C'era una
volta un legnajolo di corte, e aveva tre
figliole. Queste eran ragazze. Dunque il Re
gli comanda di andare a fare un lavoro fori
via, ma di molto; per cinque o sei anni.
Quest'omo non poteva dire: - «Non ci vado!»
- A voler mangiare!... Ma gli rincresceva
d'andarsene lontano, in un paese, per affare
di quattro o sei anni di lavoro. Torna a
casa dalle figliole tutto inconsolabile,
afflitto; e gli dice: - «Ragazze, Sua Maestà
m'ha ordinato questo lavoro. Bisogna ch'io
vada via, ch'io vi abbandoni. Ma voglio una
grazia da voi.» - «Qual'è, babbo,» - dice -
«la grazia?». - Che voi vi contentiate ch'io
vi muri l'uscio.» - Dice: - «Oh come questo
è, noi siamo contentissime!» - E così
quest'omo fa murare la porta. Gli mette
tutto tutto tutto quello necessario; gli
lascia quattrini; e gli dice: - «Prendete
questo bel paniere grande, e la fune del
pozzo. E quando passa questi omini che
vendon la roba, calategnene, e comprate quel
che volete e così mangerete. E addio!» -
«Addio!» - Le bacia: potete credere, gua',
che pianti! E gli fa finire di murare la
porta, perchè ne avea lasciato un pochino
per passare; e si mette in viaggio. Lasciamo
che Sua Maestà stava dalla parte di dietro
del palazzo, affacciato alla finestra. Ed
appunto rimaneva di faccia alle finestre di
queste ragazze; e le erano tutte e tre alla
finestra sulle ventitrè, facevano per
prendere un po' d'aria. Gli vien voltato
l'occhio per caso e vede queste tre belle
ragazze; che l'eran proprio di latte e
sangue, belle! Non istà a dire: - «Che c'è
stato?» - La mattina si veste da poerone con
un paniere di fila d'oro, e va girando: -
«I' ho le belle fila d'oro! I' ho le belle
fila! I' ho le belle fi'!» - E le ragazze
dice: - «Si chiama quest'omo? Intanto che si
sta chiuse si farà un bel lavoro, via.» - Lo
chiamano; e lui: - «Comandino, cosa
vogliono, signore?» - «Quanto le fate le
fila d'oro?» - Gli dice il prezzo e loro gli
calano i quattrini. Cari l'erano: il prezzo
proprio non lo so, ma potrei anche dire
immaginandolo. Dirò uno zecchino. - «Ma
badino» - dice il Re - «le pesan di molto.»
- «Eh! - dice loro - «siamo in tre! Diamine,
che in tre non s'abbiano a potere?» - E che
ti fa, lui? S'attacca alla fune, al paniere;
e su. Loro credon che le sian le fila d'oro
che pesano e invece gli era il Re proprio.
Loro, quando vedono che gli era un omo, loro
non raccapezzano, no: lo volevan buttar di
sotto. Ma lui disse: - «Ferme! sono il Re!»
- e s'afferrò alla finestra. - «Avendo
saputo che voi èrate sole, son venuto a
farvi compagnia.» - Queste ragazze, potete
comprendere, vergognate in quel momento,
perchè poere; e dissero: - «Maestà,
perdonate: noi siamo poere ragazze. Non vi
si pol ricevere com'è il vostro merito. Ci
vorrebbe altro!» - «Ah!» - dice - «Niente,
niente! Io non ricerco la ricchezza. Io
vengo da voi perchè di certo so che siete
tanto bone ragazze. Ed io vengo per passare
un'ora con voi. Quanto mi rincresce» - dice
- «che non ci sia vostro padre! perchè io do
tre festini: e m'incresce, perchè voi
poerine non possiate venire.» - Le fanciulle
gli fanno i complimenti: - «Troppo garbato,
Maestà, troppo garbato.» - «Ma» - dice -
«quando ci sarà vostro padre, io ne darò
degli altri ed allora vo' ci verrete.» - Si
trattenne un altro poco, un'altra mezz'ora,
dirò; e poi gli dice: - «Addio, addio a
domani.» - Si rimette nello stesso
panierino, e loro lo ricalano con la stessa
fune, come gli è salito. Lui va al palazzo e
le ragazze rimangon lì chiacchierando di
questa cosa. Dice la minore: - «Che credete
che questa sera vo' non abbiate a calarmi?»
- a calar giù ancora lei. - «A fare icchè» -
dice le sorelle - «ti s'ha a calare?» - «Voi
mi dovete calare e non ricercare quel ch'io
farò.» - Dunque insisteva. Loro di no; e lei
sempre: - «Voi mi calerete, vo' m'avete a
calare.» - S'erano stancate: dicevan di no e
lei la diceva sì. - «Vuoi calare? e tu
cala!» - e con la fune la calarono. Questa
ragazza l'avea preso un paniere grande. Va all'usciolino secreto di
Sua Maestà. Sta in orecchi; non sente
nessuno. Lesta lei principia a salire e
entra nella cucina. E siccome tutte le
guardie erano a guardare, sapete bene, là
dove s'appartiene, qua non ci pensavan
neppure. Che ti fa? La prende tutte le
meglio robe, tutto arrosto, potete
immaginare cosa ci sarà stato! e mette tutto
nel paniere la meglio roba. E poi l'altra
roba, quello che era rimasto lì per Sua
Maestà, tutto cenere e acqua, la gnene
sciupò tutta. E poi la va via, e va in
cantina: prende i meglio vini, le meglio
bottiglie, tutte le qualità che lei poteva
prendere. E poi dà l'andare a tutte le
botti, bottiglie e tutto quel che rimase; e
vien via. Corre verso casa. - «Tiratemi su!
tiratemi su!» - alle sorelle. - Eccoti le
sorelle la tiran su: e videro un paniere di
roba, pieno d'ogni grazia di dio. Gli
domandano: - «In che maniera?» - E lei: -
«Zitto! ve lo dirò. Serrate le finestre e ve
lo dirò!» - Serrano e gli dice: - «Io sono
stata così da Sua Maestà. Ho fatto questo e
questo. Ho preso tutta la meglio roba; e poi
ho spento con cenere la roba da mangiare
ch'era rimasta. E poi ho dato l'andare alle
botti.» - Dice le sorelle: - «O cos'hai tu
fatto!» - «Pensiamo a mangiare» - dice - «e
non pensiamo ad altro.» - Venghiamo a Sua
Maestà che di certo dopo aver ballato,
ordina che gli sia messo in tavola: in tutti
i festini ci è il suo buffè. Vanno i cuochi
in cucina e trovan questo spettacolo.
Rimangon più morti che vivi, addolorati
molto, perchè non sapevan loro quel che
dovevano andare a dire a Sua Maestà. Sua
Maestà insisteva: - «Mettete in tavola!» -
Allora un di quelli disse: - «Maestà,
abbiate la bontà di venir con noi, e vedere
la disgrazia che n'è seguita.» - «Ah
bricconi!» - dice - «Traditori! Uno di voi
gli è che m'ha fatto questo spregio!» - Loro
gli si buttano ai piedi piangendo: -
«Maestà, noi siamo innocenti!» - «Ah!» -
dice - alzatevi. Almeno andate in cantina a
prendere qualcosa da bere.» - E va da'
signori e dice: - «Signori, ci è questo e
questo. Si contenteranno di rinfrescarsi.
Ormai la disgrazia qui c'è: qualche astro
maligno, qualche fata che mi vol male
assoluto.» - Gli òmini di corte vanno alla
cantina e trovano il lago, più di mezz'omo.
Urlano! - «Maestà, abbiate bontà di venire
con noi, perchè...» - Va giù e vede tutto un
lago, tutto buttato. Torna in su e dice a'
signori: - «Signori, abbiano bontà. Veggon
bene, non ho neppure da dar loro a
rinfrescarsi. Questi birbanti chi sono?» - E
piangeva per la vergogna. - «Ma domani sera,
signori, metterò le guardie doppie. Così non
seguirà. Perchè il primo che io posso
scoprire, il pezzo più grosso dev'essere un
chicco di rena. Questo ladro, questo
birbante...» - I signori si licenziarono a
corpo voto e Sua Maestà si mette a piangere;
e pianse tutta la notte dicendo sempre: -
«Sconta delle mie bambine, che mi voglion
tanto bene, con questi traditori che mi
voglion tanto male.» - Venghiamo alle
ragazze. - «Oh!» - dice - «tra poco c'è da
aspettarselo, Sua Maestà; c'è da vederlo,
gua', chè ce lo promesse. Non facciamo
vistosità che s'è fatta questa cosa.» - E
così, dopo un quarto d'ora, Sua Maestà: -
«Ho le belle fila d'oro!» - «Eccolo!» -
dice. Gli calan la fune, e lui vien su;
afflitto, con gli occhi rossi. - «Maestà,
cos'avete oggi?» - gli dicono. - «Ah le mie
bambine, ora vi conterò quel ch'i' ho,» -
dice. - «Vi ricordate voi ieri che io dissi,
che io dava tre festini?» - «Sissignore.» -
«Abbiate da sapere che ieri sera all'ora che
io doveva far mettere in tavola, i miei
vanno in cucina e trovano tutta la roba con
cenere e acqua, tutto straziato, ma uno
strazio impossibile a dirlo. Loro rimasero
più morti che vivi, questi miei servitori.
Io insisteva che mettessero in tavola.
Allora si buttarono ai piedi e dissero:
Maestà, venite a vedere il caso brutto che è
seguito. Ed io gli dissi: Ah, traditori,
bricconi, uno di voi siete. Loro si
gittarono ai piedi e conobbi bene la sua
innocenza. Ma qui un astro maligno c'è, o
una fata; o un traditore c'è. Ma se io lo
scopro dev'essere più grosso un chicco di
rena della sua persona! dev'essere spezzato
più fine che un chicco di rena.» - «Ma come
si fa a fare queste cose?» - gli rispondono
le ragazze. - «Mentre che il Re è tanto il
bon signore. Come si fa a fargli questi
strazii di buttargli la roba?» - «Oh, ma
stasera ci sono le guardie doppie, oh!» -
Egli fa come a dire, gli pare d'averla tra
le mani questa persona. Si trattiene un
altro poco, poi se ne va: - «Addio, addio, a
domani.» - Quando gli è verso le ventitrè,
dice la sorella minore: - «Che credete voi
che non abbiate a calarmi stasera?» - Dice
le sorelle: - «Oh questa sera poi, non ti si
calerà davvero. Avresti aver sentito! Gli ha
detto, s'egli scopre questa persona, gli ha
da essere più grosso un chicco di rena. Noi
non ti si cala.» - No e sì, no e sì, bisogna
che la calino, son costrette a calarla.
Quando l'hanno calata, lei via
dall'usciolino solito. Sta in orecchi, cheh!
non sente un'anima. Tutti erano attenti dove
potevan credere che venivan le genti, ma di
qua non c'era nessuno, non sapevan
dell'usciolino segreto. La ragazza lo
sapeva, perchè gnene aveva detto suo padre.
Prende tutta la roba più dell'altra sera,
perchè c'era più roba e più squisita; e fa
l'istesso: quello che rimane tutto cenere ed
acqua e tutto un piaccicume. Va alla cantina
e piglia la meglio roba che ci possa essere,
mah! bottiglie più squisite, sempre più
della prima volta. La dà l'andare alle botti
e poi la scappa a casa. - «Tiratemi su,
tiratemi su!» - Va su; e le si mettono a
mangiare in festa, tutte allegre. Venghiamo
a Sua Maestà, che dice ai signori: - «Questa
sera non è come ieri sera, no! Io ho messo
le guardie doppie.» - «Mettete in tavola!» -
dice ai cuochi, alla servitù. Vanno in
cucina e trovano peggio dell'altra sera:
tutto cenere, acqua; un marume. - «Maestà» -
dice - «abbiate la bontà di venir di qua da
noi.» - «Ahn? forse ci sarebbe lo stesso
tradimento?» - «Maestà, venite a vedere.» -
«Ah traditori, ora poi conosco che siete voi
davvero. Con le guardie doppie non è entrato
qui nessuno.» - Questi urlavano appiedi: -
«Maestà, salvateci! siamo innocenti.» -
Maestà dice: - «Qui c'è qualcheduno che mi
vole un male a questo punto! Alzatevi, io vi
perdono. Andate almeno in cantina: questi
signori scuseranno, e si contenteranno di
rinfrescarsi.» - Vanno alla cantina, e se la
prima sera gli veniva sin qui a mezza
persona, questa poi non si poteva neppure
entrare, si affogava dal lago. Maestà è
costretto a dire a que' signori: - «Vengano
a vedere la disgrazia che ho addosso. Non
solo... ma che quest'astro maligno vi sia e
di non lo potere scoprire!» - E quei signori
ebbero a andare con le trombe nel sacco,
come si suol dire, senza prender niente,
quella seconda sera. - «Ma» - dice il Re -
«domani sera ci sto in persona io.» - Vanno
via. Venghiamo al Re che dà in un dirotto
pianto. Piange sempre dicendo: - «Le mie
povere bambine quanto mi voglion bene, e
questi traditori quanto mi voglion male!» -
Venghiamo alle ragazze. - «Oh!» - dice -
«badate! Non ci sarà molto, che ora verrà
Maestà. Procacciamo di non fare vistosità,
sennò noi siam morte.» - E così dopo
mezz'ora, ecco Maestà con le fila d'oro: non
avea nemmanco fiato. - «Oh» - dice -
«eccolo! coraggio!» - Calan la fune e lui va
su, più morto che vivo. - «Felice giorno,
Maestà. O come va? che si sente male?» - Un
viso gli aveva, morto. Dice: - «Ah le mie
bambine, voi non sapete! Iersera fu peggio
dell'altra sera il tradimento.» - «Ah, ma
come mai, signore? gli è tanto il bon
signore! che gli debban fare queste
cattività?» - «Eh, ma stasera ci sto in
persona. Non ci sarà scusa. Eh se lo posso
avere!... se io posso scoprire!... vi
replico quel ch'io vi dissi: il chicco
d'arena dev'essere più grosso di questa
persona quando lo mando in tritoli.» - «Oh
l'ha ragione! È tanto il bon signore!» - le
replicano. Sua Maestà va via dopo essersi
trattenuto un'altra mezz'ora. Ci era andato
per passarvi un'altra mezz'ora, non per fin
di nulla, via. Quando gli è andato via: -
«Che credete che stasera non mi abbiate a
calare?» - disse la minore di tutte. - «Ah
che non ti si cala davvero noi, stasera. Non
ti si cala; e si scriverà al babbo in
qualche maniera, perchè noi non si vole di
queste cose.» - Che volete? Sì, no, sì, no;
furono costrette a calarla anche stasera.
Figuratevi, entra nell'usciolino: chè se la
prima sera ci era d'ogni bene di dio,
l'ultima non si pole spiegare, ecco! Prende
il suo paniere e comincia a metter roba,
tutta la più meglio che ci fosse. L'altra,
fa il solito: tutt'acqua e cenere; la mette
giù nel camino tutta sciupata come l'altra
sera. E va in cantina. Scende in cantina,
prende il meglio vino e le bottiglie le
migliori, poi si volta e vede un vaso di
verdea. Lesta lei, lo prende e lo mette nel
panierino. Dà l'andare alle botti, poi lesta
a casa: - «Tiratemi su, tiratemi su!» - La
va su a mangiare con le sorelle. Lasciamo là
quelle che sono in gaudeamus, a cenare come
principesse, e venghiamo a Maestà che dice:
- «Signori, stasera non sarà come l'altra
sera: ci sono stato da me a guardare.» - E
questi signori tutti contenti dentro di sè.
Ora ordina di mettere in tavola. I cochi
entrano in cucina e veggono più cento volte
straziato delle prime sere. Più lesti
andierono da Sua Maestà, perchè: - «Se
stasera» - dice - «c'è stato da sè, non ci
pole incolpare.» - «Maestà, venite a
vedere.» - «E cosa c'è da vedere?» - «Venite
a vedere» - dice. Va a vedere, che?
figuratevi la cosa! - «Qui c'è un astro
maligno, qualche fata che si gioca di me!» -
Va dai signori: - «Signori, siamo alle
medesime. Venghino a vedere anche loro!» -
Poveretto, gua'. Vanno alla cantina,
figuratevi, tutto un lago: non si vedeva
proprio dove andare. Tutto cascato il vino e
poi tutto mescolato. Dice a questi signori
che gli abbino pazienza, ma che dei festini
non ne dà più, perchè non poteva dar loro
nemmanco da rinfrescarsi. Tutto un lago giù,
non ci si raccapezzava nulla. Piangendo,
sospirando, gli pareva mill'anni d'arrivare
alla mattina, d'andare alle sue bambine.
Dice: - «Le mie povere bambine quanto mi
voglion bene, e questi traditori quanto mi
voglion male!» - Per tornare un passo
addietro, queste ragazze: - «Dove si
metterà» - dice - «questo vaso di verdea?» -
La verdea, l'è roba che si mangia come una
conserva, io m'immagino; ma cosa sia
appuntino io non so. Le non ci avevan posto:
pensano di metterlo sotto al letto, rimpetto
alla finestra, questo vaso. Eccoti Maestà: -
«Ho le belle fila d'oro! ho le belle fila!
ho le belle fi'.» - «Eccolo, eccolo! per
l'amor d'iddio non ci facciamo conoscere. Ci
vuol coraggio, gua'.» - Calano il paniere,
le funi solite; lo tiran su. Piangeva a
calde lacrime. - «Oh Maestà! Ma cos'avete?»
- lo vedevan troppo disperato. - «Ah quel
ch'i' ho? Peggiore di tutte l'altre sere!
Non basta essere stato da me in persona.
Questo è qualche astro maligno o qualche
fata. Ma io non ne darò mai più di questi
festini.» - Discorrevano del più e del meno,
loro dicendo sempre: - «Tanto bon signore!»
- e sempre replicavano questa parola. Sua
Maestà si è trattenuto altra mezz'ora, come
il solito, da queste ragazze, e se ne va: -
«Addio, addio, a domani.» - Nel mentre le
ragazze lo calano, lui vede il vaso della
verdea sotto il letto: - «Oh traditore!» -
gli dice, e fa per ritornare su in casa. E
loro lo buttano di sotto senz'altri
discorsi. Chi lo buttò fu la sorella minore.
Sua Maestà si fece un male, ma male
passabile. Lascio considerare le ragazze
maggiori come rimasero, dicendogli, alla
sorella: - «Qualunque sia il caso, la rea tu
siei te. Noi non ci s'ha colpa.» - Venghiamo
a Maestà. Va nel suo quartiere e subito
scrive al suo padre, delle ragazze, una
lettera fulminante: che in due ore e mezza,
lui fosse al palazzo, altrimenti, pena la
testa. Lascio considerà' quest'omo nella
massima disperazione, pensando a più cose e
non sapendo perchè Sua Maestà gli avea detto
per sei anni e in capo a pochi giorni lo
manda a chiamare: - «Eh, qualcosa ci è!» -
dice. - «Le mie figliole non possan essere,
perchè gli ho murato l'uscio; impossibile!»
- Si mette in viaggio, più morto che vivo
con questa pena, con questo pensiero; e
arriva al palazzo. Dice: - «Sua Maestà mi ha
mandato a chiamare.» - E così Sua Maestà
sente che gli è arrivato, dice: - «Fatelo
passare.» - E passa quest'omo. - «Che mi
comanda Sua Maestà?» - «Mettetevi a sedere»
- dice. E quest'omo si mette a sedere. -
«Ditemi, quante figlie avete voi?» - Lui, si
sente una stilettata, perchè: - «qualcosa
c'è sulle mie figliole!» - Dice: - «Tre,
Maestà.» - «Bene: si potranno vedere queste
tre figlie?» - «Maestà, quando Lei voglia.
Ma si ricordi, che noi siam poverelli, noi.
Non si pò riceverla come Lei meriterebbe di
certo.» - «Non m'importa!» - disse Sua
Maestà. - «Io bramo di conoscerle; ed una di
loro la voglio in isposa.» - Quest'omo si
butta a' piedi dicendo: - «Maestà, io sono
un pover'omo. Impossibile che voi vogliate
abbassarvi a prendere una delle mie
figliole.» - «Oh io vi replico che una di
tre io la voglio.» - «Allora,» - dice -
«Maestà, mi permetterete che io faccia
smurare l'uscio, perchè io gli ho lasciato
l'uscio murato. E allora potremo andare.» -
Va e fa buttare giù l'uscio, e va su dalle
figliole, tutto... non sapeva nemmen lui
quel ch'egli era. - «Oh babbo!» - Gli fanno
le feste, lascio pensare. - «Oh babbo, ben
tornato. In che maniera così presto?» -
«Maestà mi ha mandato a chiamare, e io son
dovuto tornare, eh. E mi ha detto: - «Quante
figlie avete?» - Loro, figuriamoci, le
maggiori, il suo core dove gli andiede: -
«Ci siamo, gua'!» - «E io gli ho detto: Tre,
Maestà; tre figlie ho. - Si potrebbero
vedere? Io gli ho detto: Maestà, sapete
bene, noi siamo poveri; non vi si potrà
ricevere secondo il vostro merito. E lui ha
detto: Cheh! no, no, vi replico; io voglio
vederle, perchè una di tre la voglio per
isposa. Quella che mi vole.» - La maggiore
dice a suo padre: - «Io no, io non lo
prenderei davvero.» - La seconda: - «Neppure
io, sa, babbo; perchè...» - La minore: - «Lo
prenderò io» - dice. - «Io lo prenderò
volentieri.» - Eccoti Sua Maestà che viene
in casa con suo padre e va su, e si mette a
parlare, a discorrere del più, del meno. Suo
padre è costretto a dirgli: - «Sua Maestà
una di voi vi accetta per isposa.» - La
maggiore dice di no: - «Non per... ma che
vole! ci vorrebbe altro! io non posso essere
capace...» - La seconda l'istesso: - «Noi
non siamo istruite, quel che Lei merita.» -
La minore dice: - «Lo prenderò io, io sono
contenta.» - Era lei che aveva fatta la
mancanza. Ecco, conchiudono le nozze; fecero
presto, in quattro o sei giorni. Così il
giorno dello sposalizio, dopo l'anello, un
momento di libertà ci vole. La gli dice alle
sue damigelle: - «Io voglio fare una celia
al Re.» - «Cosa, signora, vol fare?» - «Stai
zitta. Io voglio fare una celia. Voglio far
fare una donna tutta di pasta, e da qui in
su tutta zucchero e miele: e poi ci siano
ordinghi da potergli fare dire di sì e dire
di no.» - Figuriamoci, non aveva finito
d'ordinare che gli era bell'e fatta! -
«Perchè la voglio mettere nel letto, voglio
fargli una celia al Re. Come a dire invece
d'io che ci sia questa donna di pasta.» - Ed
appena fatta, la fa mettere in letto con la
berretta, tutta vestita, come se la fosse
stata lei in persona. Dopo pranzo, dopo la
cena, dopo tutta l'allegria, vien l'ora di
coricarsi. E chiede lei d'andare prima un
momento a letto. Invece di spogliarsi entra
sott'il letto e si prepara con questi
ordinghi, se mai, a tirare e a dire di sì e
di no. Venghiamo a Maestà che dice ai servi:
- «Non occorre che mi spogliate stasera:
faccio da me.» - Entra in camera, e serra. E
dice: - Briccona! Ti ricordi eh, quando io
diedi tre festini e mi eran fatti quegli
spregi; e che te andavi dicendo: è tanto bon
signore!, traditora.» - Lei, sotto al letto:
- «Sì, me ne ricordo.» - E tirava i fili,
perchè dicesse sì la donna di pasta. - «Ah,
te ne ricordi, eh?» - «Sì» - la dice. - «Me
ne ricordo.» - «Adesso è tempo della mia
vendetta.» - Prende la spada e va al letto e
la ferisce; via, ferisce quella bambola
ch'era lì coricata. E gli spruzza tutto
zucchero e miele. E lui sentendo dolce,
zucchero e miele, comincia a dire: - «Oh
Leonarda mia di zucchero e miele! se io ti
avessi ora ti vorrei gran bene.» - Lei dice:
- «Io son morta.» - Lo dice, gua'! con una
voce flebile. E lui insiste: - «Ah Leonarda
mia di zucchero e miele! se ti avessi ora ti
vorrei un gran bene.» - E lei ridice: - «Son
morta.» - Quando la vede che lui gli era
veramente per ammazzarsi (lui s'ammazzava),
la sorte fôra e dice: - «I' son viva, son
viva!» - S'attaccano al collo, si baciano,
si perdonano, e nessun seppe nulla, perchè
rimase in loro. Se l'ammazzava davvero, era
morta: ma fu celia. La mattina s'alzarono,
come fanno il solito. Leonarda la fece
venire il padre e le sorelle e li fa i primi
signori del palazzo. E così una cosa di
celia, le riuscì di divenire una Regina. E
visse bene, ma ci vol di quelle furberie.
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