceanica a una via celeste, che non si limita allo spazio aereo ma vola alla galassia, e allo spazio infinito, e torna e si riperde... Le Mille e una notte, che D'Arrigo nomina come millunanotte, deletteralizando il numero, che indica nella tradizione araba qualcosa che non si può contare, come millanta nella tradizione toscana, come sette volte sette nel Vangelo. Numero che Galland smise di notare, abolendo le divisioni fra notti numerate nei manoscritti arabi trecenteschi, i più antichi che ci siano pervenuti, ma senza più preoccuparsi di quante fossero le notti nelle quali la sua Sherazade racontava al suo sultano, certo molte più di quelle dei manoscritti, ma senza generare un problema a lui. Che però volle concludere le sue Notti col lieto fine che caratterizava quasi tutte - e che ora caratterizza tutte tutte - le fiabe, già presenti a Parigi con Perrault e le dame che potevano frequentare la Corte del Re. Per primo il francese che parlava arabo e turco, dopo aver studiato come si deve latino e greco, arrichchì le Notti con il sultano che perdona Shahrazad, imputabile a suo sovrano inappellabile giudizio, in quanto donna, dell'imperdonabile colpa della prima e prediletta sposa, di averlo tradito.
Ora, Stefano D'Arrigo, il Proust, il Joyce, il Musil, della letteratura italiana - parere espresso a chi scrive, che lo condivide senza riserve, in una corrispondenza privata del traduttore tedesco di Horcynus Orca - trasformando Mille e una notte in millunanotte recupera la vaghezza del tempo che uomo e donna rendono uno all'altro possibile da subire e abbracciare: da vivere, nel quale generare. I primi a letteralizzare e scrivere con numeri metodicamente anteposti alle notti dei racconti furono i compilatori editori delle prime edizioni arabe, che per arrivare a 1000, pur escludendo storie inserite da Galland e assenti dalla loro tradizione narrativa, inserirono materiali di tante provenienze e generi, come una storia delle crociate che sembra composta, per trama e senso, da un fratello di Ludovico Ariosto o di Torquato Tasso che però è dal lato opposto dei combattenti (la storia è inserita nell'edizione di Bulaq,traduzione italiana coordinata da Francesco Gabrieli; anche per questo, vedi Breve storia delle mille versioni). Ma non rinunciarono al lieto fine, pure assenta dalla tradizione araba, che anzi dalla tradizione dei beduini del deserto avevano preso le storie degli amanti perfetti, che solo la morte riuniva, in sepolcri oggetto di venerazione da questi nomadi del deserto. Alla stessa tradizione va riferito il solo poema d'amore dell'Antico testamento, il Cantico dei cantici. Lo variarono il finale felice, e fraquesti il più moderno resta quello di Galland, che è anche il più utopico: lo spirito del sultano, dice Galland, si era addolcito, e liberò per sempre Sharazade della condanna a morte che non aveva mai smesso di pendere sulla sua testa. Nelle citate Mille e una notte di Bulaq Shahraad chiede e ottine perdono dopo mille notti di racconto presentando al sultano i tre figli avuti da lui, il più piccolo che ancora ha al seno, il mediano gatto e il maggiore cammina, chiedendo e ottenendo la grazia perché i figli di entrambi non rimangano orfani. In altre edizioni, più tarde, il finale non manca, ma non è felice: il sultano, stanco di ascoltare storie, fa eseguire la sentenza di morte. Alla guida fallica, sia Caitanello, sia il sultano, manca la capacità di ingannare il tempo, di inventare figure e storie, come le lodi di Granvisire con le quali l'Acitana arricchisce il pescatore oppresso dalla carestia. Se non sanno porgere orecchio alla donna, nella notte, prima o dopo l'amplesso, se non sanno mostrare la loro gratitudine per il dono di lei donandole quel che hanno, amandole e rispettandole, impazziscono perché il mondo non risponde ai loro ordini - che ci siano pesci nelle reti, per Caitanello, che le spose siano fedeli, per il sultano. Se il sultano e il pescatore sono soli difronte alla beffa che il mondo e la storia regolarmente ordiscono contro il loro potere fallico, diventerebbero impotenti o morirebbero. Nella sconferma che viene dalla realtà, della quale Caitanello insiste nel dare testimonianza prima di accettare lo sguardo della sposa e il suo invito a entrare nel mare sicuro e pescosissimo di lei, prima di esserne consolato, l'uomo con il suo potere e il suo ordine fallico è perduto. Allo stesso modo è perduto il sultano delle Millunanotte quando scopre il tradimento delle sue spose, e non può regnare se non ripristinando l'ordine: lo ottiene soltanto uccidendo le spose al mattino della prima notte di noze, prevenendo così il tradimento. Sarebbe una soluzione, se non comprendesse l'estinzione delle giovani dellacittà, vale a dire l'eclissarsi della loro presenza, la riduzione brutale della donna dalla sfera pubblica. La donna può vivere e parlare solo nella notte, ma in questo modo si crea un oqsquilibrio.
Questo squilibrio crescente, perché sempre più va uccisa la donna perché non entri nel giorno, è responsabile della crescente violenza fallica, che per bonificare l'oikumente dimentica la natura femminile della Terra, e si esprime come i grandi totalitarismi novecenteschi, coerenti discendenti di tutta la cultura fallocentrica, il cui dominio nasce con l'Umanesimo e si afferma con la Rivoluzione Francese. La Terra è bonificata dall'eroe che non si illude di abolirne le caratteristiche di mito, fiaba, finzione, illusione. Ci sono eventi che senza ingananre il tempo non si possono affrotnare e superare. La psicoanalisi stessa è un modo di ingannare il tempo. Lo stesso fatto di intraprenderla ha effetti di cura, perché chi lo fa accetta che un procedimento di parole, dove nessuna sostanza trovata dalla scienza fallcoentrica viene somminsitrata perché arrivi dove non arriva la parola, possa modificare la sua vita, possa sciogliere nodi che si fanno sempre più stretti, come una bambina o una donna inesperta che vogliano sbroglaire una matassa. Lo stesso fattodi intraprenderla ha effetti di cura, perché l'identità fallocentrica è sospesa come il potere fallico di Caitanello e del Sultano nella notte dove, pur scettici e crudeli, si lasciano vestire dalla magia femminile delle parole, la magia del racconto, novelle, o favole, o parabole, o storie, che dir le vogliamo (Boccaccio, cit.). Solo un determinato ordine giuridico, monarchico o democratico, distingue storie vere e non vere, e i due campi cambiano continuamente fisionomia, mentre i detentori del potere ogni volta affermano che precarie ed erronee erano le separazioni precedenti fra storie vere e false, mentre la loro è giusta e incrolalbile. ma oggi che si sa di altre separazioni, diverse nel tempo e nello spazio, e anche compresenti alla nostra, l'interrogazione sulla natura comune delle storie, vere e false, si impone. E si può ripartire da Esiodo che lascia il suo mondo concreto, di greggi e di rocce, per seguire le Muse, che gli promettono storie vere e storie false che sembrano vere, senza dargli lafacoltà di distinguere fra le une e le altre. Come nei sogni e nei deliri le mescoliamo senza limiti di spazio di tempo e di proporioni geometriche, così le mescolano le Muse i poeti, senza i quali non avremmo la risorsa che serve per non morire dei fili spinati che vengono posti a difesa dei confini. Non avremmo la risorsa che permette di non morire e di non uccidere a Caitanello, discendente del sultano delle millunanotte, non avremmo l'Acitana, discendente della narratrice, figlia del Visir, che aveva studiato tutti i libri del mondo).
...era morta da qualche anno...

...era morta da alcuni mesi...
Fra le due versioni questa è una differenza importante. Nei Fatti della fera sembra che il ragazzino sia cresciuto dopo la morte della madre, con un coinvolgimento omosessuale quindi. In Horcynus Orca sembra piuttosto una situazione infantile, prepuberale, tanto che il padre lo porta addormentato in barca, cosa impossibile se 'Ndrja avesse dodici o quattordici anni.
Il discorso di 'Ndrja che prende il posto della madre ha la malizia e l'innocenza dell'infanzia, e l'indagine di Caitaniello è pertinente al rapporto di un padre con un figlio bambino. A parte il fatto che lasciare per anni il figlio a dormire fra due sedie non ha senso.
...al suo fianco...
Esile associazione: se fianco è la traduzione corretta di quanto il Creatore toglie da Adamo addormentato per formare Eva e Arrigo conosceva questa traduzione, diversa dalla ben più ridotta costola, è difficile non pensare alla contraddizione rimasta nella Genesi sulla creazione del genere umano, fra 1 e 2. Essere al fianco del padre è assolvere alla funzione esercitata dalla madre. Sappiamo come Genesi 1 abbia aperto un varco a Lilith, la prima donna che sarebbe stata cacciata subito dopo essere stata creata, perché insieme ad Adamo avrebbe accettato di obbedire al Creatore, ma si sarebbe rifiutata di obbedire all'uomo, non vedendone la ragione. Sappiamo che Lilith è un demone, che genera demoni e ruba e danneggia e fa morire i neonati per invidia verso le donne che sanno metterli al mondo.

26
 E Dio disse: « Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra ».
27 Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò;
maschio e femmina li creò.
28 Dio li benedisse e disse loro:
« Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra;
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente,
che striscia sulla terra ».

18 Poi il Signore Dio disse: « Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile ».
19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome.
20 Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l'uomo non trovò un aiuto che gli fosse simile.
21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto.
22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.
23 Allora l'uomo disse:
« Questa volta essa
è carne dalla mia carne
e osso dalle mie ossa,
perché dall'uomo è stata tolta ».
GENESI, 1 (C.E.I.) GENESI 2 (C.E.I.)
...e gli pareva di sentire già disentire il sapore del sangue sulle labbra...
Dopo giorni e giorni che leggo e rileggo D'Arrigo, e trascrivo queste pagine sul ricordo di 'Ndrja, dei nomi e delle parole notturne del padre e della madre, solo ora comprendo il mio interesse ostinato nel non lasciarle. Non è un mio ricordo, avevo meno di due anni, dormivo nella camera dei genitori, piccola, in via Milanesi a Firenze, prima che ci si trasferisse in questa casa di Peretola dove ancora vivo. Mi raccontavano sia il babbo che la mamma che chiedevo il mommo dolce e altro, mentre aspettavano che mi addormentassi, e una volta che credevano che non potessi più sentirli avevo chiesto: « Chi se li dà questi bacini? », lasciandoli sorpresi, una sorpresa, credo, simile a quella di Caitanello quando 'Ndrja gli risponde come faceva l'Acitana.
Ma il collegamento riguarda un ricordo del babbo e della mamma, di una volta che non mi riaddormenavo e chiedevo e chiacchieravo, e il babbo si alzò e mi prese per sculacciarmi, ma poi mi raccontava, sentendo le mie ciccine tenere mi rimise a letto senza eseguire la sentenza. Come nelle pagine di D'Arrigo, il muccuso, come la bambina, si aspetta una punizione, di essere picchiata a sangue. Freud direbbe che si aspetta - teme e desidera - un atto violento come quello che fantastica fra padre e madre, come il coito a tergo che Freud aggiunge ai ricordi dell'Uomo dei lupi per affermare che nella fantasia del bambino, nella sua percezione, di un atto sadomasochistico si tratta fra i genitori, e di un atto come questo teme e spera di essere oggetto. E lo confermerebbe la punizione del genitore, che punirebbe una varietà infantile dell'ýbris greca, analoga a quella degli adulti rispetto agli dei che hanno olimpiche dimore. La punizione è ridotta, come ridotta è la distanza fra figli e genitori, ma il peccato è simile. Il bambino sa e non sa di essere minus habens rispetto ai genitori, e in ogni caso fa di tutto per negarlo. La negazione fondamentale, che richiede l'abolizione della percezione relativa ai genitali propri e dei genitori, riguarda le misure, e la punizione che il bambino come la bambina si aspetta, col sapore di sangue che accompagna una percossa violenta, rimette a posto l'arroganza del bambino. Nel mio ricordo tentavo di controllare l'eros dei miei genitori, nel ricordo di 'Ndrja il bambino pensadi sostituire il genitore morto, e mettendosi al suo posto testimonia il suo amore per entrambi. Ha compassione del padre, e supplisce la madre assente, in questo modo conosce il loro desiderio, e al loro desiderio prisponde con tutto il suo essere. Se lo fa nega la sua minorità, ovvero la sua condizione di figlio, e si aspetta la giusta punizione dai maggiori.
Ed ecco il punto: la punizione giustamente attesa, non arriva. Qui si apre il mistero, si torna di fronte alla sfinge, si ripensa l'enigma della distanza fra età diverse dell'essere umano, si ricorda che né l'infanzia né la vecchiaia sono minus habentes rispetto alla condizione adulta, che precedono e seguono, salvo morti premature. Ma il carico dell'adulto, che deve provvedere a chi non è ancora adulto e a chi, essendolo stato, ha smesso di esserlo, come chi è malato di Alzheimer, Parkinson o demenza da corpi di Lewy, o cambia il suo stile di vita in modo bizzarro, facendo in modo che gli adulti debbano occuparsi di lui come minus habens, è talmente pesante che forse è insopportabile se non costruendo una considerazione di sé come plus habens. In questo senso,
mi pare comprensibile l'arroganza dei giovani genitori contemporanei, arroganza ovviamente per i loro genitori, ora nonni, perché dal loro punto di vista sono i nonni ad essere invadenti, e loro devono arginare gli invasori. Questo mi dice che loro, i genitori di oggi, difendono le barriere dell'incesto, mentre i bambini e i nonni le colpiscono continuamente. la barriere dell'incesto hanno la funzione di mettere in valore la condizione adulta, un valore talmente grande da rendere sopportabile il carico che la condizione adulta porta. Per misurarlo basta pensare a quel che si possono permettere bambini e vecchi. Enuncio un problema che ne deriva: il prolungamento della vita, e di una vita abile, ha modificato la separazione delle tre età nell'indovinello della sfinge. Quindi la condizione incestuosa si spalma sulla vita intera, confondendo tutte le barriere simboliche fra funzioni diverse nelle diverse età.
Direi che la punzione e il sapore di sangue - forma attenuata della morte, fine di ogni sapore, che colpiva dall'Olimpo chi aveva peccato di

ýbris - non vengono più sentiti, e forse nemmeno immaginati dai bambini. E i vecchi, coloro che essendo nonni non generano, sono in pensione e non hanno responsabilità di dare la vita e permettere al nuovo vivente di alimentarsi e crescere, continuano a provvedere ai discendenti, figli e nipoti, ma non ricevono in cambio nessun ringraziamento. Che, se venisse, attesterebbe il crollo della barriera dell'incesto che separa gli adulti dai vecchi. Si finge che la barriera ci sia, con sofferenza di tutti, generi diversi di sofferenza. Nulla da meravigliarsi sulla straordinaria intelligenza delle nuove generazioni: il pensiero è limitato nella sua potenza dalle barriere dell'incesto, e infatti colui che le abbatte, rispondendo all'enigma della Sfinge è l'eroe tragico per eccellenza, ed è la pietra angolare della psicoanalisi. Il Telemachino di Recalcati fa ridere perché la legge che Recalcati propone è ridicola rispetto a quella che Edipo infrange e ricostruisce. Le barriere dell'incesto limitano l'eros - il pensiero ne fa parte, perché il pensiero vero è eros puro per quanto diversamente attivo - come la ciclicità dell'estro limita l'attività erotica dei nostri parenti mammiferi. Se così non fosse si potrebbe fare quel che non possiamo fare, giocare col sesso quando sivuole, come si vuole, con chi si vuole.
La diminuzione dei rapporti sessuali nelle nuove generazioni dipende dal fading delle barriere dell'incesto. Il plurale è necessario, perché molteplici sono queste barriere, e variabile da una barriera all'altra il loro fading e il loro consolidamento.
Deo concedente.
...non si trovava forse al posto di lei  nel letto, dove forse era rimasto il suo spirito quando se n'era andato col corpo? Il testo dei Fatti della fera, corretto in Horcynus Orca, pare contenga un vero e proprio lapsus. Dove era rimasto il suo spirito quando se n'era andato col corpo diventa: dove forse era rimasto il suo spirito quando se n'era andato il corpo? Se lo spirito se n'eraandato col corpo, non poteva essere rimasto nel letto. Il lapsus rivela una contraddizione fra coscienza e inconscio. Al posto dei genitori dell'Edipo classico, Laio e Giocasta, in questa scena insuperabile di scena originaria si trovano genitori amorosi, fra loro e col figlio. La tragedia è inevitabile, come per Edipo, la morte del figlio avviene come per Ulisse, dal mare, per caso o per errore. Ma l'amore impossibile, che lega tre persone, vale un intero romanzo, e che romanzo, sia I fatti della fera, sia Horcynus Orca.
La lunga intimità fra genitori e figli produrrebbe una confusione fra generazioni, perché è venuto meno il ritmo legato alle stagioni. Il tabù del resto non riguarda l'amore, senza il quale la civiltà con l'intimità infinita fra le generazioni non esisterebbe, e non si sarebbe formata, ma il divieto dell'atto sessuale. La pedofilia e l'amore incestuoso sono rimanenze indisciplinate. Da citare a questo proposito le parole che Thomas Mann fa pronunciare al consigliere convocato dai nobili gemelli che unendosi hanno dato alla luce Gregorius, sul disordine che hanno causato. 
La morte viene a 'Ndrja perché non è padre né figlio, è padre e figlio, amante della madre e del padre, e ricambiato da entrambi. Deve essere sacrificato nel momento del suo massimo trionfo, dopo che ha procurato la carne il grasso gli ossi dell'orca ferone ai suoi compaesani e lavoro di mano ai pescatori, dopo che ha trovato le 1000 lire per una nuova barca, dopo, soprattutto, che ha scoperto di essere come Ulisse un Navarca, tanto che non può trattenere la giovane ciurma appena formata con l'orazion picciola di Masino, che dà parola alle azioni di 'Ndrja:

Li miei compagni fec'io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti
(Inf., XXVI, vv. 121-123)

Chi non rivisita la posizione d'amore totale verso entrambi i genitori, e chi non sente come l'abbiano ricambiata, non rischia la tragedia, ma nemmeno la creatività. Perché quel punto dubbio, se il bambino possa o non possa entrare nella relazione fra i genitori, è l'oscillazione più rischiosa e ricca della vita.
e stranamente bisognoso di sapere, di appurare... Qui c'è una chiave importante per comprendere il valore della scena primaria, nella quale il bambino, 'Ndrja, è come Edipo, e Caitanello è la Sfinge. Una Sfinge che vuol sapere da lui qualcosa che lui, il figlio, il minus habens, dà per scontato che la Sfinge-Aci-reale-Caitanello sappia già. In effetti 'Ndrja smette di essere un muccuso, un bambino, perché scopre la debolezza del padre che fino ad allora considerava impavido e privo di punti oscuri. Magistralmente D'Arrigo ci dice sia del senso di delusione e di ribellione del figlio, sia della condizione del padre, che non può non essere itneressato a capire come e perché suo figlio gli abbia risposto con l'appellativo col quale gli si rivolgeva sua madre, la moglie morta. In Horcynus Orca è morta da pochi mesi, nei Fatti della fera era morta da qualche anno: la variazione significativa attesta l'importanza dell'episodio per l'A. e nell'economia del romanzo.
'Ndrja continua a fare il padre del padre, si legga del suo ritorno, di come si preoccupi di non causare al padre un'emozione troppo forte, di come si lasci palpare lasciando al padre la possibilità di far tutto a modo suo, come a un bambino, e nel sopportare il sonno e la fatica. Non tralascia nulla per consolarlo e rianimarlo, il padre come il paese come i muccuselli che formano il suo equipaggio, comprende tutti i personaggi come fossero tutti suoi figli, e si stupisce che lo seguano, tanto che paga con la vita stessa il non essersi reso conto della potenza che mette in atto.
'Ndrja è lo scrittore stesso, che tutti comprende e da nessuno è compreso, tranne che dall'Acitana/Jutta, che muore prima del figlio, insieme al secondo figlio o figlia, non viene detto. Narratore onnisciente, come 'Ndrja che capisce tutti e narra tutti, l'Autore muore insieme al suo romanzo, e infatti, per non morire, lo ricorregge per quasi vent'anni prima di lasciarlo andare, prima di morire al suo capolavoro.
Ma era qui che si dimostrava ancora muccuso... L'infinito delle età che trascorrono l'una nell'altra, l'infinito dell'amore, che pure finisce, il tempo unico delle tre età della sfinge, che ormai sono più cinque che tre, seguendo l'anzianità l'età adulta, generativa, e precedendo la vecchiaia, e l'adolescenza seguendo l'infanzia ed essendo prima dell'età adulta. Questo il bambino non lo conosce, questa conoscenza è dell'adulto, che però le vive separate, come il sultano vive la compagnia di Shahrazad solo prima di giorno e dopo il tramonto. L'adulto per questo non sa parlare al bambino, lo prende in giro, colpedolo quasi a morte, facendogli sanguinare l'anima. Per amore della madre e del padre 'Ndrja diventa genitore di entrambi, e padre di tutti, e per questo, come il Figlio, muore, muore appena realizzato il suo sogno di far felici gli altri, dopo averli salvati. In fondo lo scrittore, se è un grande artista come D'Arrigo, vuole far felici gli altri donando loro la sua comprensione, e se stesso nle momento in cui altri godono di questo suo dono di comprensione sensibile, che sa e non sa come la dimensione dell'ìnfinito si intrecci e si separi da quella concreta, misurabile in quanto limitata, finita. Uno doveva fare per forza il realistico, se l'altro faceva poesia.
Solo nella poesia e nella letteratura le due dimensioni si incontrano, si amano, vanno insieme.
'Ndrja quindi a mio parere non è solo Ulisse, ma anche Edipo, e anche Gesù Cristo. È quindi l'eroe civilizzatore, non colui che combatte i mostri come l'Idra Lerna, come i mostri che sconfigge Eracle, ma l'eroe dell'intelligenza e dello spirito. Un eroe così non è più possibile, deve morire prima della fine del libro, la sua morte è la fine del libro, ma non bisogna dimenticare la pietas con la quale Masino lo riporta a casa sua. Come 'Ndria ascolta l'Acitana, prendendone il posto, così Masino ha preso il posto della sorella morta, crescendone il bambino.
Caitanello per diventare uomo ha dovuto dimenticare il suo amore tenerissimo per la fera Mezzagiornata, chequasi l'ha ucciso quando lei è stata uccisa per gioco e crudeltà dai cacciatori. 'Ndra e Masino non dimenticano la tenerezza, e non la vivono solo di notte, e solo con la mediazione della donna. L'Acitana, Shahrazad, Masignora, Ciccina Circè, ravvivano la loro compassioen adulta. 'Ndrja muore, ma Masino lo riporta a casa, come la nave dei Feaci riporta a Itaca Ulisse.
...si rivolta, questa pulce... Nella reazione violenta ma rattenuta di Caitanello è la risposta che i bambini e le bambine si sentono dare quando entrano in verità nella coppia dei genitori. 'Ndrja sa e non sa che parla di sesso, afferma il suo amore senza secondi fini, e non viene creduto. Così finisce la sua fede nel padre sempre sincero e realistico. Caitanello sa o immagina la voracità predatoria della quale accusa il figlio, dicendogli che sta mordendo ciò che lo ha nutrito - la minna - o penetrando nel luogo dove è stato generato - l'unione sessuale dei genitori? In Freud, si trova soltanto l'attitudine predatoria e vorace del bambino, presa nel gioco sadico e masochistico che gli sembra praticato di notte dai genitori. Li vedrebbe nel buio della camera, nella quale non dormiva, impegnati in un coito a tergo - è il caso di Sergej Costantinovič Pankëev. Chissà perché un coito a tergo e non un rapporto anale?
Caitanello ribadisce con la sua risposta che c'è una distanza incolmabile fra genitori adulti e figli bambini, nel momento stesso in cui il figlio varca questa distanza rispondendo all'appello onirico del padre, ispirato dalla pietas materna. Questa stessa pietas lo porterà a procurare l'orca da scarnificare ai cariddoti, a partecipare alla regata per guadagnare le mille lire e comprare una palamitara - che la sposa del mastro d'ascia costruisce fingendo di chiedere istruzioni al marito ormai demente -, a rispettare e ispirare il suo equipaggio improvvisato che diventa talmente abile da far pensare che potrebbe, nella sua miseria, vincere i potenti vincitori stranieri. Ha appena il tempo di stupirsi, 'Ndrja, che la pallottola degli dei lo colpisce in mezzo alla fronte. Non so se è una mia fantasia o se l'ho letto in qualche versione del mito, ma io immaginavo che in mezzo alla fronte Telegono colpisse senza conoscerlo suo padre ormai sazio di vita. L'ignoto marine americano o britannico che uccide 'Ndrja non lo conosce, e non sa nemmeno di averlo ucciso, non sa che è parte attiva e inconsciente di una storia che per mantenere l'ordine uccide la cultura dei padri. Se chiedessi a D'Arrigo se pensa che l'Europa possa costituirsi come potenza autonoma, credo che risponderebbe di no. Perché l'eroe di sempre, nella sua versione estrema, 'Ndrja Cambrìa, muore per errore, per destino, proprio quando riesce nell'impresa titanica di salvare i suoi simili e la sua antichissima cultura. Come un teorema perfetto, questo libro a prima vista labirintico, sperimentale, strano, sublime, si chiede se sia ancora possibile un eroe civilizzatore che prenda in mano l'eredità mediterranea, tutta: si trova la Grecia, Omero e il mito di Aci e Galatea, si trova la presenza araba, Granvisire, Masignora e millunanotte, si trova Boccaccio, con Lisabetta da Messina e la più antica canzone della grasta esistente/inesistente, e con  umana cosa, si trova il teatro dei pupi e si trova il al melodramma ottocentesco, un po' per celia un po' per non morire...  Basta una parola come grasta, per scavare e toccare l'antichità e la ricchezza e l'attualità della cultura mediterranea: grasta dal latino grasta, dal greco γάστρα... Da γαστήρ, stomaco, pancia... Leggo in Semerano un nesso con gráo, di cui si ha un imperfetto
égrae, divorava, sanscrito grásate, divorare. Il grembo della donna è ventre divorante se fuori dalla legge maschile fallocentrica, seno fecondo che porta il figlio al maschio che le dona il seme. La dedica a Jutta, che dovrebbe stare in copertina insieme al suo Arrigo, corrisponde alle parole notturne di Caitanello Granvisire all'Acitana. Ma io queste parole maschili non le ho mai sentite, da padri compagni pazienti, mai queste parole pubbliche o private, di carta o di soffio: solo ora, solo qui, solo in D'Arrigo. Comprenderlo significa trovarsi su un confine dal quale non si può più arretrare, anche se è altrettanto inevitabile esitare, sostare, perché non abbiamo idea di cosa ci sia oltre quella linea. D'Arrigo mette in parola in queste pagine quel che unisce uomo e donna tanto che possono vivere insieme e mettere al mondo figli e crescerli: ma la parola non è mai detta, o io non l'ho mai sentita, al massimo nel sorriso dell'uomo che donna se stesso nel rapporto sessuale, quando il rapporto, per una grazia arbitraria e aleatoria, fa sperimentare l'uscire da se stessi dell'estasi raccontata da Giovanni della Croce, quando dal rapporto insieme al figlio nasce il teatro, nasce la letteratura. Non nasce nulla che possa obbedire a una previsione, a un progetto, perché è sempre eccedente l'immaginazione umana, come eccede il nostro potere vedere e pensare il mondo senza di noi, prima della nostra nascita, dopo la nostra morte. L'eternità è guadagnata dalla coscienza umana grazie a questa impossibilità, che incessantemente confligge con la certa esistenza di queste dimensioni impensabili, irrappresentabili. Questa impossibilità genera una tensione costante, e il desiderio fa la spola, un po' per celia, un po' per non morire. Non è il desiderio portatore della contraddizione, ma la mortalità del soggetto che coesiste senza essere pensabile con l'immortalità della nostra specie, che generazione dopo generazione mantiene un legame che non esiste per i nostri simili animali. Questo ci differenza da loro, non il linguaggio, che è il risultato di questa realtà irrefutabile/impensabile: noi la possiamo e anzi non possiamo non concepirla, ma allo stesso tempo queta realtà è impensabile. Nella separazione necessaria e impossibile fra generazioni si gioca per ciascuno di noi quando siamo carusi, piccirille, mocciosi, questa realtà che eccede il pensiero. Grazie al fatto che tolleriamo questa eccedenza, questo eccesso, questa eccezione, questa eccezionalità, possiamo diventare adulti. Se non la tolleriamo - e mai questa tolleranza è veramente totale, e l'intolleranza si ripresenta cambiando proporzioni nell'arco della vita, degli anni e dei giorni - restiamo incerti fra le età, e il nostro destino, come quello delle persone che ci stanno accanto, non è mai buono.
Ora lo vedi, se s'Aci e sta Galatea esistono, oppure no, ora li vedi, ora li vedi...

...dentro i suoi pensieri dentro la memoria dentro la stanza dentro al letto dentro la palla del lume sul canterano.
Notte fonda, pensiero per Federico, notte insonne.
Mi pare di aver capito, è il seguito della nota che si conclude con la formula deo concedente.
Eros è connesso irrimediabilmente all'ordine, dico Eros come piacere di vivere, forza che asseconda la vita, la stessa cosa che fa correre il cane che sente l'estro di una femmina, la stessa cosa che fa amare i cuccioli alla cagna più di se stessa, la stessa cosa che amando la propria creatura ama il genitore e la genitrice.
Se non è connesso alla regola, o se la regola è inadeguata a legare l'Eros, regola decaduta, consunta, l'Eros si perverte, come un fiume che si disperde in mille rivoli dimenticando il suo letto e non arriva al mare, dove può finalmente perdersi giustamente.
Esiodo nella sua cosmogonia, come ogni poeta in ogni cosmogonia, immagina un tempo che precede la regola, con un Eros primigenio che le preesiste. E invece il suo oro, la sua prerogativa di sciogliere le membra e dimenticare i buoni proponimenti e i saggi propositi di creature umane e divine, esistono dopo la regola. Ma forse la regola in Esiodo è il verso stesso, la regolata convenzione della scrittura e del verso, che precede Eros, come tutti i primigeni, Caos, Terra e Tartaro. Non nascerebbero al di fuori della convenzione della parola scritta, del verso.
Si scopa meno oggi perché ci sono meno regole. Il regolamento tiene il posto, come già scrivevo, del ritmo ciclico dell'estro, e l'Eros umano dipende dalle regole - prima fra tutte la barriera dell'incesto - come l'Eros animale dipende dal ritmo biologico. Un ritmo la donna ce l'ha ancora, e infatti si chiama ciclo il mestruo - ho il ciclo, si dice - mentre l'uomo non ce l'ha più,  per illudersi che la sua virilità non dipenda dall'età. Alla donna  la menopausa conferisce un ritmo, che all'uomo manca, una separazione fra età adulta, feconda, e terza età, sterile.
La libertà oulipiana deriva dalla contrainte, regola scelta e ferrea, arbitraria come ogni regola, come ogni regola necessaria, come la gerarchia delle carte da gioco che varia di gioco in gioco. Follia è pretendere, giocando a briscola, che il due prenda l'asso, perché il due è la carta più bassa. O pretendere, giocando a whist, che lo stesso due venga preso dall'asso, mentre a questo gioco vale meno solo del tre. Ogni regola è arbitraria o divina, perché non ha fondamento se non nella forza. Forza divina, per i credenti di una religione, forza derivante dalla potenza con la quale un'istituzione umana, re o parlamento, la impone.
Eros senza regola negli esseri umani è come Eros senza ritmo ciclico negli animali: inconcepibile. Eppure la regola tenta sempre di più di assoggettare l'Eros, di addomesticarlo, come Nasodicane sempre presente nelle notti del vedovo Caitanello.
Ma solo l'Eros che trasgredisce si avvicina a quella libertà e a quell'innocenza che hanno gli animali, e permette di gustare una goccia di amore senza regole, ma non fuori dalle regole, semplicemente vicino a un ciclo 'naturale' di cui si sono defintivamente perduti l'indirizzo e la strada, tanto che nessuno che lo sperimenti è poi in grado di ritrovarlo a suo estro e nemmeno di mantenersi nei suoi paraggi. Sa solo di averlo perduto: il sentimento della perdita, il lutto, è la sola vittoria su destino che ce l'ha portato via. E il senso di colpa del melanconico, oppure l'odio per il rivale del paranoico, impedisce di arrendersi alla potenza del destino, sia come Dio, sia come autorità in carica, trattengono nell'infanzia che non si arrende alla regola.

Caitanello e l'Acitana sono amanti fuori dalla regola, lei è una signorina e lui un povero pescatore, e la loro unione avviene contro il padre di lei. Per questo restano amanti in eterno, e non possono vivere e non possono morire. Caitanello Cambrìa diventa feticista e perverso, e suo figlio muore per salvarlo. Il muccuso muore al pelle-squadra, il pelle-squadra muore al muccuso. 'Ndrja ha del sesso la stessa nozione profonda del fanciullo settenne ingaggiato come angelo.
NOTE DI LETTURA DA ALTRE PARTI DI HORCYNUS ORCA O I FATTI DELLA FERA E NOTE VARIE
Questo è onore: restare in vita, pirdeu… O il morire in guerra vi sembra privilegio, distinzione alta? No, figlicelli, sbagliati siete: è solo il morire dell’uomo prima del tempo suo, morire in forza di legge, e non di destino”
Così parla Ciccina Circè, trovo questo passo citato nella lettura di Giorgio Morale, https://rebstein.wordpress.com/2008/02/09/horcynus-orca-di-stefano-darrigo-nella-lettura-di-giorgio-morale-i/.
Mi pare vicino a La pelle di Curzio Malaparte.
E se la nostra cultura mediterranea, nutrita di Grecia e Roma, di Umanesimo e melodramma, e fiaba e teatro, avesse da testimoniare il valore della vita dopo la caduta di ogni possibile ideologia - non di ogni possibile poesia come credeva Adorno.
Qui la sfinge con una dozzina di capezzoli mi pare raccontare qualcosa di diverso dal fallocentrismo greco, romano e tedesco. La cultura italica esercita il suo influsso su quella della Grecia della madrepatria, come nella sfinge e in altre rappresentazioni che ho visto a Potenza. Il nostro meridione non si adatta alla nostra cultura efficiente e protestante per salvaguardare il suo senso greco-italico, che ha accolto innumerevoli popoli e culture, subendone l'influenza, mai abbandonando questo tratto vitale, erotico e regolato allo stesso tempo, come nel contrasto di Gallipoli fra luce e ombra, fra festa di colori e sole del mercato e oscurità cupa, tetra, delle piccole chiese e dei bassi.
Solo un siciliano poteva scrivere un romanzo come questo, solo un toscano poteva scrivere La pelle. In Toscana infatti il lascito del Rinascimento, la sua solarità, incapace di creare uno stato come tanti altri popoli europei, ha prodotto una resistenza alla mitologia protestante diversa ma altrettanto potente di quella meridionale.
Umane cose A p. 579 dei Fatti della fera, ricorre due volte la dizione umane cose. È azzardato ipotizzre che qui ci sia un rimando a Boccaccio? Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto li quali già hanno di conforto avuto mestiere, e hannol trovato in alcuni: fra' quali, se alcuno mai n'ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli (Proemio al Decameron). In questo senso 'Ndrja è la poesia tout-court.
TEATRO FORSE
In un allestimento teatrale 'Ndrja dovrebbe essere molto bello, alto e snello e forte, un Achille. E dovrebbe dire sia le parole di 'Ndria sia quelle del narratore, magari spostandosi per rimarcare che si tratta di due funzioni, se non di due personaggi. Come nella resa di un discorso, quando si usano le virgolette basse per segnare un pensiero all'interno del discorso che un personaggio rivolge a se stesso, quelle alte per un discorso diretto.
Analogie con l'Odissea *Come a Ulisse la morte viene a 'Ndrja dal mare, da qualcuno che non l' ha riconosciuto
*Marosa come Penelope ricama e potrebbe disfare i fazzoletti ricamati con i pesci
*Come Laerte quando torna Ulisse, Caitanello si è ritirato quando 'Ndrja torna.
*Come Anticlea, l'Acitana è morta, come Ulisse, 'Ndrja sa di non avere una madre che l'aspetta.
SITOGRAFIA
Fondo Stefano D'Arrigo, Gabinetto Viesseux, Firenze

Horcynus Orca nella lettura di Giorgio Morale

Trasposizione di un capolavoro. Horcynus Orca
in tedesco

La regionalità letteraria tra realismo ed espressionismo. 2. D'Arrigo

Il mare di sangue pestato: studi su Stefano D'Arrigo.
A cura di Francesca Gatta

Fahrenheit - La lingua impossibile di Stefano D'Arrigo
- ore 15.00 del 02/05/2017
Visitato il giorno 2 novembre 2019

Tutta la terra in una goccia di mare
, di Walter Pedullà, in Pangea, Rivista avventuriera di cultura e idee.
Visitato il giorno 2 novembre 2019

Se fosse un film: Horcynus Orca
visitato il 2 febbraio 2024

La risposta europea a Moby Dick: Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo. Aspetti lessicali, di Pierino Venuto.
In: Humanities - Anno II numero 1, Gennaio 2013

Di lu pisci spata, Vittorio De Seta 1954 (YouTube 10:09)
Pesca del pesce spada, Mario Soldati 1950 (YouTube 10:02)
Rituali nella pesca del pesce spada nello Stretto di Messina


PER UN FANCIULLO INGAGGIATO COME ANGELO DURANTE UNA RAPPRESENTAZIONE SACRA IN SICILIA


PER UN FANCIULLO INGAGGIATO COME ANGELO
DURANTE UNA SACRA RAPPRESENTAZIONE IN SICILIA
FOR A CHILD HIRED AS AN ANGEL
FOR A RELIGIOUS PLAY IN SICILY

All’angelo di sette anni chi chiede
di cibarsi delle Rose dei Venti
in un giorno lontano di scirocco,
di soffiare chi chiede dentro i corni
di caccia senza sangue né ira.

Who asks the seven-year-old angel
to feed on the Windrose
in a far day of sirocco,
who asks him to blow in the haunting
horns without blood or anger.

All’angelo di sette anni chi chiede
di starsene con un piede per aria
fingendosi Angelo Annunciatore
in un giorno lontano di rondini
che spiumano l’Africa in mano.
Who asks the seven-year-old angel
to stand with his foot in air
pretending to be annuntiation angel
in a far day of swallows,
plumes from Africa in his hand.
All’angelo di sette anni chi chiede
di montare la guardia stretta
con la spada di vecchio barlume
al fianco flessuoso della Vergine
che siciliana lunga di treccia,
viso trapunto di fede e vaiolo,
si lusinga e arde nei battimani.
Who asks the seven-year-old angel
to mount the firm guard
with a sword of old glimmer
to the lithe hip of the Sicilian
long braided Virgin, embroidered
face with faith and smallpox,
swayed and heated by applause.
Chi chiede a lui librato per angelo,
che mai non ha come piuma mente,
non una idea in odore d’empireo,
ma sette anni di dare e avere
in Sicilia, nascere e morire,
col sole alle spalle, ombra per i piedi.
Who asks him soaring as an angel
who never has a feather mind,
or an idea scented with empyrean,
but seven years to give and take
in Sicily, to be born and die,
the sun behind him, shadow for his feet.
Chi chiede a lui settenne saraceno
sempre in punto d’essere battezzato:
l’acqua dolce, il ginocchio piegato,
sulla nuca un soffio di cattività.
Who asks him seven-year-old Saracen,
always about to be christened:
sweet water, to bend his knee,
on his nape a breath of captivity.
Chi chiede a lui che ha parola,
formosa anima di guerriero a volte,
chi chiede a lui di fare con onore
a volo la spola fra cielo e terra.
Who asks him who can speak,
shapely soul of warrior sometimes,
who asks him to fly with honour
to and fro between earth and sky.
Chi gli chiede d’affermare in Sicilia
che anche un viso invaiolato è iscritto
nell’idea adorabile del giglio,
se lei sempre sogguarda repentina
la sua fronte garofana d’aprile,
quando indicata : Ecce ancilla Domini,
a voce in cima ai fuochi d’artificio,
teme il cuore, quale rapace il cuore,
d’invenzione trafitto sulla mano.
Who asks him to declare in Sicily
that also a smallpoxed face enters
in the adorable idea of the lily,
if she always sudden glances
at his forehead of April carnation,
when she is pointed:
Ecce ancilla Domini,
by voices on top of the fireworks,
shefears the heart, heart like a bird of pray,
by invention pierced on her hand.
Al settenne chi chiede d’illustrarla
con parole mai udite né dette
nel latino, lingua alta, in quel miele,
un nulla dolce sino al capogiro.
Angelo analfabeta, chi gli chiede,
chi gli chiede di gettare l’allarme
su quella Sacra Rappresentazione
strillando in lingua latina per lei.
Who asks him, seven-year-old to praise
her with words never heared or said,
in Latin, high language, in that honey,
such a sweet nothing up to dizziness.
Illiterate Angel, who asks him,
who asks him to raise the alarm
about that Religious Play
screaming in Latin for her.
All’angelo in carne e ossa chi chiede
di pedinare lo Spirito Santo,
chi chiede a lui che ha vanto del sesso
suo settenne, eredità del padre,
chi chiede a lui creatura di spegnere
l’occhio mimo che si spia in giro,
chi gli chiede di mutare quel vanto,
quel suo valore di vecchio zecchino,
in cenere, in atto di contrizione.
Who asks the angel in flesh and bone
to tail the Holy Spirit
who asks him who boasts of his sex
seven-year-old inheritance of his father
who asks him, a creature, to turn off
the mimic eye which spies around,
who asks to change that boast,
his value of old zecchino,
into ash, into act of contrition.

Dunque chi chiede al settenne che cresce
nei gridi e nei silenzi della madre,
nel suo sguardo che comanda al sole,
lei senz’angeli a raggera ma figli,
senza palma ma coi Sette Dolori :
chi gli chiede di non aver memoria
se lei, la madre, è una sembianza
fedele in famiglia, pietra o cera
di paragone che mai qui si altera.
Well, who asks the seven-year-old growing
in the cries and in the silences of his mother,
in her glance that commandsthesun,
she without sunburst angels but with children,
without the Palm of martyrdom but with the Seven Sorrows:
who asks him not to remember
if she, the mother, is a faithful
face in family, wax or stone,
touchstone that here never alters.
Chi chiede a lui se zeffiro gli spira
al fianco come una persona amica,
chi gli chiede d’incombere dal cielo
sul coro a tre voci, trafelato, dove
a un battere di cigli cresce un figlio
provocatore di delizie e stragi,
nel presonno una palpebra d’agnello,
uno a conoscenza dei padri : quello.
Who asks him if zephir blows gently
at his side like a friend of his,
who asks him to hang from the sky
over the three-part choir, breathless
where in a beat of eyelashes a child is born,
a provocateur of delights and massacres child,
in the presleep eyelid of a lamb,
one known to the fathers: that one.
Chi chiede a lui, labbro chiuso, di dire
la clemenza di tutti i primi nati
presentati nei piatti fondi d’oro,
chi gli chiede di dire se non sa
per sette anni clemenza né oro.
Who asks him, closed lip, to say
the mercy of all the first born
presented in gold plates.
who asks him to say if he does not know
for seven years mercy or gold.
Chi gli chiede di stare spalla a spalla
nell’infanzia coi pontefici massimi,
coetaneo per giochi e sacrifici,
chi gli chiede d’aspirare all’aureola,
angelo martire pagato a ore,
lui della razza dei conquistatori
passato per servitù e digiuni,
angelo senza peccato né colpa.
Who asks him to stay shoulder to shoulder
in childhood with maximum pontiffes,
of the same age for games and sacrifice,
who asks him to aspire to halo,
martyr angel paid by the hours,
he, race of conquerors, passed
through servitude and fasting,
angel without sin or fault.










progettato e scritto: 08/10/2019
online dal: 03/02/2024