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| CANTARE PRIMO |
1
Onnipotente Dio che nel ciel stai,
Padre celeste, Salvator beato,
che tutt’il mondo con tua man fatt’hai,
e regge il tuo saper in ogni lato,
e re di ciascun re chiamar ti fai,
tanto favor da te mi sia donato
che possa dire un bel cantar per rima
ch’a ciascun piaccia, dal piede alla cima.
2
Signori, intendo che per povertade
molti nel mondo son mal arrivati,
hanno perduto la lor libertade,
la povertá sí forte gli ha cacciati;
ed io vi conterò con veritade
d’un poveru’omo gli anni mal menati,
come per povertá venne in periglio,
convenne dar al diavolo un suo figlio.
3
Il pover’uom si era pescatore,
ed ogni giorno n’andava a pescare,
per sua disavventura a tutte l’ore,
che poco pesce gli venía pigliare.
Terra né vigna non avea di fuore;
ben tre figliuoli aveva a nutricare.
La donna sua, fresca come rosa,
viveva del pescar, non d’altra cosa. |
4
Una mattina il buon uom si levòe,
con la barchetta a pescar ne fu andato,
niente di pesce il giorno non pigliòe,
onde l’uom si fu forte corrucciato.
A un’isoletta del mare arrivòe
e quivi un grande diavolo ha trovato.
E’ sí gli disse: — Che mi vuo’ tu dare,
se ti dono del pesce da mangiare? —
5
Ed ei rispose: — Da poi che tu puoi,
a me comanda ciò che posso fare. —
Parlò il demonio co’ sembianti suoi
e sí gli disse: — Se mi vuoi menare
su l’isoletta un de’ figliuoli tuoi,
e mi prometti di non m’ingannare,
io ti darò del pesce per ristoro,
moneta assai e con argento ed oro. —
6
E quel buon uomo n’ebbe gran dolore;
per povertá convien che lo prometta.
Cosí gli disse: — Io ti darò il minore
e menerollo su questa isoletta. —
E ’l mal diavol non fece altro romore;
pigliò del pesce ed empiè la barchetta,
moneta gli die’ assai, se lo portasse,
e disse: — Io t’annegherei, se m’ingannasse! — |
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7
E quel buon uomo gli rispose ardito:
— E’ certamente non t’inganneròe —
e poi inverso casa ne fu gito;
con tutto il pesce assai dinar portòe
e di buon vestimenti fu vestito.
La madre ed i figliuo’ ben addobòe,
di vettovaglia la casa ha fornita;
ma del figliuol aveva gran ferita.
8
E poi chiamò il suo figliuol minore
nella barchetta e con seco il menòe;
dentro del cuor n’aveva gran dolore,
e, navigando, a l’isola arrivòe,
della barchetta sí lo trasse fuore,
dicendo: — Aspetta sin ch’io torneròe. —
Cosí lasciò il figliuol con tale inganno,
che non avea passato l’ottavo anno.
9
Quel buon uomo di quivi fu partito,
ché del figliuol non vuol veder la morte.
Il grande diavol quivi parse, ardito,
e via lo vuol portar per cotal sorte.
E quel fanciullo forte fu smarrito,
ché non avea nessuno che ’l conforte;
ma per virtú di Cristo si facía
il segno della croce, e quel fuggía.
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10
Rimase quel fanciul con gran paura,
solo soletto su quella isoletta.
Guarda e vi vide sopra nell’altura
una donna, ch’è in forma di donzella,
e un’aquila pareva in sua figura.
Ed al fanciullo se ne venne quella
e sí gli disse: — Non ti dubitare,
ché di questa isoletta ti vo’ trare. —
11
Disse il fanciullo: — Non mi vo’ partire,
perché mio padre qui debbo aspettare. —
L’aquila allora sí gli prese a dire:
— Dov’è tuo padre, ti vuo’ ben portare. —
E prese quel fanciul, senza mentire,
sopra nell’aria cominciò a volare,
e tanto in alto l’aquila il portòe,
sí che e’ capegli al fanciullo abbruciòe.
12
Poi gli mostrò il paese soprano
e ’l suo castello, ch’era in lunghe parte:
quattrocento giornate era lontano
e piú ancor, fanno menzion le carte.
Quell’aquila con quel fanciullo altano
in una notte sí v’andò per arte,
che la sera dall’isola il traeva,
e la mattina al suo castel giungeva.
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13
E poscia in una sala molto bella:
— Ora m’aspetta fin ch’io torno — disse;
entròe in zambra e diventò donzella,
pareva che del paradiso uscisse,
ché riluceva piú che non fa stella;
assimigliava il sol che in ciel venisse!
Era vestita di molti bei panni
e non avea passato ancor diec’anni.
14
Questa fanciulla, la quale io vi dico,
sí si chiamava madonna Aquilina,
che scampò quel fanciullo del nimico,
quando lá il trasse, fuor dalla marina.
Andò da lui e disse: — Bello amico,
Iddio ti doni la bella mattina!
Io son colei che sí alto ti portai,
quando da quel diavolo ti scampai. —
15
E quel fanciullo con buon argomento
cortesemente assai la ringraziòe,
e dissegli: — Madonna, io son contento,
e vostro servitor sempre saròe. —
Ella rispose: — Non ti dar spavento,
ché ancora piú contento ti faròe. —
Ella aveva dieci anni ed egli sette
e vergin piú d’otto anni ancora stette.
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16
Infra quel tempo lo misse a studiare
con un maestro, e da lui bene imprese,
ed imparò a scrivere ed a giostrare,
e venne in arme prodo uom palese.
Ai suoi colpi niun potea durare,
e ben dicea ciascun di quel paese:
— Quest’è figliuol di conte e di barone! —
tanto era adatto e di bella fazzione.
17
Quando cresciuti furono in etade,
egli pareva un giglio, ella una rosa,
e quella donna piena di beltade
disse: — Il mio cuore non ará mai posa,
se non adempio la mia voluntade:
piacciati al tutto che io sia tua sposa:
poiché allevato t’ho, donzel gradito,
ora ti piaccia d’esser mio marito. —
18
E quel fanciullo con buona dottrina
cosí cortesemente ebbe parlato,
e sí gli disse: — Madonna Aquilina,
con gran fatica m’avete allevato.
Voi mi campaste fuor della marina;
ciò che a voi piace sono apparecchiato. —
Ed il suo nome disse a ciascheduno;
la gente sí lo chiama Leombruno.
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19
Egli sposò la donna in cotal sorte,
ella sua sposa ed ei per suo marito.
Il suo castello gli era tanto forte,
di ciò che bisognava era fornito,
fino nell’aria aveva ben due porte
fatte per arte, e molto ben guernito.
Persona alcuna entrar non vi potea,
se madonna Aquilina non volea.
20
Liombruno sapea l’incantamento,
a suo diletto n’usciva ed entrava
e spesso vi facea torniamento
di belle giostre al tutto s’approvava.
E quella donna, piena di contento,
di giorno in giorno sempre piú l’amava,
perch’era bello e pien di leggiadria,
sí che la donna gran ben gli volía.
31
Standosi un giorno tutto nequitoso,
la bella donna sí gli ebbe parlato,
e sí gli disse: — Viso mio amoroso,
perché mi sta’ tu tanto corrucciato? —
A lei rispose Liombruno sposo:
— Madonna, un gran pensier si m’è levato:
i miei fratelli vedere io vorria
ed il mio padre e madre in compagnia. —
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22
Disse la donna: — Se tu vuoi andare,
io vo’ che m’imprometta, senza inganno,
al termin ti darò, di ritornare.
Voglio che torni avanti che sia l’anno. —
E Liombruno sí prese a parlare:
— Madonna, e’ sará fatto senza affanno. —
Ed ella allora gli donò un anello,
che da disagio scampasse il donzello.
23
— Ciò ch’arai — disse — a l’anel domandare
tu l’averai tutto al tuo piacere;
danari e robba, senza dimorare,
ti sará dato a tutto tuo volere:
ma guarda di non mi manifestare,
ché mai piú grazia non potresti avere;
e fa’ che fino a un anno tu ritorni
e, se piú stai, non varchi quattro giorni. —
24
E Liombruno disse: — Volentieri! —
E quella donna, sí bella e gradita,
innanzi ch’ei partisse a tal mestieri,
ben quattro dí fe’ far corte bandita,
e ’l fece fare ancora cavalieri:
fecegli cinger la spada forbita.
E, fatto questo, si prese commiato;
e «messer» Liombruno era chiamato.
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25
Avea d’andar giornate quattrocento
innanzi che in suo paese arrivasse;
ma quella donna per incantamento
sí ordinò ch’egli s’addormentasse;
a l’arte fe’ da poi comandamento
che in suo paese tosto lo portasse.
La sera Liombrun s’addormentòe,
la mattina al paese suo arrivòe.
26
E, quando venne su l’alba del giorno,
si fu allor Liombruno risvegliato,
rizzossi in piedi e guardossi da torno
e ’l bel paese ha ben raffigurato.
E Liombrun, quel cavalier adorno,
umilemente Dio n’ha ringraziato
ed a l’anello grazia egli chiedía:
ciò che ’l comanda, tutto gli venía.
27
Per la virtú ch’aveva quel anello,
in prima sí ei richiese un buon destrieri;
di vestimenta poi ’dobbato e bello,
come bisogna a ciascun cavalieri;
una valigia poi appresso a quello,
fornita di fiorini a tal mestieri;
e gente gli chiedeva senza fallo:
assai ci venne a piedi ed a cavallo.
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28
Con questa gente e con quei suo’ danari
andò a la casa e ritrovò suo padre
e’ suoi fratelli e’ suoi parenti cari,
e quella robba presentò alla madre.
Non si mostrorno i suoi parenti avari
verso di lui e tutte le sue squadre,
ma, visitandol, diceva ciascuno:
— Ben sia venuto messer Liombruno! —
29
I suoi parenti dicean tutti quanti:
— O Liombruno, dove sei tu stato? —
E Liombruno a lor rispose avanti:
— In veritade io ho ben guadagnato
e sono stato con ricchi mercanti,
che m’han cosí vestito ed addobbato,
pel ben servire ched io ho fatto loro
m’han fatto cavalier a speron d’oro. —
30
Ben nove mesi stette con presenti,
che li facevan ciascuno d’onore.
Li si provava amici con parenti;
in quelle giostre, pien di gran valore,
spesso facea di ricchi torniamenti.
E Liombrun di tutti avea l’onore.
Passati nove mesi, e’ prese a dire
a’ suo’ parenti: — E’ mi convien partire,
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31
ché a quelli mercatanti io n’ho promesso
innanzi passi un anno di tornare. —
Que’ suoi parenti si dissono: — Adesso,
o Liombruno, dove vuoi tu andare?
Sappi, il re di Granata sta qui appresso,
una sua figlia sí vuol maritare;
e ’l torniamento ha giá fatto bandire
che chi la vince, seco de’ venire. —
32
E Liombruno questo dire udía,
li venne in cuor di provar sua ventura,
ed a l’anello subito chiedía
un bel destriero con buona armadura.
E ciò ch’ei domandò, tutto venía.
Liombruno d’armarsi allor procura;
da suoi parenti comiato pigliava,
e ciaschedun di loro lagrimava.
33
E Liombruno si prese comiato,
tanto cavalca che giunse in Granata,
lá dove torniamento era ordinato
e la gran giostra era cominciata.
E l’altro giorno se n’andò sul prato,
dove la gente era giá ragunata.
Ivi era un saracin tanto possente,
che della giostra quasi era vincente.
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34
Quel saracin avea tanta fortezza,
che niun a lui si gli volea accostare
però ch’egli era prode e pien d’asprezza;
a suoi colpi nessun potea durare.
E Liombruno, pien di gentilezza,
a lui davanti s’andò a presentare.
E disse il saracin: — O a me ti rendi,
o, se tu vuoi giostrar, del campo prendi. —
35
E Liombruno disse: — Volentieri! —
Arditamente del campo pigliava.
E ’l saracin, che si tenea de’ fieri
sul buon destrier allora s’affermava;
e rivoltossi il nobil cavalieri:
l’un verso l’altro forte speronava.
I cavalieri furon riscontrati:
or udirete i colpi smisurati!
36
Il saracino e messer Liombruno
si vennero a ferir arditamente;
due gravi colpi si dette ciascuno;
ma pur il saracin si fu perdente;
arme ch’avesse non gli valse un pruno
ché Liombruno, nobile e possente,
il ferro e l’asta nel cuor gli cacciòe,
giú del destriero morto lo gittòe.
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37
Caduto in terra morto il saracino,
Liombruno nel campo si feria,
quanti ne giugne mette a capo chino
e ciaschedun gli donava la via,
e ben pareva un franco paladino.
Con alta voce ciaschedun dicía:
— Non combattete piú, franco signore,
del torniamento è giá vostro l’onore! —
38
Il re si fe’ venire il cavaliere
e sí gli disse: — Baron valoroso,
la mia figliuola sará tua mogliere,
e tu sarai mio genero e suo sposo. —
E Liombruno disse: — Volentiere,
se ciò vi piace, alto re valoroso. —
Ma, innanzi che quel re gliel’abbia a dare
co’ suoi baroni si vuol consigliare.
39
Il re i suoi baroni ha domandato,
disse: — Che ve ne par del cavaliere?
Voi ’l dovete saper — ebbe parlato —
forse che in suo paese egli ha mogliere,
e non mi par di cosí gentil stato,
ched a noi si confaccia tal mestiere,
benché sia prode e pien di gagliardia,
a noi non par che convenente sia.
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40
Ma, se per nostro senno si dee fare,
ordinarete che ciascun si vanti,
e dopo il vanto, senza dimorare,
ognun il suo ne provi a noi davanti. —
E l’altro dí si fece ritornare
in su la sala i baron tutti quanti,
ed ordinò che ciascun si vantasse,
e poscia il vanto innanzi lui provasse.
41
Chi si vantava di bella mogliere,
chi si vantava di bella magione,
chi di caval corrente e buon destriere,
chi di gentil sparviero o di falcone,
chi di palazzi o di gran torri altiere,
chi si vantava di tal condizione;
e, quando ciaschedun si fu vantato,
messere Liombrun fu domandato.
42
Dissegli il re: — Perché non vi vantate? —
E Liombruno sí gli respondía:
— Sacra corona, ora mi perdonate. —
Ed ei rispose: — Perdonato sia. —
E Liombruno disse, in veritade:
— Ed io mi vanto della donna mia;
piú bella donna non si può trovare,
ed infra venti giorni il vo’ provare! —
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43
— Termine mi domandi venti die —
rispose il re — ed io te ne vo’ dar trenta. —
Liombruno all’anello disse lie:
— Donna Aquilina presto m’appresenta! —
E quella donna, perché a lei fallíe,
non vuol venire, acciò ch’egli si penta.
E passò trenta giorni senza resta,
alli trentun dovea perder la testa.
44
A trentun dí la donna fu venuta,
e fuor della citta si ritenía:
una donzella suo vestir aiuta,
mandolla al re e a la sua baronia.
E, quando il Re costei ebbe veduta,
ch’era piena di tanta leggiadria,
disse a Liombruno: — È questa tua mogliere? —
Ei rispondea: — No, dolce messere. —
45
Poi una cameriera gli arrivava
davanti al re e gli altri suoi baroni;
e, quando il re costei si riguardava,
che l’era tanto bella di fazzione,
inverso Liombruno egli parlava:
— È questa moglie tua, gentil campione? —
Liombrun disse con dolce favelle:
— Signor mio no, ma ambedue son donzelle. —
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46
E madonna Aquilina fu arrivata
col suo bel viso, che rendea splendore:
davanti al re si fu appresentata,
poi di lí si partí senza tenore.
E, quando il re costei ebbe guardata
— Liombrun — disse, — nobile signore,
or mi perdona per tua cortesia! —
— Perdonate a me voi! — Liombrun dicea.
47
E Liombrun da lui prese commiato,
e dietro la sua donna se ne gía.
Ella l’aspettò suso in un bel prato;
Liombrun perdonanza gli chiedía.
Ed ella disse: — Falso rinnegato,
della tua morte non m’incresceria! —
Per altra via la donna se n’andava,
né arme né caval non gli lasciava.
48
Né arme né caval non gli lasciòe.
Liombruno in un bosco ne fu entrato:
tre malandrini dentro vi trovòe,
che ciaschedun pareva disperato.
Nel secondo cantare i’ vel diròe,
ciò che al cavalier gli fu incontrato.
Di Liombruno è giá detto un cantare.
Darem principio l’altro, a cominciare.
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CANTARE SECONDO
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1
Imperador de’ regni sempiterni,
luce del mondo e bontade infinita,
che tutto il mondo mantieni e governi
ed incarnasti in la Madre gradita,
donami grazia, Dio, tal ch’i’ discerni
la bella istoria con rima fiorita.
Al nome di Dio voglio cominciare
di Liombruno il secondo cantare.
2
Signori, io dissi giá nell’altra rima
come Liombrun del demonio scampòe;
di punto in punto vi contai da prima,
con grande onore al padre ritornòe;
e sí vi dissi, come il libro stima,
come madonna Aquilina il lasciòe,
e non gli lasciò arme né cavallo,
e come si scontrò in un gran fallo.
3
Tre malandrini avevano rubato
due mercatanti e morti a gran furore,
e’ lor denari avevano in un prato
sopra una pietra, a partirli in quell’ore
e ciascuno pareva disperato,
insieme si facevan gran rumore;
per darsi morte avean tratti i pugnali,
per un mantello ed un par di stivali.
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4
Perché il mantello lo voleva l’uno,
l’altro gli usatti non potea accordare,
il terzo, disse, rimaneva al bruno;
e tutti se n’avevano a crucciare.
Intanto lí passava Liombruno.
Quando lo vidder, tutti hanno a gridare,
e il piú antico di loro lo chiamòe,
e Liombruno prestamente andòe.
5
E sí gli disse: — Amico valoroso,
in queste cose ponci providenza.
Questo mantello è tanto grazioso;
di questi usatti sappi la credenza. —
E Liombruno a lor ebbe risposto:
— Acciò che possa dar giusta sentenza,
la virtú del mantel voi mi direte
e degli usatti, poi che lo sapete. —
6
Un di lor due, ch’era il piú saputo,
a Liombruno sí prese a parlare,
e sí gli disse: — Tu sei proveduto:
chi lo mantello adosso avrá a portare
da uom del mondo non sará veduto;
di questi usatti ti voglio contare:
e chi gli ha in piè, cammina come il vento,
perché son fatti per incantamento.
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7
Liombrun disse: — Giá nol crederia,
se primamente non gli ho a provare. —
Il piú antico sí gli rispondia:
— Or te gli metti, e sí comincia andare,
alquanti passi fa’ per questa via. —
Ei se gli messe senza dimorare.
Da poi che fu calzato Liombruno,
ei del mantello domandava ad uno.
8
— Sed egli è ver quel che voi detto avete,
un gran tesoro vale, in fede mia. —
Ed il piú antico disse: — Or vel mettete,
voi vederete s’ella così sia. —
Ed ei sel misse e disse: — Or mi vedete? —
— Non ti vediamo — il malandrin dicía.
Prese di quei fiorini a suo piacere,
di niuna parte lo potean vedere.
9
E Liombruno non tardò niente,
el mantello e gli usatti n’ha portati.
Ciascun de’ malandrin restò dolente:
sopra el piú antico si fûrno crucciati,
dicendo: — Gli è tuo amico o tuo parente,
che per tal modo via ne l’hai cacciato. —
Il piú antico disse: — Nol conosco,
nol viddi mai, se non in questo bosco. —
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10
E non gli valse scusa ch’e’ facía,
che pur al tutto non volson udire,
dicendo: — Pur tu l’hai mandato via,
per ritrovarlo poi al tuo desire! —
Forte infiammato, ciascuno venía,
con le spade il cominciono a ferire,
in cotal modo che costui moríe
suso quel prato e sua vita finíe.
11
E, fatto questo, si furon voltati
suso la pietra, ov’erano i danari,
e, vedendo com’erano scemati,
tutti a due se n’ebbono a crucciare,
dicendo l’uno a l’altro: — Gli hai rubati! —
e con le spade comincionsi a dare.
Li colpi furon valorosi e forti
ché in quel prato ambidue restaron morti.
12
E Liombruno udiva il gran rumore,
voltossi indietro e stavasi a vedere,
e vidde i crudi colpi di valore
che ciaschedun si dá di mal volere;
indietro ritornò, senza timore,
e prese quei fiorini a suo piacere,
ch’eran piú di tremila settecento,
poi camminava piú che non fa il vento.
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13
E Liombruno tanto camminòe,
che presso a un’osteria ne fu arrivato
e dentro quella prestamente entròe;
tre mercatanti v’ebbe ritrovato,
e messer Liontbrun gli salutòe.
Ed il saluto a quello han raddoppiato;
per lo saluto fece Liombruno,
in piedi fu levato ciascheduno.
14
Vedendo Liombruno i mercatanti
che ciaschedun gli facea grand’onore,
a lor parlava con dolci sembianti:
— Sedete giuso, o caro mio signore! —
E Liombruno disse a l’oste: — Avanti,
reca del vino e togli del migliore,
a questi mercatanti date bere,
ché voglio star con lor di buon volere. —
15
E, cosí stando, il vino fu recato.
Poiché ebbono bevuto lí davanti,
Liombruno allora sí ebbe parlato,
ed a lor disse: — O degni mercatanti,
voi che cercate il mondo in ogni lato,
li regni e li paesi tutti quanti,
deh, ditemi la terra oltramarina,
ov’è signora madonna Aquilina! —
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16
Niun di lor non gliel seppe insegnare
e ciascun gli rispose assai cortese:
— Mai a mia vita l’udi’ menzionare,
in veritade, mai cotal paese. —
Disse il piú antico: — Tu potresti andare,
molt’anni e molti, piú che qualche mese,
non troveresti sí fatto argomento,
non tel potria insegnar se non il vento. —
17
Liombrun disse: — V’è nissun che sapesse
come il vento io potesse ritrovare? —
Ed il piú antico par che rispondesse:
— Se su quel monte tu potessi andare
ed aspettassi vento che traesse,
ché da un romito vengono albergare
piú di sessanta venti di certano;
quando vi sono, ognun par corpo umano.
18
Ma dell’andar non ti metter in prova,
ché non fu giamai uomo alcuno nato;
sol un romito, e questo si ritrova,
perché da’ venti sí vi vien portato,
ed ogni capo d’anno si rinnova,
siccome l’alto Dio ne gli ha ordinato;
e cosí viene portato dal vento,
siccome a Dio Signor è in piacimento.
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19
Questa montagna è di sí grande altura,
cosí pendente da montar lá suso,
ma, se nessun vi monta per sciagura,
mezzo miglia non va, che cade in giuso,
morto si trova giú, in quella pianura.
Però d’andarvi nessun mai fu uso.
Deh, non andar, se tu non vuoi morire! —
Disse Liombruno: — E’ mi convien pur gire. —
20
Ancor non era il sole tramontato,
e da costor Liombruno si partía.
Il mercatante sí gli ebbe insegnato
della montagna il cammino e la via,
e Liombruno l’ebbe ringraziato.
Di lí si parte, il mantel si mettía
e que’ stivali pigliò a tal partito,
che innanzi sera giunse dal romito.
21
Per la virtú che avean quegli usatti,
allegramente Liombrun camminava,
alla montagna giunse a tali patti,
senza paura suso alto mirava.
Arrivato alla cella, batti, batti!
e quel romito si maravigliava,
e ’l segno della croce si facea,
lo sportell’apre e nessun si vedea.
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22
E quel romito gran paura avía,
credendosi che fusse il diavol fello.
E Liombruno indietro si traía,
tosto di dosso si cavò il mantello,
chiamando Cristo con Santa Maria,
e si fece davanti allo sportello.
E quel romito forte si assicura,
chiamar sentendo la Vergine pura.
23
Ancor non era il sol bene al tramonto,
che Liombruno è al romito arrivato,
secondo che l’istoria ne fa conto.
Quel romito sí l’ebbe domandato,
e disse: — Amico, a che se’ tu qua gionto?
Or da qual parte se’ quassú montato?
Uomo non fu giamai che ci arrivasse
salvo se ’l vento non ce lo portasse. —
24
E Liombruno sí gli respondía,
e disse a quel romito con desio:
— Mi ha portato la ventura mia,
e gli stivali che portato ho io,
sol per amore della donna mia,
la quale tien legato lo cuor mio.
Donna Aquilina si chiama palese,
che signoreggia questo stran paese. —
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25
E quel romito, ch’è da Dio ispirato,
a Liombruno sí prese a parlare:
— A la mia vita mai, a nessun lato,
cotal paese non odii nomare. —
Disse Liombruno: — E’ m’è stato insegnato
che quassú i venti vengono albergare.
Per lo mio amor, quando saran tornati,
per vostra cortesia, gli domandati. —
26
— Or entra dentro — quel romito disse —
infin ch’e’ venti tornan uno ad uno,
e intenderò s’alcun ve ne venisse. —
E nella cella entrava Liombruno
nel luogo del romito, e lí s’affisse,
perfin che i venti tornasse ciascuno.
E quel romito sí gli scongiurava,
e di monna Aquilina domandava.
27
In prima venne il vento di Ponente,
e dopo lui il gagliardo Garbino,
vento Levante poi subitamente,
e ’l vento Greco e ’l buon vento Marino,
vento Maestro venne similmente,
che face ’l mondo al suo furor tapino,
vent’Ostro, Borea e vento Tramontana,
molti venti del mare e della Tana.
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28
E quel romito, ch’è da Dio ispirato,
tutti gli scongiurava arditamente
che quel paese gli fusse insegnato,
dalla parte di Cristo onnipotente.
Ciascun diceva: — Io non vi son mai stato. —
Ed un di loro parlò immantinente,
disse: — Sirocco ancor ha da tornare,
forse ch’ei lo saprá tosto insegnare. —
29
E, cosí stando, Sirocco è arrivato
e quel romito per virtú divina
di quel paese l’ebbe domandato
che signoreggia madonna Aquilina.
E Sirocco rispose: — Io vi son stato,
e tornare io vi voglio domattina. —
E Liombruno sí gli prese a dire:
— Se ti piace, con teco vo’ venire. —
30
E ’l vento disse: — Vuoi venir con mene
a quel paese, ch’è cosí lontano?
Ed aspettare io non potre’ giá tene,
amico; sicché tu ragioni invano! —
Disse Liombruno: — Io vo molto bene
e seguirotti per monte e per piano;
se domattina tu mi vuoi chiamare,
quando vorrai ’l cammin incominciare. —
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31
Disse Sirocco: — Ed io ti chiameròe,
poiché con meco tu vuoi pur venire.
In niuno patto non ti aspetteròe,
questo ti dico e faccioti a sentire.
La strada col cammin ti mostreròe
e vederò se mi potrai seguire.
— Io son contento — Liombrun rispondía —
purché mi mostri ’l cammino e la via. —
32
E quel romito da cena gli dava
di quelle cose che per lui avía.
L’angiol del cielo sí lo visitava.
E Liombrun col romito partía,
ed a dormir poi subito n’andava:
gli usatti di piè trar non si volía,
per star in punto, se ’l vento ’l chiamasse,
e seguitarlo dov’egli ne andasse.
33
E, quando il giorno si venne a schiarare,
Sirocco Liombruno ebbe chiamato,
e disse: — Amico, vuo’ tu camminare? —
Ed ei rispose: — Io sono apparecchiato. —
Uscí di fuora senza dimorare;
la strada ed il cammin gli ebbe mostrato,
dicendo: — Ve’ quella montagna, lungi?
Lassú mi troverai, se tu mi aggiungi. —
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34
Poi si partiva Sirocco fuggendo,
e Liombruno da quel fraticello
prese commiato, e vassen via correndo
dietro del vento, e méssesi il mantello.
Sirocco indietro s’andava volgendo,
e Liombruno andava innanzi ad ello.
E cosí alla montagna egli arrivò
prima del vento, e qui lui aspettò.
35
— Or — disse il vento — che uomo sei tu,
che non ti posso veder né sentire
e quanto me cammini, ed ancor piú?
Io non credea che potessi venire.
Quella montagna, lungi, vedi tu?
Lassú con meco ti conviene gire
e sí ti mostrerò, amico bello,
di madonna Aquilina il suo castello. —
36
Allor Sirocco innanzi si avviava,
Liombruno il mantello si mettía,
e innanzi al vento d’un gran pezzo entrava.
Sirocco pur indietro si volgía,
e spesse volte Liombrun chiamava;
e Liombruno innanzi rispondeva.
E cosí alla montagna fu arrivato
innanzi al vento, e ’l mantel s’ha cavato.
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37
Cosí cavato che s’ebbe ’l mantello,
il vento giunse e tal parole disse:
— Io ti prometto, caro amico bello,
che sei ’l miglior corrier che mai sentisse!
Or leva suso e lá vedi il castello. —
E poscia il vento da lui dipartisse,
e per un’altra strada se n’andava,
e Liombruno al castel camminava.
38
E Liombruno niente ha dimorato
per infin ch’al castel ebbe arrivare;
con allegrezza subito fu entrato
e nel palazzo entrò senza tardare.
E nella sala trovò apparecchiato,
che madonna Aquilina è a desinare.
Egli si affetta e mangiava al tagliero;
la donna non vedeva il cavaliero!
39
Una donzella di cortel tagliava,
l’altra donzella di coppa servía,
e Liombruno di buon cuor mangiava,
ciò gli bisogna, e nessun non vedía.
Ma quella dama si meravigliava
che quella robba, che innanzi venía,
la quarta parte non gli par mangiare
di quel che innanzi si facea recare!
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40
E quella donna nobile e reale
subitamente sí s’ebbe pensato,
infra ’l suo cuore disse: — Gli è segnale
che Liombruno sí è mal arrivato:
o ch’egli è molto, o ver ch’egli ha gran male!
Tapina me, ch’io feci gran peccato!
Io non dovevo guardar al suo fallo,
che non gli lasciai arme né cavallo! —
41
Per la virtú che aveva quel mantello,
le donne non vedevano l’ardito;
e Liombruno aveva ancor l’anello
ch’ella gli die’, quando si fu partito.
Ed egli allor si ricordò di quello,
e Liombruno, quel signor gradito,
sopra il taglier se lo lasciò cascare.
La donna il vide, e presto ebbe a parlare:
42
— Questo è l’anello cosí grazioso,
ch’a Liombruno diedi quella volta
ch’egli da me partí tanto gioioso,
e verso la sua patria diede vòlta.
Sempre il mio cuor ne resterá doglioso,
e l’alma mia sará fra pene involta
fin che ’l mio cor non veggio e la mia vita! —
E cadde in su la panca, tramortita.
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43
Le donne la portorno suso a letto,
fregandole le mani e ’l chiar visaggio.
Ella rivenne e disse con affetto:
— Lassa! tapina me! come faraggio?
Di Liombruno, il mio sposo diletto,
in questa notte saper io vorraggio,
lá dove gli è andato ed in qual parte!
In questa notte lo saprò per arte. —
44
Allor le donne di camera uscía,
come la donna gli aveva ordinato
presto Liombrun dentro se ne gía,
alla sua sposa egli si fu accostato;
e quella donna di dolor dormía;
presso di lei egli si fu appoggiato,
il chiaro viso e la bocca ha baciata
di quella donna, che si fu svegliata.
45
E Liombruno il mantel si mettía
e la sua donna nol vedea per niente.
Subitamente questa si dicía
infra ’l suo cuor: — Lassa, o me dolente!
che Liombruno fussi mi credía,
io bene l’ho sognato certamente.
Tapina me, ch’io non ho piú conforto!
Questo segno è che Liombruno è morto! —
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46
Cosí la donna, non vedendo niente,
un’altra volta si mise a dormire.
E Liombrun si fece similmente.
Piú che di prima la fece smarrire;
ma ella si voltò sí prestamente,
che del mantel non si puoté coprire,
che pur alquanto lo vidde per certo
prima che del mantel fusse coperto.
47
Ed Aquilina di dormir si finse.
Liombruno il mantello si ha cavato;
ella fu presta e con la mano il cinse,
’nanzi che del mantel sia covertato,
sí fortemente allora ella lo strinse,
dicendo: — Liombrun, chi t’ha insegnato
lo incantamento adoperi per arte?
Chi t’insegnò venire in questa parte? —
48
E Liombrun gli disse tutti i fatti,
de’ malandrini che trovato avía
e del mantello ancora e degli usatti,
e di quel vento gli insegnò la via.
Infra lor due non bisognò altri patti;
le braccia al collo ciascun si ponía,
e poi intramendue si fêr la pace,
annullando ciascun ciò che dispiace.
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49
E così stêrno insieme
allegramente,
infin che visson, con
perfetto amore.
I’ priego Gesú Cristo
onnipotente
e la sua Madre, piena di
valore
che salvi e guardi tutta
buona gente,
che si mantenga in pace e
buon amore.
Al nostro fine Dio ci dia la
gloria.
Al vostro onor, finita è
questa storia!
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