C'era una volta, centinaia e centinaia
d'anni fa, un paese dove tutti erano poveri, ma la
più povera era una vedova che aveva sei figlie magre
in età da marito, che non trovavano nessuno perché
non avevano un soldo di dote, e un figlio maschio
che avrebbe dovuto essere il sostegno della
famiglia. Disgraziatamente era goffo e lento di
comprendonio, faceva sghignazzare la gente quando
passava per la strada e le rare volte che provava a
fare qualcosa combinava solo guai senza riuscire
nemmeno darsela a gambe.
Tutti i
giorni sua madre gli gridava dietro: "Mangiapane a
tradimento! Disgrazia di questa casa, buono a
nulla, piantagrane! Ma perché non ti levi dai
piedi, perché non vai al diavolo, Tontonio che non
sei altro?".
Tontonio, così lo chiamavano tutti, tirava su le spalle e faceva finta di nulla, ma un giorno la madre era particolarmente inviperita e passò dalle parole ai fatti: preso il mattarello glielo sbattè sulla schiena, sulla testa, e dove capitava; se lui non avesse avuto finalmente una buona idea, cioè di infilare l'uscio di casa e darsela a gambe, l'avrebbe anche ammazzato. Già che c'era continuò a correre fino a mezzanotte, quando si trovò ai piedi di una montagna tanto alta che sulla cima ci abitavano le nuvole, dove su una radice di pioppo, in una grotta decorata di pietra pomice, era seduto un orco che con la sua bruttezza avrebbe fatto scappare anche il diavolo. Basso come un nanerottolo, inteccherito come un manico di scopa, col testone che sembrava una zucca gigante, la fronte piena di bitorzoli, le sopracciglia di pelacci fitti, era strabico da morire, aveva il naso schiacciato e le narici sembravano scariche di fogna, poi dalla bocca larga come un forno sporgevano due zanne da cinghiale che gli arrivano alle caviglie, aveva il petto peloso, le braccia ossute, le gambe così torte che ci sarebbe passato un maiale, e i piedi piatti come le oche: insomma sembrava un diavolo grasso e rachitico, dall'aspetto così brutto che avrebbe impaurito anche gli eroi più coraggiosi della storia. Ma Tontonio, che non si muoveva nemmeno con le cannonate, gli fece un inchino e disse: "Addio vossignoria, come te la passi? Che si fa da queste parti? Hai bisogno di nulla? Quanto manca da qui a dove devo andare io?". L'orco quando sentì questo andare di palo in frasca si mise a ridere, e siccome quello spirito matto lo faceva divertire disse: "Vuoi entrare al mio servizio?". E Tontonio rispose: "Quanto vuoi di paga mensile?". L'orco disse: "Mettiti in testa di servire onorevolmente, che andremo d'accordo e ti darò delle belle giornate". Così fecero questo patto e Tontonio restò a servizio dall'orco, dove c'era tanta roba da mangiare che non si sapeva dove metterla, e riguardo alla fatica si stava a grattarsi la pancia, tanto che dopo poco era diventato grasso come un bue, tondo come una botte, impettorito come un galletto, bianco e rosso come una mela, panciuto come una balena, così pieno di ciccia che non gli si vedevano più gli occhi. Ma non erano ancora trascorsi due anni che, annoiato da tanta abbondanza, gli venne una voglia irresistibile di dare un'occhiata al suo paese, e pensando alla sua casina cominciò a dimagrire e si era ridotto male, quasi come prima. L'orco, che conosceva Tontonio profondamente, fino alle budella, e gli bastava annusarlo per sentire il patimento che gli aveva levato l'appetito, lo chiamò da una parte e gli disse: "Tontonio mio caro, so che ardi dal desiderio di rivedere casa tua, e siccome sei il mio pupillo sono disposto a farti fare una visita, così ti prendi questa soddisfazione. E allora porta con te quest'asino, che ti leverà la fatica del viaggio, ma tieni bene in mente che non gli devi mai dire le parole: issa faloro, perché te ne pentiresti, per l'anima di tuo nonno!". Tontonio, preso il ciuchino, senza dire nemmeno arrivederci montò e cavallo e partì al trotto, ma non aveva fatto nemmeno cento passi che, sceso dalla groppa del somaro, provò a dire: issa faloro, e appena lo disse l'animale cominciò a evacuare perle, rubini, smeraldi e diamanti grossi come noci. Tontonio con la bocca spalancata guardava fisso come l'asino andava bene di corpo, e non stava nella pelle dalla contentezza; poi, dopo aver riempito una bisaccia di pietre preziose, rimontò sul somaro e continuò la strada al trotto, finché arrivò a una taverna. Smontò dall'asino e la prima cosa che disse al taverniere fu: "Lega questo ciuco alla mangiatoia, dagli da mangiare bene, ma guarda, non dire le parole: issa faloro, o te ne pentirai, e mettimi al sicuro queste robine". Al taverniere, che sapeva levare il fumo alle schiacciate, perché era un uomo di mondo, svelto di mano e furbo come una volpe, sentendo questo comando strampalato e vedendo le pietre preziosissime, venne la curiosità di provare queste parole. Così diede un bel po' da mangiare a Tontonio, lo fece bere il più possibile, poi lo mise a letto fra tante coperte e appena vide che aveva chiuso gli occhi e russava corse nella stalla e disse all'asino: issa faloro. E come se queste parole fossero il suo
purgante lui fece la solita roba, buttando
fuori dal corpo oro semiliquido e pietre
preziose grosse come castagne. Il taverniere,
vista questa ricchissima evacuazione progettò di
sostituire l'asino e imbrogliare quello sciocco
Tontonio, giudicando facile fargliela in barba e
menarlo per il naso, perché non aveva mai visto
in vita sua un semplicione, un pecorone, uno
zoticone come questo che gli era capitato fra le
mani. issa faloro issa faloro issa faloro, ma il ciuco capiva quelle parole come
avrebbe capito la musica di un'arpa. Dopo aver
ripetuto tante volte queste parole come se
avesse detto al vento, Tontonio prese un bastone
e provò con quello a convincere il povero
somaro, che si lasciò andare e fece tanta
squacquarella gialla e marroncina sui panni
candidi. La povera madre, dove sperava di vedere
le preziose gemme e l'oro scintillante, vide
questa robaccia che anzichè portare
la ricchezza aveva riempito la sua
casa di un puzzo insopportabile; allora
prese il mattarello e senza lasciare a
Tontonio nemmeno il tempo di tirar fuori i sassi
di fiume gliene diede tante che lui si mise a
correre per ritornare dal suo padrone. apriti tovagliolo, perché se ti capita un'altra disgrazia
è peggio per te. Ora va' con il mio buon augurio
e torna presto". apriti tovagliolo. Apparvero subito cibi prelibati di tutte le varietà, pietanze succulente e manicaretti sopraffini, serviti in piatti preziosi, mai visti nemmeno sulla tavola del re. Vedendo queste meraviglie Tontonio disse subito: chiuditi tovagliolo, e rimesso tutto a posto si diresse verso la solita taverna, dove entrando disse al taverniere: "Tòh, mettimi da parte questo tovagliolo e guarda bene di non dire: apriti tovagliolo, perché se ti capita un'altra disgrazia è peggio per te. Il taverniere, furbo di tre cotte, disse: "Lascia fare a questo tuo amico", e dopo averlo rimpinzato a più non posso e averlo ubriacato, lo mandò a dormire, poi prese il tovagliolo, pronunciò le parole: apriti tovagliolo. e il tovagliolo tirò fuori tante cose
preziose che era un incanto guardarle. Così,
trovato un tovagliolo circa come quello, quando
Tontonio si fu alzato glielo rifilò. Lui di buon
passo arrivò a casa della mamma dicendo: "Ora sì
che daremo un calcio in faccia alla miseria, ora
sì che possiamo buttar via stracci, cenci,
piatti incrinati e rattoppi!". apriti tovagliolo apriti tovagliolo apriti tovagliolo. Ma poteva continuare a dirlo quanto
voleva, sprecava il fiato e non ci ricavava né
una briciola di pane né un piattino incrinato;
perciò, vedendo che l'affare gli era andato
male, disse alla mamma: "Mi venga un accidente,
mi ha infinocchiato un'altra volta il
taverniere! ma vedrai, che io e lui siamo in
due! meglio per lui che non fosse mai nato!
meglio che fosse finito sotto la ruota di un
carro! che mi prenda un colpo se quando passo da
quella taverna per vendicarmi dei gioielli,
dell'asino e del tovagliolo rubato non gli
riduco tutto il mangiare in polpette!" su bastone, e nemmeno: giù bastone, perché io non voglio più aver a che
fare con te". E Tontonio prendendolo rispose:
"Va', che ho già messo i denti del giudizio e so
quante scarpe sono tre paia! Io non sono più un
bambino e chi può infinocchiare Tontonio ha
ancora da nascere!". Allora l'orco gli disse:
"Non dire gatto finché non l'hai nel sacco, fra
il dire e il fare c'è di mezzo il mare, si starà
a vedere. Mi hai sentito come un sordo, ma uomo
avvisato mezzo salvato". su bastone. Non furono due parole, furono arte di incantesimo, perché immediatamente il bastone, come se avesse avuto un diavolo nel midollo, cominciò a lavorare le spalle e la schiena del povero Tontonio con tanta forza e velocità che prima di finire di assestare un colpo cominciava già a tirarne un'altro. Il povero Tontonio era ammorbidito come un polpo sbattuto, quando finalmente disse: giù bastone, e il bastone si fermò d'incanto. Così,
istruito a sue spese, disse: "Accidenti a chi
scappa! questa occasione non me la lascio
scappare di certo! il conto non è ancora
chiuso". su bastone, o correrai un grave pericolo! sentimi
bene, non ti lamentare di Tontonio poi, perché
io ti ho avvertito e non voglio aver più a che
fare con te". su bastone, e il bastone senza farsi pregare trovò
subito il groppone del taverniere e della
taverniera, e punfete di qua e pinfete di
là, roteava colpendo davanti e dietro e
dappertutto, tanto che, spaventati a morte, quei
due corsero col bastone che li lavorava senza
sosta a svegliare Tontonio, supplicando: "Pietà!
pietà!". giù bastone, e quello si distese da una parte. Così
Tontonio con l'asino, la bisaccia piena di perle
e pietre preziose, il tovagliolo e il bastone,
andò dalla sua mamma che rimase a bocca aperta
dalla meraviglia, e procurò una dote principesca
alle sue sorelle che finalmente si sposarono.
Riempì di ricchezze la sua casa, e la mamma da
allora lo tenne più caro della luce dei suoi
occhi, e si capì bene che:
pazzi e ragazzi il cielo li aiuta. |
![]() |
___________________________________________ | |
TESTO |
©
Adalinda Gasparini 1996, da Giambattista Basile, Cunto de li cunti o
Pentamerone (1634-1636),
Trattenemiento
terzo de la iornata primma, Lo cunto dell'uerco. Per il testo originale, vedi: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_6/t133.pdf; consultato il 3 novembre 2011. |
___________________________________________ |
|
IMMAGINE |
Rielaborata
da English Fairy Tales, Retold by Flora Annie
Steel. Illustrated by Arthur Rackham; London 1918. Jack
the Giant-Killer |
___________________________________________ | |
FABULANDO. CARTA FIABESCA DELLA SUCCESSIONE |
Vedi
anche, accedendo alla Carta della fiaba
de La fiaba dell'orco,
l'e-book della fiaba e altre note relative. |