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FIABE ITALIANE DIALETTALI E ALLOGLOTTE
SCELTE, TRASCRITTE, TRADOTTE E ANNOTATE DA ADALINDA GASPARINI

VOLO NOTTURNO DA FIRENZE ALLE FIANDRE
GIOVAN FRANCESCO STRAPAROLA, LE PIACEVOLI NOTTI
Notte VII, Favola I, pp. 350-357



 

Lungo  sarebbe  il  raccontare  quanto  e  qual  sia l'amore  che  porta  la  moglie  al  marito,  massimamente quando ella ha uomo a sodisfacimento di sé stessa trovato.
Ma pel contrario non è odio maggiore di quello della donna, quando ella si trova in podestá di marito che poco le aggrada; perciò che, sí come scriveno i savi, la donna o sommamente ama o sommamente odia. Il che agevolmente potrete  comprendere,  se  alla  favola,  che  ora  raccontar v'intendo, benigna audienza prestarete.
Fu adunque, valorose donne, un mercatante nominato Ortodosio Simeoni, nobile fiorentino, il quale aveva una donna per moglie Isabella chiamata, vaga d'aspetto, gentile di costumi e di vita assai religiosa e santa. Ortodosio, desideroso di mercatantare, prese licenzia da' parenti suoi, e non senza grandissimo cordoglio della moglie, di Firenze si partí, e con le sue merci in Fiandra se n'andò. Avenne che Ortodosio per sua buona, anzi malvagia sorte, prese una casa  a  pigione  a  dirimpetto  d'una  corteggiana  nomata Argentina; del cui amore sí fieramente s'accese, che non che d'Isabella, ma di sé stesso piú non si ricordava. Erano trascorsi cinque anni che Isabella non aveva udita novella alcuna di suo marito, se vivo o morto fosse, o dove si trovasse. Di che ella ne sentiva la maggior passione che mai donna sentisse; e parevale che a tu
tte ore l'anima le fusse tratta fuori del cuore. La miserella, sendo religiosa e tutta dedita  al  divino  culto,  per  sua  divozione  ogni  dí se n'andava alla chiesa dell'Annunciata di Firenze; ed ivi, postasi in genocchioni, con calde lagrime e pietosi sospiri che dal petto uscivano, pregava Iddio che a suo marito concedesse il presto ritorno. Ma gli umili prieghi e lunghi digiuni  e  le  larghe  limosene  ch'ella  faceva,  nulla  le giovavano; laonde vedendo la poverella che né per digiuni, né per orazioni, né per limosene, né per altri beni da lei fatti essaudita non era, determinò cangiare maniera e prender contrario partito; e sí come ella per l'adietro era stata divota e  fervente  nelle  orazioni,  cosí  ora  tutta  si  diede  alle incantagioni e fatture, sperando le cose sue riuscirle in meglio. Ed andatasene sola una mattina a trovar Gabrina Furetta, a quella molto si raccomandò, isponendole tutte le bisogna sue.
Era Gabrina donna molto attempata e nell'arte magica piú che ogni altra isperimentata; e facea cose fuor d'ogni natural costume, ch'era un stupor ad udire, non che a vedere. Gabrina, inteso il desiderio d'Isabella, si mosse a pietá e promise d'aiutarla; e confortolla ad esser di buon animo, che tosto vederebbe e goderebbe il suo marito.
Isabella, per la buona risposta tutta allegra, aperse la borsa, e dièle dieci fiorini. Gabrina, per gli ricevuti danari lieta, si mise in vari ragionamenti, aspettando la buia notte. Venuta l'ora destinata dalla maga, ella prese il suo libretto, e fece in terra un cerchio di non molta grandezza, intorniandolo con certi segni e caratteri; indi prese un dilicato liquore e una gocciola ne beve, ed altrettanto ne diede ad Isabella bere. E bevuto che ella ebbe, cosí le disse:  
- Isabella, tu sai che noi siamo  qui  ridotte  per  far  uno  scongiuro,  acciò  che intendiamo  del  marito  tuo;  però  è  bisogno  che  tu  sii costante, non temendo cosa che tu sentesti o vedesti, che spaventevole fusse. Né ti dia l'animo d'invocar Iddio, né santi, né farti segno di croce, perciò che non potresti tornar a dietro, e staresti in pericolo di morte.  Rispose Isabella:
 - Non dubitate punto di me, Gabrina; ma state sicura che, s'io  vedesse  tutti  e  demòni  che  nel  centro  della  terra abitano, non mi smarrirei.  
- Spogliati adunque,  - disse la maga,  - ed entra nel cerchio.  
Isabella, spogliatasi e nuda come nacque rimasa, nel cerchio animosamente entrò. Gabrina, aperto il libro e parimente entrata nel cerchio, disse:  
- Per la potente virtú che io mi trovo avere sopra voi, prencipi infernali, vi scongiuro che immantenenti vi appresentate dinanzi a me.  
Astaroth, Farfarello e gli altri prencipi de' demòni, astretti dal scongiuro di Gabrina, con grandissime strida a lei subito s'appresentaro; e dissero:  
- Comanda ciò che ti piace.  
Disse Gabrina:  
- Io vi scongiuro  e  comando  che  senza  indugio  alcuno  e veracemente  mi  palesate  dove  ora  si  trova  Ortodosio Simeoni marito d'Isabella, e s'egli è vivo o morto.  
- Sappi,  Gabrina,  - disse Astaroth,  - che Ortodosio vive ed è in Fiandra: e dell'amor di Argentina è sí focosamente acceso, che della moglie piú non s'arricorda.  
La maga, questo intendendo, comandò a Farfarello che in un cavallo si trasformasse, e lá dove era Ortodosio, Isabella conducesse. Il demonio, in cavallo trasformato, prese  Isabella;  e  levatosi  nell'aria,  senza  ch'alcuno nocumento ella sentisse né timore avesse, nell'apparir del sole nel palazzo d'Argentina invisibilmente la pose. Fece Farfarello subito Isabella in Argentina cangiare, e sí chiara era la lei apparenza, che non Isabella, ma Argentina pareva; e in quel punto trasmutò Argentina in una forma di donna
attempata, la quale d'alcuno non poteva essere veduta né sentita, né ella poteva veder altrui. Venuta l'ora di cena, Isabella, cosí trasformata, cenò  col  suo Ortodosio: indi andatasene in una ricca camera, ov'era un morbido letto, a lato di lui si coricò; e credendo Ortodosio con Argentina giacere, giacque con la propria moglie. Di tanta virtú, di tanta  forza  furon  le  tenere  carezze,  gli  stretti abbracciamenti, congiunti con gli saporiti basci, che in  quella notte Isabella s'ingravidò.
Farfarello in questo mezzo furò una veste di ricco trapunto di perle tutta ricamata, e un vago  monile  che  per  l'adietro  Ortodosio  ad Argentina donato aveva: e aggiunta la notte sequente, Farfarello fece Isabella e Argentina nella propria forma ritornare: e presa sopra la groppa Isabella, la mattina nel spuntar dell'aurora nella casa di Gabrina la mise, e a lei Farfarello diede la veste e il monile. La maga, avuta la veste e il monile dal demonio, li diede ad Isabella, dicendo:  
- Figliuola mia, terrai queste cose care; perciò che a tempo e luogo saranno della tua lealtá vero testimonio.  
Isabella, presa la veste e il vago monile e rese le grazie alla maga, a casa ritornò.
Ad Isabella, passato il quarto mese, incominciò crescere il ventre e dimostrare segno di gravidezza. Il che vedendo, i suoi parenti molto si maravigliarono, e massime avendola
per donna religiosa e santa. Onde piú volte l'addimandaro se era gravida, e di cui. Ed ella con allegra faccia, di Ortodosio sé esser pregna respondeva. Il che esser falso i parenti dicevano, perciò che chiaramente sapevano il lei marito giá gran tempo esser stato e ora esser da lei lontano, e per consequente esser impossibile lei di Ortodosio esser gravida. Per il che i parenti addolorati molto cominciorono temere il scorno che li poteva avenire, e tra loro piú fiate deliberarono farla morire. Ma il timore d'Iddio, la perdita dell'anima del fanciullo, il mormorar del mondo e l'onor del  marito  da  tal  eccesso  rimovendoli,  volsero  della creatura aspettare il nascimento. Venuto il tempo del parto, Isabella uno bellissimo fanciullo partorí. Il che inteso, i parenti  grandemente  si  duolsero;  e  senza  indugio  ad Ortodosio in tal maniera scrissero: «Non giá per darvi noia, cognato carissimo, ma per dinotarvi il vero, noi vi avisiamo Isabella  vostra moglie  e sorella  nostra aver  non senza nostro grave scorno e disonore partorito un figliuolo, il qual di cui sia, noi no 'l sapiamo; ma ben giudicheressimo da  voi  esser  generato,  quando  da  lei  non  foste  cosí lungamente  stato  lontano.  Il  fanciullo  con  la  sfacciata madre sarebbe finora per le nostre mani di vita spento, se la riverenza che noi portiamo a Dio, intertenuti non ci avesse. E a Dio non piaccia che nel proprio sangue si macelliamo le mani. Provedete adunque a' casi vostri, e salvate l'onor vostro,  né  vogliate  sofferire  che  tal  offesa  rimanga impunita.
Ricevute che ebbe Ortodosio le lettere, e intesa la trista novella, grandemente si ramaricò; e chiamata Argentina, le disse:  
- Argentina, a me fa bisogno molto di ritornar a Firenze,  acciò  che  ispedisca  certe  mie  bisogna  di  non picciola  importanza;  le  quali  fra  pochi  giorni  ispedite, subito ritornerò a te. Tu in questo mezzo abbi cura di te e delle cose mie, non altrimenti giudicandole che se tue fussero; e vivi allegra, arricordandoti di me.  
Partitosi  adunque di Fiandra, Ortodosio con prosperevole vento ritornò a Firenze; e giunto a casa, fu dalla moglie lietamente ricevuto.  Piú  volte  venne  ad  Ortodosio  un diabolico pensiero  di  uccidere  Isabella  e  di  Firenze  chetamente partirsi; ma considerando il pericolo e il disonore, volse ad altro  tempo  riservarsi  il  castigo.  E  senza  dimora fece intendere a' suoi cognati il ritorno suo, pregandogli che nel seguente giorno a desinar seco venissero. Venuti i cognati, secondo l'invito fatto, a casa di Ortodosio, furono ben
veduti  da  lui  e  meglio  accarezzati;  e  tutti  insieme allegramente  desinarono.  Finito  il  prandio  e  levata  la mensa, Ortodosio cosí a dire incominciò:  
- Amorevoli cognati, penso che a voi manifesta sia la causa per la quale noi  quivi  raunati  siamo:  e  però  non  fa  mistieri  ch'io lungamente mi distendi in parole; ma verrò al fatto che a noi s'appartiene.  
Ed alzato il viso contra la moglie, che a dirimpetto li sedeva, disse:  
- Con cui, Isabella, il fanciullo, che in casa tieni, hai tu conceputo?  
A cui Isabella:  
- Con esso voi,  - rispose.  
- Meco? e come meco?  - disse Ortodosio;  - giá sono cinque anni che io ti sono lontano, e d'allora che mi partii, non mi hai veduto. E come dici tu averlo conceputo meco?  
- Ed io vi dico,  - disse Isabella,  - che 'l figliuolo è vostro; e in Fiandra con esso voi hollo conceputo.  
Allora Ortodosio, d'ira acceso, disse:  
- Ah, bugiarda  femina  e  d'ogni  vergogna  priva,  quando  in Fiandra fosti tu giamai?  
- Quando giacqui nel letto con voi,  - rispose Isabella.
E cominciando dal principio del fatto li raccontò il luogo, il tempo e le parole tra loro quella notte usate. Il che quantunque ad Ortodosio ed a' cognati ammirazione porgesse, non  però credere lo poteano. Onde Isabella,  vedendo  la  dura  ostinazione  del  marito  e conoscendolo incredulo, levossi da sedere, e andatasene in camera, prese la veste ricamata e il bel monile; e ritornata al marito, disse:  
- Conoscete voi, signor mio, questa veste sí divinamente trappunta?  
A cui Ortodosio, quasi smarrito e fuor di sé rispose:  
- Ben è vero che una veste simile mi mancò, né mai di quella si puote aver nuova.
- Sapiate - disse Isabella,  - questa esser la propria veste che allora vi mancò.  
Indi posta la mano in seno, trasse fuora il ricco monile, e disse:
- Conoscete voi ancora questo monile?
A cui  contradire  non  potendo  il  marito,  di  conoscerlo rispose:  soggiongendo,  quello  con  la  veste  esserli  stati allora involato. - Ma acciò che voi, disse Isabella, - conosciate la fedeltá mia, vogliovi apertamente dimostrare che scioccamente voi vi sfidate di me.  - E fattosi recare il fanciullo, che la balia nelle braccia teneva, e spogliatolo de' suoi bianchissimi pannicelli, disse:  - Ortodosio, conoscete voi questo bambino?  - e mostròli il piede manco che del dito minore mancava: vero indizio e intiero testimonio della materna fede, perciò che ad Ortodosio altresí tal dito naturalmente  mancava.  Il  che  Ortodosio  vedendo,  sí attamente s'ammutí, che non seppe né puote contradire; ma preso il fanciullo nelle braccia, lo basciò, e per figliuolo lo ricevette. Allora Isabella prese maggior ardire, e disse:
- Sapiate, Ortodosio mio diletto, che i digiuni, le orazioni e gli altri beni ch'io feci per sentir novelle di voi, mi hanno fatto ottenere quello che sentirete. Io, stando una mattina nel  sacro  tempio  dell'Annunciata  in  genocchioni pregandola  che  intendessi  di  voi  nuova,  fui  essaudita.
Imperciò che da un angelo in Fiandra io fui invisibilmente portata, e appresso voi nel letto mi coricò; e tante furon le carezze che in quella notte mi feste, che di voi gravida rimasi. E nella seguente notte con le robbe a voi mostrate a Firenze nella propria casa mi ritrovai.  
Ortodosio e i fratelli, veduti ch'ebbero gli evidentissimi segni e udite le parole che Isabella fedelmente raccontava, insieme l'un con l'altro s'abbracciarono e basciarono, e con amore maggiore che prima la loro parentela stabilirono. Dopo passati alcuni giorni, Ortodosio in Fiandra ritornò, dove onorevolmente maritò Argentina; e caricate le sue merci sopra una grossa nave, ritornò a Firenze, dove con Isabella e col fanciullo in lieta e tranquilla pace lungo tempo visse.









 © Adalinda Gasparini
Posted 06/03/2018
Last updated:
06/03/2018