A
PICCOLO FESTIVAL DI CASI LIRICI
PER NON MORIRE
AM A D A M A   B U T T E R F L Y
  MILANO, TEATRO ALLA SCALA 1904
UN BEL DÌ VEDREMO
OPERA COMPLETA TRAMA
LIBRETTO PRIMA DEL 1904 DOPO IL 1904 IN 500 PAROLE

APPROFONDIMENTI
LAVORI IN CORSO
 
17/07
I
DOVUNQUE NEL MONDO
L'inno del marine Pinkerton
19/07
II
ISSARE LA BANDIERA
Il dominio sulla donna e sulla terra
20/07
III
NAGASAKI
Madama Butterfly e l'atomica
IV
HARAKIRI

















PER NON MORIRE
CINQUECENTO PAROLE DEDICATE A BUTTERFLY

Piccina mogliettina, olezzo di verbena, cantava Pinkerton, ma tornato in America dimentica la sposa temporanea giapponese, abbastanza da sposarsi regolarmente con un'americana, mentre Butterfly non lo ha dimenticato e crede che nemmeno lui l'abbia dimenticata, anche se non le ha mai scritto, anche se non sa che lei ha dato alla luce un bambino.
Nell'interpretazione di Marina Abramović, mentre il soprano canta Un bel dì vedremo, la scena del ritorno di Pinkerton, che è la sua seconda definitiva partenza, è un paesaggio devastato da un'esplosione nucleare.
Il collegamento fra la devastazione della piccina mogliettina, che si considerava sposata per sempre, tanto da lasciare la sua religione per amore del marine, e la distruzione di Hiroshima e Nagasaki è esplicito.
Nella performance Seven Deaths of Maria Callas (Hara-kiri) Abramović/Butterfly, coperta da una tuta anti-radiazioni come Pinkerton e il bambino che lei porta per mano, gli mette in mano una bandierina americana e lo manda dal padre, che si allontana con lui dopo aver rivolto uno sguardo alla piccina mogliettina. Salvato il figlio insieme al padre col suo sacrificio, Abramović/Butterfly si toglie la tuta e si lascia morire per le radiazioni atomiche.
Nell'opera di Puccini Butterfly fa hara-kiri con la lama di suo padre, torna quindi alle sue origini rinunciando al figlio, all'amato, alla vita stessa. L'ultima battuta dell'opera è del tenore Pinkerton che grida Butterfly! Butterfly! mentre la piccina mogliettina muore. Lui sopravviverà. Ma non potrà dimenticare Madama Butterfly.
Il marine Pinkerton è molto meno amato della sua piccola moglie giapponese, destino comune ai tenori di queste opere rispetto ai soprani, che il più delle volte danno il loro nome all'opera che interpretano. Cosa sarà questo sacrificio che è allo stesso tempo un trionfo? Il soprano è un martire? Di quale causa?
Quando abbraccia il bambino prima dell'hara-kiri Butterfly lo chiama piccolo iddio! / amore, amore mio, / fior di giglio e di rosa. Ha perso lo sposo amato per il quale è stata ripudiata da tutti i suoi parenti, ha lasciato la sua religione per abbracciare quella del marito ed essere totalmente sua. Ma al momento del massimo tradimento, quando il tenente di vascello Pinkerton torna in Giappone con la moglie americana che le chiede di lasciare che bambino vada con loro, Butterfly torna alla sua cultura: fa hara-kiri con il tantō che è l'eredità del padre, che prima di lei si è suicidato per mantenere l'onore.
La piccina mogliettina diversamente da Medea ha ancora un padre al quale tornare, anche se la sola via per ritrovarlo è la morte. Per questo Madama Butterfly può salvare il suo germoglio, il figlio, fior di giglio e di rosa. Sul pugnale sta scritto: con onor muore chi non può serbar la vita con onore. (ag)


TRAMA

ATTO PRIMO
Su una collina presso Nagasaki sorge la casetta giapponese che Pinkerton, luogotenente della marina americana, ha comperato per novecentonovantanove anni (con facoltà ogni mese di rescindere i patti) allo scopo di farne un nido nuziale provvisorio. Egli, infatti, sposerà quel giorno stesso all’uso giapponese la quindicenne Madama Butterfly (Cio-Cio-San), procurata dal sensale di matrimoni Goro per soli cento yen insieme all’ancella Suzuki e ai servi. Pinkerton spiega al console americano Sharpless di essere conquistato dalle ingenue arti di Cio-Cio-San, ma non esita a levare il calice per le sue future autentiche nozze con un’americana.
Accompagnata dalle amiche giunge Butterfly. Ella narra la sua storia: nata da ricca famiglia, per rovesci di fortuna dovette rassegnarsi a far la geisha. Ora è felicissima di sposare Pinkerton, e tanto lo ama che ha perfino ripudiato i suoi dèi di nascosto dai parenti, che ora sopraggiungono insieme al commissario imperiale e all’ufficiale del registro per la stipula del contratto nuziale.
I due sposi sono quasi riusciti a liberarsi degli ospiti, quando irrompe furibondo lo zio bonzo di Cio-Cio-San, che ha saputo della conversione religiosa della fanciulla e impone ai parenti di rinnegarla. Il pianto di Butterfly viene placato da Pinkerton che la stringe voluttuosamente a sé e la bacia attirandola nella stanza nuziale.

ATTO SECONDO
Parte prima. Nella casetta Suzuki prega perché Butterfly non pianga più. Da tre anni, infatti, CioCio-San aspetta invano il ritorno di Pinkerton, partito con la promessa di tornare, e immagina il giorno in cui sull’estremo confine del mare apparirà la nave americana che le restituirà il marito.
Accompagnato da Goro, giunge Sharpless; prima che egli possa spiegare la ragione della sua visita, Butterfly gli racconta dell’ennesimo pretendente trovatole da Goro, il ricco Yamadori, che lei ha categoricamente respinto, persuasa che Pinkerton l’abbia sposata per amore e secondo la legge americana. Rimasto solo con l’illusa, Sharpless cerca di leggerle una lettera del tenente, che in America s’è sposato: ma prima che riesca ad arrivare in fondo, Butterfly esce e ricompare con un bambino biondo, avuto da lui. Commosso, Sharpless parte promettendo di informare il babbo.
Improvvisamente il cannone annunzia l’entrata di una nave americana nel porto: è l’Abramo Lincoln, così a lungo attesa. Butterfly sussulta di gioia e dopo aver riempito la casa di fiori indossa l’abito del giorno delle nozze. Poi si mette a vegliare dietro un paravento insieme a Suzuki e al bimbo, mentre scende la notte.
Parte seconda. È l’alba, la notte è trascorsa invano e Butterfly sale a riposare.
Intanto Pinkerton, giunto a Nagasaki con Kate, sua legittima consorte, sale alla casetta; entrambi sperano che Suzuki possa preparare Butterfly al colpo atroce. Ma ecco irrompere nella stanza Cio-Cio-San che cerca invano Pinkerton, fuggito in preda al rimorso: quando vede Kate, comprende ogni cosa. L’americana si dice disposta a prendersi cura del bimbo in avvenire, ma Butterfly lo darà soltanto al suo adorato, se questi fra mezz’ora lo verrà a richiedere. Quindi ordina a Suzuki di far compagnia al bimbo e, rimasta sola, si prepara al suicidio.
All’improvviso rientra il figlio: dopo avergli rivolto uno straziante addio, lo allontana, si trafigge e muore nello stesso istante in cui Pinkerton la chiama da fuori. (Dal Libretto)




UN BEL DÌ VEDREMO
Un bel dì, vedremo
levarsi un fil di fumo
sull’estremo
confin del mare.
E poi la nave appare.
E poi la nave è bianca,
entra nel porto, romba il suo saluto.
Vedi? È venuto!
Io non gli scendo incontro. Io no.


Mi metto là sul ciglio del colle e aspetto,
aspetto
gran tempo e non mi pesa
la lunga attesa.
E… uscito dalla folla cittadina
un uomo, un picciol punto
s’avvia per la collina.
Chi sarà? Chi sarà?
E come sarà giunto
che dirà? Che dirà?
Chiamerà Butterfly dalla lontana.
i
o senza far risposta
me ne starò nascosta
un po’ per celia, un po’ per non morire
al primo incontro, ed egli alquanto in pena
chiamerà, chiamerà:
«Piccina mogliettina
olezzo di verbena»
i nomi che mi dava al suo venire.
...
Maria Callas; Puccini Arias, direttore Tullio Serafin; Watford (Town Hall) EMI 1954
https://www.youtube.com/watch?v=TkgatM3-t4k; durata h 00:04:42; ultimo accesso 17/07/23.



MADAMA BUTTERFLY - OPERA COMPLETA
Edizione del 17 febbraio 1955, Teatro Alla Scala, Maria Callas soprano. (Durata h 02:18:34)

Con Maria Callas: Lucia Danieli, Nicolai Gedda, Mario Borrello.
Orchestra e coro del Teatro alla Scala
direttore Herbert von Karajan.
https://www.youtube.com/watch?v=96TbPwQn-9A; ultimo accesso 17/07/23.




LIBRETTO
Di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
La Fenice prima dell'Opera 2012-2013; https://www.teatrolafenice.it/wp-content/uploads/2019/03/MADAMA-BUTTERFLY-3.pdf


La prima alla Scala, nel 1904, fu un fiasco, seguito, poco dopo, dal trionfo di Brescia. Della serata alla Scala scriveva Puccini a un amico: con animo triste ma forte ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d'odio. Ma la mia Butterfly rimane qual è: l'opera più sentita e suggestiva ch'io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d'odi e di passioni. (https://it.wikipedia.org/wiki/Madama_Butterfly)
Poco tempo dopo Madama Butterfly trionfava a Brescia. 





PRIMA DEL 1904

1885, Madame Chrysanthème, Pierre Loti, romanzo

Madame Chrysanthème è il romanzo scritto in prima persona da Pierre, giovane ufficiale della marina che sposa temporaneamente una geisha durante la sua permanenza in Giappone. La storia autobiografica - lo stesso Loti aveva avuto una moglie a tempo in Giappone - racconta la piccola avventura dal suo arrivo a Nagasaki -- dal fidanzamento con un sensale di matrimoni, alla sua relazione con Chrysanthème, e alla sua partenza finale. Il protagonista della storia è Pierre; piuttosto insensibile, come Pinkerton nel primo atto dell'Opera di Puccini. Chrysanthème è concreta, priva di emozioni e in secondo piano. SI separano amichevolmente; nella scena finale la geisha controlla i dollari d'argento che ha ricevuto come chiusura del contratto nuziale mentre Pierre la saluta in modo piuttosto tiepido:

- Vieni mia piccola musmè, salutiamoci da buoni amici. Abbracciamoci, se vuoi, anche se non sei stata un gran successo, mi hai dato quel che potevi: il tuo piccolo corpo, il tuo rispetto, la tua strana musica. E in tutto questo sei stata abbastanza dolce col tuo stile giapponese. Sai, credo che di volta in volta penserò a te, per qualche caso, rimemorando questa festosa estaTe, i giardini graziosi, e il canto delle cicale.



La storia del matrimonio temporaneo fra una geisha e un europeo è una fragile trama che serve all'A. per raccontare le sue conoscenze
del Giappone lontano.
Edizione francese del 1888: https://archive.org/details/bnf-bpt6k62124889/page/n12/mode/1up; ultimo accesso 22/07/23
Traduzione inglese: https://babel.hathitrust.org/cgi/pt?id=njp.32101074875780&view=1up&seq=13; ultimo accesso 22/07/23


Pierre Loti - a sinistra -
con Chrysanthème e un amico


1896 The Geisha, a story of a tea house, commedia musicale

Commedia eduardiana in due atti, andò in scena nel 1896 a Londra. Libretto di Owen Hall, musiche di Sidney Jones, versi delle canzoni di Harry Greenbank, altre canzoni aggiunte di Lionel Monckton. Il numero delle sue rappresentazioni ne fa il secondo musical più a lungo sulle scene di tutti i tempi. Lo spettacolo ebbe un successo immediato all'estero, con una produzione del 1896 a New York, numerosi tour e altrettanto numerose produzioni. La sua fortuna è durata ininterrottamente fino alla seconda guerra mondiale, e oltre. La canzone più famosa dello spettacolo è The Amorous Goldfish, https://www.youtube.com/watch?v=sBsW-gyfsCo.
Per una selezione della commedia musicale: https://www.youtube.com/watch?v=4E2FGCysYdA; durata: h 00:15:21.

In servizio in Giappone, lontano dalla fidanzata Molly, Lt. Reggie Fairfax della Royal Navy è solo. Passa gran parte del suo tempo alla Casa da Te delle Diecimila Gioie governatadal cinese Wun-Hi. Qui incontra la geisha O Mimosa San, con la quale nasce un amicizia, ma lei è innamorata di Katana, un militare, e per questo gli dice di non farsi illusioni con la celebre canzone
The Amorous Goldfish. Comunque Reggie dà a Mimosa una lezione di bacio.
La relazione non passa inosservataa Lady Constance Wynne, aristocratica viaggiatrice inglese, che scopre Reggie impegnato in un tête-a-tête con Mimosa e gl iricorda il suo fidanzamento con Molly. Lady Constance scrive a Molly, dicendole di venire in Giappone prima possibile. Il capo supremo del posto, marhese Imari, altro corteggiatore di Mimosa, non sopporta che la sua promessa sposa frequenti i marinai inglesi arrivati da pcoo, e ordina che la casa da te sia chiusa e che le ragazze siano vendute. Il marchese è a sua volta corteggiato dall'interprete francese Juliette.
Molly arriva inaspettata. Rimasta sola, è raggiunta da Mimosa e da Lady Constance, che le dicono come Reggie si sia innamorato di una geisha. Mimosa allora suggerisce che Molly si vesta da geisha per riconquistarlo. Intanto arriva il momento della vendita delle geishe. Il marchese cerca di comprare Mimosa , ma Lady Constance fa in modo di offrire più di lui per tenerla fuori dalle sue grinfie. Sfortunatamente non riesce a evitare che acquisti la seconda offerta, una nuova geisha che sichiama Roli Poli e che nessuno ha mai visto prima. Solo dopo che il marchese ha fatto il suo acquisto si scopre che questa geisha è Molly.
Nel giardino dei crisantemi del palazzo di Imari, Molly, ancora vestita da Roli Poli, attende il suo imminente matrimonio col marchese, che si sente molto attratto da lei. Mimosa propone un piano per salvare Molly dal suo destino: Mimosa si infilerà nella suite degli sposi e sostituirà Molly, che è velata, con un'altra sposa velata, Juliette, l'interprete francese.
Comincia la cerimonia nuziale, e il piano è portato a compimento: Juliette ha preso il posto di Molly, e il marchese senza saperlo sposa la donna sbaglaita. Quando scopre l'inganno, accetta stoicamente il suo destino, concludendo che "prima o poi tutti gli uomini sono delusi dalla loro moglie". Mimosa ora è libera di sposare l'amato Katana, e Molly torna insieme a Reggie, dichiarando che potendo avere un marinaio inglese non sposerebbe mai un nobile straniero.
(Info tratte da https://en.wikipedia.org/wiki/The_Geisha ultimo accesso 22/07/23; tr. it. nostra)

Nella commedia musicale del 1896 l'amore fra persone di culture diverse, occidentale e orientale, segnatamente inglesi e giapponesi, è possibile.
Qui, come nel romanzo di Pierre Loti, nessuno rinuncia alla propria cultura, nessuno si converte per poter sposare l'altro. Qui come nel romanzo che apre l'unione temporanea della geisha e del marine, la questione è sempre l'identità: come può essere mantenuta -  permettendo il lieto fine - e come può essere perduta - implicando la morte?
Amarsi significa morire se per l'amato si rinuncia alla propria cultura, alla sua legge, alla sua religione, alle usanze che regolano il rapporto fra l'uomo e la donna. Alla fine una lode al marinaio inglese, che riapparirà di lì a poco col nome definitivo dell'ufficiale di marina Benjamin
Franklin Pinkerton.



 
1898 Madame Butterfly, racconto di John Luther Long
Un pizzicotto  ovvero un punto di catastrofe


Il tenente di vascello della marina americana Benjamin Franklin Pinkerton [si osservi il nome altisonante], arriva in Giappone per prendere servizio su una nave nel porto di Nagasaki. Seguendo il suggerimento dell'amico Sayre, prende una moglie giapponese e una casa per il tempo della sua permanenza in città. La sua giovane moglie, Cho-Cho-San, è una geisha la cui famiglia è favorevole al matrimonio fino a che Pinkerton proibisce a tutti i parenti di venire a trovare Cho-Cho-San. Quando Allora i parenti ripudiano Cho-Cho-San. Viene il giorno nel quale la nave di Pinkerton salpa dal Giappone. Durante la sua assenza, e a sua insaputa, lei dà alla luce un bambino, che chiama Trouble. [Sembra credere che la parola inglese Trouble significhi Gioia. In ogni caso crescendo il bimbo sceglierà un altro nome] Il tempo passa senza che il marine faccia sapere nulla, ma Cho-Cho-San non dubita mai che Pinkerton tornerà da lei, e rimprovera la sua governante, Suzuki, che è  sempre più scettica. Goro, un mediatore di matrimoni le viene a proporle di divorziare da Pinkerton, dicendole che anche se lui dovesse tornare, la lascerà e le porterà via il bambino. Le propone uno sposo giapponese che si prenderà cura di lei, Yamadori, un principe che ha vissuto a lungo in America. Sebbene non abbia nessuna intenzione di seguire il piano di Goro, la geisha gli dice di combinare un incontro con Yamadori.
All'incontro Yamadori dice a Cho-Cho-San che Pinkerton considerava il loro matrimonio solo temporaneo, e suggerisce che a un certo punto divorzierà da lei e il bambino finirà in un orfanotrofio. Se invece accoglierà la sua proposta, potrebbe riconciliarsi con la sua famiglia e tenere con sé il bambino. Arrabbiata e sconvolta da quello che ha sentito, Cho-Cho-San incarica Suzuki di far uscire dalla sua casa Yamadori e il mediatore di matrimoni.
Poi va dal console americano a Nagasaki, Mr. Sharpless, per dissipare i suoi dubbi e chiedere il suo aiuto per far tornare Pinkerton. Mano a mano che lei gli racconta la sua storia, Sharpless sente un crescente disprezzo per Pinkerton. Gli chiede quindi di scrivere a Pinkerton e fargli sapere che se non torna lei sposerà Yamadori e porterà con sé il loro bambino. Poi dice al console che non ha veramente intenzione di farlo: si tratta solo di un trucco per far tornare Pinkerton. Sharpless le dice con gentilezza che non intende prestarsi a questo inganno, e la incoraggia ad accettare la proposta di Yamadori e a riconciliarsi con la sua famiglia.
Passano settimane nelle quali Cho-Cho-San scruta ansiosamente l'orizzonte sperando che giunga la nave di Pinkerton. Finalmente lo vede arrivare nel porto e, sopraffatta dall'emozione, insiema Suzuki orna la casa con tanti fiori per dargli il benvenuto. Poi Cho-Cho-San indossa il suo kimono più bello, e con Suzuki e il bambino si nasconde dietro un paravento per fagli una sopresa. Passa tutta la notte, ma Pinkerton non viene. Una settimana dopo vedono nel porto un piroscafo, e sul ponte c'è Pinkerton con una donna bionda. Per la seconda volta Butterfly aspetta con Suzuki tutta la notte: inutilmente. La mattina dopo la sua nave da guerra ha lasciato il porto. Sconvolta  Butterfly va da Sharpless per chiedergli se ha scritto a Pinkerton e per sapere perché se n'è andato senza farle visita. Per non ferire i suoi sentimenti Sharpless le dice che veramente aveva scritto a Pinkerton, che intendeva farle visita, ma aveva avuto troppe incombenze, e la sua nave era improvvisamente salpata per la Cina. Cho-Cho-San è triste ma sollevata, ma proprio in quel momento entra nella stanza la donna bionda del piroscafo, e sente quel che dice. Dopo essersi presentata come moglie di Pinkerton chiede al console di inviare a suo marito un telegramma con queste parole: "Ho appena visto il bambino e la sua nutrice. Possiamo prenderlo subito? E' un amore. Domani vedrò la madre per questo. Oggi quando ci sono andata non c'era. Ti raggiungerò mercoledì a Kioto Maru. Posso portarlo con me? Adelaide."
Disperata Cho-Cho-San si precipita a casa. Dice addio a Suzuki e al bambino e si chiude nella sua stanza per suicidarsi con la spada del padre. [...]
(https://en.wikipedia.org/wiki/Madame_Butterfly_(short_story); ultimo accesso 22/07/23; trad. it. nostra.)

Riportiamo l'ultimo capitolo (XV: Quando i pettirossi tornano a fare il nido), dal racconto di Long.
Vedi online: http://chelseaopera.org/butterfly/J.L.Long.Madama%20Butterfly.pdf; ultimo accesso 22/07/23. Tr. it. nostra.
"She sat quite still, and waited till night fell. Then she lighted the andon, and drew her toilet-glass toward her. She had a sword in her lap as she sat down. It was the one thing of her father’s which her relatives had permitted her to keep. It would have been very beautiful to a Japanese, to whom the sword is a soul. A golden dragon writhed about the superb scabbard. He had eyes of rubies, and held in his mouth a sphere of crystal which meant many mystical things to a Japanese. The guard was a coiled serpent of exquisite workmanship. The blade was tempered into vague shapes of beasts at the edge. It was signed, “Ikesada.”
To her father it had been Honor. On the blade was this inscription:
To die with Honor
When one can no longer live with Honor.
It was in obscure ideographs; but it was also written on her father’s kaimyo at the shrine, and she knew it well.
“To die with honor—” She drew the blade affectionately across her palm. Then she made herself prettywith vermilion and powder and perfumes; and she prayed, humbly endeavoring at the last to make her peace. She had not forgotten the missionary’s religion; but on the dark road from death to Meido it seemed best now to trust herself to the compassionate augustnesses, who had always been true.
Then she placed the point of the weapon at that nearly nerveless spot in the neck known to every Japanese, and began to press it slowly inward. She could not help a little gasp at the first incision. But it divided on her shoulder, the larger stream going down her bosom. In a moment she could see it making its way daintily between her breasts. It began to congeal there. She pressed on the sword, and a fresh stream swiftly overran the other—redder, she thought.
And then suddenly she could no longer see it. She drew the mirror closer. Her hand was heavy, and the mirror seemed far away. She knew that she must hasten. But even as she locked her fingers on the serpent of the guard, something within her cried out piteously. They had taught her how to die, but he had taught her how to live—nay, to make life sweet. Yet that was the reason she must die. Strange reason! She now first knew that it was sad to die. He had come, and substituted himself for everything; he had gone, and left her nothing—nothing but this.
The maid softly put the baby into the room. She pinched him, and he began to cry.
“Oh, pitiful Kwannon! Nothing?”
The sword fell dully to the floor. The stream between her breasts darkened and stopped. Volse lentamente la testa in avnati.  Her arms penitently outstretched themselves toward the shrine. She wept.
“Oh, pitiful Kwannon!” she prayed.
The baby crept cooing into her lap. The little maid came in and bound up the wound.

When Mrs. Pinkerton called next day at the little house on Higashi Hill it was quite empty.
Sedette calma e rimase così finché la notte cadde. Poi accese la lanterna e avvicinò a sé il bicchiere che era sulla toilette. Si sedette con la spada in grembo. Era l'unica cosa di suo padre che i parenti le avevano lasciato. Per i giapponesi era un oggetto bellissimo, perché la spada è un'anima. Un drago d'oro si avvolgeva intorno al magnifico fodero. Aveva occhi di rubino e teneva in bocca una sfera di cristallo che in Giappone ha significati mistici. L'elsa era un serpente arrotolato di squisita fattura. Sul bordo della lama erano incisi animali dalle forme affascinanti. Era firmata "Ikesada". Per suo padre aveva significato Onore. Sulla lama c'era questa incisione:
Morire con onore
Se non si può più viver
con onore.

Era in ideogrammi misteriosi, ma la stessa scritta figurava anche sulla tavoletta funebre di suo padre che era sull'altare e lei ne conosceva bene il senso.
"Morire con onore..." Si passò lentamente la lama sul palmo della mano. Poi si fece bella con rossetto, cipria e profumi; e pregò, implorando finalmente la pace. Non aveva dimenticato la religione dei frati della missione; ma sulla via oscura verso la morte le sembrava meglio affidarsi alla compassione dei massimi dei, che erano sempre stati sinceri con lei.
Poi appoggiò la punta dell'arma nel collo dove non ci sono quasi nervi, punto letale noto a tutti i giapponesi, e cominciò a premerla lentamente. Alla prima incisione non poté trattenere un sussulto.
Una parte del sangue andò a bagnarle la spalla, mentre il flusso più copioso le scendeva sul seno. Ora poteva vedere il sangue farsi strada delicatamente fra i seni, dove cominciò a rapprendersi. Premette la spada e un nuovo getto si sovrappose all'altro rapidamente: più rosso, osservò. All'improvviso non lo vide più. Cercò di avvicinarsi lo specchio. La sua mano era pesante e lo specchio sembrava lontano. Sapeva che doveva sbrigarsi. Ma proprio mentre stringeva le dita sul serpente dell'elsa, qualcosa dentro di lei gridò pietà. Loro le avevano insegnato a morire, ma lui le aveva insegnato a vivere - no, a rendere dolce la vita. Ed era proprio per questa ragione che doveva morire. Che strana ragione! In quell'istante seppe per la prima volta che morire era triste. Lui era venuto e aveva messo se stesso al posto di ogni altra cosa; se n'era andato e non le aveva lasciato niente, nient'altro che questo.
Suzuki portò il bambino nella stanza senza far rumore. Gli diede un pizzicotto e il bambino si mise a piangere.
"O misericordioso Kwannon! Nulla?"
La spada cadde meccanicamente sul pavimento. Il flusso di sangue fra i suoi seni si scurì e si fermò. Con pena tese le braccia verso il santurario. Pianse.
"O misericordioso Kwannon!"
Il bambino ciangottando si arrampicò in grembo alla madre. La piccola Suzuki entrò e le fasciò la ferita.
Il giorno dopo quando la signora Pinkerton venne a cercarla sulla collina di Higasaki, la casa era vuota.


La dolcezza della vita vissuta, anche perduta, può bastare a vivere, anche se si è perso tutto?
Il pianto del bambino fa cadere l'arma dalle mani di Butterfy, e Suzuki le fascia la ferita non letale.
Butterfly, nel momento in cui ha perso con Pinkerton l'onore - la legittimazione del marine statunitense - dopo aver perso la legittimazione della sua famiglia, recupera l'onore - la legittimazione patriarcale senza la quale l'identità si dissolve(rebbe?) - con l'atto fallico che, essendo fallito all'esterno, il samurai rivolge contro se stesso. Il fallo, la spada del samurai, non viene meno, anche se per mantenere la sua potenza si sacrifica la vita. La straordinaria produzione di storie da parte del Giappone - le anime si sono diffuse nel mondo intero - mostra quale cura sia necessaria quando solo la morte permette la fedeltà alla cultura gerarchica fallocentrica. Che forse, se non fosse ridondante, si potrebbe chiamare itifallocentrica, per ricordare che è il pene eretto il significante corporeo dal fallo, non la sua esistenza. Che anzi, se il pene non si erige è la negazione della figura del prestigio maschile. Nessun essere umano è allo stesso tempo umiliato e disperato, nella mia esperienza, come l'uomo, soprattutto se ancora giovane, che non può contare sulla sua erezione. La donna che non sperimenta l'orgasmo nella penetrazione non se ne fa un problema, anche se nell'analisi il tema a un certo punto prende parte al lavoro d'analisi. La donna è una creatura umiliata e disperata se ha fallito la propria maternità, anche se non ha nessuna responsabilità nella morte del feto o del bambino appena nato. Se non sa dare la vita, non importa se per colpa sua, la donna vive una crisi della presenza (Ernesto De Martino) diversa e altrettanto grave di quella dell'uomo al quale manca l'erezione.

Ci piace pensare che Butterfly, Suzuki e il bambino, accettando la proposta del principe Yamadori vivano felici e contenti in pace e prosperità. Come in una fiaba. Senza legittimazione, ovvero, legittimati a vivere dalla vita stessa.
Forse nella mia esperienza di psicoanalista, sia personale sia professionale, la cosa più importante che ho compreso e che vorrei condividere è questa: se si perde l'unica legittimazione di cui si dispone, esperienza potenzialmente tragica, ben peggiore di quella che ci permette di rinunciare a una legittimazione per accettare l'offerta di un'altra legittimazione, si pensa di morire. E se non si muore, si scopre quel che scopre Butterfly: quel che attendevamo inutilmente, l'inganno nel quale siamo caduti, lascia il posto ai pettirossi di cui non ci accorgevamo, perché guardavamo dalla parte sbagliata.
Pinkerton aveva promesso di tornare quando il pettirosso rifaceva il nido, quindi, finché Pinkerton non torna, i pettirossi non nidificano, almeno in America o nei pressi della piccola casa dove Butterfly vive con Suzuki e il bambino. Il tempo si ferma per mantenere la legittimazione del marine, così è per Butterfly, e nessun tempo può seguire se la legittimazione manca. Oppure... oppure si esita, il tempo si affaccia, come memoria della dolcezza vissuta con lui e poi perduta, un istante... Ma è un istante di esitazione, che succede al lamento che Cho-Cho-San non può trattenere affondando la prima volta l'arma paterna nel collo, piccolo gemitosuono che forse impedisce alla lama di uccidere la geisha. Come donna Butterfly può commettere e non commettere il suicidio, perché la sua presenza è e non è legata alla logica fallocentrica.
Le donne in analisi cominciano a permettere di crescere alla loro femminilità come scoprendo un seme che avevano dimenticato di avere, forse perché assumendo la funzione fallica necessaria per studiare, lavorare e amare essendo autonome hanno comprensibilmente assunto una posizione itifallica. L'infelicità nelle relazioni con l'altro sesso, né più né meno che con il proprio, e l'insignificanza per la propria presenza dei successi professionali conquistanti in competizione fallica, può provocare una crisi radicale. Accade che la maternità, con un partner o con la fecondazione da donatore, possa allontanare questa crisi, ma se è desiderata per colmare un vuoto rischia di implicare problemi non facili per la madre e non solo. Il figlio non colma un vuoto, ha bisogno di un pieno: un seno che può offrire nutrimento, un grembo che non è una cavità nella quale rifugiarsi, pena l'incesto permanente e invischiante, un essere umano che non sia terrorizzato dal vuoto che si percepisce quando il figlio cresce. Se il figlio deve colmare il vuoto della femminilità come assenza del pene (Irigaray, Speculum) si ha il formidabile servaggio erotico, per il quale il figlio è potente, ma non può costruire la sua azione perché resta in prossimità del vuoto materno, che lo legittima ancorandolo a sé, come una bella nave che però non può mai lasciare il porto.

Studiando i racconti, fiabe, miti e melodrammi, ci chiediamo: cosa cambia nella trasposizione del racconto a lieto fine in un tragico musical per fare in modo che la geisha Butterfly muoia rivolgendo contro di sé il pugnale paterno? Onore è scegliere una legittimazione e riceverla: si rinuncia a quella della famiglia per avere quella di Pinkerton, mancando quella di Pinkerton ci si riappropria con l'harakiri della legittimazione paterna. Onore non è mantenere religione e tradizioni, onore è per Madama Butterfly in Puccini, come in Belasco (1900) è meritare una legittimazione maschile. Se questa legimazione è perduta, Butterfly si trova in una crisi della presenza (De Martino) che può risolvere solo morendo. E grazie al suo sacrificio il figlio amatissimo può appartenere al padre e alla legittima moglie di lui, quindi avere una legittimazione. Ma nel racconto di Long Butterfly sa riflettere (riflettere vuol dire piegare indietro, ri-pensare) perché la prende il senso di dolcezza della vita. E perché il pianto del suo bambino le fa cadere di mano l'arma. Il pizzicotto di Suzuki è un punto di catastrofe che cambia lo stato dell'attante principale del racconto e apre a un fine possibile diverso dal sacrificio estremo di questo personaggio nellì'opera lirica.
 
Mi piace ricordare le parole di uno dei più antichi racconti delle Mille e una notte:00
È bella la fedeltà ma è bella anche la leggerezza.
Qui Butterfly, rinunciando al suicidio per salvare il suo onore, apre una via PER NON MORIRE. Via che diventa un vicolo cieco in Belasco (1900) e in Puccini (1904). La consapevolezza dei valori diversi delle culture che cambiano nel tempo e nello spazio apre una crisi della presenza (Ernesto De Martino) collettiva non meno che individuale? Si può immaginare un'identità priva dei fondamenti del passato, costruiti intorno all'axis mundi (Mircea Eliade) itifallico, crollando il quale svanisce la legittimazione gerarchica patriarcale che garantisce la presenza di uomini e donne, e il senso di istituzioni idealizzate come il matrimonio?  Come in un finale di fiaba Butterfly può non morire: cercheremo di approfondire e comprendere questo finale che, se non è un finale felice, non è però un finale tragico.


A fianco in neretto i nomi che saranno gli stessi nella Butterfly di Belasco del 1900, che Puccini vide a Londra nel giugno dello stesso anno...



1900 Madame Butterfly: A Tragedy of Japan, David Belasco, New York
http://www.columbia.edu/itc/music/NYCO/butterfly/images/belasco_sm.pdf

During the vigil, the night comes on. Suzuki lights the floor lamps, the stars come out, the dawn breaks, the floor lights flicker out one by one, the birds begin to sing, and the day discovers Suzuki and the baby fast asleep on the floor; but Madame Butterfly is awake, still watching, her face white and strained.

Per questa parte David Belasco, grande scenografo e regista teatrale, organizzò un gioco di luci usando nuovi strumenti e nuove tecniche che colpirono Giacomo Puccini. Alle sapienti luci di Belasco corrisponde nell'opera di Puccini il coro a bocca chiusa: l'attesa di Butterfly e la negli spettatori che la sola cosa che le accadrà è l'abbandono di Pinkerton.
Il gesto di mettere in mano al bambino una bandierina americana, presente nell'Opera di David Belasco, è ripreso da Marina Abramović nella parte relativa a Butterfly, Hara kiri

Riguardo alla tragedia, la differenza fra l'azione di Suzuki qui come nell'Opera di Puccini è il pizzicotto: il bambino entra dalla madre, che non ha ancora eseguito il sacrificio, e la madre lo allontana per procedere nel sacrificio mortale. Manca anche l'esitazione di Butterfly, sulla quale si innesta l'azione dell'aiutante Suzuki.




DOPO

1914 The Geisha, cortometraggio; regia di Raymond B. West; copione di J. G. Hawk

Ricevuto l'ordine di imbarcarsi per terre lontane, il guardiamarina Carver dice addio alla sua fidanzata e parte per il Giappone. Carver, il suo amico Blake e altri due o tre ufficiali sbarcano a Nagasaki e vanno a vedere la città. Visitando un giardino giapponese incontrano Myo, una bellissima geisha, e Carver se ne innamora. È talmente preso da lei che rifiuta di tornare sulla nave. Blake, per salvare Carver da se stesso, tenta di arrestarlo, ma Carver fugge. Allora Blake, per salvarlo dal disonore della diserzione, dice al capitano che Carver cadendo si è rotto una gamba e che per questo deve rimanere per qualche tempo in ospedale. Carver sposa Myo, resta in Giappone, e scrive a Cecelia per rompere il fidanzamento. Due anni dopo il senatore Ridgway, padre di Cecelia, viene inviato in Giappone per una missione diplomatica. Nel giardino giapponese del tè incontra Carver che è ormai un derelitto che non fa altro che bere. Quando viene a sapere che il senatore Ridgway vorrebbe impadronirsi di alcuni documenti del governo giapponese, Carver tenta di rubare i documenti al barone Yoshido sperando di riconquistare il favore di Cecelia. Viene però visto da Takura, il precedente amante di Myo, che lo segue fino alla casa del senatore Ridgway. Vistosi scoperto, Carver si uccide per non essere catturato dai  giapponesi. L'opera si chiude con Myo che singhiozza davanti al suo santuario nel giardino. (Moving Picture World synopsis, https://www.imdb.com/title/tt0223349/plotsummary/?ref_=tt_ov_pl; tr. it. nostra.
)



2020 Marina Abramović, Seven Deaths of Maria Callas: Harakiri
Nella performance Seven Deaths of Maria Callas (Hara-kiri) Abramović/Butterfly, coperta da una tuta anti-radiazioni come Pinkerton e il bambino che lei porta per mano, gli mette in mano una bandierina americana e lo manda dal padre, che si allontana con lui dopo aver rivolto uno sguardo alla piccina mogliettina. Salvato il figlio insieme al padre col suo sacrificio, Abramović/Butterfly si toglie la tuta e si lascia morire per le radiazioni atomiche.
Il particolare della bandierina è già in Belasco. Irrinunciabile l'associazione fra la morte di Butterfly devastata dall'abbandono del marine Pinkerton e la distruzione di Nagasaki.
Dobbiamo ricordare però che la violenza sulla donna e sulle Terre conquistate o da conquistare è una costante della condizione umana, e riguarda quindi ogni popolo in guerra. Anche i bambini sono violenti, ma essendo piccoli e disarmati non fanno morti e feriti, come i popoli colonizzati e/o disarmati.

See-Hara-Kiri-Marina-Abramovic
APPROFONDIMENTI

Dovunque nel mondo. L'Inno di Pinkerton e degli U.S. e l'alzabandiera dei Marines
Atto I, Scena II. Luciano Pavarotti, dir. H. von Karajan, Decca 1974
https://www.youtube.com/watch?v=tmfWCban_LU;  ultimo accesso 17/07/23
Dovunque al mondo il yankee vagabondo
si gode e traffica
sprezzando i rischi.
[...]

Affonda l'ancora
alla ventura...
finché una raffica
scompigli nave, ormeggi, alberatura...
[...]
La vita ei non appaga
se non fa suo tesor
i fiori d'ogni plaga...
d'ogni bella gli amor.
[...]
Vinto si tuffa
e la sorte riacciuffa.
Il suo talento
fa in ogni dove.
Così mi sposo all'uso giapponese
per novecento
novantanove
anni. Salvo a prosciogliermi ogni mese.
«America for ever!»



Pavarotti in costume da Pinkerton
BREVE STORIA DELL'INNO AMERICANO
Intorno al 1760, a Londra, la Anacreontic Society, i cui membri erano amanti della musica e del vino, come il poeta greco al quale avevano intitolato la società stessa, commissionò al giovane musicista John Stafford Smith la composizione della musica per il testo scritto dal presidente dell'Associazione in versi anacreontici. Così nacque Anacreon in Heav'n, che inneggiava alla buona compagnia e al vino e veniva cantato nelle riunioni della associazione. Pubblicato in America all'inizio dell?ottocento fu unito ai versi egualmente anacreontici scritti nel 1814 da Francis Scott Key per celebrare la resistenza di Baltimora all'attacco navale inglese. Nacque così "The Star Spangled Banner", che divenne la musica dei Marines per l'alzabandiera. Divenne popolarissimo, nonostante le critiche dei proibizionisti, che trovavano sconveniente che una canzone per bere diventasse l'inno della bandiera americana, e quelle di chi lo trovava violento nei toni e difficile da cantare. Come inno della bandiera dei Marines Puccini lo citò ampiamente nel canto di Pinkerton quando sta per prendere possesso di Butterfly.
Nel 1931 il presidente H. C. Hoover lo proclamò Inno nazionale degli Stati Uniti, con la musica originale del 1760 di J. S. Smith e il testo di F. S. Key del 1814. (Vedi anche Star Spangled Banner, sito della Library of Congress, https://www.loc.gov/item/ihas.200000017; consultato il 18/07/23)

Inno dei Marines, video con didascalie in inglese e in italiano; ultimo accesso 19/07/23
La musica di questo inno fu copiata da un'opera di Offenbach (wikipedia); ultimo accesso 18/07/23




Issare la bandiera

Piantare la bandiera della propria nazione sulla terra conquistata simbolizza il possesso della donna.
Ricordiamo le parole del popolare inno dei conquistatori italiani in Africa: Faccetta nera, bella abissina, aspetta e spera che già l'ora s'avvicina! https://www.youtube.com/watch?v=QWxJWQSKPg.

La conquista è ancora più esaltante se la terra raggiunta e conquistata è un nuovo continente: terra vergine.
Ricordiamo Leporello quando conclude la celebre Lista delle conquiste di don Giovanni: sua passion predominante è la giovin principiante... (Mozart Da Ponte)


Se la bandiera issata sulla terra simbolizza la presa di possesso delle donna, vale anche l'opposto: il possesso della donna fortifica l'uomo corroborando la sua sensazione di possedere una terra, una città, un proprio posto, o, nell'inno dei marines, di poter trovare il proprio posto dovunque al mondo. Come scrive Dolto, che cito a memoria, per l'uomo il rapporto sessuale è sempre narcisizzante.
L'accusa mossa a Freud di aver fatto della tragedia greca un dramma borghese cade se si dedica attenzione all'analogia Giocasta/Tebe, della quale l'altro lato è l'analogia Edipo-sposo-della-regina/Edipo-re-di-Tebe. Conquistare la città, la terra e la donna, è nella nostra cultura la stessa azione. 
La posta in gioco del conquistador, sia don Giovanni, sia Pinkerton, sia il marine, sia il soldato italiano in Libia (ma anche l'astronauta sulla Luna o l'alpinista sulla vetta) è l'affermazione della funzione fallica sulla natura-senza-legge-umana. Anche Freud considerava più debole il Superio della donna, nonostante la percentuale di donne sul totale dei criminali sia molto bassa.

Le guerre epiche, che riguardavano due popoli nemici, o due stirpi nemiche, erano guerre mondiali, e la posta era la fine o la salvezza della civiltà: vale a dire del mondo conosciuto. Questo vale per il Mahabharata e per l'Iliade. Il mito racconta che la Terra, oppressa dal peso dei troppi esseri umani, pur suoi discendenti, vuole la guerra per liberarsi dal peso, riducendone il numero.
Lo stesso mito si articola nel nostro tempo, spinto dalla stessa angoscia di colpa che sempre perseguita l'essere umano, opposto complementare della sua marcia trionfale di dominio, tecnico e bellico.
Così la Terra oggi è ferita da troppe bandiere - fabbriche, grattacieli, raffinerie - piantate sul suo corpo; è in collera per il male della colonizzazione che ha sterminato ed emarginato i nostri fratelli, come noi discendenti di lei; è malata per colpa nostra, dei veleni che abbiamo versato nelle sue acque dolci e salate.
Il mito potrebbe essere anche la realtà vera e propria, e il peso mai sopportato dalla terra di otto miliardi di esseri umani potrebbe esigere una riduzione drastica della nostra presenza e del nostro potere.
Ma il mito è la nostra sola possibilità di rappresentare a noi stessi quello che viviamo, o che crediamo di vivere, in modo da salvaguardare la fiducia nella nostra possibilità di invertire la distruzione del nostro habitat sulla Terra Madre.
Ciò che noi esseri umani non sopportiamo è di essere sottoposti al caso, che preferiamo chiamare destino. Il destino implica una volontà, personale o impersonale, un piano, un progetto, al limite quello delle tre Parche - o Moire o Norne. Il caso non ha nulla di umano ed è imprevedibile e alieno da qualunque categoria di pensiero, è un meteorite che dalle immense innumerevoli vie dell'Universo può venire a sbattere sul nostro minuscolo pianeta e annientare ogni forma di vita in un batter d'occhio. Del resto un virus può fare la stessa cosa, sul singolo essere umano o su un numero immenso di esseri umani, come è successo con il Covid-19.
Noi fondiamo la nostra esistenza, la nostra stessa particolarità rispetto agli altri animali, immaginando e progettando di sottrarci al caso, anche se a questo sembra accompagnarsi la persecuzione della colpa.







L'espressione fallica della bandiera issata sulla terra come la presa di possesso delle donna, vale anche rovesciata: il possesso della donna fortifica l'uomo corroborando la sua sensazione di possedere una terra, una città, un proprio posto dovunque al mondo. Come scrive Dolto, che cito a memoria, per l'uomo il rapporto sessuale è sempre narcisizzante.
L'accusa mossa a Freud di aver fatto della tragedia greca un dramma borghese cade se si dedica attenzione all'analogia Giocasta/Tebe, della quale l'altro lato è l'analogia Edipo-sposo-della-regina/Edipo-re-di-Tebe. Conquistare la città, la terra e la donna, è nella nostra cultura la stessa azione. 
La posta in gioco del conquistador, sia don Giovanni, sia Pinkerton, sia il marine, sia il soldato italiano in Libia (ma anche l'astronauta sulla Luna o l'alpinista sulla vetta e anche Edipo prima di Colono) è l'affermazione della funzione fallica sulla natura-senza-legge-umana. Anche Freud considerava più debole il Superio della donna, nonostante la percentuale di donne sul totale dei criminali sia molto bassa.

Le guerre epiche, che riguardavano due popoli nemici, o due stirpi nemiche, erano guerre mondiali, e la posta era la fine o la salvezza della civiltà: vale a dire del mondo conosciuto. Questo vale per il Mahabharata e per l'Iliade. Il mito racconta che la Terra, oppressa dal peso dei troppi esseri umani, pur suoi discendenti, vuole la guerra per liberarsi dal peso, riducendone il numero.
Lo stesso mito si articola nel nostro tempo, spinto dalla stessa angoscia di colpa che sempre perseguita l'essere umano, opposto complementare della sua marcia trionfale di dominio, tecnico e bellico.
Così la Terra oggi è ferita da troppe bandiere - fabbriche, grattacieli, raffinerie - piantate sul suo corpo; è in collera per il male della colonizzazione che ha sterminato ed emarginato i nostri fratelli, come noi discendenti di lei; è malata per colpa nostra, dei veleni che abbiamo versato nelle sue acque dolci e salate.
Il mito potrebbe essere anche la realtà vera e propria, e il peso mai sopportato dalla terra di otto miliardi di esseri umani potrebbe esigere una riduzione drastica della nostra presenza e del nostro potere.
Ma il mito è la nostra sola possibilità di rappresentare a noi stessi quello che viviamo, o che crediamo di vivere, in modo da salvaguardare la fiducia nella nostra possibilità di invertire la distruzione del nostro habitat sulla Terra Madre.
Ciò che noi esseri umani non sopportiamo è di essere sottoposti al caso, che preferiamo chiamare destino. Il destino implica una volontà, personale o impersonale, un piano, un progetto, al limite quello delle tre Parche - o Moire o Norne. Il caso non ha nulla di umano ed è imprevedibile e alieno da qualunque categoria di pensiero, è un meteorite che dalle immense innumerevoli vie dell'Universo può venire a sbattere sul nostro minuscolo pianeta e annientare ogni forma di vita in un batter d'occhio. Del resto un virus può fare la stessa cosa, sul singolo essere umano o su un numero immenso di esseri umani, come è successo con il Covid-19.
Noi fondiamo la nostra esistenza, la nostra stessa particolarità rispetto agli altri animali, immaginando e progettando di sottrarci al caso, anche se a questo sembra accompagnarsi la persecuzione della colpa
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Nagasaki, città di porto. Il suicidio di Butterfly e la devastazione atomica
Butterfly ha atteso Pinkerton per tre anni, e quando finalmente torna, annunciato dal fil di fumo, non è per amarla, ma per visitare la città con la legittima sposa americana. Morendo Butterfly permette al figlio di sfuggire al destino che avrebbe con lei senza padre: partirà per l'America con Pinkerton e la donna bionda. Con queste parole lo saluta prima di fare hara kiri:  Tu, tu piccolo iddio! Amore, amore mio, fior di giglio e di rosa...

Difficile sottrarsi all'associazione fra il tragico destino della geisha Cho-Cho-San, Madama Butterfly, e l'atomica sulla sua città, il porto sul quale approda per due volte la nave di Pinkerton. Al fil di fumo tanto desiderato da Butterfly corrisponde il fumo del fungo atomico che ha raddoppiato nella città di Butterfly il destino di Hiroshima. Dalla prima storia del matrimonio temporaneo fra il viaggiatore o il marine e la geisha, la scena è ambientata a Nagasaki. Il protagonista si chiama sempre Pinkerton, e le nozze fra lui e la geisha sono temporanee.

Ancora un'associazione: Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Il dottor Stranamore. Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba) Stanley Kubrick, 1964. US e UK.
Trailer con didascalie in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=D3hJB9CFeqU;
Finale: https://www.youtube.com/watch?v=bV-P7TBU4ZM. Ultimo accesso ai siti qui citati04/08/23.
A destra due fotogrammi dal film. Che amiamo profondamente.
Sapere che la nostra organizzazione può portarci in qualunque momento alla distruzione totale, e continuare a vivere e lavorare meglio che possiamo: questo fa Stanley Kubrick. Come altri che amiamo, come Sigmund Freud ed Ernesto De Martino.

Il pilota guarda cosa non funziona...


...e parte trionfante a cavallo della bomba




Yukio Mishima, hara kiri
Yukio Mishima (a destra) ha fatto harakiri davanti alle telecamere, il 25 novembre 1970. Il grande scrittore giapponese aveva scritto: "Nell'attimo in cui la spada viene sguainata sta l'essenza della bellezza maschile".
Non c'è bisogno di evocare l'autorità di Freud per riconoscere il simbolismo erotico di questo inno alla bellezza dei maschi da parte di un maschio.
La spada per un giapponese è un'anima, pensiamo che è un simbolo vivente, come il pane nella nostra cultura simbolizza il corpo di Cristo: mia madre esigeva che si mettessero via le carte con le quali da bambini giocavamo col nonno quando si doveva apparecchiare, e io stessa, come lei e come la nonna, non metto il pane rovesciato in tavola: per quanto sia atea, non sopporto esteticamente il filone di pane toscano con la base in alto, che per mia madre era il corpo di Cristo, ed evidentemente non si poteva posare il volto divino del Salvatore rivolto verso il basso.

Anche Butterfly muore dopo aver garantito al suo piccolo iddio, il suo bambino, un padre che lo porterà con sé nel suo grande paese. Sul pugnale ereditato dal padre sta scritto: con onor muore chi non può serbar vita con onore.
Non Pinkerton provoca la morte di Butterfly, ma la sua irreversibile appartenenza al patriarcato fallocentrico del padre che come lei per salvare l'onore si era suicidato lasciandole in eredità la sua arma.
Alla donna che poteva fare harakiri insieme al marito era riconosciuta una potenza fallica analoga a quella dell'uomo. Non mi risulta che ci sia una storia giapponese nella quale la donna può recuperare l'onore con l'harakiri da sola, certo non prima del racconto di Long. Del resto Long fa prevalere la dolcezza sperimentata dalla donna nella relazione con l'uomo, che resta nella memoria anche se il marine non torna. In a questo senso i pettirossi finalmente fanno il nido: Queste parole incise sul metallo sono le ultime che legge Butterfly. Butterfly significa farfalla in inglese, come Cho-Cho-San in giapponese. Psiche in greco significa anche farfalla: la creatura più lieve, capace di volare, può rappresentare psiche, l'anima. La farfalla è l'anima come la spada del samurai. La donna può accompagnare il suo uomo nell'estremo gesto itifallico, come a sostenerlo, perché il suo fallo è il fallo del marito, che lui lo sappia o lo creda o no. Basta che lei ne sia convinta.

Una storiella su Churchill e la moglie racconta che la signora si mise a parlare con un netturbino, e alla domanda del marito disse che era stato un suo pretendente. Churchill allora osservò che se l'avesse sposato ora sarebbe stata moglie di un netturbino. La signora Churchil allora ribatté che sarebbe comunque stata moglie del primo ministro, Churchill sarebbe stato un netturbino.
Sia l'uomo sia la donna nella cultura itifallocentrica si considerano determinanti e indispensabili, l'uomo come detentore del fallo che provvede alla legittimazione - a garantire la presenza - della donna chesposa e dei figli che nascono o crescono nel matrimonio. La donna come indispensabile garante dell'erezione maschile, della sua generatività, insomma della sua potenza.  

Pinkerton non poteva immaginare quale fedeltà all'onore avesse la sua piccina, olezzo di verbena, né di cosa fosse capace. Hegel sbaglia quando nell'estetica dice che mentre per l'uomo al di sopra di tutto sta l'onore, per la donna l'amore occupa il posto supremo. Anche per la donna nel patriarcato è l'onore il valore più alto, ma il suo onore è l'onore del suo sposo. Quando lo sposo non la onora, come Pinkerton che le si presenta con la moglie, la farfalla lieve lieve assume su se stessa la difesa del proprio onore. Ma sull'onore di Pinkerton la ferita di Butterfly non si rimargina.

Il coro a bocca chiusa risuona nella notte di attesa di Butterfly, prima della sua definitiva disillusione.



Tu, tu, piccolo iddio!
amore, amore mio,
fior di giglio e di rosa.
Non dei saperlo mai:
per te, per i tuoi puri
occhi muor Butterfly,
perché tu possa andar di là dal mare
senza che ti rimorda, ai dì maturi,
il materno abbandono.

O a me, sceso dal trono
dell’alto paradiso,
di tua madre la faccia!…
che ten resti una traccia!
Addio! piccolo amor! Va’. Gioca, gioca.
(Butterfly ha aperto lo shosi e spinto il bambino nel giardino. Un raggio chiarissimo è penetrato nella stanza; lei chiude; oscurità.
Poi afferra il coltello e va dietro al paravento. Si ode cadere a terra il coltello, e il velo bianco scompare dietro al paravento.
La voce di PINKERTON (da fuori)
Butterfly!… Butterfly!…Butterfly!…
(Butterfly appare barcollando, fa qualche passo
verso la porta come per aprire, e cade morta.)

CALA IL SIPARIO






NB Per tutti i testi di questa pagina, sia trascrizioni, sia contributi personali, è responsabile A. Gasparini.
Grazie per ogni contributo, anche segnalazione di errori o sviste.


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Ultima revisione: 19/09/2023