SIGFRIDO
1876
Vedi anche il Libretto di Wagner, con traduzione italiana a fronte di Guido Manacorda

Mentre Wotan, non più signore del mondo, vaga senza meta per la terra, cresce ignaro di tutto, sotto la tutela del fabbro Mime, il figlio nato dall'unione di Siegmund e Sieglinde: Sigfrido. Le cure del nano non sono però disinteressate: il temerario fanciullo potrebbe infatti diventare un giorno quell'invincibile che riconquisterà l'anello e il tesoro dei Nibelunghi, sottraendoli a Fafner per cederli poi a lui, a Mime. Wotan nel frattempo crede che Sigfrido, l'eroe libero, sveglierà un giorno Brunnhilde dal suo sonno e fonderà con lei una nuova stirpe di uomini salvando il mondo dalla maledizione dell'anello.

Atto I
Foresta.
La parte anteriore della scena è formata da una parte di caverna rocciosa, la quale degrada a sinistra verso l'interno, mentre verso destra occupa circa i tre quarti della scena. Due ingressi naturali sono aperti in direzione della foresta: l'uno, verso destra, immediatamente sullo sfondo, l'altro, più ampio, a lato, dalla stessa parte. Presso la parete di fondo, verso sinistra, vi è una grande fucina, un grandissimo incudine ed altri utensili da fabbro.

Scena I
Ancora una volta Mime è costretto a riconoscere che le sue arti nel forgiare i metalli sono inutili: non riesce a creare una spada capace di resistere alla forza impetuosa del fanciullo, e non riesce nemmeno a
saldare insieme i frammenti della spada Notung, che Sieglinde morente gli diede a suo tempo in custodia e che, nuovamente forgiati, sarebbero l'unica arma capace di resistere al fanciullo.
Sigfrido, entrando con un impeto improvviso dal bosco, trascina con sé un grande orso tenuto al guinzaglio con una corda, e lo incita con divertita baldanza contro Mime. Mime dalla paura lascia cadere di mano la spada e si rifugia dietro la fucina.
Sigfrido gli aizza dovunque l'orso alle calcagna. Quando il nano, incalzato in tal maniera, può finalmente mostrare la spada appena forgiata, Sigfrido ricaccia indietro l'orso nella foresta. Ma infrange subito contro l'incudine l'arma che il nano ha appena finito di fare per lui, ed inizia a dubitare delle capacità del fabbro.
Sigfrido si getta furente su una panca di pietra. Mime si mantiene sempre a prudente distanza. Esitante questi cerca di calmare il fanciullo selvaggio. Offre del cibo a Sigfrido che, senza voltarsi, gli scaraventa via di mano la pentola e l'arrosto.

Scena II

Mime lo rimprovera accusandolo di ingratitudine e gli rammenta quanta fatica gli sia costata crescerlo quand'era ancora bambino. Sigfrido si è
nuovamente voltato e ha scrutato tranquillamente lo sguardo di Mime.
Mime incontra lo guardo di Sigfrido e cerca timidamente di nascondere il proprio.

Meravigliandosi di sé stesso Sigfrido si chiede per quale motivo egli faccia sempre ritorno alla spelonca dell'odiato nano, dato che la natura e gli animali del bosco gli sono diventati amici già da lungo tempo.

Considerando la somiglianza tra i genitori e i loro piccoli nel mondo degli animali e la propria immagine riflessa in un ruscello, Sigfrido non dà alcun credito all'orribile sgorbio che continua ad affermare di essere suo padre.

Riesce poi a costringere Mime, minacciandolo, a confessare la verità: una donna morente ha partorito il piccolo, già orfano di padre, nella sua fucina e lo ha affidato a lui dicendogli che si sarebbe dovuto chiamare "Sigfrido"; il padre era già morto in un duello.
Per dissolvere i dubbi di Sigfrido Mime gli mostra i frammenti di Notung, la spada andata in pezzi durante l'ultimo combattimento.
Colto da un entusiasmo carico di presagi, Sigfrido ordina al suo padre adottivo di saldare insieme i frammenti della spada, quindi si precipita nel bosco.
Mime segue per un certo tempo con lo sguardo stupito Sigfrido che si allontana precipitosamente: ritorna poi nella fucina e si siede dietro l'incudine. Ancora una volta il fabbro, a cui di solito non mancano le idee, si trova a non sapere come fare per uscire dalla sua situazione.

Il viandante (Wotan) esce dalla foresta e si avvicina alla porta posteriore della caverna. Indossa un lungo mantello blu scuro; una lancia gli fa da bastone. In testa ha un gran cappello rotondo con la tesa spiovente.
L'ospite indesiderato costringe il recalcitrante Mime ad una gara, nella quale ciascuno deve rispondere a tre domande mettendo in gioco la propria testa. Mime pone al Viandante quesiti fin troppo facili, gli chiede infatti chi siano quegli esseri che abitano nel "profondo della terra", sul "dorso della terra" e sulle "nebulose alture": i Nibelunghi, i giganti e gli dei.


Anche il nano sa rispondere a due delle domande che il Viandante gli pone a sua volta: Wotan si è dovuto mostrare avverso alla stirpe dei Walsidi (da cui sono nati Siegmund e Sieglinde), nonostante a lui fosse la più cara; e Notung è il nome della spada che ucciderà il drago Fafner. Mime, dimenticando sempre più la condizione in cui si trova, si frega le mani dalla contentezza.
Ma alla terza domanda la sua testa tocca in premio al dio: il "più saggio dei fabbri" non sa infatti chi sia in grado di forgiare nuovamente Notung. Egli getta sottosopra, come uscito di senno, i suoi arnesi e piomba nella
più profonda disperazione.
Wotan cede il pegno della sua vittoria a colui che risalderà la spada e saprà vincere Fafner, a "colui che non conosce la paura"; quindi si volta sorridendo e scompare rapido nella foresta. Mime si accascia come
annientato sullo sgabello.
Mime con gli occhi sbarrati guarda fisso davanti a sé verso la foresta illuminata dal sole e viene colto da un tremore sempre più violento.
Si drizza improvvisamente dal terrore, poiché ha avuto la visione di Fafner che è venuto per divorarlo.
Sigfrido esce fuori dalla foresta. Impaziente, egli chiede di avere la sua spada. Anziché rispondergli, lo spaventato Mime cerca di insegnare a  Sigfrido con molte chiacchere che cosa sia la paura. Quando Sigfrido viene a sapere di Fafner e del suo aspetto terribile, vuole essere condotto immediatamente da lui.


Visto che Mime non è in grado di fondere nuovamente Notung, Sigfrido si mette egli stesso al lavoro. Ha ammucchiato sul forno una gran quantità di carbone e nel frattempo continua a tenere attizzata la fiamma, mentre fissa ad una morsa i frammenti della spada e li lima fino a ridurli in polvere. Fissandolo strabiliato, il fabbro Mime sta a guardare un lavoro che sembra irridere tutta la sua dottrina e che tuttavia, come egli già presagisce, riuscirà a Sigfrido, che non conosce l'arte del fabbro. Sigfrido ha limato i pezzi e li ha quindi raccolti in un crogiuolo, che ora pone sui carboni ardenti. Mime cerca di escogitare una scappatoia per poter riuscire a salvare la propria testa. Sigfrido compie il suo lavoro cantando allegramente. Egli versa il contenuto incandescente del crogiuolo in una forma a stanga e la solleva verso l'alto. Immerge la forma così riempita nel secchio dell'acqua. Seguono all'immersione vapore e sonori sibili per l'improvviso raffreddamento.
Nel frattempo Mime prepara un filtro velenoso, che vuole dar da bere a Sigfrido per ristorarlo, dopo che questi avrà vinto la lotta contro il drago, così da impadronirsi del tesoro una volta che esso sia rimasto senza padrone.

Mentre Sigfrido tempra l'acciaio ancora incandescente battendolo sull'incudine, Mime versa in una fiasca il filtro che ha preparato sul fuoco della fucina. Sigfrido brandisce l'acciaio e lo immerge nel secchio dell'acqua. Ride sonoramente al suo sibilo. Mentre Sigfrido fissa saldamente all'elsa la lama della spada, Mime passeggia sul proscenio in qua e in là con la fiasca. Se ne va in giro con crescente soddisfazione, sgambettando allegramente, mentre Sigfrido lavora col pesante martello, affila e lima.
Il nano si crogiola già sognando il suo futuro trionfo. Sigfrido finisce di lavorare all'arma che fu infranta un tempo al padre morente dalla lancia di Wotan. Il figlio di Siegmund leviga con gli ultimi colpi le inchiodature dell'elsa e ora impugna la spada. Sferra un colpo dall'alto in basso sull'incudine, che si spezza in due, così che i due pezzi cadono con gran fragore. Mime, che al colmo della sua esaltazione era balzato su uno sgabello, dallo spavento cade a sedere a terra. Sigfrido giubilante leva in alto la spada.

Atto II
Profondo d'una foresta.
Nella parte più arretrata della scena c'è l'apertura di una grotta. Il pavimento si innalza fino alla metà del palcoscenico, dove forma un piccolo piano rialzato. A sinistra si scorge attraverso la boscaglia una parete rocciosa ricca di crepacci. Notte oscura, più che mai densa sullo sfondo.

Scena I
Davanti alla grotta di Fafner sta già in agguato Alberich, aspettando con ansia l'ora in cui la maledizione da lui scagliata contro il drago si adempirà ed egli tornerà nuovamente in possesso dell'anello e del tesoro. Dal bosco a destra si alza un vento tempestoso: risplende una luce azzurrina, proveniente dalla stessa parte. Il Viandante entra sulla scena, uscendo dalla foresta, e si ferma di fronte ad Alberich. Come da una nube che si squarcia improvvisamente irrompe la luce della luna e illumina la figura del Viandante. Alberich riconosce il Viandante, indietreggia inizialmente sbigottito, ma subito si precipita contro di lui con violentissimo furore. Egli ammonisce il dio suo avversario di non contendergli nuovamente i tesori ora custoditi da Fafner. Wotan placa la sua diffidenza: le sue rivendicazioni circa il possesso del tesoro infatti non sono ora minacciate né da lui né da Sigfrido, ma piuttosto dalla cupidigia di suo fratello Mime. Per convincere l'elfo della sua assoluta mancanza di doppi fini Wotan sveglia Fafner che dorme, consigliandolo di sottrarsi dalla minaccia incombente di Sigfrido e di cedere di sua spontanea volontà il tesoro ad Alberich. Il drago non si cura dell'avvertimento e continua a dormire. Wotan si allontana ridendo, mentre Alberich, osservando la scena dalle vicinanze, attende di vedere i nuovi sviluppi.

Scena II
Sul fare del giorno entrano Sigfrido e Mime. Sigfrido porta con sé la spada in un cinturone di corda. Mime ispeziona con cura il luogo: da ultimo scruta la parte posteriore della scena, la quale - mentre la parte rialzata alla metà del proscenio viene in seguito sempre più chiaramente illuminata dal sole - rimane invece in un'ombra profonda. Per spaventare Sigfrido, Mime dipinge ancora una volta l'aspetto di Fafner in tutti i suoi lati più orribili. Ma Sigfrido, desideroso di un bottino per la sua Notung, vuole solo sapere se il mostro ha il cuore nello stesso posto dove l'hanno tutti gli esseri viventi. Mime si mette in un posto sicuro, augurandosi segretamente che i due si uccidano a vicenda. Sigfrido si distende comodamente sotto un tiglio e segue con lo sguardo Mime che si allontana. Contento del fatto che l'aborrito nano non possa essere suo padre, si abbandona a pensieri nostalgici, cercando di immaginare quale potesse essere l'aspetto dei suoi genitori, che egli non ha mai conosciuto. La sua attenzione viene infine attratta dal canto degli uccelli della foresta. Egli ascolta con crescente interesse un uccello del bosco tra i rami sopra di lui. Pensa allora di poter comprendere la lingua degli uccelli mettendosi ad imitarla, balza verso la fonte vicina, taglia una canna con la spada e si prepara rapidamente uno zufolo con essa. Soffia quindi nella canna. S'interrompe, taglia nuovamente per migliorare lo strumento. Soffia ancora. Scuote il capo e corregge nuovamente. Fa qualche tentativo. Stizzito, preme la canna con la mano e tenta di nuovo. Alla fine, sorridendo, smette del tutto. Il suo tentativo di iniziare a comunicare con gli uccelli suonando col flauto è fallito. Prende il corno da caccia d'argento e vi soffia dentro. Durante i lunghi richiami del suo corno, Sigfrido guarda sempre, pieno di speranza, in direzione dell'uccello. Suona divertito, quindi sempre più velocemente e in maniera squillante.
Nel fondo della scena qualcosa si muove - Fafner, in figura di un drago enorme a forma di lucertola, si è alzato dal suo giaciglio all'interno della caverna: si fa strada tra la macchia, strisciando dal basso verso la parte rialzata del terreno, così che con la parte anteriore del corpo vi è già arrivato, quando emette un forte e sonoro sbadiglio.


Sigfrido si guarda attorno e fissa meravigliato lo sguardo su Fafner. Minacciandosi a vicenda con fare borioso, i due impari avversari eccitano la loro voglia di combattere. Sigfrido estrae la spada, balza contro Fafner e rimane in posizione di sfida. Fafner si trascina ancora un poco in avanti sull'altura e sputa dalle froge su Sigfrido. Sigfrido si sottrae alla bava velenosa del drago, si avvicina con un balzo e si mette da parte. Fafner cerca di colpirlo con la coda. Sigfrido, che è stato quasi raggiunto da Fafner, passa dall'altra parte saltando sopra di lui, e lo ferisce alla coda. Fafner mugghia, ritira con violenza la coda e solleva la parte anteriore del corpo, per gettarsi su Sigfrido con tutta la violenza di quella mole: in tal modo gli offre il petto: Sigfrido scorge rapidamente la parte dove si trova il cuore e vi affonda dentro la spada fino all'elsa. Fafner si solleva ancora di più dal dolore e, non appena Sigfrido ha lasciato la spada ed è saltato di lato, si abbatte cadendo sulla propria ferita.


Ben comprendendo che il fanciullo ignaro ha portato a termine il piano di un altro, e conciliato con il suo uccisore in punto di morte, Fafner mette in guardia il vincitore dalle intenzioni omicide di Mime. Il drago morendo si è voltato sul fianco. Sigfrido gli estrae ora la spada dal petto: nel far ciò la sua mano viene bagnata dal sangue. Sigfrido porta istintivamente le dita alla bocca, per succhiare via il sangue da esse. Mentre sta guardando pensieroso dinanzi a sé, la sua attenzione viene sempre più attirata dal canto degli uccelli della foresta. Egli comprende ora il consiglio dell'uccello, di prendersi l'elmo magico e l'anello e scende quindi nella caverna.


Scena III

Mime viene avanti furtivamente, guardandosi intorno impaurito, per assicurarsi della morte di Fafner. Allo stesso tempo sopraggiunge dal lato opposto Alberich, uscito da un crepaccio: osserva Mime, si scaglia su di lui e gli sbarra la strada, quando questi si sta per dirigere verso la grotta. I due fratelli si mettono a litigare per i propri diritti. Alberich rifiuta beffardamente il solo pensiero di dividere con Mime il tesoro. Mime minaccia di difendere il proprio diritto di preda con l'aiuto di Sigfrido.
I due elfi nemici si ritirano non appena Sigfrido compare nuovamente. Questi è uscito nel frattempo con elmo magico ed anello, lento e meditabondo, dal fondo della grotta: osserva pensieroso il suo bottino e si ferma nuovamente sull'altura al centro della scena. Mentre se ne sta così perplesso, l'uccello del bosco gli conferma che ora egli è padrone dell'elmo e dell'anello, e allo stesso tempo lo mette in guardia da un assalto da parte di Mime. Il volto ed i gesti di Sigfrido esprimono chiaramente che egli ha ben compreso il senso del canto dell'uccello. Quando scorge Mime che si avvicina resta nella sua posizione, immobile, appoggiandosi alla spalla, osservando chiuso in sé stesso. Il sangue del drago gli ha conferito anche la virtù di riconoscere, dietro il discorso ipocrita di Mime, le sue vere intenzioni omicide. Il nano, col pretesto di voler rinfrancare Sigfrido, gli offre il filtro velenoso che ha preparato. Versa il succo nel corno per bere e lo porge a Sigfrido con gesto insistente. Sigfrido, come in un impeto di nausea violenta, assesta un colpo improvviso a Mime: questi cade immediatamente a terra morto. La voce di Alberich risuona sghignazzando beffarda dal fondo del crepaccio. Sigfrido raccoglie il cadavere di Mime, lo trascina fino al rialzo di terreno davanti all'ingresso della caverna e ve lo getta dentro. Con gran fatica fa poi rotolare il cadavere del drago fino all'entrata della grotta, in maniera tale da tapparla interamente con esso. Si stende sotto il tiglio e guarda nuovamente in alto tra i rami.
Con gioiosa eccitazione egli apprende dal canto dell'uccello del bosco dell'esistenza di Brunnhilde, la sposa dormiente circondata dalle fiamme, che attende colui che "non conosce la paura". L'uccello mostra a Sigfrido la strada della roccia dove dorme Brunnhilde: egli corre dietro l'uccello, il quale, scherzando con lui divertito per un po' di tempo lo guida in varie direzioni; alla fine Sigfrido lo segue, quando con svolta decisa questo vola via verso il fondo della scena.

Atto III

Scena I
Regione selvaggia ai piedi di una montagna rocciosa, la quale sale rapidamente verso sinistra. Notte, tempesta ed uragano. Lampi e tuoni violenti, i quali ultimi poi tacciono, mentre i lampi continuano ancora per un certo tempo ad attraversare le nubi.
Il Viandante entra nella scena. Si avvia risoluto verso la porta di una caverna simile ad un sepolcro che si trova in una roccia del proscenio. Wotan vuole conoscere il futuro dalla saggia madre Erda. La caverna a forma di sepolcro si illumina di luce crepuscolare. Bagliore azzurrino: da esso illuminata, Erda sale a poco a poco dal profondo della caverna. Ella appare come coperta di brina: capelli ed abito emettono un bagliore sfavillante. Ma la dea risvegliata dal sonno, madre della dormiente Brunnhilde, evita di rispondere. Wotan, che attende senza timore la fine degli dei e l'avvento della signoria di una nuova stirpe, non insiste nella sua richiesta di notizie e lascia la saggia Erda "al sonno eterno". Dopo aver già chiuso gli occhi ed essere sprofondata a poco a poco nella sua caverna, Erda scompare ora interamente: anche la grotta è ora di nuovo oscura del tutto. Il crepuscolo della luna illumina la scena vuota: la tempesta si è placata.

Scena II
Colui che risveglierà Brunnhilde, quello stesso che Wotan attende, si avvicina. L'uccello del bosco che guida Sigfrido vola in direzione del proscenio. Improvvisamente si arresta nella sua direzione, svolazza angosciato qua e là e scompare rapido verso il fondo della scena. Wotan si piazza davanti al fanciullo recalcitrante con fare divertito e, con le sue domande insistenti, riesce a far spazientire l'irriverente ragazzo. Ignaro di ciò che compie, Sigfrido spezza con Notung la lancia con cui Wotan gli sbarra il cammino, sulla cui asta sono incise tutte le rune magiche sulle quali riposa l'ordine universale creato da Wotan.
Spezza in due con un solo colpo la lancia del Viandante: un guizzo di lampo scaturisce da quella verso l'alto della rupe, dove, da questo momento in poi, il bagliore che prima era piuttosto opaco comincia a divampare in fiamme sempre più luminose. Un forte tuono, che va svanendo rapidamente, accompagna lo schianto. La lancia spezzata rotola ai piedi del Viandante. Questi raccoglie tranquillamente i pezzi. Il "signore dei corvi", dal quale saggiamente l'uccello del bosco è volato via, sa ora con certezza che egli non può fermare quest'eroe che non conosce la paura. Scompare improvvisamente nell'oscurità più totale. Sigfrido, che non ha nessuna comprensione per quella che a lui sembra viltà da parte del dio sconosciuto, deve ora seguire il suo istinto, che lo porta irresistibilmente da Brunnhilde. Sigfrido suona con tutta la forza nel suo corno e si getta precipitosamente nel fuoco ondeggiante che, scendendo impetuosamente dall'altura, si spande ora anche sulla parte anteriore della scena. Sigfrido, che presto scompare alla vista, appare in atto di allontanarsi verso l'altura. Chiarissimo bagliore delle fiamme. Dopo di ciò le fiamme iniziano a diventare più fioche e a poco a poco si sciolgono in una massa di nubi sempre più fine, come illuminata dalla luce dell'aurora.

Scena III

La massa di nubi, diventa sempre più rada, si è trasformata in un tenue strato di nebbia dal colore roseo, mentre presso il bordo dell'altura rupestre, che finalmente si comincia ad intravedere, rimane ancora un velo di nebbia del colore dell'aurora, il quale ricorda contemporaneamente la vampa magica che ancora fiammeggia nel profondo. Sul davanti, sotto l'abete dalle ampie fronde, giace Brunnhilde sprofondata nel sonno: indossa un'armatura completa e splendente, ha l'elmo sul capo e il lungo scudo le ricopre il corpo. Stupito, Sigfrido scorge prima il cavallo, Grane, anch'esso addormentato, e poi la figura di Brunnhilde. Sigfrido toglie alla dormiente l'elmo e lo scudo, quindi vuole liberarla anche dalla corazza che l'opprime. Sigfrido estrae la sua spada, taglia con delicata accortezza gli anelli che fermano la corazza ad entrambi i lati dell'armatura e toglie quindi la corazza e gli schinieri, così che Brunnhilde giace ora davanti a lui nella mollezza del suo abito femminile. Egli trasalisce sgomento e stupito. L'improvvisa scoperta che non si tratta affatto di un uomo, che riposa dinanzi a lui, fa pensare Sigfrido, in una prima vertigine di spavento, a sua madre. Questo sentimento finora mai provato - inizia a presagire Sigfrido - e che lo coglie ora per la prima volta alla vista della sconosciuta, è la paura. Mentre si avvicina ancora alla dormiente, sentimenti più delicati lo incatenano di nuovo alla sua vista.
Si china più a fondo su di lei. Una sensazione indefinibile lo spinge a svegliare con un bacio l'addormentata. Cade, quasi rantolando in fin di vita, sulla dormiente e fissa le proprie labbra, ad occhi chiusi, sulla bocca di lei.  

Brunnhilde apre gli occhi. Sigfrido trasalisce e rimane in piedi davanti a lei. Brunnhilde sia alza lentamente a sedere. Saluta con gesti solenni delle braccia alzate il suo ritorno alla vista della terra e del cielo. Con esclamazioni di giubilo salutano entrambi il sole, il giorno e gli dei, le madri e la terra, la quale diede loro la vita. Entrambi restano immersi, pieni di raggiante delizia, nella vista l'uno dell'altra. Nel sentimento di beatitudine di Brunnhilde si mescolano angoscia e malinconia: Sigfrido ha spezzato la sua armatura, la libertà assoluta della Valkiria è stata incatenata dall'amore di lui.

Egli l'ha abbracciata violentemente. Brunnhilde si alza di scatto, respingendolo con tutta la forza dell'angoscia, e fugge dalla parte opposta. Ma il corteggiamento di Sigfrido, la sua riacquistata impavidità, vincono alla fine ogni sua resistenza. Ridendo ella rigetta i ricordi del "mondo lucente del Walhalla". La figlia di Wotan ed il figlio di Siegmund si sentono ora uniti nel rifiuto del potere del Walhalla e dello splendore degli dei, riconoscendosi all'unisono in: "amore lucente, morte ridente!"