A
PICCOLO FESTIVAL DI CASI LIRICI
PER NON MORIRE
AN O R M A

  MILANO TEATRO ALLA SCALA 1831
CASTA DIVA
OPERA COMPLETA LIBRETTO PRIMA DEL 1831 DOPO IL 1831 500 PAROLE
APPROFONDIMENTI
MEDEA
VII sec. a.C.
Esiodo, dalla Teogonia
431 a.C.
Euripide, Medea
I sec a.C.
Ovidio, Medea, tragedia
I sec.
Ovidio, Medea, Eroidi
I sec.
Ovidio, Medea,Metamorfosi
1909
Cherubini, Medea
1953-1972
Callas, Medea di Cherubini
1969
Pasolini, Medea
1988
von Trier, Medea
2011
La sindrome di Medea
2023
Piccola fenomenologia degli attanti mitici e fiabeschi



CINQUECENTO PAROLE
PER NORMA

Casta diva, è la dea vergine della luna, Artemide per i greci, Diana per i latini, signora dei boschi, cacciatrice. Vergine come Athena/Minerva ed Estia/Vesta, circondata da ninfe che devono mantenersi vergini, e nessun uomo deve violare con lo sguardo la nudità di Diana quando si immerge nel bagno. La punizione è terribile: Atteone, che l'ha vista per sbaglio,viene trasformato in cinghiale; i suoi cani non lo riconoscono e lo sbranano.
Come può la somma sacerdotessa del tempio della Casta Diva, vergine dea lunare, rivolgersi alla dea lunare (Selene è uno dei nomi di Artemide) quando ha un amante segreto, un romano, straniero e nemico, dal quale ha avuto due figli?
Una contraddizione che Maria Callas esprime con la voce, il volto, il corpo nel concerto di Parigi, 1958.
Artemide, la dea che vive nei boschi e rappresenta il femminile selvaggio, irrompe sulla scena e sovverte l'ordine patriarcale quando viene violata, sia uccidendo chi pur involontariamente ha posato lo sguardo sul suo corpo senza veli, sia perseguitando le ninfe del suo seguito se hanno ceduto all'amore di un uomo. La dea lunare pregata da Norma è la divinità del femminile potente e separato dalla civiltà patriarcale: l'uomo non ha potere su questa creatura indomabile, a meno che non sia lei stessa a metterlo a sua disposizione. Qualcosa della donna resta fuori dall'ecumene, dal patriarcato fallocentrico, che ha come dea Artemide, Diana per i latini. Molte figure della mitologia greca e medievale hanno una potenza che possono mettere a disposizione del loro amato, purché, illudendosi di esserne padrone, non infranga il patto col quale ha preso questa donna, di esserle fedele, come Pollione a Norma, e di tenerla come sua sposa, come Giasone a Medea.
Il patto viene regolarmente violato: se a causa della pulsione scopica - lo sposo va a vedere Melusina il sabato - la discendenza regale è salva, e la sposa scompare senza dar traccia di sé. Se invece il patto viene violato perché l'amante intende sposare un'altra, la furia della potente sposa può incenerire tutti i personaggi e tornare alla sua origine anteriore al patriarcato. Una versione del mito di  Medea, ben diversa da quella scritta da Euripide,  ha un finale nefasto per Giasone, la sua promessa sposa principessa e il re padre di lei, ma senza danni per Medea, che col suo carro trainato da draghi volanti abbandona Corinto con i figli e va a vivere con il mitico re di Atene Egeo, padre di Teseo. Per un errore del figlio il re Egeo credette che suo figlio fosse morto nell'impresa di sconfiggere il Minotauro, e si gettò nel mare greco che da allora prese il suo nome. In Grecia Maria Callas era stata concepita, e nell'Egeo furono sparse le sue ceneri.


TRAMA

Atto I
La scena si svolge a Corinto, nel palazzo del Re Creonte. Glauce sta terminando, aiutata da due ancelle, i preparativi per il suo matrimonio con Giasone. Questi ha ripudiato Medea, potente maga e sua prima consorte. Lei a suo tempo l'aiutò nell'impresa di rubare il Vello d'oro, tradendo così la sua stessa famiglia, e dalla loro unione nacquero due figli. Medea riesce ad entrare nel palazzo di Creonte e lì incontra Giasone, al quale chiede il ritorno in seno alla famiglia. Visto però il suo rifiuto lei lo maledice e giura vendetta.

Atto II
La scena si svolge all'interno del palazzo del Re. Medea vuole vendicarsi nonostante la sua ancella Neris cerchi di convincerla a lasciare Corinto. Anche Creonte ordina a Medea di abbandonare immediatamente la città ma lei implorando ottiene ancora un giorno da passare con i suoi figli. Incontra ancora Giasone e insieme rievocano i felici momenti del loro amore. Infine Medea ordina all'ancella di recare in dono a Glauce il manto e il diadema che ella ebbe da Apollo.

Atto III
La scena si svolge tra il palazzo e il tempio. Neris accompagna i due figli al cospetto della loro madre Medea. Dal tempio giungono voci e lamenti: Creonte e Glauce sono morti perché i doni di Medea erano avvelenati. La folla furente si scaglia contro Medea, ma questa, con Neris e i due figli, si rifugia nel tempio. Giasone accorre per arrestarla, ma Neris esce sconvolta dicendo che Medea ha assassinato i loro figli nel tempio. Indi appare Medea, con ancora in mano il pugnale insanguinato e dice a Giasone di aver compiuto la sua giusta vendetta. Sconvolto dal dolore egli muore e Medea rientra nel tempio, mentre questo sta andando in fiamme. (wikipedia)


CASTA DIVA

Parigi Palais Garnier 1958; https://www.youtube.com/watch?v=s-TwMfgaDC8, h 00:07:13. Ultimo accesso, 14/08/2023.
Fra le notizie in calce al video si legge che al 2/12/20 le visualizzazioni erano 17.985.608.

Maria Callas esprime con tutta la sua vita, la sua voce, la sua interpretazione, la donna intera, a ogni età, fragile e forte, impossedibile e pronta a dedicare tutta se stessa a un uomo, diva mondiale e tenera come una donna innamorata.
Tutto questo è presente in massimo grado nel recital di Palais Garnier del 1958, in questa preghiera alla dea lunare della sacerdotessa che non è più vergine. Quando ha le braccia congiunte Callas potrebbe cullare un bambino per addormentarlo. Anche se sappiamo che nessuno, piccolo o grande, potrebbe addormentarsi a questo canto.
Ma la Luna capirà, anche se la donna deve morire, o attraversare qualcosa come la morte per vivere le due parti del femminile che la cultura patriarcale scinde da sempre. Noi cerchiamo di capire, e capiamo anche la paura, l'incomprensione, il fallimento. Lo viviamo nel lavoro analitico, lo viviamo nella nostra storia, lo viviamo perfino preparando questo Piccolo festival. Per non morire...

OPERA COMPLETA

Online la registrazione effettuata nel 1955 a Milano, al Teatro alla Scala, direttore Tullio Serafin.
Insieme a Maria Callas, Franco Corelli,  Christa Ludwig, Nicola Zaccaria.
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, maestro del coro: Norberto Mola. 
LP Edition 1972. https://www.youtube.com/watch?v=tGy0ZDoVIR0; h 02:41:25; ultimo accesso 14/08/2023.

La Norma ebbe la sua prima il 26 dicembre 1831 alla Scala. Destinata a diventare la più amata fra quelle di Vincenzo Bellini, subì un fiasco clamoroso, sia per circostanze legate all'esecuzione, sia per la presenza di una claque avversa a Bellini e al soprano, Giuditta Pasta. Anche l'inconsueta severità della drammaturgia e l'assenza del momento più sontuoso, il concertato che tradizionalmente chiudeva il primo dei due atti, sconcertarono il pubblico milanese.
Il soggetto, ambientato nelle Gallie al tempo dell'antica Roma, presenta evidenti legami con il mito di Medea. Fedele a questa idea di classica sobrietà, Bellini adottò per Norma una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l'orchestra al ruolo di accompagnamento della voce. (Da wikipedia)




LIBRETTO

Norma. Tragedia lirica in due atti. Libretto di Felice Romani. Musica di Vincenzo Bellini. Edizione a cura di Emanuele Bonomi, con guida musicale all'opera. Venezia: Teatro La Fenice 2019;
https://www.teatrolafenice.it/wp-content/uploads/2019/03/NORMA.pdf; ultimo accesso 14/08/2023.

PRIMA DEL 1831


1831 Alexandre Soumet, Norma ou l'infanticide

Norma. Tragédie en cinq actes et  en verses par M. Alexandre Soumet de l'Académie Française, representée pour la premiére fois, sur le Théatre Royal de l'Odéon par les Comédiens Ordinaires du Roy, le 6 avril 1831. Paris, J.-N. Barba, Libraire 1831.

Lo scrittore francese Alexandre Soumet (Castelnaudary 1788 - Parigi 1845) già Uditore del Consiglio di stato napoleonico, poi bibliotecario (Saint-Cloud, Rambouillet, Compiègne), quindi, dal 1824, membro dell'Académie française. Più che con i suoi poemi (L'incrédulité, 1810; Jeanne d'Arc, 1825; La divine épopée, 2 voll., 1840), ottenne notorietà con le tragedie Clytemnestre (1822), Saül (1822), Cléopâtre (1824), Une fête de Néron (1830), Norma (1831; da questa F. Romani trasse un libretto per l'omonima opera di V. Bellini) che lo mostrano scrittore di transizione fra classicismo e romanticismo.



DOPO IL 1831


2012 Maurizio Melai, Due versioni di "Norma" a confronto: dalla tragedia di Alexandre Soumet al libretto d'opera di Felice Romani

Due versioni di "Norma"..., In Poetarum Silva, poetarumsilva.com (Testo completo); ultimo accesso 17/09/2023

Felice Romani e Vincenzo Bellini, attenti osservatori del panorama letterario francese, cominciano a lavorare sulla tragedia di Soumet probabilmente nel luglio dello stesso anno, come testimonia una lettera di Bellini del 23 luglio: “Ho scelto di già il soggetto per la nuova mia opera ed è una tragedia intitolata Norma ossia l’infanticidio di Soumet adesso rappresentata a Parigi e con esito strepitoso…”
L’opera conosce la sua prima rappresentazione alla Scala di Milano il 26 dicembre 1831, dopo soli cinque mesi di lavoro del librettista e del compositore. Il melodramma italiano giunge al Théâtre-Italien a Parigi quattro anni più tardi, ma è immediatamente sospeso a causa delle accuse di plagio formulate proprio da Soumet. Si dovrà attendere il 1845 per una fortunata ripresa dell’opera agli Italiens, ripresa di cui Gautier rende conto il 24 febbraio 1845: “L’interdiction qui pesait sur Norma a été levée enfin. M. Alexandre Soumet a compris qu’une belle musique n’ôtait rien à une belle tragédie, et que, puisqu’il fallait prendre les idées quelque part, il était naturel qu’on les cherchât là où elles sont, c’est-à-dire chez les poètes.”





2017 Paolo Mascari, Callas ovvero Norma

Ieri, oggi, domani Opera!

Norma non è un ruolo, non è un’opera, non è un melodramma. Essa è, se fosse possibile definirla con completezza, un monumento, un patrimonio culturale, frutto del genio artistico di Vincenzo Bellini, che sfugge a qualsiasi etichetta o classificazione. Questa inafferrabilità è il destino comune a tutte le grandi opere frutto dell’ingegno umano le quali, una volta create, divengono enormi e indefinibili. Ma un’opera musicale, non è un’opera d’arte come tutte le altre, infatti non avrebbe senso senza un interprete che la renda viva... (P. Mascari)

https://ierioggidomaniopera.com/2017/09/20/maria-callas-ovvero-norma/; ultimo accesso 14/08/2023

Nel testo Paolo Mascari descrive una particolare corrispondenza di Callas col ruolo di Norma. Norma ha alle spalle, e davanti a sé, Medea, la maga che poteva modificare il corso della Luna, che Callas ha interpretato per Pasolini. Ma Callas è anche Tosca, cantante lirica che non capisce perché debba essere punita, non avendo mai fatto male ad anima viva. Vivere insieme due ruoli può uccidere la donna letteralmente: questo  è vero per Callas e per i quattro personaggì lirici che abbiamo scelto. Poi è Traviata, che resta sola a morire - Alfredo arriva un po' tardino - ed è Butterfly che muore sola, per consentire al figlio di viver con onore - a Pinkerton l'ultima battuta, inutile come la promessa di Alfredo. Tosca sola dopo aver tentato di salvare l'amato, sceglie sola la morte. Rischia solitudine e morte ogni donna che tenta di vivere sia come madre e amante sia come artista o sacerdotessa, vale a dire  senza mai rinunciare a mettere sulla scena della vita le due parti del femminile scisse dall'ordine patriarcale. 



2020 Marina Abramović, Seven Deaths of Maria Callas: Burning

Opéra national de Paris, Palais Garnier, Seven Deaths of Maria Callas, 2021;
https://www.youtube.com/watch?v=7QoWCunToO0; ultimo accesso 14/08/2023

Marina Abramović/Norma va a morire vestita da uomo mentre Willem Dafoe/Pollione, che sceglie di morire con lei, indossa l'abito laminato che era di lei. A un livello interpretativo il soprano, qui come negli altri melodrammi italiani di cui parliamo, sostiene i valori - e la cultura - patriarcale più del tenore. Ma a un altro livello realizza un grado massimo e nuovo di femminilità e di umanità: Norma è la sacerdotessa pronta a morire per difendere l'onore della propria comunità e la pace con Roma, ed è allo stesso tempo madre e donna gelosa, amante del console Pollione, rappresentante dei romani dominatori. Potrebbe evitare il rogo se accusasse la rivale Adalgisa, invece sceglie di rendere pubblica la sua scelta segreta, di essere sacerdotessa e madre e donna innamorata.
Non a caso le leggi antiche pretendevano al verginità e la castità nelle sacerdotesse: ancora oggi le suore, essendo spose di Gesù, devono vivere in castità. Si ricorda il caso narrato da Manzoni della Monaca di Monza, ispirato al caso vero di Marianna de Leyva y Marino. Costretta per sottrarle l'eredità materna a entrare in convento come Suor Virginia Maria, ebbe due figli dal conte Gian Paolo Osio. L'amante amato fu condannato a morte per gli omicidi commessi per difendere la sua relazione, e Marianna fu condannata a passare il resto della sua vita Condannato a morte e pugnalato prima . meglio nota come la Monaca di Monza ispirato al  Un esempio di rottura tragica del patto è nella manzoniana Monaca di Monza.

La straordinaria ininterrotta popolarità  del melodramma italiano non può significare solo uno scambio di ruoli, come nella lettura della performer serba. L'estremo sacrificio di Norma significa, insieme all'impossibilità di vivere i due ruoli della donna da sempre rigidamente separati nel patriarcato, l'affermazione del desiderio irrinunciabile di viverli entrambi.
Se in Burning di Marina Abramović riconosciamo la difesa della civiltà attuata dalla donna anziché dall'uomo - dal soprano anziché dal tenore - nella Norma di Belllini, in particolare nell'interpretazione di Maria Callas nel concerto del 1958 a Parigi sentiamo sia l'amore per l'uomo e la tenerezza della madre, sia la potenza della sacerdotessa che invocare la dea lunare perché conceda la pace.
Il riferimento mitologico di Norma a Medea ci fa ricordare la maga della Colchide, il cui padre era figlio del Sole e fratello della potentissima Circe, che  aveva il potere di modificare il corso della Luna, l'astro della dea invocata da Norma. 



APPROFONDIMENTI


MEDEA


VII sec. a. C, Esiodo, Teogonia, vv. 993-1002

Nella Teogonia Esiodo parla dell'eroe Giasone, figlio di Esone e di Medea, senza alcun riferimento alla feroce vendicatrice figlicida:

La bella figlia fanciulla del re
Aiete rallevato dagli eterni,
rapì a suo padre il figlio di Esone,
assecondando degli dèi il consiglio,
dopo avere compiuto le fatiche,
di lacrime grondanti, comandate
dal grande re superbo tracotante,
il dissennato Pelias scellerato.
Assolto il compito il figlio di Esone,
molti dolori avendo sopportato
sulla nave veloce giunse a Iolco,
con la bella Medea, occhi lucenti,
che volle come sua fiorente sposa.
Sottomessa in amore da Giasone,
di popoli pastore, mise al mondo
Medeo, che fu allevato dal filiride
Chirone in mezzo ai monti, come volle    
la mente aperta del sovrano Zeus.
(trad. nostra)



431 a.C. Euripide, Medea, tragedia

Nella traduzione di Ettore Romagnoli (1928). Testo integrale online. Wikisource


Medea       Odiami: aborro la tua voce amara.
Giasone
    Ed io la tua; ma separarci è facile.
Medea
       Come? Che devo fare? Anch'io lo agogno.
Giasone:
    Fa’ che i miei figli io seppellisca e lagrimi.
Medea
       No certo: seppellirli io stessa intendo,
                  con le mie mani. Nel sacrario d’Era,
                  Diva d’Ascrèa, li porterò, ché niuno
                  dei nemici l’insulti, e non profani
                  le tombe loro. E in questo suol di Sísifo
                  sacre istituirò feste, e cortei,
                  per espiare questa orrida strage.
                  Alla terra mi reco io d’Erettèo,
                  e con Egèo, figliuolo di Pandíone
                  abiterò: tu, com’è giusto, morte
                  farai da tristo, ché sei tristo: avranno
                  amaro fine le tue nuove nozze.
                  (Esodo, vv. 1374-1385)

Vedi anche il testo greco integrale  con la traduzione di G. Ghiselli (2008)



  



I sec. a.C. Ovidio, Medea, tragedia

Servare potui: perdere an possim rogas?
 Ho potuto salvarti, chiedi se posso distruggerti?

La tragedia giovanile di Ovidio è perduta, resta questo verso nel quale risuona la straordinaria profondità psicologica di Ovidio. L'ordine gerarchico patriarcale ha bisogno del femminile indomito come quello di Medea e Melusina, sia per conquistare il vello d'oro, che cura ogni male, sia per fondare un dominio e iniziare una dinastia regale. Il patriarcato non si fonda su un misconoscimento della potenza femminile, ma su una scissione fra la parte della creatura femminile che nutre e custodisce i figli e lo sposo sottomettendosi alla sua legge e al suo desiderio, e la parte che eccede l'ordine maschile, portando sia ricchezza che distruzione. Ipotizziamo qui che il femminile scisso e allontanato dall'ecumene sia quanto dell'umano non si sottomette a nessun ordine. Qualcosa del femminile? O piuttosto qualcosa rimosso nel femminile, assegnato e assunto dal femminile, per liberare il maschile dall'ambivalenza strutturale della psiche e rendere possibile una società ordinata, una gerarchia  e fallocratica? Indomita è l'infanzia, indomita la follia, indomita l'estasi...





I sec. Ovidio, Lettera di Medea a Giasone, Eroidi


[Esule, povera, disperata, Medea si rivolge
al nuovo sposo, se le cure del regno ti lasciano tempo].
1 Ma io tempo per te lo avevo, benché regina dei Colchi,
quando chiedevi che la mia arte ti venisse in aiuto.
Allora le sorelle che dispensano i fili degli uomini
dovevano svolgere i fusi del mio destino.
5 Allora Medea poteva morire bene;
tutta la vita vissuta da allora non è che castigo.
Ahimè! Perché il legno del Pelio, spinto da braccia
giovanili, cercò il montone di Frisso?
Perché noi Colchi vedemmo Argo, la nave
10 di Magnesia e voi, ciurma greca, beveste l’acqua del Fasi?
Perché i tuoi biondi capelli mi piacquero più del giusto,
e la tua bellezza e la grazia finta della tua lingua?
O almeno, dopo che la nuova nave era giunta
alla nostra riva, portando uomini audaci,
15 l’ingrato figlio di Esone non fosse andato
premunito contro i fuochi e le corna dei tori.
Avrebbe gettato i semi, e sarebbero sorti altrettanti
nemici, e il coltivatore sarebbe morto del suo raccolto.
Quanta perfidia sarebbe morta con te, scellerato!
20 Quante sciagure sarebbero state risparmiate alla mia persona!
(Dalle Eroidi, XII, Lettera di Medea a Giasone; ultimo accesso 19/09/2023)


I sec. Ovidio, Medea, dalle Metamorfosi

1 Iamque fretum Minyae Pagasaea puppe secabant,
  perpetuaque trahens inopem sub nocte senectam
  Phineus visus erat, iuvenesque Aquilone creati
  virgineas volucres miseri senis ore fugarant,
 5 multaque perpessi claro sub Iasone tandem
  contigerant rapidas limosi Phasidos undas.

  dumque adeunt regem Phr
ixeaque vellera poscunt
  lexque datur Minyis magnorum horrenda laborum,
  concipit interea validos Aeetias ignes
10 et luctata diu, postquam ratione furorem
  vincere non poterat, 'frustra, Medea, repugnas:
  nescio quis deus obstat,' ait, 'mirumque, quid hoc est,
  aut aliquid certe simile huic, quod amare vocatur.
 
nam cur iussa patris nimium mihi dura videntur?
15 sunt quoque dura nimis! cur, quem modo denique vidi,
  ne pereat, timeo? quae tanti causa timoris?

  excute virgineo conceptas pectore flammas,
  si potes, infelix! si possem, sanior essem!
  sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,
20 mens aliud suadet: video meliora proboque,
  deteriora sequor. quid in hospite, regia virgo,
  ureris et thalamos alieni concipis orbis?
  haec quoque terra potest, quod ames, dare. vivat an ille
  occidat, in dis est. vivat tamen! idque precari
25 vel sine amore licet: quid enim commisit Iason?
  quem, nisi crudelem, non tangat Iasonis aetas
  et genus et virtus? quem non, ut cetera desint,
  ore movere potest? certe mea pectora movit.
  at nisi opem tulero, taurorum adflabitur ore
30 concurretque suae segeti, tellure creatis
  hostibus, aut avido dabitur fera praeda draconi.
  hoc ego si patiar, tum me de tigride natam,
  tum ferrum et scopulos gestare in corde fatebor!
  cur non et specto pereuntem oculosque videndo
35 conscelero? cur non tauros exhortor in illum
  terrigenasque feros insopitumque draconem?
  di meliora velint! quamquam non ista precanda,
  sed facienda mihi. -- prodamne ego regna parentis,
  atque ope nescio quis servabitur advena nostra,
40 ut per me sospes sine me det lintea ventis
  virque sit alterius, poenae Medea relinquar?
  si facere hoc aliamve potest praeponere nobis,
  occidat ingratus! sed non is vultus in illo,
  non ea nobilitas animo est, ea gratia formae,
45 ut timeam fraudem meritique oblivia nostri.

  et dabit ante fidem, cogamque in foedera testes
  esse deos. quid tuta times?
Ormai i Minii solcavano l'onde del mar su la nave
Argo ed avevano visto già Fineo, che grama traeva
la sua vecchiezza con gli occhi coperti di notte perenne;
ed i figliuoli di Borea aveva fugato l'Arpie
dalla presenza del vecchio infelice; e con molti disagi
erano giunti, alla fine, condotti dal grande Giasone.
alle veloci correnti del Fasi dall'acque fangose.
Mentre dal re se ne vanno e chiedono il vello di Frisso,
è loro imposto un orribile patto di gravi fatiche.
Arse frattanto la figlia d'Eeta d'amor violento
e lungamente lottò; ma, poiché non poté superare
con la ragione la folle passione, "Combatti Medea,
inutilmente!" tra sé così disse; "non so quale nume
a me s'opponga, e prodigio sarebbe se questo che sento
non è la cosa che dicono amore o qualcosa che certo
è somigliante all'amore. Perché troppo duro mi pare
ciò che mio padre comanda? Da vero che troppo si chiede!
Perché pavento che muoia Giasone, che la prima volta
or ho veduto? Qual è la cagione di tanto timore?
Misera, scuoti dal seno virgineo l'ardore che senti,
se tu lo puoi! Se potessi, di certo più saggia sarei;
ma contro voglia mi trae una forza nuovissima e strana:
altro desidera il cuore, e ben altro la mente consiglia!
vedo il mio meglio e l'approvo, ma seguo il peggiore partito!
Vergine regia, perché mai t'infiammi per uno straniero?
perché desideri barbare nozze? La terra nativa
anche può darti chi tu puoi amare. Che viva Giasone
o che perisca, codesto è in potere dei numi. Ma viva!
Quale delitto commise? L'età, la prosapia, il valore,
chi, se non è spietato, non commuoverebbe? Se il resto
an che mancasse, chi non si commuove a vederne l'aspetto?
Certo il mio cuore è toccato. E se non lo soccorro, dal fuoco
sarà bruciato dai tori, combatter dovrà coi nemici
che sorgeranno dal suolo, funesta semente!, o feroce
preda sarà dell'ingordo dragone. Se tollero questo,
confesserò che son nata di tigre e ch'ho il cuore di ferro
o di macigno. E perché non lo miro nell'atto che muore
e non contamino gli occhi con simile vista? Ed i tori
ed i terribili serpi che nacquer dal suolo e l'insonne
drago perché contro lui non aizzo? Deh facciano i numi
quello ch'è meglio! ma debbo operare, non punto pregare.
Tradirò il regno paterno e sarà non so quale straniero
salvo per opera mia, perché senza me che lo salvo,
spieghi le vele con vento propizio e si sposi altra donna
e si riserbi al castigo Medea? Se pensa di fare
questo e propormi altra donna, che muoia l'ingrato Giasone!
Ma non l'aspetto di certo, non la nobiltà del suo cuore,
non la bellezza e la grazia son tali da farmi temere
o che m'inganni o si scordi di quello che faccio per lui.
Fede, del resto, mi giurerà prima, e davanti agli dei
voglio che il patto mi giuri. Che temi, se tu sei sicura?

Wikisource, Liber Septimus, 1-408;
ultimo accesso 19/09/2023
Traduzione di Ferruccio Bernini, Bologna 1983;
vol I, pp. 275-277; vv. 7-47

La profondità di comprensione di Medea di Ovidio, già presente in quell'unico verso tramandato dalla sua tragedia giovanile dedicata a Medea è insuperabile. Ci piacerebbe avere la forza e la sensibilità necessarie per spiegare la passione di Medea: nel senso di aprire le pieghe del testo, come in una gonna o in un sipario, non nel senso di forzarne il senso per arricchire il nostro album di interpretazioni, dedicate ai pazienti, alle fiabe e a noi stesse. Per ora abbiamo abbastanza ardire da porre una domanda: non c'è sempre nella passione irresistibile dell'innamoramento qualcosa di materno? o, meglio, potrebbero la potenza massima dell'innamoramento e della maternità avere la stessa matrice inconscia? Medea vuole che Giasone viva, non può resistere a questo desiderio, del quale pure non spiega le ragioni neanche a se stessa, se non descrivendo la bellezza e la nobiltà di Giasone, l'eroe civilizzatore, il protettore dell'ecumene, come unica prova della bontà di quel che sente. 















1797 Le 23 Ventôse Ann V.e, Médée, Tragédie. Paroles de Hoffmann - Musique de Chérubini.

Libretto dell'opera online:
Médée, Tragédie.
Paroles de Hoffmann - Musique de Chérubini. Répreséntée sur le Théâtre Feydeau a Paris le 23 Ventôse Ann V.e. A Paris, chez Huet, Éditeur de Pièces de Théatre etulù de Musique, rue Vivienne, N.°8. An. V.e 1797
ultimo accesso 14/08/20.

L'opera in tre atti è ispirata sia alla tragedia di Euripide che a quella di Seneca che alla versione secentesca di Corneille. Opera buffa, ovvero con ampi recitativi, fu presto dimenticata in Francia, mentre nell'Ottocento ebbe successo sia in Germania che in Italia, con i recitativi musicati.




1909 Medea, musiche di Cherubini, testo di Hoffmann

La prima rappresentazione italiana è del 1909, MIlano, Teatro alla Scala.

Atto I
La scena si svolge a Corinto, nel palazzo del Re Creonte. Glauce sta terminando, aiutata da due ancelle, i preparativi per il suo matrimonio con Giasone. Questi ha ripudiato Medea, potente maga e sua prima consorte. Lei a suo tempo l'aiutò nell'impresa di rubare il Vello d'oro, tradendo così la sua stessa famiglia, e dalla loro unione nacquero due figli. Medea riesce ad entrare nel palazzo di Creonte e lì incontra Giasone, al quale chiede il ritorno in seno alla famiglia. Visto però il suo rifiuto lei lo maledice e giura vendetta.

Atto II
La scena si svolge all'interno del palazzo del Re. Medea vuole vendicarsi nonostante la sua ancella Neris cerchi di convincerla a lasciare Corinto. Anche Creonte ordina a Medea di abbandonare immediatamente la città ma lei implorando ottiene ancora un giorno da passare con i suoi figli. Incontra ancora Giasone e insieme rievocano i felici momenti del loro amore. Infine Medea ordina all'ancella di recare in dono a Glauce il manto e il diadema che ella ebbe da Apollo.

Atto III
La scena si svolge tra il palazzo e il tempio. Neris accompagna i bambini dalla madre Medea. Dal tempio giungono voci e lamenti: Creonte e Glauce sono morti perché i doni di Medea erano avvelenati. La folla furente si scaglia contro Medea, che,  con Neris e i due figli, si rifugia nel tempio. Quando Giasone accorre per arrestarla, Neris esce sconvolta dicendo che Medea ha assassinato i loro figli nel tempio. Poi si mostra Medea, con il pugnale insanguinato fra le mani, e dice a Giasone di aver compiuto la sua giusta vendetta. Sconvolto dal dolore Giasone muore e Medea rientra nel tempio, che sta bruciando. (wikipedia)




1953, 1957, 1961,1971-72, Maria Callas interpreta Medea nell'Opera di Cherubini

1953, a Milano; con Gin
o Penno, Maria Luisa Nache, Fedora Barbieri, Giuseppe Modesti; direttore Leonard Bernstein
Opera completa, audio, h: 02:08:56; ultimo accesso 18/09/2023

1953, a Firenze; con Carlos Guichandut, Mario Petri, Fedora Barbieri. Orchestra e coro del Maggio musicale fiorentino, direttore Vittorio Gui. Opera completa, audio, h: 02:09:23; ultimo accesso 18/09/2023.

1957: a Milano; con Mirto Picchi, Renata Scotto, Miriam Pirazzini, Giuseppe Modesti; direttore Tullio Serafin, Registrazione Ricordi. Atto II, finale, audio; h: 00:09:58; ultimo accesso 18/09/2023.

1961: Con Maria Callas: Jon Vickers, Ivana Tosini, Giulietta Simionato, Nicolai Ghiaurov, direttore Thomas Schippers
Video excerpts  h 00:06:34 ; ultimo accesso 18/09/2023.

1971-72. Masterclass at the Juilliard School, Dei tuoi figli la madre
h: 00:15:44; ultimo accesso 16/08/2023
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1969 Pier Paolo Pasolini, Medea, film

Film completo, h 01:51:01; ultimo accesso 15/08/2023

Sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poi essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia. (Pier Paolo Pasolini)

Nell'intervista Maria Callas risponde così alla domanda del giornalista sul perché non abbia accettato l'invito di Dreyer a interpretare la sua Medea, la cui sceneggiatura sarebbe stata realizzata da Lars von Trier, e abbia invece accettato l'invito di Pasolini:
- Sa, quello è un po' il destino: Pasolini è giovane, Dreyer era tanto vecchio... e purtroppo è morto nel frattempo.
L'intervista completa si trova su Youtube, h. 00:07:42.

Sulla vicenda di Maria Callas protagonista della Medea di Pasolini, vedi anche, in questo sito, nella pagina di Maria Callas.





1988: Lars von Trier, Medea, film

Preview, YouTube Movies  h 00:03:22
Film completo h 01:16:22

Medea è un film per la televisione danese del 1988 diretto da Lars von Trier, basato su una sceneggiatura che Carl Theodor Dreyer, maestro spirituale del regista, aveva preparato ma mai girato, ispirato dall'omonima tragedia di Euripide. (Wikipedia)


Il film è molto crudo, personalmente non sono riuscita a vederlo senza inorridire, ad esempio la scena dei due bambini che avendo compreso quale destino li attende fuggono, ma la mamma li riprende e li impicca. La ferocia femminile, di solito rimossa dalle idealizzazioni della maternità, qui torna perturbante. Alla fine Medea siede sul pavimento di una nave che la porterà lontano da Giasone. Ma dove?
All'uccisione dei propri figli si sopravvive anche se non si è psicotiche? Anche se non si ha a disposizione un carro trainato da draghi volanti? Lars von Trier e Carl Theodor Dreyer sembrano rispondere di sì.





2011 La sindrome di Medea, forma di alienazione genitoriale

Alienazione genitoriale. Un terribile abuso contro i bambini
3. La sindrome di Medea. Chi la causa, area scientifica, pubblicazioni. A cura della dott.ssa Agata Gallo.
http://www.alienazione.genitoriale.com/la-sindrome-di-medea-dott-ssa-agata-gallo/; ultimo accesso: 17/09/2023

Piccola nota: Medea non .ò.-ò.-è figlia di Circe, come scrive A. Gallo. Circe è sorella di Eeta, padre di Medea, ed entrambi sono figli del Sole.


2023 Piccola fenomenologia degli attanti mitici e fiabeschi

Osserviamo spesso che da parte di più o meno celebri psi- viene fatto un uso disinvolto dei personaggi della mitologia classica per sostenere la propria teoria. In questo sito Medea è figlia della maga Circe , mentre Circe è sorella del padre di Medea, Eeta, come lei figlio del Sole. La vitalità del mito non dipende dal tempo, e può essere un'operazione feconda ispirarsi a Medea per dar vita a nuovi personaggii: è il caso di Norma. Mal sopportiamo invece rinarrare miti classici facendo muovere personaggi come Medea o Telemaco per sostenere le proprie teorie o convinzioni. I personaggi dei miti e delle fiabe ridotti a figurine sono in primo luogo inefficaci, come animali imbalsamati rispetto alle creature vive, vitali ininterrottamente da millenni. Non conosciamo altri che Richard Wagner capace di trasferire in nuove narrazioni - è il caso dell'Anello del Nibelungo - personaggi di mitologie diverse, senza imbalsamarli o cannibalizzarli. Gli attanti mitici e fiabeschi sono appartenenti a popoli apparentati fra loro e a ogni popolo della terra, in misura diversa. Possono migrare, essere invitati e ospitati degnamente, ma a ogni tentativo di colonizzazione sfuggono lasciando solo spoglie inerti, tornando nel loro Paese che possiamo visitare, ma non possedere.
Prendiamo ad esempio la trasposizione di Medea dalla collocazione arcaica delle figure non appartenenti all'ordine patriarcale di Giasone, degli Argonauti e del narratore stesso, alla società arcaica precapitalista, operazione che consente a Pasolini di mostrare l'alienazione della società capitalistica e la tragica distruzione della cultura popolare di Medea. Il mito diventa insignificante nel momento in cui lo sfondo originario di Medea perde il suo carattere numinoso: la Medea di Pasolini brucia nel suo stesso incendio, come la governante signora Danvers nel finale di Rebecca. La prima moglie (Hitchcock, US 1940).  La tragedia è diversa dal mito, in ogni caso Euripide (V sec. a.C.) non riduce la potenza arcaica del personaggio, senza la quale tutta la storia perde il suo significato: la Medea di Euripide abbandona la scena salendo sul suo carro portato da draghi volanti. Come Melusina e altri personaggi appartenenti a domini immaginari che precedono l'ordine patriarcale fallocentrico, Medea ha una potenza necessaria all'ordine patriarcale - Giasone senza il suo aiuto non conquisterebbe il vello d'oro -  che però deve escluderla dalla vista come la nudità di Artemide. Chi, anche per caso, vede questa potenza fuori dall'ecumene, deve morire, come Atteone quando vede Artemide che si bagna. Se pensiamo a Melusina, il suo sposo, i cui discendenti concepiti con lei saranno i reali di Francia, rompendo la promessa di non cercare di vederla durante il bagno scopre la sua natura arcaica, e la perde per sempre. La natura femminile di Melusina, che ha una coda di pesce come le sirene, disordinata ovvero non ordinata dal patriarcato, non può vivere se non per un tempo limitato nell'ecumene fallocentrico. Quel che però il mito dice senza esitazioni è che Medea e Melusina, come le dee e le fate, non possono morire. (A meno che, provenienti da miti e favole spazi e tempi diversi, le creature divine non si trovino nella Götterdämmerung di Wagner, sulla quale almeno per ora non osiamo far commenti)

 







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online dal 10 agosto 2023; ultima revisione: 19/09/2023