| FROM
                                        A MURDERING GAANDU TO ANOTHER
                                        DAY BEYOND THE PHALLIC AXIS IN SACRED GAMES BY VIKRAM CHANDRA IN: POSTCOLONIAL INDIAN FICTION IN ENGLISH AND MASCULINITY Delhi, Atlantic 2009  | 
                  DA UN GAANDU
                          ASSASSINO A UN ALTRO GIORNO AL DI LÀ DELL'AXIS FALLICO NEI GIOCHI SACRI DI VIKRAM CHANDRA  | 
                  VIKRAM
                                  CHANDRA GIOCHI SACRI - ROMANZO 2007 GIOCHI SACRI - SERIE TV 2018  | 
                
| ABSTRACT La
                      letteratura postcoloniale è più di un ponte fra le
                      culture dei colonizzati e dei colonizzatori.  INDICE 
 
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                 1.
                        ‘Non capisci?’ ‘Non capisci?’
                           
 Ganesh Gaitonde è il potente e ricco
                        capo di una delle due grandi bande criminali di
                        Mumbai. Ha collaborato in incognita con i
                        servizi segreti indiani, e ha avuto come guida
                        spirituale un guru di fama internazionale. Ha
                        scoperto che il suo Guru-ji ha organizzato, col
                        suo aiuto, un attentato atomico che distruggerà
                        la città, per attribuirne la responsabilità a
                        un’organizzazione terroristica islamica
                        appositamente creata. Lo scopo della sua guida,
                        che considerava come il buon padre che non aveva
                        mai avuto, è di realizzare un’India pura, più
                        ordinata e pulita perfino di Singapore.  Ma la sua solitudine è grande, e la sua
                        identità priva di sostegno: solo Jojo
                        Mascarenas, alla quale lo lega la comprensione
                        sperimentata in tanti anni di colloqui
                        telefonici, può trattenerlo dallo scivolamento
                        infinito del suo essere. : Eravamo così
                          piccoli, e questo mondo era così vasto. Senza
                          la sua voce nell'orecchio, io ero ancora più
                          piccolo.  Dovevo portarla
                          dentro. [1] Jojo Mascarenas un tempo ha tentato
                        inutilmente di diventare un’attrice, e ha avuto
                        successo procurando modelle e aspiranti attrici
                        a uomini ricchi e potenti. La più importante fra
                        queste è stata miss India, ed è diventata una
                        grande attrice, Zoya Mirza. Proponendola come
                        amante a Ganesh Gaitonde, Jojo le ha procurato
                        il finanziatore per gli interventi di chirurgia
                        plastica che l’hanno resa perfetta e per la sua
                        carriera nel cinema. Il gangster dapprima cerca di
                        convincere l’amica, che non ha mai incontrato di
                        persona, a raggiungerlo nel bunker. Non
                        riuscendoci, se la fa portare con la forza. La donna cerca di convincerlo a
                        lasciarla andare, ma Gaitonde è inflessibile:  “Non capisci?”
                          Non posso stare così. Non posso. Devo uscire.
                          Non puoi tenermi chiusa in questa prigione.”  “Ma non capisci?
                          Là fuori moriresti.” “E allora?
                          Preferisco morire piuttostoche rimanere in
                          questo buco.” (Giochi
                          sacri, traduzione italiana di Francesca
                        Orsini; Mondadori, Milano 2007; p. 1052) [2] Gaitonde le impone il modernissimo
                        bunker, fornito di ogni comfort, come
                        espressione della propria potenza che le
                        permette di salvarsi. Per Jojo è una prigione
                        insopportabile.  Nella contrapposizione la loro intesa,
                        grazie alla quale ciascuno capiva lo stato
                        d’animo dell’altro appena ne sentiva la voce al
                        telefono, svanisce.  Gaitonde non può prendere sul serio il
                        discorso di Jojo, e cerca di imporsi affermando
                        che le sue parole sono prive di senso: lui sa, a
                        differenza di lei, di che cosa ha bisogno? “Non ha nessun
                          senso. In questo momento sei proprio pazza.
                          Sai che non è la verità. Tu non vuoi morire.”
                        (Trad. nostra)[3] 
                Perché Gaitonde non cerca di
                        comprenderla, perché Jojo non tiene conto del
                        fatto che l’uomo non può stare con le spalle al
                        muro?  ‘Don’t you understand?’ si
                        chiedono a vicenda, come in un dialogo fra
                        sordi. Jojo Mascarenas dovrebbe mettere da parte
                        il proprio orgoglio per permettergli di ergersi
                        nella sua virilità, dovrebbe essere testimone
                        della sola verità che può manifestare: io solo
                        posso salvarti, e se ti faccio violenza è per il
                        tuo bene. Potrebbe comprendere che la sua
                        inarrestabile e cieca determinazione è la sola
                        forma d‘amore che può darle. Potrebbe almeno
                        fingere di dargli retta, per salvarsi.  Ma Jojo non sa o non vuole il gioco fra
                        uomo e donna che accetta gli antichi limiti. Le
                        sembra ridicolo?  Il suo scopo sembra non sottomettersi,
                        e per farlo lo sfida: “Vuoi che ti dica
                          la verità, Gaitonde? Sei un vigliacco. Un
                          tempo eri qualcuno, eri un uomo, ma adesso sei
                          un piccolo pazzo tremante che si nasconde in
                          un fosso.” (Trad.
                        nostra) [4] Jojo non si stupisce quando lui
                        risponde con un violento manrovescio, e la
                        insegue, gridandole parole che sono le stesse di
                        una violenza sessuale: “Randi.” La seguii per la stanza
                          mentre lei barcollava all‘indietro. “Vuoi
                          vedere che razza di uomo sono. Lascia che te
                          lo mostri. No, vieni, vieni. Ecco, ne vuoi
                          ancora? Chi sta tremando, han? Chi è
                          che sta tremando adesso?” (Giochi sacri,
                        cit.; p. 1053)[5] Perdendo sangue dalla bocca, Jojo ride:
                        non le ha fatto vedere proprio nulla, non può
                        stupirla, fermarla, domarla, zittirla. Lo
                        specchio col quale Perseo ha sconfitto la
                        pietrificante Medusa può ancora essere impugnato
                        dalla donna:  “Tu, tu non sei
                          un uomo” disse. Mi rise in faccia con aria di
                          sfida. “Comperavi le donne, perciò pensi di
                          essere un grande eroe. Non piacevi a nessuna
                          di loro, bastardo. Senza i soldi non avresti
                          neanche potuto avvicinarle.”(Ibidem)[6] Gaitonde non vuole e non può credere
                        che dica la verità, e ripete la mossa già fatta,
                        dicendo che vuole salvarla. Jojo manda agilmente
                        a vuoto il colpo, e contrattacca: “Bas” le intimai. “Basta. Stai zitta.
                          cerca di capire: sto cercando di aiutarti. Sto
                          cercando di salvarti la vita.” 
                “Ridevano di te,
                        gaandu. Scherzavano
                          tra loro, dicevano che eri un povero topino
                          patetico. Credi di essere qualcosa in
                          confronta a una donna come Zoya? Ci ha detto
                          che non è mai riuscita a cavare una notte
                          soddisfacente a letto con te.” (Ibidem)‘[7] Colpito al cuore del
                        suo orgoglio maschile, Ganesh Gaitonde dimentica
                        che Jojo è fragile, sola come lui, che come lui
                        ha paura. Jojo diventa immensa, sostenuta dal
                        coro beffardo di tutte le donne che gli ha
                        procurato. Se non riesce a sottometterla, se il
                        suo orgoglio è umiliato, allora è la donna ad
                        avergli sottratto la potenza fallica.  
                Gaitonde ha sempre temuto che Zoya
                        Mirza non lo amasse, che fingesse il piacere
                        durante i loro incontri. Vedendola girare un
                        film con Arnold Schwarzenegger ha immaginato che
                        l’attore le desse il piacere che lei cercava,
                        che con lui aveva sempre finto.  Quando Jojo dice quel che lui ha sempre
                        sospettato, rompe il velo del dubbio che lo
                        proteggeva da questa verità umiliante. Gaitonde
                        ora è inerme, come un bambino di fronte alla
                        mamma che lo ha colto in fallo.  Per comprendere il gioco sacro di
                        Ganesh Gaitonde e Jojo Mascarenas, appassionante
                        e tragico, dobbiamo aprire una mappa
                        psicoanalitica.  La madre ha il potere di illudere il
                        figlio di essere il suo prediletto, il suo unico
                        amore, e di disilluderlo crudamente, ogni volta
                        che gli preferisce l’altro, più grande e  più potente, il padre.
                        Occorre un equilibrio fra illusione e
                        disillusione, senza il quale l’ipoteca che il
                        bambino contrae per preservare la sua
                        possibilità di crescere è talmente onerosa che
                        la sua vita non basterà a pagarla, per
                        liberarsene. Si può pensare alla nostra crescita
                        come a una possibilità che otteniamo a patto di
                        accettare un’ipoteca: noi dobbiamo credere a
                        quel che ci dicono di noi i nostri genitori,
                        qualunque storia ci raccontino. Se non riusciamo
                        a far parte della storia che hanno preparato per
                        noi, possiamo solo chiuderci in una forma di
                        autismo. Meglio contrarre l’ipoteca, sperando di
                        estinguerla col tempo, da grandi.  Il nostro personaggio maschile ha una
                        storia che rappresenta un’ipoteca quasi
                        impossibile. Gaitonde ha avuto un padre di cui
                        disprezzava la debolezza, e una madre che lo
                        tradiva. Il padre un giorno uccide l’amante
                        della madre e fugge, abbandonandoli, e la madre
                        mantiene se stessa e il bambino con l’aiuto dei
                        suoi amanti. Appena adolescente, il figlio
                        fugge, cambia il proprio nome, come se fosse
                        figlio di nessuno, e vive a Bombay dove diventa
                        un grande gangster. Il capitolo che stiamo
                        leggendo si intitola Ganesh Gaitonde Goes
                          Home. Tutto il potere che ha conquistato
                        lo porta, come in un imbuto, in questo bunker,
                        dove incontra il proprio destino, lo stesso che
                        ha cercato di fuggire.  Vuole con sé la sola donna che lo ha
                        compreso, una donna indomita, che dice di non
                        aver bisogno di nessuno. Se lui ora riuscisse a
                        salvarla, a domarla, a possederla, estinguerebbe
                        la sua ipoteca, sentirebbe di consistere come
                        uomo, lenendo l’insicurezza identitaria che è
                        riuscito a nascondere agli altri, ma non a se
                        stesso. La potenza femminile materna, di fronte
                        alla quale nessun padre ha mostrato di
                        resistere, è rappresentata da Jojo e dal coro
                        delle sue randi di lusso. Il
                        terreno è troppo sfavorevole a Gaitonde, ma non
                        può perdere questa occasione, e controbatte:  “È una bugia. A
                          Zoya piacevo.”  Si chinò in
                          avanti e poggiò le mani sulle ginocchia. “A
                          Zoya piacevo.”
                          Spruzzi di saliva mista a sangue caddero sul
                          pavimento, ma lei si stava divertendo. “A Zoya
                        piacevo.”  “È così.” La voce
                          che uscì dalla mia bocca mi era estranea,
                          flebile e sperduta. (Trad.
                        nostra)[8] La sua voce ora gli rivela che sta
                        perdendo, ma non può più fermarsi. È come se la
                        mamma gli parlasse come a un bambino: sei uno
                        sciocchino illuso... Il bambino resta senza
                        appigli, scopre di essersi illuso di essere il
                        campione della mamma, e invece lei lo ha sempre
                        preso in giro. Gaitonde si dibatte e si
                        irretisce: “Me lo disse la
                          prima notte che passammo insieme. Disse che
                          ero stupefacente. Davvero. Lo facemmo tutta la
                          notte. È la verità.” “Gaitonde, sei un
                          idiota.” Adesso era trionfante. “Sei uno
                          stupido. Ti ha preso in giro. Non era merito
                          tuo, povero ingenuo. Ti diede un bicchiere di
                          latte e badam. E
                          dentro ci sciolse una compressa di Viagra,
                          un’intera pastiglia. Voleva dartene due, ma
                          aveva paura di ucciderti. Io le dissi, fai
                          bene se vuoi andare avanti, se vuoi arrivare
                          fino alla luna, ma stai attenta a non fodnere
                          il razzo che ti ci deve portare. E funzionò.
                          Non era merito tuo, saala. Era
                          l’effetto del Viagra.   Un velo di rabbia
                          mi annebbiò la vista. La scorgevo oltre quel
                          velo, impettita, che rideva. Non aveva paura
                          di me. (Ibidem)[9] Se Jojo non ha paura di lui, Gaitonde è
                        perduto, perché si è difeso dalla propria
                        fragilità spaventando gli altri, o
                        sottomettendoli col denaro e il potere. Non può
                        comprare la donna, perché non è in vendita, non
                        può legittimarla, perché non sa che farsene
                        della sua legittimazione, non può salvarla,
                        perché preferisce la morte alla salvezza che
                        viene da lui. Gaitonde è ridotto all’impotenza,
                        e la sua blue haze of rage, che
                        si manifesta come una specie di follia
                        paranoica, rappresenta l’ultimo baluardo
                        dell’orgoglio maschile e della sua consistenza
                        identitaria. Gaitonde deve reagire, perché come
                        ogni essere umano dà più valore alla sua
                        identità che alla sopravvivenza concreta. La
                        percezione dell’integrità del proprio essere, o
                        della speranza, anche minima, di ottenerla,
                        permette di esistere come soggetti umani, anche
                        gravati da ipoteche, anche sull’orlo della
                        follia o della morte. Se la realtà fosse fatta
                        di bisogni biologici e di oggetti adatti o
                        inadatti a soddisfarli, il nostro mondo non
                        sarebbe quello che sperimentiamo
                        quotidianamente, e non avremmo bisogno di
                        interrogarci sulle sofferenze e le gioie che
                        sperimentiamo, impossibili da spiegare con il
                        senso comune.  Ma neppure Jojo, che sembra così lucida
                        e padrona di sé, segue un progetto sensato. Se
                        il suo scope fosse stato vincerlo, ora che lui è
                        sconfitto si fermerebbe, invece continua a
                        sfidarlo, gli fa il verso, come in una presa di
                        giro fra bambini.  Vuole vincerlo o vuole essere vinta? “A Zoya piacevo” ripeté. “Sei proprio
                          uno stupido. Gaitonde, se pensi che lei fosse
                          una vergine rimasta colpita dalla tua immensa
                          virilità. Che chutiya. Aveva avuto già
                          dozzine di uomini prima di te e molti altri
                          dopo, e tra tutti tu se stato il più patetico.
                          Sei stato, sei stato il più piccolo.” “Bugiarda. Lei
                          era vergine. me lo dicesti tu. Me lo disse
                          lei.” “Una vergine?” “Sì.” “Idiota. Come
                          credi che sia sopravvissuta in questa città
                          prima di arrivare da te? Voi uomini bhenchod
                          siete disposti a pagare di più per una vergine
                          e così lei tornò vergine per te.” “No. C’era il
                          sangue.” Rise così forte
                          da doversi aggrappare al bordo del tavolo.  “Gaitonde, di
                          tutti gli uomini più boriosi e gaandu del mondo, tu sei il più
                          cieco. Arre, nel raggio di dieci
                          chilometri ci sono almeno venti dottori capaci
                          di rendere di nuovo vergine qualsiasi donna.
                          L’intervento dura mezzora, costa
                          venticinquemila, trentamila rupie. E dopo tre
                          settimane la vergine rinnovata può essere
                          pronta a spalancare le gambe su un lenzuolo
                          bianco, in modo che un miserabile Gaitonde
                          possa vedere il sangue e pensare di essere
                          grande.” Le sparai. (Ib., 1053-1054)[10] Lo sparo chiude il corpo a corpo, che
                        distrugge uomo e donna quando nessuno dei due è
                        capace di fermarsi, di andare oltre la speculare
                        domanda senza risposta: “Non capisci? Non mi
                        capisci?” Il sangue di Jojo sgorga dal foro
                        all’altezza del suo cuore, facendo svanire la
                        pena per il sangue ingannevole della prima notte
                        con Zoya Mirza.  Gaitonde ora non dubita più di essere
                        un uomo, ora può riposare, si stende accanto a
                        lei. Quando si sveglia, scopre che ha dormito
                        per più di un giorno e di una notte, e vede
                        accanto a sé il piede di Jojo. Ma ciò che notai
                          come una cosa del tutto nuova, sorprendente e
                          incredibile, fu quanto era complesso un piede
                          umano. Ha piccoli cuscinetti e archi, un
                          sistema intricato di muscoli e nervi, e tante,
                          tantissime ossa. Si flette e si muove, cammina
                          e sostiene. La pelle assume il colore degli
                          anni che attraversa, finché le crepe non
                          formano una rete complicata come la vita
                          stessa.  Strinsi il piede
                          di Jojo. Chiusi la mano intorno alla caviglie
                          e ne avvertii la fredda inerzia. (Ib., 1054-1055)[11] Per la prima volta, accanto al corpo
                        della sola donna dalla quale si è sentito
                        compreso, che ha fermato accanto a sé con la
                        pistola, Gaitonde accoglie la 
                        vita, che si manifesta in tutta la sua
                        complessità in un piede, come in uno sguardo, o
                        in un loto rampicante [lotus vine]. Da dove
                        viene questa salvezza a Ganesh Gaitonde, e dove
                        lo porta? [12] 
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Ganesh Gaitonde torna
                          a casa, nel bunker a Kailashpada, per
                        incontrare il suo destino, e porta con sé Jojo
                        Mascarenas. Il loro corpo a corpo fatale ricorda
                        Carmen, la storia musicata da Georges
                        Bizet (1875). La vicenda, con alcune modifiche,
                        viene dall’omonimo racconto di Prosper Mérimée
                        (1845), ed è stata tante volte rinarrata e
                        rirappresentata che possiamo considerarla come
                        un grande sogno collettivo della cultura
                        occidentale.  La differenza più
                        importante fra la coppia del romanzo di Vikram
                        Chandra e quella del racconto di Mérimée è che i
                        primi due non hanno alcun rapporto sessuale.
                        Siccome Gaitonde e Jojo si sono incontrati per
                        la prima volta nel bunker a Kailashpada, la loro
                        tragedia non ha una causa nell’attrazione
                        erotica esercitata dalla femme fatale.
                        Imputare la tragedia al diabolico potere erotico
                        di Carmen permette di ridurre il turbamento del
                        corpo a corpo mortale con un’attenuante che
                        appare biologica, quasi animalesca.  Non facendo
                        incontrare sessualmente Gaitonde e Joio, Chandra
                        lascia che emerga, per chi vuole comprenderla,
                        tutta l’intensità perturbante dell’estremo corpo
                        a corpo fra maschile e femminile. 
                         Alla fine dell’opera
                        lirica Carmen sta per entrare con le amiche
                        nell’arena dove il torero Escamillo le dedicherà
                        la sua corrida, quando entra sulla scena don
                        José, che per amor suo ha disertato, diventando
                        un fuorilegge. Come Ganesh Gaitonde non ha
                        trovato posto nell’ordine maschile consensuale,
                        e ora ha bisogno che la donna accolga la sua
                        disperazione. L’amante disperato e respinto è un
                        grande pericolo per Carmen, le amiche le
                        consigliano di evitarlo:            
                        Frasquita: - Carmen, un bon
                          conseil... ne reste pas ici.             
                          Carmen:
                        - Et pourquoi, s'il te plaît?            
                        [...]            
                          Frasquita: -
                        Prends garde!            
                        Carmen: - Je ne suis pas femme à
                          trembler devant lui...             
                        [...]            
                        Mercédès: - Carmen, crois-moi, prends
                          garde!            
                        Carmen: - Je ne crains rien!             
                        Frasquita: - Prends
                          garde!             
                          (Carmen, par Henri Meilhac et Ludovic
                        Halévy. Musique de Georges Bizet. Acte Quatrieme, Scène I; Columbia
                        Center for New Media Teaching and Learning;  http://opera.stanford.edu/Bizet/Carmen/libretto.html)[13]   Carmen si ferma di
                        fronte a don José: lei non fugge. Lui la
                        implora, non è là per minacciarla, ma per
                        perdonarla, e cominciare una nuova vita insieme.
                         Ma Carmen non vuole:
                                    
                        Carmen: Tu demandes l’impossible!            
                        Don Josè: - Carmen, il est temps
                          encore,                        
                        (Ib.) [14]   Don José vuole
                        salvarla, contro la volontà di lei:            
                        Carmen:
                        - En vain tu dis: je t'adore!                        
                        (Ib., Scène II)[15] Perché il sangue non
                        scorra, la donna deve scivolare nel silenzio. La
                        parola di lui deve prevalere: non è nell’Uomo
                        che si incarna il Verbo? non è lui che è stato
                        creato a immagine e somiglianza di Dio, come
                        racconta l’Antico Testamento? La stessa verità
                        viene affermata su tutti i registri possibili.
                        Un proverbio italiano, in dialetto veneto,
                        tutt’ora citato, sintetizza perentoriamente come
                        dev’essere una donna, e probabilmente la stessa
                        cosa viene detta, con minime variazioni, in
                        tutte le lingue del mondo:            
                                    
                        Che la piasa / che la tasa / che la staga in casa.[16]  Nessuno ha mai
                        preteso che la donna non abbia parola, basta
                        pensare alla grande Shahrazàd, che parla tanto
                        da comporre Mille e una notte di
                        racconti, o alla sacerdotessa Diotima, che svela
                        la natura di Eros nel Simposio di
                        Platone, o alle sibille, che venivano consultate
                        quando era necessario un sapere diverso da
                        quello comunemente accessibile. Ma la donna
                        nell’ordine patriarcale deve chiudere la bocca
                        in modo che la parola dell’uomo possa prevalere.
                        Anche il suo silenzio, se non significa
                        sottomissione, è intollerabile per l’uomo.
                        Shahrazad racconta ogni notte, ma dopo aver
                        chiesto il permesso al sultano, e quando l’alba
                        appare scivola da sé nel silenzio [lapses into
                        silence]: in modo che il sultano possa andare a
                        esercitare il suo potere sentendosi pienamente
                        capace di circoscriverla. [17] Diotima conosce, a
                        differenza degli altri commensali di Socrate, la
                        verità sulla natura di Eros, ma è Socrate a
                        riferirla, includendola nel proprio discorso. La
                        voce delle sibille era preziosa, ma era il dio
                        Apollo che parlava per bocca loro. Le antiche
                        divinatrici vivevano separate dalla città, in
                        luoghi ben delimitati o difficili da
                        raggiungere.  Se una donna parlava
                        con voce propria, senza accettare la
                        delimitazione maschile, poteva essere solo il
                        personaggio di una tragedia, anche se quel che
                        diceva era la verità. L’indovina Cassandra, che
                        non aveva rispettato il volere del dio Apollo,
                        viveva nella città di Troia profetando il
                        futuro, ma era condannata a non essere mai
                        creduta. Antigone, avendo onorato le spoglie del
                        fratello morto contro il decreto del re di Tebe,
                        viene giustiziata perché ha difeso con la sua
                        voce libera una delle forme più antiche e
                        universali di umanità.   Il maschile si
                        costituisce nell’ordine patriarcale solo nella
                        misura in cui la sua parola, il suo corpo, la
                        sua legge, delimitano e circoscrivono la donna,
                        condannandola a morte se rifiuta di farsi
                        delimitare. L’esempio più cupo e più illuminante
                        è costituito dal Tribunale della Santa
                        Inquisizione di Santa Madre Chiesa, che nei
                        cinque secoli della sua storia ha mandato al
                        rogo come streghe otto milioni di donne. Quale enorme potenza
                        assassina è attribuita alla parola e al
                        desiderio indipendente della donna, se al suo
                        manifestarsi corrisponde la tragedia, se la sua
                        autonomia procura la morte a lei stessa e agli
                        altri?  Il mito di questo
                        potere terrifico della donna si nutre di altri
                        miti, ed è ben presente nell’inconscio degli
                        uomini e delle donne, quasi del tutto
                        impermeabile alle moderne convinzioni
                        scientifiche, al diritto egalitario, alla lucida
                        coscienza critica. Il mito della donna sfrenata,
                        demoniaca e dannata, contorna nella fascia più
                        esterna la base del dominio maschile, è l’orlo
                        terrifico della terra sulla quale poggia l’axis
                            mundi fallico, perno della cultura
                        patriarcale. Intorno a questo centro fallico che
                        punta verso l’alto, sta la terra coltivata e
                        benefica, che non desidera altro che sostenerlo
                        e garantirne la durata. Sono le donne che
                        piacciono e tacciono quando è necessario, le
                        spose e le madri accoglienti, celebrate dalla
                        cultura patriarcale quanto il maschile eroico,
                        che libera la terra dai mostri, con le guerre,
                        le scoperte scientifiche, l’esercizio del
                        potere.  In questa
                        rappresentazione, che ricorda il cosmo
                        tolemaico, il logos maschile si alza al centro,
                        poggiando sulla terra, e tutti i fantasmi e i
                        demoni che non si lasciano colonizzare o
                        annientare sono respinti ai margini, come i
                        mostri marini che bordavano le antiche carte
                        geografiche. La potenza demoniaca femminile è la
                        rappresentazione del resto che la cultura non
                        sa, non può domare, la forza della vita che è
                        cieca perché non vista. Si chiama demone una
                        potenza che non coopera all’ordine umano, e la
                        nominazione ha la funzione di spingerlo in uno
                        spazio il più possibile lontano.[18]
                        Oltre i confini del mondo, o nel cuore della sua
                        origine, nel grembo femminile: dal corpo e
                        dall’anima della donna che non si sottomette
                        all’uomo viene un pericolo che travolge ogni
                        cosa. Questa rappresentazione è una struttura
                        terrifica nella realtà psichica dell’uomo e
                        della donna, che può essere riconosciuta in ogni
                        cultura umana.   L’ipotesi di una
                        società matriarcale, che avrebbe preceduto
                        quella patriarcale, può essere considerata un
                        mito, che presenta l’organizzazione
                        fallocentrica come più evoluta di quella che
                        vedeva la donna al potere. La donna nel
                        patriarcato deve piacere, tacere, e stare ferma,
                        in casa, perché i figli e il marito
                        possano lasciarla e ritrovarla secondo i loro
                        bisogni sovrani. L’ordine che assegna al
                        maschile un diritto/dovere di dominio potrebbe
                        risalire alle prime espressioni umane di cui ci
                        è giunta la testimonianza. Nell’arte del
                        paleolitico la donna è spesso rappresentata
                        plasticamente, con seni, glutei e vulva
                        mostruosamente sviluppati, ben di più di quelli
                        delle sex-symbol contemporanee. Mancano le
                        estremità, e gli arti sono appena abbozzati (Veneri
                          del Paleolitico). Le figure maschili
                        invece sono spesso disegnate in movimento sulle
                        pareti delle caverne, con corpi filiformi, arti
                        ben sviluppati, armi in pugno. Il pene eretto
                        completa spesso questa rappresentazione del
                        maschile. La persistenza del
                        mito di una superiorità maschile, la convinzione
                        che il soggetto della cultura sia maschile - il
                          genere umano, gli uomini,
                        accomunano sotto la parola uomo anche le donne
                        -, si esprime oggi nel momento stesso in cui ci
                        si illude di osservarlo criticamente. Quando
                        pensiamo che il patriarcato logocentrico e
                        fallocentrico sia stato voluto dai maschi contro
                        le femmine, non facciamo altro, uomini e donne
                        in modo solo apparentemente diverso, che
                        continuare ad attribuire alla parte maschile la
                        responsabilità di tutto l’andamento della
                        cultura e dell‘ordine sociale. Parlare di una  tendenza maschile alla
                        prevaricazione, al dominio, all’arroganza, alla
                        guerra, e di una tendenza femminile alla
                        composizione dei conflitti, alla mitezza, alla
                        pace, significa cambiare i termini del gioco
                        patriarcale lasciandolo intatto. Il mito è tanto
                        potente che possiamo rovesciarlo, non prenderne
                        le distanze, così accade in Europa che siamo
                        passati, nell’arco di un secolo, dalla certezza
                        che le donne non possono votare all’affermazione
                        che più donne in parlamento e al governo
                        sarebbero una garanzia di pace. 
                         Ciò che garantisce
                        la permanenza della cultura patriarcale, la sola
                        di cui ^conosciamo realisticamente l’esistenza,
                        è la stabilità di un axis mundi fallico,
                        si preferirebbe quindi attribuirne il possesso e
                        la tutela alle donne: non è raro sentire
                        l’affermazione per la quale le donne sarebbero
                        state considerate inferiori per limitare la loro
                        reale superiorità.  Pur
                        di non interrogarsi sulla consistenza
                        immaginaria dell’axis mundi fallico,
                        pensiamo con risibile ingenuità che la cultura
                        patriarcale sia stata imposta da un sesso contro
                        l’altro.   Nella mia esperienza
                        psicoanalitica osservo come molte donne, di ogni
                        età e condizione sociale e culturale, mettano in
                        gioco una tendenza inconscia a sostenere la
                        parola dell’uomo, proprio mentre a livello
                        cosciente si difendono da lui con ogni arma.  Il mito di un centro
                        unico suggerisce la lettura della storia di
                        Carmen come la violenta soppressione della
                        libertà femminile da parte del maschile. In
                        questa prospettiva Jojo Mascarenas sarebbe una
                        donna libera, e Ganesh Gaitonde il
                        rappresentante di una violenza solo maschile.  Possiamo dimenticare
                        che Jojo, che pure conosce bene Gaitonde, lo
                        provoca tanto da farsi uccidere? 
                         Possiamo dimenticare
                        che Carmen potrebbe ignorare don José e andare a
                        vedere Escamillo che uccide il toro per lei?  Quando si levano le
                        fanfare e le grida della folla per il trionfo
                        sul toro lei è già morta, avendo preferito al
                        combattimento del torero nell‘arena il suo
                        combattimento con don José. Carmen e Jojo non
                        vogliono essere delimitate, fermate dagli uomini
                        che vogliono salvarle, proteggerle, amarle.  O vogliono essere
                        fermate?  Don José e Ganesh
                        Gaitonde conoscono l’indomabile natura di Carmen
                        e di Jojo: perché vogliono proprio loro?  Don Josè vive la
                        stessa tragedia di Ganesh Gaitonde, come lui ha
                        perduto ogni riferimento certo a un sistema
                        culturale, ha lasciato la sua famiglia, è un
                        fuorilegge. Ma perché pensa, come Gaitonde, che
                        solo quella donna possa fare da base al suo
                        cuore, che solo la donna senza padroni, la donna
                        che sa dire la verità, possa accogliere la sua
                        anima incerta, come una casa ospitale? Questa
                        donna non è materna, non vuole accoglierlo né
                        dargli il tempo di rigenerarsi nel suo grembo. O
                        vuole disperatamente essere per lui grembo vivo,
                        senza riuscirci? Le parole
                        raggiungono la massima violenza, dopo la quale
                        il linguaggio verbale cede e il corpo entra in
                        azione:             
                        Carmen (voulant passer): - Laisse-moi...
                          laisse-moi...             
                        José:    Sur
                          mon âme,            
                        Carmen: Laisse-moi, Don José, je ne
                          te suivrai pas.             
                        [...]            
                        José:    Non,
                          par le sang, tu n'iras pas!            
                        Carmen:
                        Non, non! jamais!             
                          José
                        (avec violence): Je suis las de te menacer!
                                    
                        Carmen (avec
                          colère): Eh bien! frappe-moi donc, ou
                          laisse-moi passer.             
                          (Carmen,
                        cit., Ib.)[19] Questa violenza
                        maschile è allo stesso tempo espressione di
                        impotenza e disperata barriera contro
                        l’impotenza stessa, avvertita come annientante
                        dal soggetto maschile. Se Carmen e Jojo
                        comprendessero la debolezza degli uomini che
                        fronteggiano, perché dovrebbero combatterli?
                        Perché continuano a sfidarli quando vedono che
                        sono sconfitti? Vogliono distruggerli o vogliono
                        che la loro maschilità fallica si manifesti,
                        miticamente efficace, capace di contenere la
                        mitica distruttività femminile?  Carmen, come Jojo
                        Mascarenas, sembra non sopportare la debolezza
                        di don José, e gliela mostra crudelmente,
                        sfidando la sua maschilità, a qualunque costo:            
                        José (éperdu): Pour
                          la dernière fois, démon,            
                        Carmen: Non! non!            
                        José (le poignard à la main, s'avançant
                        sur Carmen): Eh bien! damnée!            
                        [...]            
                          (José a frappé Carmen... Elle tombe
                          morte... Le vélum s'ouvre. La foule sort du    cirque.)             
                          José (se
                        levant): Vous pouvez m'arréter... c'est moi
                          qui l'ai tuée!            
                          Ah! Carmen! ma Carmen adorée! (Ib.)[20] Cale il sipario, la
                        compagna del corpo a corpo fatale è vinta, è
                        morta, e don Josè si consegna ai tutori della
                        legge, pronto a essere giustiziato. Non ha più
                        nulla da dire, non c’è più nulla da sentire. Ma nel racconto di
                        Mérimée don José ha un tempo fra la morte di
                        Carmen e la sua, e questo è il tempo del
                        racconto. Al suo ascoltatore, poco prima di
                        essere garrotato, don José dice qualcosa su
                        verità e menzogna che non smette di
                        interrogarci: Elle mentait, monsieur,
                          elle a toujours menti. Je ne sais pas si dans
                          sa vie cette fille-là à jamais dit un mot de
                          vérité ; mais quand elle parlait, je la
                          croyais : c’était plus fort que moi. [21]  (Prosper Mérimée, Carmen ; Éditions
                        Garnier Frères, Paris 1960; p. 38)  | 
            ||
3.
                          L’axis fallico diventa vago Ci sono verità
                        antistoriche, cieche, che giustificano la
                        violenza. La verità del fondamentalismo, in Sacred
                          Games è sostenuta da Guru-ji, che ha un
                        immenso seguito di fedeli in tutto il mondo. Per
                        realizzare un India pura e perfetta, non esita a
                        distruggere con un’atomica tutta Bombay.  Ci sono commistioni
                        fra illegalità e politici o tutori dell’ordine,
                        elevate a sistema. Nel suo ultimo romanzo
                        Chandra ci racconta come l’onestà sia qualcosa
                        che può esistere, ma va pronunciata sottovoce.
                        Prima degli anni Sessanta in Italia era
                        sconveniente parlare di sesso, oggi si esita a
                        dire che si agisce in nome di un ideale. Provare
                        piacere facendo qualcosa che non porta danaro né
                        visibilità sta diventando una faccenda intima,
                        come sa bene Katekar, il sardar che da sette
                        anni lavora con Sartaj Singh. Non trova nulla da
                        rispondere a un suo parente gli chiede cosa
                        aspetta a lasciare il suo incarico, così poco
                        redditizio, e riflette. I soldi erano
                          bene accetti, naturalmente, ma c’era anche il
                          desiderio di essere a servizio del pubblico.
                          Sì, davvero, sadrakshanaya khalanighranaya.
                          Katekar sapeva che non avrebbe mai potuto
                          confessare questo impulso a nessuno, certo non
                          a Vishnu, perché discorsi altisonanti sul
                          proteggere il bene e il male avrebbero
                          suscitato solo ilarità. Anche tra i colleghi
                          non si poteva mai parlare di queste cose.
                          Eppure l’impulso c’era, per quanto seppellito
                          sotto sordidi strati di cinismo. Katekar
                          l’aveva visto ogni tanto anche in Sartaj
                          Singh, questo idealismo insensato e
                          imbarazzante. Naturalmente nessuno dei due
                          avrebbe potuto anche solo accennare al
                          romanticismo dell’altro, ma forse era proprio
                          questo il motivo per cui la loro
                          collaborazione era così duratura. Una sola
                          volta, quando avevano salvato una ragazzina di
                          dieci anni dai suoi rapitori, in una baracca a
                          Vikhroli, Sartai Singh aveva brontolato,
                          grattandosi la barba: "Oggi abbiamo fatto un
                          buon lavoro". Era bastato. (Giochi sacri, cit., pp.
                        291-292)[22] Parole come quelle
                        del motto sanscrito della polizia di Bombay, Proteggi
                          la Verità, Distruggi il Male, fanno parte
                        dei grandi ideali, che nel XX secolo sono stati
                        usati per coprire i peggiori crimini. Giusto
                        diffidarne, ma è impossibile orientarsi nel
                        labirinto della vita senza il filo d’Arianna di
                        un senso della vita, che permetta, almeno
                        qualche volta, di pensare che si è fatto un buon
                        lavoro.  Come in tutto il
                        nostro mondo, in Sacred Games ci sono i
                        potenti che pensano solo ad arricchirsi, al
                        punto che è difficile distinguere la morale del
                        gangster da quella dei tutori dell’ordine. Si
                        racconta di persone di ogni fede che subiscono
                        persecuzioni e perdite atroci, mentre nessuno
                        pensa di dar loro giustizia. Ci sono giovani che
                        per liberarsi della miseria o da una scarsa
                        visibilità sono disposti a vendersi a protettori
                        che li introducano nel mondo della televisione o
                        della moda, c’è soprattutto la città immensa,
                        con quartieri lussuosi e quartieri fatiscenti,
                        ci sono i suoi tramonti bellissimi, anche se si
                        sa che i colori potrebbero essere accesi
                        dall’inquinamento.  Ci sono molte
                        verità, che scorrono dentro i personaggi e si
                        muovono nelle vie della città, come i rami di un
                        rampicante che per espandersi si avvolge anche
                        su se stesso, sperando di trovare un sostegno, e
                        salire, e fiorire.  Il fiore di Sacred
                          Games, è la salvezza di Bombay dalla
                        distruzione atomica, metafora del rischio
                        radicale che percepiamo per il nostro mondo,
                        così ingiusto, pieno di contraddizioni, e così
                        ricco.  Ganesh Gaitonde,
                        dopo aver stretto nella mano il piede inerte di
                        Jojo, riflette: Avevo dormito per più di ventiquattro
                          ore.  Muoviti con questa cosa. Ma quale
                          cosa? Più soldi, più donne, più cadaveri.
                          L’avevo già vissuto, e non ne volevo più. E
                          allora, muoversi con quale cosa? Steso sul
                          pavimento, vicino a Jojo, me lo chiesi. Mi
                          risentii intero, su questo pavimento macchiato
                          di sangue, come se questo lunghissimo sonno mi
                          avesse liberato dall’assurdo, dal caos, dalla
                          spossatezza. (Trad.
                        nostra)[23] Cos’è l’integrità
                        che sente per la prima volta Gaitonde? Com’è
                        possibile che la conosca un gangster, dopo aver
                        ucciso l’amica che voleva salvare con sé?  Quando qualcosa del
                        senso della vita si manifesta, ha una forza
                        sommessa e imbattibile. Nessuna pratica
                        religiosa, nessuna ideologia, nessuna ricerca
                        scientifica la possiedono. Ha la forza indomita
                        del germoglio, e la sua natura è la stessa della
                        voce della ragione [voice of the
                        intellect], di cui Freud dice che è fioca,
                        ma insiste, finché non ottiene udienza. ...Die Stimme des
                          Intellekts ist leise, aber sie ruht nicht, ehe
                          sie sich Gehör geschafft hat. Am Ende, nach
                          unzählig oft wiederholten Abweisungen, findet
                          sie es doch. Dies ist einer der wenigen
                          Punkte, in denen man für die Zukunft der
                          Menschheit optimistisch sein darf. (Die
                          Zukunft einer Illusion, 1927)[24] Qualcosa si fa
                        strada ed emerge solo quando rinunciamo a
                        dominare la vita, riconoscendo che tutte le
                        conoscenze di cui siamo giustamente orgogliosi
                        sono impotenti di fronte al dolore e all’amore,
                        di fronte al senso del nulla e di fronte alla
                        comunione con il mondo intero. La voce della
                        ragione è l’apertura radicale alla realtà, la
                        scoperta del limite inesorabile della nostra
                        presenza: il nostro tempo breve che dovrebbe
                        bastare.[25]
                        Il paradosso è che mentre si cerca di vivere
                        ignorando i nostri limiti, si trova la vita solo
                        riconoscendoli. Ora che per la prima
                        volta ha se stesso, Ganesh Gaitonde vuole
                        consegnarsi, e sceglie un tutore della legge,
                        come don José dopo aver ucciso Carmen nell’opera
                        di Bizet. Gli viene in mente solo l’ispettore
                        sikh Sartaj Singh, che era di servizio quando,
                        anni prima, si era recato in incognita a un
                        meeting di Guru-ji. Ma Sartaj Singh non sa di
                        aver incontrato una volta il potentissimo
                        gangster, e non sa perché mai abbia scelto di
                        chiamare proprio lui.  Il giorno prima è
                        stato chiamato da un uomo asserragliato in
                        camera, mentre la moglie con un coltellaccio da
                        cucina lo conficcava ripetutamente nella porta.
                        Da una finestra del loro appartamento al quinto
                        piano l’uomo, durante una lite, aveva lanciato
                        la cagnetta della moglie.  Uscendo Sartaj Singh
                        aveva guardato sul marciapiede la cagnetta
                        innocente:   L'amore è un bischero assassino.
                          Povero Fluffy.
                        (Trad. nostra)[26]
                         Quando Gaitonde, la
                        mattina dopo, lo chiama al bunker di
                        Kailashpada, Sartaj Singh non ne conosce la
                        ragione. Non ricorda di aver mai incontrato il
                        capo della malavita di Bombay, non sa di averlo
                        guardato con compassione, come un essere umano.
                        Gaitonde lo sceglie perché rappresenta la legge,
                        senza che la sua umanità sia coperta
                        dall’uniforme, e lo considera adatto a
                        prenderlo, il che significa che vuole
                        raccontargli la sua storia.  Sartaj Singh arriva
                        al bunker di Kailashpada, e cerca inutilmente di
                        convincere il gangster a uscire dal bunker. Lo
                        sta a sentire per alcune ore, durante le quali
                        Gaitonde racconta l‘inzio della sua vita di
                        gangster a Bombay, a un certo punto prova
                        interesse per la sua storia, ma quando il
                        bulldozer che ha chiamato riesce ad aprire una
                        breccia nel rifugio atomico smette di
                        ascoltarlo.  Come potrà non
                        perdersi Gaitonde, che si è appena trovato? Stai entrando. Sto ancora parlando,
                          ma non mi ascolti più. Hai lo sguardo acceso.
                          Mi volete, tu e i tuoi tiratori scelti. Ma
                          ascoltami. Ho nella testa un turbinio di
                          ricordi, brandelli sparsi di volti e di corpi.
                          So come strillano uno attraverso l’altro, i
                          loro nessi e loro sconnessioni, posso segurli
                          alla loro velocità. Ascoltami. Se vuoi Ganesh
                          Gaitonde, devi lasciarmi parlare. Sennò Ganesh
                          Gaitonde ti scapperà, come è scappato ogni
                          volta, come è scappato a tutti gli assassini.
                          Ganesh Gaitonde è quasi scappato anche a me.
                          Ora, in questa ora finale, io ho Ganesh
                          Gaitonde, so chi era, cosa è diventato.
                          Ascoltami, devi ascoltarmi. Ma ora sei nel
                          bunker. (trad.
                        nostra)[27]
                         A che serve il
                        racconto di una vita?  Anche se Sartaj non
                        ascolta più, perché deve fare il suo lavoro, la
                        scoperta del bunker e dei suoi due occupanti è
                        la battuta d’avvio per sventare l’attentato
                        atomico di Guru-ji, fra poliziotti e gangster e
                        agenti segreti, di ogni religione e fede,
                        perdigiorno e idealisti, uomini e donne...  Gaitonde si consegna a
                        Sartaj, che porta a termine il compito di
                        sventare un attentato talmente terrificante che
                        sembra non possa accadere se non al cinema. Il
                        capo della malavita di Bombay aveva tentato di
                        sconfiggere il fondamentalista Guru-ji, e la sua
                        sconfitta è il punto di partenza per la riuscita
                        del sardar sikh.  L‘eredità di
                        Gaitonde è un atto di fiducia senza garanzie di
                        riuscita, come ogni vero dono che una persona fa
                        a un’altra persona. L’impazienza di Sartaj non
                        impedisce che il dono giunga a destinazione:  A ogni tuo passo, vedo scorrere una
                          dozzina dei miei anni. Ora sono in grado di
                          vederli tutti insieme, dal primo inizio alla
                          prima casa che mi sono costruita, la mia prima
                          casa a Gopalmath. (Trad.
                        nostra)[28] Nel tempo di un
                        passo scorre per Gaitonde una dozzina di anni.
                        Nelle pagine di un libro, che, anche se è grande
                        [big] come i romanzi di Chandra occupa poco più
                        di un decimetro cubico, s trovano storie che si
                        intrecciano ad altre storie, un labirinto
                        intricato di vite, di dolore, di aspirazioni
                        deluse, di morti e di speranze, di cieli, di
                        fogne, di stanze lussuose... La capacità di
                        Vikram Chandra di tenere le fila di tutte queste
                        storie è la sua straordinaria potenza di
                        narratore. Più che il narratore onnisciente del
                        canone classico, Vikram Chandra appare come un
                        ascoltatore che rinarra storie senza
                        impossessarsene, piuttosto accogliendole,
                        curandole come un giardiniere, perché
                        fioriscano. Ogni Inset ha
                        una tale ricchezza che fa pensare all’abbozzo di
                        un nuovo romanzo, ma anche se le pagine
                        moltiplicano lo spazio, l’indagine di Sartaj
                        Singh e il racconto del gangster premono.
                        Nessuno lo sta ascoltando, eppure Gaitonde
                        continua a parlare: Ecco la pistola. La canna mi entra
                          facilmente in bocca. Penso a ciò che avrebbe
                          detto Jojo, Bastardo, hai paura o cosa? Vuoi
                          che lo faccia per te?  No, Jojo, non ho paura.  Sartaj, sai perché lo faccio? Lo
                          faccio per amore. Lo faccio perché so chi
                          sono.  Bas, adesso basta. (Trad. nostra)[29] Ancora oggi si
                        sperimenta la forza magica della letteratura, il
                        tempo immenso che sboccia e scorre in un fiume
                        di parole, quando uno solo scrive, ma è
                        consapevole di raccogliere le parole di tanti,
                        di tutti. Una coincidenza interessante: i due
                        grandi [big] romanzi di Chandra sono a cavallo
                        di due secoli, e di due millenni. Come in Midnight’s
                          Children (1981) e in The Moor’s Last
                          Sigh (1995) di Salman Rushdie, in Red
                          Earth and Pouring Rain (1995) il
                        protagonista è morente e racconta in prima
                        persona un romanzo intero.  In Sacred Games il
                        narratore Gaitonde muore alla fine del secondo
                        capitolo. Che cosa vuol dire?  I capitoli in cui
                        Ganesh Gaitonde narra in prima persona si
                        alternano alla vicenda di cui è protagonista il
                        sardar sikh, arrivando quasi alla fine del
                        libro, e l’equivalenza topologica fra i passi
                        del sardar sikh e le dozzine di anni di vita, o
                        i capitoli, è pronunciata solo prima del
                        capitolo della salvezza. Il destinatario della
                        storia di Ganesh Gaitonde è e non è interno al
                        romanzo: siamo noi, i lettori, perché cogliendo
                        questo tempo topologico Vikram Chandra ha potuto
                        ascoltarlo e narrarcelo.  In Sacred Games
                        ci sono grandi rappresentazioni dei drammi
                        che affliggono il nostro mondo globale, le
                        contraddizioni della storia, ma il fiore sboccia
                        grazie alla capacità di Chandra di scendere in
                        fondo al minuscolo infinito dramma del soggetto,
                        di un particolare soggetto: qui il mondo muore,
                        rigermoglia, rinasce.  Esiste un tempo
                        lineare, irreversibile, e uno spazio regolare,
                        misurabile. Si possono costruire orologi, sempre
                        più precisi, e misure capaci di indicare
                        grandezze che fino a un secolo fa non erano
                        pensabili. La conoscenza che si estende oltre i
                        confini delle nostre percezioni ci turba,
                        soprattutto applicandola alla nostra mente. È il
                        tema dell’Inset The Great Game, nel
                        quale sta morendo K.D. Yadav, che ha diretto i
                        servizi segreti indiani, a causa di una malattia
                        che distrugge la sua mente. 
                         K.D. può essere
                        considerato un modello di mascolinità, per
                        intelligenza, capacità di comando, compassione,
                        amore per la sua nazione. Il suo orgoglio si
                        dissolve, non di fronte alla morte imminente, ma
                        all’impossibilità di distinguere la realtà
                        presente dai ricordi lontani: Ora K.D. Yadav conserva la memoria ma
                          non la sequenza. Ha gli elementi, ma non la
                          distanza che li separava. per lui il passato
                          non è più diviso dal presente da un confine
                          nitido e rassicurante, tutto è ugualmente
                          presente, tutte le cose sono collegate e sono
                          qui. Perché? Che cosa mi è successo? K.D. non
                          lo ricorda. Invece ricorda. (Giochi sacri, cit.; p. 394)[30] Come sono possibili
                        due affermazioni opposte? Si può affermare che
                        una è vera e una falsa?  ...È in un letto d’ospedale a Delhi,
                          sta perdendo la testa. Considera la frase: perdere la testa.
                          Che cosa resta, se la tua testa non è a posto?
                          Se non c’è la testa, la mente, c‘è ancora un
                          sé? Ricorda che secondo la parabola per
                          conoscere l’Io deve esserci un altro Io, un
                          occhio che guarda gli uccelli del sé che
                          festeggiano con il nettare del mondo. Ma
                          resterà qualcuno a vegliare, se vanno via
                          queste strutture della mente, queste facciate
                          di linguaggio, queste fondamenta di logica,
                          queste narrazioni di causa ed effetto? Cosa
                          resta quando tutto è crollato? Beatitudine o
                          torpore? Una presenza, o un’assenza? “Il ragno
                          tesse le sue cortine di tela nel palazzo dei
                          Cesari, il gufo segna l’ora di guardia nelle
                          torri di Afrasiab”
                        (Trad. nostra)[31] Il controllo sfugge
                        a K.D. Yadav, e quel che comprende trova una
                        spiegazione nella parabola, mentre i suoi
                        racconti si affollano, incontrollabili. Dove abita il
                        racconto, se continua quando la mente ha perso
                        il controllo sulla realtà e sulla propria
                        espressione?  Il racconto ha una
                        radice nel sogno notturno, una nel delirio, ha
                        radici dappertutto nella realtà quotidiana,
                        permette che emerga il nostro carattere nelle
                        sue pieghe altrimenti innominabili, e insieme
                        può mascherare e smascherare all’infinito la
                        nostra anima.  Quale parte della
                        mente abita il racconto? Ad ogni passo di
                        Sartaj nel bunker di Kailashpada, Ganesh
                        Gaitonde ricorda una dozzina di anni. La memoria
                        somiglia al libro, perché basta aprirla,
                        sfogliarla, per visitare paesi e città, rivedere
                        persone amate e perdute, sentire ancora la pena
                        del dolore e della sconfitta. La memoria è
                        immensa, si contrae e si espande verso
                        l’infinito, eppure se il nostro cervello si
                        spegne, tutto scompare.  La scrittura aumenta
                        il tempo del soggetto, può portare il suo
                        racconto attraverso le generazioni, e gli
                        permette di varcare confini che in vita non ha
                        mai neppure immaginato. La comunicazione che
                        oggi la rete rende possibile, l’immensa quantità
                        di informazioni che possiamo conservare nel
                        piccolo spazio di un personal computer, sono
                        miracolose, ma sono una realizzazione dello
                        stesso desiderio umano che ha portato a
                        inventare la scrittura. La nostra mente accoglie
                        e riproduce l’immenso gioco della vita, e del
                        suo respiro la letteratura è lo specchio
                        vivente.  Anche se Sartaj
                        Singh non ha tempo per sentire la storia di
                        Gaitonde, dalla sua determinazione a consegnare
                        la sua storia, se stesso, prende avvio
                        l’indagine che porterà l’ispettore sikh a
                        salvare Bombay dall’esplosione atomica, e a
                        ritrovare l’amore, nell’incontro con Mary
                        Mascarenas, sorella di Jojo. 
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Freud ha aperto una
                        rivoluzione radicale con la psicoanalisi, su
                        cosa sia la mente, non solo la vita psicologica
                        del soggetto, ma anche la sua cultura. La
                        neurologia contemporanea propone modelli molto
                        più simili a quelli della psicoanalisi che a
                        quelli della medicina dei tempi di Freud.  I confini fra
                        normalità e follia si rivelano simili a quelli
                        che separano gli stati, o le classi sociali.
                        Esistono, ma cambiano col tempo, non
                        rappresentano più una certezza, sfumano come il
                        confine nitido e rassicurante fra passato e
                        presente nella mente di K.D. Yadav. Se i confini cadono,
                        possiamo sperimentare la gioia per
                        l’allargamento del nostro orizzonte, ma dobbiamo
                        fronteggiare l’incertezza della nostra identità,
                        che perde i suoi ancoraggi tradizionali. Nei
                        suoi romanzi Vikram Chandra sembra aver
                        contemplato ogni personaggio, piccolo o grande,
                        prima di raccontarne la storia, di mostrarci la
                        sua fede, semplice o complessa: nessuno è
                        condannato, nessuno è salvato. Ci sono
                        personaggi che sopravvivono, come Sartaj Singh e
                        Mary Mascarenas, e altri che muoiono, come
                        Ganesh Gaitonde e Jojo, ai quali abbiamo
                        accostato don José e Carmen.  Abbiamo ricordato il
                        racconto di Prosper Mérimée, quando don José
                        dice che Carmen ha sempre mentito, ma che lui le
                        ha sempre creduto:  Je la croyais : c’était
                          plus fort que moi. (cit) Il dominio sulla
                        donna nel patriarcato si sostiene
                        sull’attribuzione di una maggiore capacità
                        raziocinante al sesso maschile. Nasce prima
                        l’uomo, come nell’Antico Testamento, e da una
                        parte dell’uomo viene formata la donna. Si può
                        ricordare che secondo l’antica medicina
                        occidentale il sesso del nascituro dipendeva dal
                        maggior o minor calore del grembo materno al
                        momento della fecondazione: se il calore non era
                        sufficiente, il feto poteva crescere, ma gli
                        organi genitali non ce la facevano ad
                        estroflettersi, restavano all’interno del corpo,
                        rovesciati. Così nasceva una femmina, minus
                          habens rispetto al maschio. Si può anche
                        ricordare che l’ovulazione è stata scoperta
                        all’inizio del XX secolo: prima si riteneva che
                        lo sperma contenesse l’homunculus, e che
                        la donna fosse per il bambino come la terra per
                        il seme. L’infecondità di una coppia poteva così
                        venire sempre attribuita alla sterilità della
                        donna. Dobbiamo comprendere
                        come la scienza poggi sui miti culturali, e che
                        nessun pensiero umano è possibile se non
                        all’interno di un mito culturale. Il primato
                        dell’affect rispetto ai processi
                        cognitivi diventa sempre più evidente, anche per
                        chi ignora che la sua prima e decisiva
                        teorizzazione è di Freud.  Questa comprensione
                        implica una sospensione del giudizio su vero e
                        falso, su reale e immaginario. Ma non significa
                        ignorare la differenza fra bene e male, perché
                        dubitare di quale sia la via giusta per muoversi
                        nel labirinto della vita non è una forma di
                        relativismo etico {spero che in inglese ci sia
                        un‘espressione corrispondente a questa, che in
                        Italia viene usata in senso dispregiativo}, come
                        se chi accetta l’interrogazione radicale del
                        nostro tempo fosse meno coraggioso di chi si
                        schiera dietro a una bandiera.  L’axis mundi
                        fallico, perno della cultura patriarcale,
                        sostegno della mascolinità dominante, nel secolo
                        scorso è stato indagato non meno della materia
                        dalla fisica subquantica [subquantic], e la sua
                        natura, prima percepita come compatta, si è
                        rivelata piuttosto simile a una nebulosa.
                        Distogliere lo sguardo dalle prospettive aperte
                        nel secolo scorso in tutte le scienze implica
                        regredire, come accade, a forme di
                        fondamentalismo che spaventano per la loro
                        violenza irrazionale e antistorica. Parlare di
                        maschilità oggi significa prendere atto
                        dell’indebolimento dell’Io, del soggetto
                        maschile, colui che ha il diritto e il dovere di
                        delimitare la parola femminile. Significa
                        comprendere che la centralità del logos unico,
                        dell’axis fallico, è un bisogno culturale
                        irrinunciabile, e che mantenerne l’unicità
                        assoluta significa riaffermare l’antica maîtrise
                        sul diverso, considerandolo comunque minus
                          habens. Per Guruji i
                        musulmani vanno eliminati dall’India, per i
                        fondamentalisti islamici deve essere eliminata
                        dal mondo arabo l’influenza occidentale, mentre
                        America ed Europa cercano di imporre la loro
                        democrazia con le armi. Nihil novi sub sole,
                        visto che la storia racconta di imperi che si
                        alternano, e anche se durano per un millennio e
                        sembrano eterni, muoiono, come le lingue, come
                        ogni organismo vivente, lasciando che altre
                        lingue e altre forme di cultura si sviluppino. Quel che però appare
                        nuovo, è che un numero immenso di esseri umani
                        può osservare in tempo reale come si muovano
                        contemporaneamente, egualmente certi del loro
                        diritto e dovere di dominio, popoli di diverse
                        culture. Dobbiamo sperare che uno di loro
                        prevalga, in modo che l’axis mundi logocentrico
                        e fallocentrico sia restaurato? O possiamo
                        considerare la possibilità, un tempo riservata
                        ai mistici e ai saggi, di contemplare il great
                          game della vita? Se il nostro
                        controllo si rivela illusorio, se abbiamo sotto
                        gli occhi la rovina che provoca per affermare un
                        principio unico e superiore, perché dovremmo
                        essere obbligati a schierarci, affermando che la
                        nostra via nel labirinto della vita è più
                        diritta e migliore di tutte le altre? E come
                        possiamo credere che questo ci dia il diritto e
                        il dovere di imporla con la forza? Contemplando il
                        piede della amica che ha ucciso, Ganesh Gaitonde
                        si sveglia dal suo sogno del potere, che si è
                        trasformato in un incubo. La verità che enuncia
                        prima di spararsi è la stessa che possiamo
                        trovare nel Mahabharata, quando Dharma gli
                        chiede un esempio di vittoria, suo figlio
                        Yudhishtira risponde: la sconfitta. "Sartaj, mi hai chiamato yaar. Ti
                          dirò una cosa. Che uno la costruisca grande  piccola, non c’è
                          casa che sia completamente sicura. Vincere
                          vuol dire perdere tutto, e il gioco vince
                          sempre." (Giochi
                          Sacri, cit.; pp. 62-63)[32] Il gioco sacro della
                        vita vince su ogni pretesa di controllarlo, di
                        possederne il senso una volta per tutte.  Il corpo a corpo
                        fatale fra Gaitonde e Jojo, come quello fra
                        Carmen e don José, è il gioco sacro attraverso
                        il quale, non fermandosi ai limiti assegnati
                        dalla cultura patriarcale all’uomo e alla donna
                        nella cultura patriarcale, trovano la morte. In
                        termini patologici, è il fatale incontro fra
                        l’isterica e l’ossessivo. Ma la diagnosi non dà
                        conto del fascino che esercitano le innumerevoli
                        storie che lo mettono in scena, e l’incontro non
                        è necessariamente tragico: è appena il caso di
                        ricordare che sono state le pazienti isteriche a
                        far scoprire la psicoanalisi a Sigmund Freud,
                        che certo era un ossessivo.  C’è in queste storie
                        qualcosa di così vivo che la morte stessa sembra
                        fermarsi ad ascoltare, affascinata dal ritmo del
                        racconto come il dio Yama, che in Red Earth
                          and Pouring Rain siede sul suo trono di
                        buio ad ascoltare i racconti della scimmia che
                        era un bramino. Quello che trovano,
                        l’uno nell’altra, l’uno per l’altra, l’uno
                        contro l’altra, Gaitonde e Jojo, è la loro
                        storia, che noi amiamo ascoltare, perché nel
                        momento in cui, identificandoci con loro,
                        trascendiamo i limiti della nostra esperienza
                        quotidiana, siamo restituiti al nostro tempo
                        comune, che comprende il loro, che li ricorda in
                        uno degli spazi piccoli e immensi dell’anima. Il patriarcato
                        espelle quello che non riesce a dominare, a
                        controllare, ma la ricchezza del caos non è meno
                        importante per la vita dei suoi processi
                        mirabilmente regolari.  Quando la donna che
                        non si considera un’emanazione dell’uomo,
                        rivendicando una libertà senza limiti, incontra
                        l’uomo che non resiste al desiderio di amarla,
                        per diventare il suo eroe civilizzatore, il caos
                        vitale e terrificante che la cultura patriarcale
                        ha espulso torna da terre ignote, da isole dove
                        sbarcano solo i naviganti che hanno perso la
                        rotta.      
                         Gaitonde ha compreso
                        il senso della vicinanza con Jojo nello stesso
                        momento in cui ha rinunciato a dominare la
                        realtà: si è aperto al grande gioco che fa
                        incontrare col proprio destino ciascuno di noi,
                        in maniera tanto più tragica quanto più ci si
                        illude di poterlo fuggire. del resto, anche la
                        spinta a fuggire il proprio destino è un
                        destino: Forse Jojo mi aspettava dall’altra
                          parte. Forse mi avrebbe offeso e ferito, ma
                          alla fine avrebbe capito. Io le avrei parlato
                          e lei avrebbe capito, come sempre. Era solo
                          questione di parlare, e di tempo. E io l’avrei
                          offesa perché mi aveva tradito, perché mi
                          aveva mentito. Ma alla fine l’avrei perdonata.
                          Ci saremmo perdonati a vicenda. (Trad. nostra)[33]  
                         Una forza più grande
                        di lui, diceva don José, lo ha sempre spinto a
                        credere a Carmen pur sapendo che mentiva. Forse
                        questa stessa forza fa comprendere a Gaitonde
                        cosa lo legava a Jojo fino a ucciderla per
                        morire poco dopo di lei, come se il loro corpo a
                        corpo fatale si rivelasse un incontro la cui
                        posta è intravedere una comprensione nuova, la
                        capacità di stare insieme perdonandosi a
                        vicenda.  Due sorelle, Jojo e
                        Mary Mascarenas, due protagonisti che si
                        incontrano, l’ispettore sikh e il grande
                        gangster. Una città minacciata di distruzione
                        totale, una difficile via di salvezza, una sola
                        coppia che alla fine si salva. Sono gli
                        ingredienti di tante storie, di tante fiabe, ma
                        il protagonista non somiglia a un eroe, anche se
                        ha sconfitto il nemico Guru-ji e ha combattuto
                        contro il vecchio re, il potente e corrotto capo
                        Parulkar.  Alla fine del
                        romanzo, prima della pagina bianca: Sartaj scese dalla moto. Posò le
                          scarpe sul pedale una per una, e le spolverò
                          con un fazzoletto fino a farle splendere. Poi
                          si passò un dito attorno alla vita, lungo la
                          cintura. Si diede un colpetto alle guance, e
                          passò l’indice e il pollice sui baffi. Erano
                          splendidi, non aveva dubbi. Era pronto. Entrò
                          e diede inizio a un’altra giornata. (Ib., p. 1162)[34]  [35] 
                           Nessun eroe alla
                        fine della sua storia si lustra le scarpe e si
                        liscia i baffi.  Poche pagine prima
                        leggiamo di un’altra cura niente affatto eroica,
                        come quella che una madre dedica al suo bambino,
                        o un padre, o un sano a un malato. Mary e Sartaj hanno
                        fatto l’amore, ora sono sul letto e lei tira
                        fuori una maschera rilassante: Mary voleva mettere del fango sulla
                          faccia di Sartaj. “Non è fango”, disse lei
                          indignata, ma era esattamente ciò che
                          sembrava, fango in un vasetto rosa. “Sì che lo è” disse Sartaj. “Sei
                          andata giù e l’hai presa sotto a una pianta”
                          (Trad. nostra) [36] ‘ La voce narrante
                        condivide lo sguardo di Sartaj, che ha avuto per
                        la prima volta Mary a casa sua, e il salvatore
                        di Bombay: ...aveva passato il pomeriggio a
                          mettere in ordine e a pulire togliendo la
                          polvere che si era accumulata durante il
                          viaggio ad Amritsar. (Trad. nostra)[37] Dopo avergli
                        spiegato quanto sia costoso quel trattamento nel
                        salone di bellezza in cui lavora, Mary
                        Mascarenas  si mette
                        all’opera:   “Arre,
                          non ti muovere, baba.” Tuffò le due dita nel
                          vasetto e spalmò la roba sulla fronte di
                          Sartaj. Stava dando una sensazione fresca,
                          fresca e liscia. “Tirati indietro i capelli.” Mary lavorava con calma e attenzione,
                          tenendo la lingua fra i denti. [...] Dopo aver finito, annuì soddisfatta,
                          e lui le prese il vasetto, ne tirò fuori un
                          po’ e la spalmò lungo la linea degli zigomi.
                          la roba era rossa e più morbida del fango
                          normale, molto omogenea e di grana finissima,
                          e si spalmava facilmente. (Trad. nostra) [38] Una cura reciproca,
                        paritaria, non umilia la virilità di lui, né fa
                        sentire lei meno pronta per accoglierlo. Molte
                        pagine prima l’ispettore sikh le aveva confidato
                        la sua incertezza su se stesso dicendole che il
                        suo lavoro dipendeva in gran parte dalla
                        fortuna:  “Te ne stai seduto con le mani in
                          mano, e ti cade qualcosa in grembo. Allora fai
                          finta di aver sempre saputo cosa stavi
                          facendo. [...] Devi stare a sentire, ma a volte il
                          guaio è che non sai che cosa stai sentendo.
                          Come se ci fosse una canzone, ma non ne
                          conosci il motivo. Così devi vagare qua e là,
                          guardando e ascoltando. Ti puoi sentire come
                          uno scemo.” Ora lei fu molto diretta, e lo guardò
                          negli occhi. “Tu non sei uno scemo,” gli
                          disse.  Era una dichiarazione, e Sartaj non
                          ebbe più esitazioni. (Trad. nostra)[39]  
                         Se la gerarchia si
                        dissolve insieme al mito dell’axis fallico,
                        posseduto in esclusiva dall’uomo, non per questo
                        uomo e donna smettono di desiderarsi.  Un mito, anche se
                        dura millenni, come un impero, può essere una
                        stagione della vita umana, una partita del suo
                        gioco sacro.  I romanzi di Salman
                        Rushdie ricordati sopra, e in misura più
                        innovativa e ricca quelli di Vikram Chandra,
                        danno la possibilità di partecipare di uno
                        sguardo che arricchisce la comprensione della
                        cultura patriarcale occidentale, che sembra
                        pervadere tutte le culture del pianeta proprio
                        mentre mostra i segni del suo tramonto.  Una diversa
                        percezione dell’Io e del Sé, difficile e
                        quotidiana per chi, come chi scrive, fa il
                        mestiere di psicoanalista, trova una profonda e
                        rigogliosa espressione letteraria in Sacred
                          Games.  Un
                        autore indiano, che ha alle spalle una cultura
                        di incomparabile antichità e ricchezza, dopo il
                        suo [its] lungo corpo a corpo con la cultura
                        inglese, racconta in maniera nuova il nostro
                        tempo e il dramma del soggetto maschile. La
                        scelta della lingua inglese permette di
                        tradurre, nel senso della parola latina transducere,
                        trasportare [to traduce], una consapevolezza del
                        tempo e dello spazio che consente al soggetto di
                        rinarrarsi al di là della caduta dell’axis
                          fallico maschile. Un modo diverso di
                        sentire il tempo, di includere nella coscienza
                        la percezione della morte anziché di lottare
                        contro la morte: non è questo il senso che si
                        può cogliere nei sadhu che compongono un grande
                        mandala di sabbia colorata per poi distruggerlo? Sartaj li vede per
                        caso durante la sua indagine, mentre compongono
                        un mandala per la pace:   
                         Era riposante guardare come cadeva la
                          sabbia dalle mani dei sadhu, la grazia e la
                          sicurezza dei loro movimenti. Dopo un po’, la
                          struttura generale del mandala apparve a
                          Sartaj in un vago contorno bianco. All‘interno
                          dell’ultimo cerchio stavano formandosi molte
                          zone indipendenti, ovali, ciascuna delle quali
                          conteneva scene o immagini, umane animali e
                          divine. Fra questi ovali, proprio nel centro
                          dell’intero cerchio, c’era una forma, e Sartaj
                          non poteva distinguere cosa fosse. Fuori da
                          questi ovali c’era la parete interna del
                          quadrato, e fuori dal quadrato c’era un’altra
                          ruota , e altre figure ancora, e poi un
                          contorno con i suoi disegni, tutti di una
                          complessità ipnotica e in qualche modo
                          piacevole. Sartaj fu contento di essercisi
                          perso. “Quando avranno finito, saab, lo
                          cancelleranno.” “Dopo tutto questo lavoro?’ Chiese
                          Sartaj. ‘Perché?’  Ganga alzò le spalle. ‘Forse è come
                          il rangoli delle nostre donne. Se è fatto di
                          sabbia, non può comunque durare.” Sartaj pensò che comunque era crudele
                          creare questo intero mondo vorticoso e poi
                          distruggerlo all’improvviso. Ma i sadhu
                          sembravano proprio felici. Uno di loro, più
                          vecchio, con i capelli grigi, colse lo sguardo
                          di Sartaj e gli sorrise (Trad. nostra)[40]  | 
            ||
[1] We were so small, and this world was so vast. Without her voice in my hear, I was smaller still. I had to bring her in. (Vikram Chandra, Sacred Games, Faber and Faber, London 2006; p. 805; trad. nostra) 
 ‘They laughed at you, gaandu.
                          They made jokes together, about what a
                          pathetic, weak little rat you are. You think
                          you are anything in front of a woman like
                          Zoya? She told us that she never got one good
                          night in bed out of you.’ (Ibidem) 
 [9]  ‘The first night we
                          were together, she told me that. She said I
                          was amazing. She did. We did it all night.
                          That’s the truth.’  
 [11]  But what I noticed
                          all new, all keen and fresh and as if for the
                          first time, was how complicated a thing a
                          woman foot is. It has little pads, and arches,
                          and a convoluted network of muscles and
                          nerves, it has bones, so many bones. It flexes
                          and moves and walks and endures. Its skin
                          takes on the colour of the year it passes
                          through, until the cracks in it form a net as
                          complicated as the life itself. 
 [14] Carmen: Quel che tu chiedi non
                          potrà mai accadere!   Don José:  Carmen, hai la tua vita
                          davanti a te, [15]    
                                 
                        Carmen: È inutile che
                          tu dica “Ti adoro!" [18] Un bellissimo esempio
                        del potere del nome si trova nelle Mille e
                          una notte: quando un demone, un jinn,
                        rifiutava di convertirsi all’Islam, il re
                        Salomone lo condannava a entrare in un vaso di
                        rame, e lo sigillava imprimendovi il suo anello,
                        sul quale era impresso il nome segreto di Dio. Il demone
                        bloccato dall’incantesimo veniva quindi gettato
                        in fondo al mare, dove si trova ancora, se un
                        pescatore non l’ha tirato su per caso.  [19] Carmen (cercando di
                        passare): - Lasciami, lasciami!  
 
 
 [30]  K.D. Yadav now has
                          memory, but not sequence. He has the elements,
                          but not the distance between them. To him the
                          past is no longer separated from the present
                          by a distinct and confortable boundary,
                          everything is equally present, all things are
                          connected and are here. Why? What’s happened
                          to me? K.D. can’t remember. But he can
                          remember. (Ib., p. 298) 
 [32]  ‘Sartaj, you called
                          me yaar. So I’ll tell you something. Build it
                          big or small, there is no house that is safe.
                          To win is to lose everything, and the game
                          always wins.’ (Ib., p. 42) 
 [37]  ...had spent the
                          afternoon tidying up and cleaning away the
                          dust that had accumulated during his Amritsar
                          trip. (Ibidem) 
 [39] ‘You
                            sit around, and something drops into your
                            lap. Then you pretend that you knew what you
                            were doing all along.’  
 
 
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                  aggiornamento 5 novembre 2018 Ultimo aggiornamento 9 ottobre 2022  |