Ognuno
sa come funziona una casa, come essa delimita lo spazio e crea
collegamenti tra
uno spazio chiuso e l'altro e fa vedere in modo nuovo quello che
c'è fuori.
Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare
come funziona
una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per
gli altri.
(Alice Munro)
Care
Socie del Forum Lou Salomé,
Ho pensato, per
cominciare a
formare il tessuto del convegno, dopo mesi di lettura e riflessione, di
proporre alcuni dei temi ricorrenti in Munro, che spero incontrino il
vostro
interesse di psicoanaliste appassionate di letteratura. Questa lista,
parziale
e arbitraria, ha lo scopo di far emergere spunti e materiali in attesa
dei temi
e dei titoli di chi intende intervenire, avvertendo la pregnanza delle
intersezioni possibili fra il lavoro
psicoanalitico e questo particolare lavoro letterario. Alcuni temi
saranno
lasciati cadere, o andranno modificati, altri se ne aggiungeranno:
questa
lettera aperta è solo un modo per cominciare a scambiare fra
noi, così che
prendano forma le nostre idee e le nostre aspettative.
Ho chiesto a
Héliane Ventura,
che ama la psicoanalisi, quali temi, leggendo Munro, le avevano fatto
desiderare
il contributo di uno psicoanalista: la sua risposta è stata che
vorrebbe si parlasse
del rapporto con la madre, perché è troppo scottante
senza la chiave
psicoanalitica. Anche da qui viene il primo spunto tematico.
Primo spunto
Madre
e figlia: un abbraccio mortale?
Il sogno di mia
madre di Munro, che si
può leggere integralmente nel sito,
è sufficiente a farci comprendere a quale livello la scrittrice
riesca a
nominare la ricchezza e la distruttività di questa relazione.
Inevitabile
collegarci al convegno del Forum, LAKLEIN: i modi possibili sono tanti
quante
sono le persone che si metteranno in gioco, diversi a seconda del
momento della
vita di ciascuna di noi. Personalmente penso a una ciclicità
nell’avvicinamento
e nell’allontanamento alla madre, come una spirale che non si
esaurisce, fino
alla morte. E che forse come figura ogni donna eredita e lascia in
eredità ad
altre donne, bonificando paludi venefiche, non certo sterilizzando
acque nelle
quali può cominciare la vita, anche con un primitivo lichene. A
questo
proposito, chi di noi ha letto il libro di Julia Kristeva (Melanie
Klein ou
le matricide comme douleur et comme créativité. Le
génie féminine, t. ii, La
folie, 2000; tr. it. Melanie Klein. La madre, la follia,
2006)
troverà nei racconti di Munro, che sicuramente non conosceva
Kristeva, e
probabilmente neppure Klein, segmenti narrativi estremamente efficaci
nel
nominare la complessità del femminile.
Secondo spunto
Un’ombra
sull’educazione
E proseguimmo, con due persone
sedute alle nostre spalle, fiduciose in noi, perché senza
alternativa, e con
noi due fiduciosi in un perdono futuro per tutto ciò che quelle
bambine
dovevano ancora constare e condannare: esitazioni, arbitri,
avventatezze,
insensibilità, i nostri errori, insomma, naturali e speicifici. (Alice Munro, Miles
City, Montana; ne Il percorso dell’amore, p. 112)
In questo racconto
un uomo e
una donna viaggiano a lungo in macchina con le loro bambine, e nel
ricordo di
lei, voce narrante, affiora dall’infanzia l’episodio della morte di un
bambino,
suo vicino di casa. Durante una sosta le bambine vogliono fare il bagno
in
piscina, e i genitori insistono perché la sorvegliante le lasci
entrare anche
se non è orario di apertura. La bimba più piccola rischia
di annegare, e i due
ripartono dopo questa incursione della morte nel viaggio.
Freud ha spesso
parlato di
educazione, anche se non le ha mai dedicato un saggio in particolare.
Nel 1908,
a proposito del piccolo Hans, aveva scritto che la psicoanalisi
avrebbe
dovuto essere considerata dall’educatore illuminato come una guida di inestimabile valore per la
condotta da tenere nei confronti del bambino. Nel 1913, nella 'Prefazione
al metodo psicoanalitico di Oskar Pfister', dopo aver posto la
domanda “…se
non sia il caso di utilizzare la psicoanalisi ai fini dell’educazione…”
(OSF, VII, p. 184), Freud scriveva: “I vantaggi che ne
deriverebbero sono
evidenti… […] Con l’aiuto della psicoanalisi l’educatore può
agire
profilatticamente sul bambino ancora sano. […] Tale attività …
dovrebbe essere
di un’utilità inestimabile, e tale da rendere spesso superfluo
l’intervento del
medico”.
Il rapporto fra
educazione e
psicoanalisi fa parte degli impossibili esistenti, e preferirei pensare
a
un’educazione psicoanaliticamente ombreggiata, per significare
anzitutto
che non ci sono lumi grazie ai quali possiamo risolvere i
drammi
dell’educazione. Poi, un’ombra sull’educazione è
qualcosa che richiama
la ferita narcisistica che l’insegnante deve riconoscere se si
interessa davvero
di psicoanalisi. Ed è anche un’ombra, nel senso di uno strumento
che può attenuare
un eccesso di calore e luce, un’aspettativa idealistica che,
nascondendosi la
difficoltà e la violenza del rapporto fra genitore e figlio, fra
maestro e
allievo, rischia un finale tragico.
Nelle parole di
Alice Munro
che aprono questo spunto tematico, l’ombra di cui parlo
è vissuta ed
espressa, per vie diverse dalla psicoanalisi, con arte e chiarezza.
Possiamo
ritrovare, in termini lontani dalla corrente rimozione eufemizzante, il
bisogno
di perdonarsi, di perdonare i genitori, di sperare nel perdono dei
figli,
qualcosa di molto vicino alla gratitudine kleiniana che ferma
la
distruttività dell’invidia. Un brano di Lacan può legare
questo secondo
spunto tematico al primo, e al terzo:
Questo discorso
dell'altro, non è il discorso
dell'altro astratto, dell'altro nella diade, del mio corrispondente,
neanche
semplicemente del mio servo, è il discorso del circuito nel
quale sono
integrato. Ne sono uno degli anelli. È il discorso di mio padre
per esempio, in
quanto mio padre ha fatto degli errori che sono assolutamente
condannato a
riprodurre - è quello che si chiama Super-ego. Sono
condannato a
riprodurli perché bisogna che io riprenda il discorso che mi ha
lasciato in
eredità, non solo perché sono suo figlio, ma
perché non si fermi la catena del
discorso, e io sono appunto incaricato di trasmetterla nella sua forma
aberrante a qualcun altro. Devo porre a qualcun altro il problema di
una
situazione vitale, in cui ci sono tutte le chances che inciampi
anche
lui, in modo che questo discorso compia un piccolo circuito in cui si
trovano
presi tutta una famiglia, tutta una congrega, tutto un campo, tutta una
nazione
o la metà del globo. Forma circolare di una parola che è
giusto al limite del
senso e del non senso, che è problematica.
Ecco
cos'è il bisogno di ripetizione come lo vediamo sorgere al di
là del principio
di piacere. Esso vacilla al di là di tutti i meccanismi di
equilibrazione, di
armonizzazione e di accordo sul piano biologico. Esso non è
introdotto che dal
registro del linguaggio, dalla funzione del simbolo, dalla problematica
che
interroga l'ordine umano.
[...]
La
vita non è presa, nel simbolico, che frammentata, decomposta.
L'essere umano
stesso è in parte fuori dalla vita, partecipa dell'istinto di
morte. E solo da
qui può affrontare il registro della vita. (Il Seminario 1954-1955,
pp. 116-117)
Terzo spunto
La
casa di parole
Ognuno
sa come funziona una casa, come essa delimita lo spazio e crea
collegamenti tra
uno spazio chiuso e l'altro e fa vedere in modo nuovo quello che
c'è fuori.
Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare
come funziona
una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per
gli altri.
(Alice
Munro)
Mi sembra qualcosa
di nuovo,
o detto in maniera nuova, forse perché una donna parlando e
scrivendo fa
affiorare parole che non isolano la carne. La metafora del racconto, e
per
estensione del lavoro letterario, come una casa, costruita e allestita
secondo
il gusto della sua proprietaria, la scrittrice, e aperta ad altri, ai
familiari, agli amici, alle persone con cui si lavora, ai visitatori
occasionali - a tutti noi lettori – mi pare potesse venire solo da una
donna.
In ogni caso
è molto vicino a
concettualizzazioni psicoanalitiche, come l‘area transizionale di
Winnicott,
che ha le sue radici nella parola kleiniana, capace di far entrare nel
linguaggio bimbi molto piccoli o pazienti psicotici.
Una suggestione
associativa: Xynos,
in greco comune, e connesso, si trova in Eraclito
contrapposto a idiotes,
privato:
Quarto spunto
L’origine
del mondo
Leggendo
il saggio Le tracé de
l’écart ou « L’origine du monde »
réinventée dans « Lichen » d’Alice Munro (2005), ho annotato qualcosa, come faccio di
solito
leggendo, e ho pensato di inserire le mie note nella pagina del sito
insieme al
saggio di Héliane Ventura, con la speranza che le socie facciano
altrettanto, per
avviare uno scambio fra noi, che ci aiuti a preparare un convegno dove
si senta
una partecipazione corale. (Le indicazioni bibliografiche per il
racconto di
Munro, e il testo del saggio di Ventura sono nel sito)
L’indirizzo del mio
sito è
www.alaaddin.it, e nella home page, in basso, c’è un riferimento
al convegno: è
il link per la pagina dedicata a Alice Munro.
Il titolo si riferisce al gioco di due adolescenti (Sabitha ed Edith) che, scrivono il proprio nome vicino a quello di un ragazzo ed eliminano tutte le lettere comuni. Con le lettere restanti dicono in sequenza: nemico, amico, spasimante, amante, sposo. Alla fine “della conta” c’è il verdetto.
Personaggi:
Johanna: protagonista, governante, nata a Glasgow, viene abbandonata dalla madre all’età di 5 anni per sposarsi, non si hanno notizie del padre. Vive in istituto fino a 11 anni, quando viene trasferita in Canada dai Dixon, per lavorare nel loro vivaio e assolvere l’obbligo scolastico ; dopo la scuola lavora, prima in una casa di riposo, poi dalla Sig.ra Willets, anziana madre del titolare di una fabbrica di scope. Resta con lei 12 anni imparando a leggere bene, a guidare l’auto ed anche a condurre la barca. Alla sua morte (96enne) eredita un po’ di denaro. Cerca un nuovo lavoro e risponde all’inserzione di Mr. McCuauley.
Mr. McCauley: padrone e titolare di un ex Ag. d’Ass.ni, svolge ora un’ attività di consulenza. Risiede in Exhibition Road, che ogni giorno percorre a piedi, indossando completi a tre pezzi con soprabito o cappotto, cappello grigio e scarpe lucide, per raggiungere il suo ufficio sopra la pelletteria.
Sabitha: nipote (orfana di madre, Marcelle) di Mr. McCauley col quale vive prima di trasferirsi in un college a Toronto
Edith: amica di Sabitha, insieme giocano e “inventano” una corrispondenza fra Johanna e Ken che si rivelerà fondamentale per lo svolgimento del racconto. L’unica volta che Johanna scrive a Ken, allegando la sua lettera a quella di Sabitha, prima di mettere l’indirizzo e chiudere la busta, come ha sempre fatto, finchè la fanciulla è vissuta con lei, le fanciulle aprono la busta col vapore. Alla lettera di Johanna non seguirà risposta, ma quando Sabitha riceverà nuovamente posta dal padre, con l’aiuto di Edith, scriverà a macchina una lettera per Johanna e così il rapporto epistolare avrà inizio.
Hermann Shultz: ciabattino e padre di Sabitha, lavora tutto il giorno nell’umile bottega.
Ken Boudreau: padre di Sabitha, accompagna Johanna alla Fiera dell’Ovest, ma attualmente vive a Gdyna nello Saskatchewan, dove ha ottenuto, a titolo di risarcimento di un debito, un hotel.
Roxanne: cugina della madre di Sabitha, accompagna la giovane in un collegio di Toronto per fanciulle benestanti.
Trama:
Il racconto
è ambientato
in autunno, in un paese
dell’Ontario con abitudini molto
provinciali,
il commercio si è spostato verso la statale, c’è un nuovo
discount, un motel ed
night-club; una volta l’anno si svolge una fiera, dove Ken
Boudreau
accompagnerà Johanna, prima
di trasferirsi a
Gdyna. L’unico negozio ancora presentabile, è
Johanna si
prepara per
intraprendere il viaggio che la condurrà da Ken.
Prima di
partire
però, provvederà alla spedizione
dei mobili di Ken e Marcelle, che
ancora si
trovano nel fienile di Mr. McCauley, al quale Johanna scriverà
una lettera
di congedo, rinunciando alla paga
delle ultime
tre settimane e ricordandogli come scaldare lo stracotto di manzo
appena
cucinato, che gli basterà per almeno tre pranzi. Questo non
placherà l’ira di
Mr. McCauley, soprattutto quando scoprirà della spedizione dei
mobili; infatti,
Ken gli aveva chiesto dei prestiti che a suo avviso, coprivano
ampiamente il
valore degli stessi.
Comunque
Johanna parte
e, quando arriva da Ken, lo trova a letto con la febbre e la bronchite;
è
talmente intontito che non la riconosce subito, ma lei si prodiga per
curarlo e
sistemare la casa, che è il famoso hotel, ormai in stato di
totale abbandono.
Non accennerà mai alle lettere, che lei ha ricevuto, ma che lui
non le ha mai
scritto e questo silenzio favorirà la loro convivenza che,
inaspettatamente, li
condurrà al matrimonio ed alla nascita di Omar.
Mr.
Mc Cauley morirà dopo circa due anni
dalla partenza
di Johanna e nel necrologio sul
giornale, si
legge che della famiglia restano la nipote Sabitha Boudreau, il
genero
con la moglie Johanna ed il
piccolo
Omar di Salmon Arm, nel British Columbia, dove la famiglia si è
trasferita. Al
funerale, celebrato con rito anglicano, Sabitha, graziosa, snella e
seria,
indosserà un sofisticato cappello
nero. Accompagnata da Roxanne non
parlerà con nessuno di
sua iniziativa, quasi non ricordasse chi
fossero gli abitanti di quel paesino.
2° racconto:
Il
ponte galleggiante
Il titolo si
riferisce
al ponte galleggiante sopra quella che Ricky, di professione cameriere,
definisce “
Personaggi:
Jinny: protagonista,
42 anni, in chemioterapia
Neal: marito
di Jinny, maggiore di 16 anni,
insegnante c/o
l’Istituto Correzionale per giovani
Detenuti
Helen: collaboratrice
famigliare appena assunta,
adottata
dai Bergson, dopo anni trascorsi al Children’s Aid
con la sorella Lois, perché vittime di un
padre incestuoso.
Matt
e June Bergson:
genitori
adottivi di Helen e Lois, vivono in
una decorosa roulotte, isolata tra i campi, circondati da rottami.
Ricky:
giovane
figlio di
June, lavora come cameriere nel ristorante Sammy’s
Trama
Il racconto
descrive il ritorno
a casa di Jinny (in chemioterapia) dopo
la visita dall’oncologo. Il marito
la va a
prendere con il furgone, nel quale c’è Helen che l’aspetta; Neal l’ha appena
assunta come colf. La casa è stata
predisposta per accogliere l’ammalata, sgomberando il soggiorno ed
affittando
un letto dell’ospedale. Prima di rientrare però, devono passare
dalla sorella
di Helen a ritirare un paio di scarpe,
ma Lois si è dimenticata di portarle con sé, così
Neal decide di andare a
prenderle a casa dei genitori addottivi di Helen, che tenta in ogni modo di dissuaderlo,
senza riuscirci. Matt e June vivono in una
decorosa roulotte,
circondata da campi e rottami e sono
molto ospitali, infatti invitano Neal ad entrare per
bere una birra e mangiare un po’
di chili. Jenny, molto debilitata, preferisce restare fuori, anche se
nella
roulotte c’è l’aria condizionata che le sarebbe di ristoro,
considerando la
calura estiva. Si avventura nel campo di mais e rischia di
perdersi fra
le gli alti filari, ma dei
rumori
l’aiutano a tornare verso il furgone. E’ Matt,
che uscendo di casa ha sbattuto la porta ed i cani si sono messi ad
abbaiare;
vedendola nel campo pensa che sia andata lì per urinare e le
domanda perché non
sia invece entrata in casa, ma lei afferma di stare bene. Lui si offre di portarle del chili o
qualcosa da
bere, ma lei rifiuta, allora le
racconta una barzelletta dai
toni molto ironici, ma Jinny si offende,
a causa degli espliciti riferimenti sessuali. Matt
torna in casa e poco dopo arriva
Ricky, giovane, allegro e spensierato.
Tra i
due si stabilisce una certa complicità, quando scoprono
entrambi di non
usare l’orologio e Ricky spiega di
poterne
fare a meno e di riuscire sempre a trovare qualche indicazione circa
l’ora
esatta. Al ristorante dove lavora, ad esempio, c’è l’orologio
nella cucina e
nel percorso quotidiano casa/lavoro, c’è l’orologio del
tribunale. Vedendo che
Jinny è stanca, Ricky si offre di accompagnarla a casa e sceglie il percorso
che gira intorno alla cava, verso ovest, perché
più luminoso, ma sta per
imbrunire. Ben presto Jinny si accorge di essere sopra un ponte, ci
sono
ponti ovunque e l’acqua è scura, ma il cielo è
pieno di stelle. Si trovano
in quella
che Ricky definisce
3° racconto:
Mobili
di famiglia
Il titolo si
riferisce
ai mobili di famiglia, definiti di tutto rispetto,
che la protagonista eredita e tiene
attualmente in casa, anche se il risultato è quello di un
ambiente un po’
troppo stipato. Vengono descritti in particolare, i tavoli da cucina e
soggiorno con rispettive sedie, il divano e la poltrona allungabile,
tende
leggere e tendoni a fiori, centrini e riquadri bianchi ricamati,
appoggiati
anche su braccioli e schienali ed un quadro, eseguito con
nastri di raso rosa, raffigurante una damina.
Personaggi:
narratrice:
protagonista,
nipote di Alfrida alla quale fa spesso riferimento. Frequenta il
college, si
fidanza, si sposa e diventa scrittrice.
Alfrida,
detta Freddie, dal fratello che
è il padre della
narratrice: protagonista, scrive
articoli per signore su di un giornale ed ha fondato un club,
detto di Flora Simpson, nel quale le
massaie
si confrontano scambiandosi consigli su questioni domestiche,
famigliari ed
estetiche. Orfana di madre, il padre ha avuto altri figli con la
seconda
moglie, coi quali però non è in contatto; frequenta
la famiglia della
narratrice, della quale è
zia, scambiando
vivaci opinioni politiche con il
fratello, che
riguardano sia il sindaco di Montreal che il presidente
Americano, ma
anche la famiglia reale e fra tutti predilige
Bill: convivente di Alfrida per un certo periodo, lavorava in una distilleria di whisky ed è descritto come un uomo alto, galante, dai capelli ondulati grigi. Durante l’unico pranzo nella loro casa, al quale la narratrice partecipa da sola, si comporta molto educatamente, ma limita la conversazione a poche frasi di circostanza.
Altri parenti descritti nei pranzi di famiglia, ma senza nomi; sono soprattutto personaggi femminili. Nemmeno della narratrice e del fidanzato si conosce il nome.
Trama:
Il racconto descrive la vita della narratrice, nella quale risalta il personaggio di zia Alfrida, che le sarà di grande stimolo, perché come lei, diventerà scrittrice. La famiglia non ha una vita sociale pubblica, i pranzi vengono organizzati solo per commemorare le ricorrenze; le donne, conversano prevalentemente in cucina, mentre rigovernano, descrivendo vari acciacchi e malori; gli uomini seduti in veranda o nel corso di brevi passeggiate, accennano a notizie relative alle finanze, dando un’occhiata al raccolto, ma a tavola si fanno apprezzamenti prevalentemente sul cibo, tranne quando l’ospite é Alfrida. Generalmente sola, si presenta preferibilmente d’estate, indossando prendisole di seta a righe, non bella, ma febbrile ed impetuosa, è descritta dal fratello come tutta pepe. Il rapporto sarà incrinato dalla sua scelta di convivenza con Bill, perché sposato; agli occhi della famiglia, Alfrida ha perso la dignità. Sarà la narratrice a ricucire, ma solo per una volta, la relazione, durante la sua frequenza la college. Alfrida, già da tempo, l’aveva invitata a pranzo e lei si presenterà da sola, anche se a quel tempo era già fidanzata con un giovane benestante, amante dell’Opera e di Amleto.
Un po’ d’intimità viene recuperata nella cucina, dove le due donne rigovernano insieme, pulendo e riponendo con cura le belle stoviglie decorate con fregi di fiori azzurri, dono della madre di Alfrida, nonna della narratrice, morta tragicamente per l’esplosione di una lampada.
La conclusione, inaspettata, descrive l’incontro della narratrice, nel giorno del funerale del padre, con la figlia di Alfrida che la riconosce, avendola vista in fotografia e le rammenta di quando la madre con suo padre, tornavano dal liceo insieme, sentendo suonare a festa le campane, perché la guerra era finita. Anche la narratrice si rammenta di quel racconto, ma pensava che i due fossero bambini e che giocassero col cane Mack. Può darsi che il cane ci fosse, afferma la figlia di Alfrida, ma i due erano adolescenti, essendo nati nei primi anni del ‘900. Una nota stonata è data dalla comunicazione della figlia di Alfrida circa i commenti di questa sulla narratrice, descritta come una persona furba e senza cuore.
Le ultime righe del racconto sono un brevissimo flash back del ritorno a casa della narratrice dopo il pranzo a casa di Alfrida. Durante il percorso a piedi, si ferma a bere un caffè nella calda luce del tardo pomeriggio, pensando al lavoro cui si dedicherà, descritto, come una mano che acciuffa qualcosa nell’aria per poi scriverne.
4° racconto:
Conforto
Il titolo si riferisce al significato che la protagonista, Nina, conferisce al proprio matrimonio, dal quale ricava dolcezza e conforto, soprattutto dopo la morte del marito per sclerosi laterale amiotrofica. A ciò si aggiunge il sentimento per Ed, titolare dell’Agenzia di Onoranze Funebri, ma soprattutto amico, che le fa visita, donandole un mazzo di rose bianche, insieme alle le ceneri di Lewis. Tra i due c’era stato un breve momento di tenerezza, nella cucina di una comune amica, Margaret, mentre i reciproci consorti dibattevano vivacemente in salotto, circa l’evoluzione della specie secondo Darwin ed il religioso impegno di Kitty, membro della Chiesa Anglicana. Un unico bacio, sul collo, dono prezioso, che Nina ricorda ogni anno, a Natale durante l’assolo di Ed nella corale del Messia. E’ la riposta di Ed, alla domanda che Nina gli rivolge, a concludere il loro incontro: - Tu credi nelle anime ? – Sì.
Personaggi:
Nina:
protagonista,
ex
insegnate di latino
Lewis
Spiers: marito di
Nina, docente di biologia, ateo convinto, viene definito come un
girovago,
anche se non propriamente hippy, fino a quando non incontra Nina
Margaret:
amica
e
collega di Nina, giocano a tennis nel tempo libero
Paul
Gibbings: preside
del Liceo, molto comprensivo, cerca di mediare le diatribe fra Lewis, genitori e studenti, circa le continue
polemiche fra religione e scienza
Ed
e Kitty Shore: titolari
dell’Agenzia di Onoranze Funebri ed amici di famiglia
Bruce:
figlio
degli
Shore, si occupa dell’Agenzia
Trama:
Il racconto
inizia
quando la protagonista, tornando a casa
dopo un partita di tennis con l’amica Margaret, trova nel
letto, il
cadavere del marito, sofferente da tempo di sclerosi laterale
amiotrofica,
morto suicida.
Avevano programmato insieme l’evento, proiettandolo però nel futuro e
Nina dava per scontata la sua
presenza, invece Lewis, che detestava ogni forma di rito,
preferì diversamente.
Probabilmente aveva ormai
superato quella che definiva la soglia tollerabile dell’invalidità. Le cartine
delle quattro confezioni di analgesici utilizzati,
erano sul comodino, vicino al bicchiere
dell’acqua, quasi completamente vuoto. Nina le prese e cominciò
a cercare disperatamente un
messaggio del
marito, tra le coperte, le lenzuola,
sotto al
cuscino, nel cassetto del comodino, sotto alla lampada, dentro e sotto
le
pantofole e nel libro che stava leggendo. Sarà Ed Shore a consegnarle un
biglietto ben ripiegato, affermando
di averlo trovato nella
tasca del
pigiama, mentre si prendeva cura del
defunto
per ricomporne la salma.
Il messaggio
è
intitolato:
C’era un Santuario
di conoscenza
Che sulla riva del
lago affacciava
Dove campioni di
ottusa ignoranza
Ascoltavan le
prediche di chi li tediava…
E il numero Uno, il
più gran Seccatore,
Era uno stronzo
ognor sorridente
Che aveva un’unica
idea fissa in mente:
Dir
loro
quello che avevano a
cuore.
Quando il preside del liceo dove Lewis insegnava, nel corso di una conversazione telefonica, si offre di fare da cerimoniere per celebrare, non un elogio, ma un ricordo dell’estinto, stimato come valido insegnate, Nina sostiene che Lewis ha lasciato una poesia che lei leggerà ad alta voce davanti a tutti e gli recita lo scritto. La conversazione telefonica si conclude bruscamente e le ceneri di Lewis saranno consegnata da Ed a Nina, sola nella cucina di casa, unitamente al mazzo di rose bianche. Sorseggiando il tè che Nina ha preparato, converseranno brevemente; Ed negherà di avere letto il biglietto di Lewis e risponderà alle domande di Nina sulle modalità di conservazione e ricomposizione di un cadavere. La minuziosa e disinvolta descrizione, unita al tono serio della voce, ricorderanno a Nina il Lewis di due sere prima che, indebolito, ma soddisfatto, le parlava delle creature monocellulari, senza nucleo e coppie cromosomiche, che per quasi due terzi della storia del pianeta, erano state l’unica forma di vita. Dopo il congedo di Ed Nina salirà in macchina nella notte fredda e senza vento, portando con sé la cassetta delle ceneri e la svuoterà in un terreno paludoso illuminato dalla luna. Un brivido nauseante la percorrerà, mentre infilando le mani nelle ceneri fresche sentirà i minuscoli brandelli di materia. Si stupirà di riuscire a restare in piedi, calma, come sollevata da ferrea devozione, nonostante il freddo pungente.
5° racconto:
Ortiche
Il titolo si
riferisce all’irritazione
dei due protagonisti, causata dalle ortiche site ai margini di un campo da golf, nel quale Mike si
era recato
a giocare, accompagnato dalla narratrice, sua amica
d’infanzia. Un temporale con forte
vento
irrompe, mentre si trovano alquanto distanti dalla sede del club,
costringendoli alla fuga in direzione del margine del campo. Qui il
terreno è
declinante e cespuglioso verso una zona incolta, ma con alcuni alberi
che
possono offrire riparo; a causa della
pioggia, scivolano sulle ortiche che irritano loro mani, avambracci e
caviglie.
Protagonisti:
Narratrice:
protagonista,
attualmente divorziata, vive sola a Toronto; le due figlie sono rimaste a Vancouver
col padre e periodicamente la
vanno a trovare, manifestando non pochi problemi. Lei trascorre
molto
tempo scrivendo, incontrando le
amiche
e frequentando un amante col quale ride
e fa passeggiate nel bosco. E’
compiaciuta di
stimolarlo sessualmente, ma a volte va in crisi, così decide di
andare a
trovare l’amica con la quale scambiava confidenze durante il periodo
della
gravidanza.
Sunny:
amica della narratrice, erano gravide
contemporaneamente e nel
tempo libero
leggevano Jung e discutevano di Simone de Beauvoir, anche se i reciproci mariti non
approvavano questi loro interessi. Si
trasferisce a Uxbridge, causa il
trasferimento
del marito ed è qui
che la
protagonista le verrà a fare visita, incontrando
il suo amico d’infanzia, Mike, che ora è ingegnere civile, come
il marito di
Sunny.
Mike
McCallum: amico d’infanzia della
narratrice, la
incontra nella casa di campagna dove lei viveva
da bambina. Il
padre, che lavora per la famiglia della
narratrice, è perforatore di pozzi, che spesso in estate
richiedo un
intervento, a causa della siccità. Pranzano quasi sempre insieme
a casa di lei
e condividono divertenti giochi, imbrattandosi
di fango insieme ad altri bambini che giocano alla guerra. Da adulti si ritrovano
imprevedibilmente, nella
casa di Sunny, il cui marito è Ingegnere edile; ora Mike
è sposato, ma
attualmente la moglie è in Irlanda coi figli.
Johnston: marito di Sunny e collega di Mike.
Mark,
Gregory e Claire: figli di Sunny e
Johnston;Gregory vorrebbe
accompagnare Mike al golf, ma la
madre non glielo permette, insistendo perché vada con tutti loro
in piscina. La
narratrice e Mike si ritrovano da soli.
Trama:
Inizialmente
la
protagonista ricorda la sua infanzia nella casa di campagna e l’emozionante
amicizia con Mike, l’avventurosa traversata del fiume sopra le bianche
pietre,
tra ninfee e cespugli incolti, l’incontro
con
un gruppo di fanciulli che giocano alla guerra, dividendo i
ruoli fra guerrieri ed
assistenti/infermiere, che
costruiscono munizioni con fango, ghiaia,
erba
e rametti, i primi contatti per medicare il corpo di Mike ferito dai nemici, l’imbarazzante
ritorno a casa, imbrattati
di fango e la complicità non
manifesta, durante i pranzi a
casa di lei, mentre lui spalmava il pane
col ketchup. Lo ritroverà imprevedibilmente,
in casa di Sunny, molti anni dopo,
ormai adulti e genitori, ma entrambi
con evento
luttuoso alle spalle. Per la
narratrice si
tratta del divorzio, che procura non pochi problemi alle figlie, per
lui,
purtroppo, è la morte del figlio
minore, Brian, causata dalla propria
auto
durante una retromarcia. Il bambino non era in casa a dormire, come
previsto,
si era alzato, non visto. Mike confida alla narratrice questo
terribile segreto mentre tornano dal
golf, dopo il
temporale che li ha visti ancora una volta insieme, in cerca di un
riparo,
scivolare nella terra bagnata coperta di ortiche, abbracciandosi e
baciandosi
per la prima ed ultima volta, quasi compiendo un rituale di
sopravvivenza.
6°
racconto:
Post
and Beam
Il titolo si riferisce ad uno stile architettonico della West Coast, precisamente definito Post and Beam Construction, che realizza ville senza intonacarle, semplici e funzionali, immerse totalmente nell’habitat naturale. Il tetto è piatto, sporgente oltre le pareti, le travi interne a vista, il caminetto in pietra, sale fino al soffitto e le finestre, lunghe e strette, sono prive di tende. Il concetto di contemporaneità e di dominio dell’architettura, sostenuto dal progettista, viene ribadito dal marito della protagonista, ogniqualvolta mostri la casa a qualcuno.
Personaggi:
Lorna:
protagonista,
ha
24 anni, due figli ed ha conosciuto il marito al rinfresco di un
matrimonio
svoltosi nel refettorio della chiesa unitaria del paese di cui era
originaria.
L’attrazione è immediata e
reciproca,
per le doti sia fisiche che intellettuali di lui e per la
semplicità e la
giovinezza di lei, definita come un fiore di campo. In realtà
Brendan era in
cerca di una moglie intelligente e senza grilli per la testa.
Brendan:
marito
di
Lorna, insegna matematica ed assolve tradizionalmente e razionalmente
il ruolo
di marito.
Lionel:
ex
studente di
Brendan, orfano di madre, definito come un vivace talento matematico
all’età di
16 anni; a causa di un crollo nervoso, finisce in ospedale
psichiatrico.
Ritrova Brendan quando, ormai abbandonati gli studi, lavora per la casa
editrice della Chiesa Anglicana. Scrive semplici poesie, un po’
confuse, che
dedica a Lorna.
Elizabeth
e Daniel:
figli di Lorna e Brendan
Polly:
cugina
maggiore
di Lorna, non ha padre, da bambine giocavano spesso insieme,
perché le loro
case erano vicine.
Beatrice:
madre
di Polly
e zia di Lorna è solo nominata nel racconto
Trama:
Lorna e
Brendan vivono a
Vancouver in una moderna villa con i loro due figli e Lionel, del quale
Lorna
ha conosciuto la madre, ormai deceduta, fa loro visita frequentemente
dopo
cena.
Lorna, che ha sofferto durante i primi mesi di matrimonio per la lontananza dalla famiglia di origine, è ora completamente assorbita dal ruolo di madre; il figlio minore non cammina ancora, e lei trova una certa complicità nell’amicizia con Lionel, che le dedica poesie. I due si confidano spesso, raccontandosi eventi del passato. In questo contesto familiare s’inserirà la cugina Polly, che decide di soggiornare presso di loro per un po’. Questo fatto non entusiasma Brendan, molto abitudinario razionale; le conversazioni di Polly lo infastidiscono, i suoi problemi di mancata indipendenza dalla famiglia d’origine lo preoccupano, perché teme che questa presenza, protraendosi troppo a lungo, possa interferire con la loro vita. Lorna cerca di rassicurarlo, affermando che il soggiorno sarà solo di due settimane, ma non osa raccontagli episodi della sua vita che la vedono legata affettivamente alla cugina. Percependo queste velate tensioni, un giorno che Brendan è partito presto per insegnare ai corsi estivi, Polly decide di visitare Vancouver da sola e Lorna le fornisce tutte le indicazioni necessarie. Lei si recherà a fare un passeggiata coi bambini, modificando l’usuale percorso e raggiungendo la casa dove Lionel vive, nella zona a nord di Vancouver. Alla padrona di casa dirà che suo marito è stato professore di Lionel all’università e che lei, pur sapendo che ora Lionel è assente perché si è recato dal padre per qualche giorno, deve cercare un libro della biblioteca che gli ha prestato; infatti la data della consegna è scaduta. Si ritroverà così nella stanza del suo amico-confidente, da sola, a guardare fuori dalla sua finestra, respirando l’aria che lui respira, osservando il letto, il cassettone, il tavolo il fornello a due piastre, la credenza. Nessuna traccia del libro, ma non era certo quello l’obbiettivo di Lorna, che invece si siede per terra nel centro della stanza e rimarrebbe lì per ore, se la voce di Elizabeth non la chiamasse dal cortile.
Un
altro giorno invece, Lorna e Polly lo
trascorreranno
ad Ambleside Beach, cariche di
asciugamani,
giochi, pannolini, cibo e del delfino gonfiabile di Elizabeth.
In
spiaggia Polly racconterà di un
tipo
che la corteggia e che lei definisce troppo serio,
perché cerca moglie, come fece Brendan a suo tempo, ma lei non
ne è innamorata,
come lo era Lorna de marito. Lorna si affretta a rispondere che lei
è
innamorata ancora e Polly afferma che forse può funzionare se lui ti piace
abbastanza ed uscendoci insieme,
trovi i lati positivi della faccenda.
- E quali sarebbero i lati
positivi ? – dice Lorna alzandosi
per controllare Elizabeth
in groppa al delfino. – Fammi
pensare un attimo – risponde
Polly
ridendo – Scherzo, ce ne sono tanti, volevo solo fare la spiritosa.
Il week end successivo, Lorna e Brendan devono partire per Penticton, perché invitati al matrimonio di un laureando di Brendan. Nel cercare una valigia per il viaggio, Lorna entrerà nella stanza di Polly, trovandola in lacrime nel letto ed alla sua domanda:- Cosa c’è ?, Polly risponderà:- Tu non mi vuoi -.Lorna si difenderà affermando di non avere potere, che il marito le da venti dollari per volta, mentendo, perché invece possiede un suo conto corrente.
Il
contesto della festa per il matrimonio si
rivelerà
ideale: il clima estivo, le colline,
l’ombra
dei pini, i balli e lo champagne. Lorna si coricherà ubriaca concedendosi
al sesso per la gioia di Brendan.
Al mattino, indebolita, ma non
scontenta, lo
osserverà giocare con Elizabeth sulla riva del lago:
costruiscono un castello
di sabbia.
Per tutto il
viaggio di
ritorno un pensiero insistente tormenterà la mente di
Lorna: immagina
che Polly si sia impiccata nella sua cucina e
fantastica sui minimi particolari dell’evento, dall’abbigliamento, al
ritrovamento del cadavere. Ricorda inoltre, quando da bambina,
nella
casa della nonna,
restò sola con la
cugina, maggiore di cinque anni, per un giorno intero. Polly voleva fare una torta, ma le
mancava un ingrediente, così le
fece indossare il cappotto e lasciandola in un angolo del giardino in attesa
che lei tornasse dal negozio. Al
suo ritorno la coprirà di baci, perché
ricordandosi dei rapitori di bambini e si affrettandosi a riportarla in
casa
strofinandole le manine infreddolite.
La lettura delle favole per intrattenere Elizabeth e la recita dei passaggi più noti delle medesime, aiuteranno Lorna a distrarsi solo parzialmente da pensieri tanto angoscianti. Infatti, cercherà mentalmente di fare patteggiamenti con la propria coscienza, domandandosi a cosa avrebbe potuto rinunciare, pur di ritrovare la cugina in vita e si accorgerà di non potere scegliere.
Assorta in tali pensieri scorgerà la propria casa apparire tra gli alberi e subito udirà le voci di Polly e Lionel, del quale si era completamente scordata, provenire dal giardino.
I bagagli verranno scaricati, Daniel sistemato nel suo lettino mentre Elizabeth resterà in giardino a saltellare, nell’attesa che Lionel con Polly e Brendan, gonfino a riempiano di acqua la sua piscina di plastica. Sono tutti contenti e Lorna li osservava dalla finestra pensando a Polly e Lionel, un’ipotesi non considerata, ma che forse non avrebbe avuto seguito. Qualsiasi cosa fosse accaduta a Polly con gli uomini, di certo il suo cuore non si sarebbe spezzato.
Elizabeth la
stava
chiamando, perché l’acqua della piscina era fredda ed anche
Brendan la invitò a
scendere in giardino. Lorna pensò che il patto da
rispettare era questo:
continuare a vivere come aveva fatto fino ad ora, accettando che i
bambini
crescessero e che lei e Brendan invecchiassero. Non
aveva mai considerato il matrimonio come
fine ultimo della sua esistenza. I patteggiamenti, a quel tempo, non
facevano
ancora parte della sua vita.
7° racconto:
Quello
che si ricorda
I ricordi si riferiscono all’unico incontro erotico che la protagonista ebbe con Eric, medico, dopo il funerale dell’amico di famiglia, Jonas e la vista che insieme fecero alla zia di lei, degente in casa di riposo. Meriel vorrebbe trasformare mentalmente gli eventi, inserendoli in un contesto diverso dall’appartamento in cui lui viveva a Kitisilano e nel quale si svolsero realmente. Lei avrebbe preferito un modesto albergo nel West End di Vancouver, ma nonostante ciò, per tutta la vita ed anche dopo la morte del marito, Meriel tornerà mentalmente all’emozione del loro incontro, chiamando segretamente Eric, Amore mio e ricavandone quasi un medicamento miracoloso.
Personaggi:
Meriel:
protagonista,
si
sta preparando per i funerale dell’amico di famiglia
Pierre:
marito
di
Meriel, e compagno di università di Jonas, insegna lettere
Jonas:
ingegnere,
scapolo, cambia spesso lavoro muore a causa di un incidente stradale
Muriel:
zia
di Meriel,
insegnate d’arte e pittrice, ha condotto un’esistenza libera ed
appagante ed
ora è ospite di una casa di riposo chiamata Maniero Principessa.
Eric
Asher: medico
che
ha soccorso Jonas, accompagnerà Meriel a visitare la zia dopo il
funerale ed
avranno un incontro erotico a casa di lui. Poi la condurrà al
traghetto diretto
a casa.
Trama:
Meriel
è in una stanza d’albergo col
marito e si sta
accuratamente preparando per il funerale dell’amico
deceduto in un incidente stradale.
Pierre e
Jonas si conoscevano dai tempi
dell’università, pur frequentando facoltà diverse
ed in antitesi, l’uno
lettere Classiche e l’altro Ingegneria. Il rinfresco dopo la
funzione si svolge nella casa dei
genitori di Jonas e vi
partecipa anche la madre di Pierre. Tutto è stato
organizzato con cura:
i rododendri della siepe in giardino sono fioriti, in tavola ci sono
piatti di
ceramica e tovaglioli ricamati, gli ospiti posso
servirsi di mousse al salmone, tartine di gamberetti,
prosciutto, cetrioli
e funghi, sfoglie alla salciccia,
torta
al limone e frutta. Meriel non si
può
trattenere a lungo, perché ha programmato di visitare la
zia degente
presso una casa di riposo, ma
dovrà andarci da
sola, perché Pierre deve rincasare per tempo, come stabilito con
la baby sitter
che si occupa dei loro figli. Jonas si offrirà di
accompagnarla; nel percorso da
Dundarave al Maniero Principessa, Meriel
è molto imbarazzata, sia a causa dei silenzi di Jonas, sia
perché le
capita raramente di parlare con un uno sconosciuto e di trovarsi da
sola in
macchina con lui. La zia Muriel è sola e sta fumando, ma
la riconosce immediatamente
ed afferma che
l’uomo che l’accompagna, che nel
frattempo è
andato a procurarsi due sedie, non è suo marito. Meriel le spiegherà che è
un medico, ma non riuscirà a dirle
dell’incidente e del funerale, perché
lui interverrà precisando di non essere lì in
veste ufficiale. - Oh, no
– dirà zia Muriel – è qui con lei – Infatti –
confermerà Jonas. Durante
la visita la zia racconterà delle sue amicizie e dei suoi
trascorsi amorosi,
affermando di essere stata, ai suoi tempi,
un demonio. Sarà lei a
congedarli
spontaneamente, perché stanca.
Jonas propone
a Meriel, che accetta subito con
entusiasmo, una passeggiata in Stanley Park e dopo che lui ha parcheggiato, scendono
contemporaneamente
dalla vettura incontrandosi sul
marciapiede. Le
gambe di Meriel cominciano a tremare e gli chiede di portarla da
un’altra
parte; lui, dopo averla guardata dritta negli occhi, le risponde
semplicemente:
- Sì.
Andranno
nell’appartamento di lui,
prestatogli da un amico che si trova su
di un peschereccio al largo di
Vancouver Island. La sera, faranno appena in tempo a
raggiungere
Horseshoe Bay per consentire
a Meriel
di prendere il traghetto che la deve
riportare
a casa, ma solo dopo la morte di Pierre,
avvenuta a distanza di trent’anni, ricorderà che Eric che
rifiutò di baciarla,
prima che lei salisse sul traghetto. – Non lo
faccio mai – disse, mettendola al
riparo da
false speranze. Non lo rivedrà mai più, ma sentirà
ancora la sua voce, il tono
serio, ma contemporaneamente leggero, percepirà il suo
viso ed il distacco e non
capirà come abbia potuto
soffocare così a lungo un tale ricordo. Probabilmente
se non ne fosse stata capace, non sarebbe rimasta con Pierre, oppure avrebbe potuto condurre una
diversa esistenza, un genere di vita
a cui non
aveva mai pensato prima. Invece, prima del decesso di Pierre,
gli
comunicò, perché
informata dalla madre di
Jonas, la morte di Eric
avvenuta per
incidente aereo, nel corso di un volo di emergenza
Solo
ora, respirando la fresca aria
rarefatta, può pensare ad un’ altra vita, con percorsi,
trappole e traguardi, alla luce dei quali, anche le sue difese nei confronti di Eric diventeranno
un’espressione del suo modo di economizzare le emozioni, quasi una guida. E forse,
anche Eric, nel suo nuovo immaginario, avrebbe avuto un ruolo diverso.
8° racconto:
Queenie
E’ il nome della sorella di secondo letto della protagonista; il padre, vedovo si è risposato con Bet che ha avuto una figlia da nubile, Queenie, maggiore di tre anni di Chrissy. Tra le due s’instaura subito un fraterno rapporto di amicizia e complicità.
Personaggi:
Chrissy:
narratrice
e
protagonista
Queenie:
sorellastra
di
Chrissy
Bet: madre
di Queenie e
matrigna di Chrissy, fa la rappresentate di cosmetici
Stan
Vorguille: datore
di lavoro e, dopo la morte della moglie, convivente di Queenie, insegna
musica
Andrew:
studente di
Stan, fa amicizia con Queenie durante una festa di Natale nella loro
casa
Lesile:
amico di Stan, appassionato
di musica, felicemente scapolo, invita fuori a cena Chrissy
Trama:
Queenie
e Chrissy s’incontrano alla Union
Station di
Toronto dopo anni che non si vedono,
perché la
prima è fuggita da casa per andare a
vivere con Stan, che è
rimasto vedovo. Queenie
si occupava della casa di
Stan durante
la malattia della moglie, che lui ha
accudito
amorevolmente fino al decesso. La loro improvvisa fuga sorprende tutti; vivono
in una modesta casa in affitto i cui proprietari sono Greci ed hanno in
comune
il servizio igienico. Molti mobili della vecchia casa di Stan non ci
sono più e
Chrissy non capisce che fine abbiano fatto, ma presume siano stati
venduti. Le
condizioni economiche della coppia non sono delle migliori, infatti Stan,
che insegna musica agli studenti, la sera suona il pianoforte in
un
ristorante e Queenie fa la cassiera in un cinema. Chrissy è in cerca di lavoro ed
inizialmente servirà al banco di un
drugstore sito nel seminterrato di un condominio, ma verrà
licenziata subito.
In
occasione del Natale Queenie organizza un
festa,
invitando gli studenti di Stan, ormai adulti e la famiglia dei greci,
proprietari dell’appartamento che
porteranno
del vino fatto da loro; fra gli studenti
qualcuno porterà del rum, altri lo sherry, alcuni dei dischi
ballabili. Queenie
cucinerà sfoglie alla salsiccia e pan di zenzero e la signora
greca dei
biscotti.
Tutti si divertono e Queenie balla con uno studente di nome Andrew che desidera imparare a suonare “Al chiaro di luna”; faranno poi il gioco della sedia e Stan, ogni volta Queenie gli passa accanto, la prende sulle sue ginocchia. L’unica cosa che avanza dal banchetto è una torta cucinata da Queenie che non si riuscirà più a trovare nei giorni successivi, scatenando le ire di Stan. E’ convinto che Queenie l’abbia regalata ad Andrew e per tranquillizzarlo, la donna dovrà mentire, affermando che sì, non si era ricordata subito, ma l’aveva donata a lui, perché non poteva tornare a casa dai parenti per festeggiare il Natale. La torta invece, era stata avvolta da Queenie in un panno da cucina e poi nella carta oleata e racchiusa in un sacchetto, appeso al gancio nella veranda. Quando, giorni dopo, Queenie la ritroverà, ne assaggierà un pezzo, ma poi butterà via tutto, senza farne parola con Stan.
Chrissy, un giorno dovrà andare all’Ufficio Postale, per ritirare della corrispondenza di Queenie, ma non saprà mai chi le abbia scritto, pur supponendo che si tratti di Andrew. Queenie è eccitatissima nell’aprire la lettera, e prega Chrissy di servire il tè a Stan ed all’amico di lui, Lesile che è venuto a trovarlo, perché lei è in ritardo e deve andare la lavoro. Lesile inviterà Chrissy a cena, e la sua compagnia si rivelerà molto adeguata per la ragazza, che si sente un po’esclusa del mondo, costruito a modello di coppie, padre e madre, padre e matrigna, Stan con la prima moglie e poi Queenie.
Quando ormai
Chrissy è
alla scuola per insegnanti, riceverà dal padre una lettera che
le comunica la nuova
fuga di Queenie. Non
saprà mai con chi
sia fuggita, nemmeno dopo la morte del padre, ma
ogni Natale riceverà gli auguri da Stan.
Ora i figli
di Chrissy
sono adulti e durante i viaggi, che spesso intraprende con il marito, ha
spesso la sensazione di vedere Queenie:
tra la
folla di un aeroporto, con un gruppo di donne all’uscita di una chiesa,
con un
gruppo di bambini diretti in piscina ed infine, anni dopo,
ormai
anziana, sola e trascurata, in un supermercato. Chrissy inizialmente
non si
soffermerà, ma dopo aver caricato la spesa in macchina,
inventerà una scusa con
il marito e tornando indietro a cercarla, ma Queenie, che un tempo
l’aveva
abbandonata, ora non c’è più.
9°
racconto:
The Bear Came over the
Mountain
Probabilmente l’orso citato nel titolo é Aubrey, che Fiona, la protagonista, incontra nella casa di riposo chiamata Lagoverde. Viene ricoverata al comparire dei primi segni di deterioramento mentale, seppure lievi e non invalidanti. Tra i due nasce una tenera ed affettuosa amicizia, di grande conforto per entrambi, ma Aubrey è ricoverato solo temporaneamente e quando la moglie lo riporterà a casa, Fiona entrerà in depressione. Sarà il marito, Grant, a trovare una soluzione che concluderà il racconto con un lieto finale.
Personaggi:
Fiona: protagonista, è vissuta in una grande villa con i genitori. Il padre, stimato cardiologo è, tra le mura domestiche, un tenero e mite marito; la madre, islandese, donna robusta in tutti i sensi, non nasconde le sue inclinazioni politiche di estrema sinistra. La casa è frequentatissima da persone di ogni genere, che si accaniscono in vivaci dibattiti e vari colloqui, anche con accenti stranieri. Fiona non sente la necessità di frequentare alcun circolo universitario o politico, ma a volte in casa risuonano le note dell’Internazionale.
Grant: marito di Fiona, si conoscono dai tempi dell’università ma lei prende un po’ in giro lui ed anche altri corteggiatori. Sarà quindi una sorpresa per Grant, ascoltare la dichiarazione di Fiona sulla spiaggia di Port Stanley in una fredda giornata di sole: - Credi che ci divertiremmo se ci sposassimo ? – E’ urlando che lui le risponderà: - Sì –
Fiona aveva
dentro il
fuoco della vita, ma non ebbero figli.
Krissy:
infermiera
della
casa di riposo
Aubrey:
in
carrozzella a
seguito di un coma, è degente solo temporaneamente a
Lagoverde. Nel periodo che frequenta
Fiona, oltre a giocare
al Bridge, riuscirà anche ad alzarsi per brevi percorsi sostenuto da lei che afferma di averlo conosciuto da
giovane, nel negozio del fabbro
dal quale suo nonno si serviva.
Marian: moglie di Aubrey, lo riporta a casa al termine del ricovero, come era stato preventivato e rimane sorpresa della visita che Grant le farà, chiedendole di consentire, che almeno qualche volta, il marito possa incontrare Fiona. Con insospettabile coraggio telefonerà a Grant, dopo il loro congedo e lo inviterà alla Festa danzante dell’Associazione Ex combattenti. Seguirà la visita di Aubrey a Fiona.
Trama:
Nel racconto
è descritto
l’insorgere di un deterioramento mentale senile della
protagonista, la quale suggerisce al
marito di ricoverarla in
casa di riposo. Qui Fiona si ambienterà, accettando i limiti ed
i
condizionamenti imposti dal regolamento e quando, dopo un mese come
previsto, Grant
si recherà a farle visita, la troverà seduta ad un tavola
da bridge accanto ad
un invalido. Si tratta di Aubrey,
che Fiona
afferma di avere conosciuto da giovane e che diventerà il suo
fidato compagno,
al punto di cadere in depressione quando la moglie lo riporterà
a casa al
termine del ricovero per la riabilitazione. La
sensibilità di Grant lo
indurrà a prendere contatto con la moglie di Audrey, favorendo
l’insorgere di
una amicizia fra loro e la continuità dell’affettuoso rapporto
fra i due
anziani non più autosufficienti.
DI
ALICE MUNRO
1978
vince il maggior premio
letterario del Governo Canadese
Flo
matrigna
Brian
fratellastro di
Rose, diventerà ingegnere
Billy Pope
cugino di Flo, lavora
nella macelleria
Tyde
macellaio
Becky
figlia di Tyde,
forse violentata dal padre
Robert
fratello di Tyde
Cora
amica preferita
di Rose durante l’adolescenza
Donna e Bernice
altre amiche di Flo
Prof.ssa Henshawe
insegnante in pensione – c/o la sua
casa alloggiano borsiste
dell’università, tra queste Rose
Miss. Hattie insegnate d’inglese, zia di Milton, il nonno aveva aperto la Filanda in paese
Miss Mattie
gemella di Hattie,
casalinga
Patrick
marito di Rose,
benestante, timido, intellettuale
Anna
figlia di Rose
Jocelyn
amica di Rose
conosciuta nel reparto maternità, casalinga
Clifford
marito di Jocelyn,
violinista col quale Rose ha una relazione
Tom
docente
universitario
del quale Rose è un po’ innamorata
Dorothy
amica di Rose,
single, conduttrice radiofonica
Milton
lieve insufficiente
mentale, vive con le due zie gemelle
Phoebe
moglie di Brian,
calma e ligia al dovere
Simon
insegnante,
conosciuto ad un party, trascorre un’intensa notte d’amore
con Rose, morirà di tumore al pancreas.
Trama
La madre di Rose è morta quando lei era ancora nella culla e Flo rappresenta la moglie ideale per il padre. E’orfana di madre dall’età di 12 anni, cresciuta in una famiglia di agricoltori, forte, ma ingenua quanto basta, pratica ed operosa, ha la capacità di cavarsela da sola, senza usare troppa razionalità, che nelle donne stona. Questa è l’opinione del padre di Rose, che vede in lei gli aspetti peggiori della femminilità: non sa fare lavori manuali, (la madre era una bravissima tappezziera), ama studiare, dalla letteratura alla storia medioevale, dalla geografia al francese, dall’algebra al latino, ha una vivace dialettica ed a volte si esibisce tra i compagni di scuola, raccontando i piccoli scandali del paese. Assiste anche ad episodi violenti e provocazioni nei confronti di ragazzine indifese ed un po’ insufficienti mentali, da parte dei giovani bulli, compagni che eviterà accuratamente di frequentare, preferendo invece, studentesse un po’ più grandi con comportamenti spiccatamente femminili, abiti e atteggiamenti di velata seduzione.
Il padre si ammala gravemente, ha problemi polmonari e morirà prima che riescano a condurlo all’ospedale dei veterani, come il medico aveva consigliato di fare. L’ultima sera la trascorreranno in casa riuniti, c’è anche il cugino di Flo che si era offerto di accompagnarlo all’ospedale con la sua auto, che attualmente è dal meccanico per una riparazione.
Rose andrà a Toronto, per la prima volta da sola, per acquisti; precedentemente ci era stata con Flo.
Trascorrerà la notte da una cugina del padre, ma durante il viaggio in treno sarà importunata da un sacerdote, un ministro della Chiesa Riunita, come si definirà, prima di allungare timidamente la mano, nascosta sotto al giornale, mentre finge di dormire. Rose non troverà il coraggio di reagire e si lascerà toccare, restando immobile al suo posto, vicino al finestrino. Giunti in stazione, lui l’aiuterà ad infilarsi il cappotto, quindi si defilerà velocemente.
Rose, che ha vinto una borsa di studio, per poter frequentare il college, troverà lavoro nella biblioteca. La responsabile è amica della Signorina Henshawe, che ospita giovani borsiste e Rose si stabilirà da lei.
Patrick,
ventiquattrenne benestante, di origine scozzese, specializzando in
storia,
frequenta la
biblioteca e s’innamora di lei, proteggendola dagli abusi di un
utente
che aveva tentato di afferrarle una gamba, per poi scappare via
velocemente. La
condurrà a casa della sua famiglia che vive a Vancouver Island,
vicino a
Sidney, in una villa con giardino, dotata di grandi vetrate che si affacciano
sul mare e le regalerà un diamante.
Patrick
ha due sorelle,
Joan e Marion, più giovani di lui, ma più grandi di Rose,
che durante un
pranzo la interrogano circa i suoi
hobby: - cavallo, barca a vela, golf o tennis ? – No. No. No. Interverrà
il padre, affermando che forse è un
genio intellettuale, come Patrick, il quale, imbarazzato, comincerà a declamare ai presenti
l’elenco di
premi e borse di studio da lei vinti. La famiglia sembra compatta
contro
Patrick, ma l’alleanza dura poco, il padre in realtà disprezza
le figlie,
lamentandosi del tempo che dedicano ai loro giochi, barche e cavalli,
ma
soprattutto dei costi. Rose, preoccupata, domanda a Patrick se sia
la sua
presenza a determinare un tale comportamento. Con soddisfazione lui le
risponderà: - Tu non piaci, perché io ti ho scelta. -
Ad
Hanratty le cose non andranno meglio:
tovaglia e centro tavola in plastica, menù a base di
salsicce campagnole, gentilmente offerte da Billy Pope, con contorno di
rape e
patate gratinate, toglieranno completamente l’appetito a Patrick. Gli
sforzi
di Rose nel cercare un argomento di conversazione naufragheranno ed il
commento
conclusivo del fidanzato sarà: - Avevi ragione, è una
topaia, sarai
contenta di essertene andata –.
Tornerà
ad Hanratty da sola, per un fine settimana, donne
e ragazze che prima la ignoravano, ora la fermano per strada
augurandole
tanta felicità, chiedendole di mostrare loro l’anello ed
esclamando,
sapendo che sarebbero andati a vivere nella Columbia Britannica: - Che
bello !
E’ vero che non viene mai l’inverno ? –
Litigheranno;
lei voleva lasciarlo,
affermando che non l’amava, insultandolo, dandogli del codardo e del
moralista,
lui le scriverà un biglietto, suggerendo
di non vedersi per due settimane, per stabilire quali siano i loro veri
sentimenti. Lei penserà che la fuga da Patrick comporti necessariamente l’allontanamento dalla
casa della professoressa Henshawe e dalla biblioteca, ma rivedendolo,
tra
gli scaffali dei libri, nella semi oscurità, con il lungo collo
che emerge
dalla spalle ossute, coperte dalla vecchia camicia scozzese, si
commuoverà, pensando che
é una persona dignitosa e
che non ha cercato la sua pietà.
Poi
vede se stessa correre verso di lui, abbracciarlo con slancio, ridendo
e
piangendo, affermando che é tutto a posto, che lo ama.. Sta
per lanciarsi,
da uno scoglio o sopra un accogliente letto d’erba e fiori, non
lo sa,
ma lo farà.
Tenterà
di analizzare questa sua reazione, dopo il divorzio, ricordando i
momenti di
tollerabile normalità
del loro matrimonio, durato dieci anni: la nascita di Anna, l’ansia
per una
sua malattia, ma anche le cenette, la posa della tappezzeria, le spese
affrontate insieme. Non ha confidato
a nessuno dei violenti litigi, la testa battuta contro la
spalliera del
letto, il vetro di una finestra della sala da pranzo rotto
dalla
salsiera che gli aveva lanciato contro, lui a volte la perdonava, a
volte la
picchiava. Insieme si domandavano che cosa facesse scattare la
reazione,
forse una vacanza avrebbe giovato ad entrambi, forse capitava a tutte
le
coppie. Forse, quel sabato, avrebbe dovuto lasciarlo là, tra i
libri.
Lo
rivedrà nove anni dopo il divorzio, all’aeroporto di Toronto, sola, stanca e bagnata nel
suo trench stazzonato; lui, di spalle, in un bar, appesantito.
Lei
si ferma e lui si gira, puntando in direzione dei tavoli; ha un
aspetto
moderno e gradevole, leggermente compiaciuto, vedendola assume
un’espressione
infantile, facendo una smorfia, quasi un monito selvaggio. Rose si
domanda come
possa odiarla tanto, perché lei sarebbe pronta a farsi avanti,
con tutta la sua
buona volontà.
La
sua relazione con Clifford era iniziata durante il loro terzo anno di
matrimonio, in casa di lui, sposato con Jocelyn, che Rose aveva
conosciuto al
reparto maternità. Avevano dato un party e Clifford, di
professione
violinista, vestiva in nero, capelli chiari e lunghi, pelle abbronzata,
grazie
allo sci, il tipico artista, molto
vicino alle abitudini ed alle aspirazioni di Rose. I loro rari
incontri
successivi si svolgeranno in un parco, in un bar, nel retro del teatro,
mai in
hotel. Così, in occasione di una tournée con l’orchestra
per la quale lui
suonava, decidono di trovarsi alla stazione degli autobus di Powell
River
per poi cercare un albergo. Rose avrebbe detto a Patrick che andava a
Vancouver, da un’amica del college. L’incontro sarà un fallimento,
lui arriva in ritardo, lei vorrebbe accompagnarlo a teatro, lui
rifiuta, è
cambiato, ha i capelli corti, è
pallido
e le dice che se andassero fino in fondo la cosa non gioverebbe a
nessuno. Lei
l’osserverà suonare, seduta nell’auditorium e nel cuore della
notte gli
telefonerà, sentendosi dire di stare tranquilla e di dormire. La
loro
amicizia continuerà con la presenza di Jocelyn.
Clifford avrà successo e
si
trasferiranno a Toronto in una grande casa di mattoni sull’orlo di un
precipizio. Hanno installato una sauna, dove lui trascorre molto
del suo
tempo, perché è terrorizzato dall’artrite, che afflisse
per anni il padre. Rose
ogni tanto va a trovarli.
Una
volta, lei, Clifford e Jocelyn, dopo un party nella loro nuova casa,
sbronzi e
rilassati, si siedono davanti al camino, Rose consiglia di smettere di
bere, e
Clifford suggerisce di fare l’amore, e comincia a spogliare la moglie e
poi
Rose, che il mattino seguente
tornerà
nella sua casa di campagna adagiata sul fianco di una montagna.
E’
un po’ isolata dal resto del paese e le cure di Rose per rendere
l’arredamento
piacevole, le daranno un aspetto accogliente. Anna ci vivrà
per un
breve periodo, dopo le vacanze di Natale e riuscirà a crearsi
subito nuove
amicizie fra i compagni di scuola, ma la situazione è per
Rose molto
pesante. Il suo lavoro alla radio, le difficoltà quotidiane da
affrontare in un
piccolo paese con tutti i negozi in fondo alla valle e
l’impossibilità di
realizzare un incontro con Tom, docente universitario al quale tiene
molto,
causa i reciproci impegni, la stressano molto.
Con
la collega della radio Dorothy, si scambiano alcune confidenze circa i loro rapporti con
gli uomini; Dorothy ha lasciato il marito per un giornalista che
dall’Inghilterra le aveva scritto di amarla e lei organizza subito la
partenza.
Purtroppo quando arriva in Inghilterra lui è già partito
per il Kenya.
Rose
riceverà una lettera da Patrick nella quale
le spiega che è intenzionato a chiedere il divorzio ed a
risposarsi con
Elizabeth.
Desidera che Anna vada a vivere con loro e la verrà a prendere
al termine della
scuola. La vita di Anna cambierà radicalmente, avrà
una stanza con letto a
colonne, baldacchino, copriletto, camicia da notte e cuffietta in tinta
e
prenderà lezioni di danza ed equitazione.
Rose
è di nuovo sola,
ma esce e cammina per le strade, osservando le finestre illuminate del
sabato
sera. Immagina se stessa in contesti differenti, è un
attrice e sa come
adattarsi al copione: potrebbe sedersi su costosi divani, sotto ad
arazzi
di velluto, ma anche partecipare a feste in locali pieni di posters,
illuminati
da lampade con scritto Coca Cola, o in stanze piene di libri e di
riproduzioni.
La invitano ad un party, dove incontrerà Simon che ha
origini ebree e le
racconterà della fuga in treno all’età di 14 anni con la
sorella maggiore ed un
altro ragazzo. Li avevano mandati a stare dai parenti francesi, per
allontanarli dalla Polonia, ma dovranno scappare ancora, superando
altre
ispezioni.
Il
week end che trascorrono insieme è perfetto, infatti Rose aspetterà Simon il fine settimana
successivo,
ma non vedendolo arrivare, non avrà il coraggio di telefonargli.
Non può
certo immaginare che si ammalerà gravemente e morirà dopo circa un anno. Riceve la notizia a
Vancouver, dove si trova per una nuova serie televisiva, da una
giornalista
che era al party durante il quale lei e Simon si erano incontrati. Le
riprese televisive non le daranno nemmeno il tempo di commentare il
triste
evento.
Brian
si era sposato con Phoebe, donna calma e servile; Rose le telefonerà dopo
aver visitato Flo; erano due anni che non la vedeva e si rende conto
che le
problematiche senili la stanno consumando. Phoebe la inviterà
a cena
e seduti nel giardino, vicino alla piscina, dove la loro figlia minore
sta
cavalcando un drago gonfiabile, decideranno per il ricovero di Flo
in casa
di riposo. Per prima cosa Rose visiterà l’ospizio e
descriverà a Flo le
ampie stanze e tutte le attività ricreative che occupano la
giornata degli
ospiti, ma Flo sembra più interessata al menù. Il mattino
seguente si alzerà di
buon ora, dicendo a Rose, che scambia spesso per un assistente sociale:
-
Sono pronta, andiamo; l’hanno mandata qui
apposta per portarmi là, in quel posto dei poveri –
Nel
corso di una delle ultime visite ad Hanratty, Rose rividrà
Ralph, il
compagno di classe, suo complice al liceo. Ha ottenuto
l’invalidità a causa
di una ferita riportata durante la carriera navale, zoppica e
trema,
infatti deve usare entrambe le mani per portarsi alla bocca il
bicchiere di
birra. Lo sguardo però è identico a quello dei tempi
giovanili, l’occhiata che
si scambiano manifesta la reciproca cospirazione e confidenza che Rose
ricorderà nel tempo, anche dopo
avere
letto la notizia della sua morte a causa di una caduta, e sempre
sentirà la sua
presenza vicino.
Pubblicato su Repubblica il 12.08.2006
Personaggi:
Doree: protagonista, fa la cameriera in un Motel
Lloyd: marito di Doree, conosciuto nell’ospedale dove la madre di lei era ricoverata a seguito di un intervento alla schiena
Sasha, Barbara Ann e Dimitri: sono i loro tre figli
Maggie: amica di Doree
Signora Sands: collabora con l’assistente sociale che assiste Doree, dopo il ricovero del marito in ospedale psichiatrico; le trova una casa ed un nuovo lavoro.
Trama:
Doree è la cameriera di un motel, conosce Lloyd che fa l’inserviente nell’ospedale dove la madre è ricoverata a seguito di un intervento chirurgico alla schiena. S’innamorano, si sposano, vanno a vivere in campagna e lui, che trova lavoro in una fabbrica di gelati, si occupa anche dell’orto.
Hanno tre figli, Sasha, Barbara Ann e Dimitri, che nei primi mesi di vita soffre di coliche, problema mai evidenziatosi con gli altri due figli. Doree integra l’allattamento al seno col biberon, ma nasconde questa iniziativa al marito, che è contrario. Quando però il biberon si sostituisce completamente al seno, il fatto non è più celabile. Cominciano le liti, che si ripresenteranno ogni volta che Dimitri ha un problema, dal semplice raffreddore al lento apprendimento della deambulazione. Secondo Lloyd, tutto dipende dal fallito allattamento, ma i suoi rimproveri non si limitano a questo, infatti non vuole che i figli frequentino la scuola pubblica e desidera educarli personalmente. Così Doree farà amicizia con Maggie che si offre di accompagnarla in auto, sia a ritirare i programmi scolastici messi a disposizione dal Ministero, unitamente agli schemi delle lezioni, che a consegnare i compiti che Sasha esegue regolarmente, manifestando ottime capacità di apprendimento. A volte le due madri, Maggie ha due figli, si fermano a chiacchierare un po’ sedute in panchina, mentre i bambini giocano. Tale amicizia alimenterà la gelosia di Lloyd, che attribuisce a Maggie la responsabilità dell’allergia di uno dei suoi figli, sostenendo che tali problemi sono sempre causati dalle madri. Il diniego di Doree aumenterà l’intensità del conflitto, che però esploderà per un altro motivo: aveva comprato un barattolo di spaghetti leggermente ammaccato, pagandolo meno e Lloyd sostiene che probabilmente era avariato e che solo una matta poteva comprare veleno per la famiglia. Doree deciderà di uscire di casa e mentre si sta infilando il cappotto, il marito le dirà: - Non farlo ! Ti avverto ! –. Andrà a casa di Maggie, la quale, alla telefonata di Lloyd, risponderà rassicurandolo che la mattina seguente accompagnerà personalmente sua moglie a casa. Doree s’informa sul tono di voce del marito ed accetta di trascorrere la notte in casa di Maggie, non potendo certo prevedere la tragedia che l’avrebbe accolta al ritorno:
Lloyd
ha soffocato
col cuscino
Dimitri e Barbara Ann; Sasha, che aveva
tentato di scappare, è stato strangolato.
Te
la sei voluta !
– Affermerà Lloyd – Ieri sera, quando ho chiamato, era
già successo !
Alla
polizia dirà di averlo fatto per risparmiare ai figli
la sofferenza di vedersi abbandonati dalla madre.
Il
racconto si
conclude con
Doree che assiste ad un incidente, mentre si trova su
un mezzo di trasporto pubblico: un giovane
alla guida di un camion, esce da una via laterale e taglia la strada
all’autobus. Forse si era addormentato al volante; viene catapultato
per aria
ed atterra sull’asfalto di schiena. Doree lo soccorre e si offre di
restare con
lui fino all’arrivo dell’ambulanza.
(Traduzione
e sintesi di Clara Terrosu - dal sito Answers.com)
Nasce a
Wingham nell’Ontario, in Canada nel 1931 da Robert Eric
Laidlow, allevatore di volpi e pollame e da Anne Clark, insegnante.
E’
considerata la più grande scrittrice contemporanea del Nord
America. Ha vinto per tre volte il prestigioso premio letterario del
Canada “Governor General’s Award”.
Comincia
a
scrivere da adolescente e pubblica la sua prima opera “La
dimensione di un ombra” nel 1950, durante gli anni
dell’università che trascorre anche lavorando come cameriera e
bibliotecaria.
Nel
1951 lascia l’Università per sposare James Munro
e si trasferiscono a Vancouver. La prima figlia, Sheila, nasce nel
1953 e la seconda, Jenny nel 1957. Si trasferiscono a
Victoria nel 1963, dove pubblica col marito i Libri Munro e qui,
nel 1966, nasce la terza figlia Sara.
La
sua prima collezione di racconti è del 1968: La danza delle
ombre felici. Acclamata, vince il
prestigioso premio letterario Canadese “Governor General’s Award”.
Il
successo si ripete nel 1971 con una collezione di racconti
intitolata “Vite di ragazze e donne”.
L’anno
seguente divorzia dal marito e torna ad Ontario ottenendo il titolo di
scrittrice residente presso l’università. Si risposa con Gerald
Fremlin, geografo, nel 1976 e si trasferiscono in
una fattoria nella campagna esterna all’Ontario, dove risiedono
attualmente.
Con
“Chi ti credi di essere ?” pubblicato nel 1978, vince ancora il
Governor General’s Award.
Poi,
fino al 1982 viaggia per l’Australia,
Nei dieci anni successivi pubblica una collezione di racconti che aumentano la sua fama, vincendo premi nazionali ed internazionali. Spesso, alcuni racconti appaiono su pubblicazioni come The New Yorker, The Atlantic Monthly, Grand Street, Madamoiselle e Paris Review.
Alcuni titoli: Segreti svelati, Stringimi forte, non lasciarmi andare, Nemico Amico Amante, In fuga, Il sogno di mia madre, Il percorso dell’amore, Odio, amore e matrimonio.
Nel
2002 la figlia Sheila pubblica le memorie infantili, intitolate Vite di
madri e figlie: crescendo con Alice Munro.
In
un intervista del 2006 per presentare la sua collezione The
View from Castle Rock, afferma di non potere pubblicare altre
collezioni.
Alice Munro : Il
suo
stile di scrittura
(Traduzione di Clara Terrosu dal sito answers.com)
Molte storie della Munro sono ambientate nella Contea dello Huron nell’Ontario. Una delle prime caratteristiche della sua scrittura è la forte influenza locale. Un’altra è la narrazione di tutte le conoscenze che servono a dare il senso del mondo. Molti confrontano il setting dei suoi racconti, che si svolgono in piccole città, con le descrizioni di altri scrittori americani delle zone rurali del Sud. Come nella scrittura di William Faulkner o Flannery O’ Condor, i suoi protagonisti affrontano spesso i radicati costumi e le tradizioni locali. Tuttavia la reazione dei protagonisti della Munro, è meno intensa che negli equivalenti personaggi del sud.
Alice
cattura
l’essenza di ogni uomo, ma i sui personaggi femminili sono
più
complessi, perché trattano ad esempio, del conflitto
fra il
desiderio d’indipendenza e la vita domestica,
la creatività ed i doveri, la sessualità e
la vita delle donne
artiste.
Molti protagonisti si possono inserire nel genere letterario definito come Gotico del Sud dell’Ontario. I suoi lavori sono spesso paragonati a quelli di grandi scrittori, ad esempio la scrittrice americana Cinzia Ozick, la definisce come il nostro Chekhov.
Alice
Munro è
apprezzata per i toni discreti e le sfumature ironiche; tra i
suoi temi
ricorrenti, la povertà, la vergogna e le sottili differenze
fra i ceti
sociali.
Un
argomento
frequente del suo lavoro è stato il dilemma del passare
degli anni di
una ragazza e delle condizioni determinate dalla sua famiglia e dalla
piccola
città nella quale è cresciuta. In un recente lavoro come Odio,
amore e
matrimonio e In fuga,
lei ha spostato la sua attenzione verso i conflitti di una donna di
mezza
età e dell’ anziano. E’ un segno del suo stile per personaggi che sperimentano una rivelazione che
illumina, dando significato ad un evento.
Come
Helen Hoy
osserva, le risorse della Munro, il lucido linguaggio e la padronanza
del
dettaglio, danno ai suoi racconti una notevole precisione. La prosa
della Munro
rivela le ambiguità della vita: ironica e seria
nello stesso tempo. I
luoghi del suo stile, il fantastico che si approssima
all’ordinario con
facilità e con altri modi che evocano la vita semplicemente.
Come
nota Robert
Thacker: Gli scritti della Munro creano qualcosa che equivale ad un’empatica
unione fra lettori, critici evidenti per la maggior parte fra loro.
Noi
siamo annegati nei suoi scritti, con le sue descrizioni così
veritiere e
realistiche, non imitazioni,
ma piuttosto sensazioni di essere se
stessi o semplicemente essendo esseri umani
viventi.
Il
presente articolo è uno dei lavori presentati durante il
Convegno ‘’Alice Munro
- The art of the short story / L’arte del racconto” che si è
tenuto presso il
Centro Siena-Toronto, Università di Siena nei giorni 4-5 maggio
2007. Gli atti
del convegno saranno prossimamente pubblicati dallo Iacobucci Centre,
Toronto,
in un volume a cura di Francesca Balestra, Caterina Ricciardi, Laura
Ferri. I
diritti sugli atti e sui singoli articoli sono dello stesso Iacobucci
Centre.
“Should the
writer […] write about home?” asks
Eudora Welty (129). Alice Munro has always done so. From her bildung collection Who Do You Think You Are
to her more recent stories, home has often
appeared as the locus of her fiction - an interlacing ribbon which
ties the corpus of
her work into a kind long short story cycle, interconnected through
excursus
and recursus in a mode that Ingram calls “the tension between the one
and the
many” (qtd in Lynch, 18). Home is the place from which characters like Rose, the
prototype of the Munronian quester, have ventured on many different
journeys
“to manage a transformation” (WDY, 64) –
and towards which they have attempted their own homecoming[1]
In all its complexities, the
homecoming - like the journey away - can entail the encounter with the
strange,
the unknown and the unheimlich. More
ostensibly, the return home can be germane with death, the weight of
secrets,
baffled expectations, jolting revelations, and most often failure in
recognizing
the place as it has been remembered.
But what is home as place of
self legitimization? What does it mean to return to that persistent
reality?[2]
Susan Neiman in Evil in Modern Thought says:
“Home is the normal – whatever place you happen to start from, and can
return
to without having to answer questions […] a place where we know our way
about.”[3]
But home is not so easy to
locate. In the trilogy “Chance,” “Soon,” “Silence,” there is a
metaphorical representation
of home’s refusal to be either the “normal,“ or
the heimlich.
In the
painting Juliet bought for her parents because it reminded her of her
parents’
place, the woman waiting for the man who walks with a scythe on his
shoulders
is hanging upside down. And with this allusion to a reversal of reality
through
memory or time, as well as with Munro’s “recalcitrance” to spell meanings, we remain
uncertain about where home can be. Perhaps, we may even suspect, it is
in
regions far from the narrator and author’s native place, maybe in the
North – the
site which is debated as making the identity of Canada, where Juliet’s
daughter
had fled and which she herself had almost reached travelling past the
borders
of many regions, through “an unfamiliar
[…] terrifying […] exhilarating landscape where she would meet her
fate”
(NY 2004, 133). Or perhaps, we must
remain convinced that home is in the past, with one’s roots. When returning to
her parents’ Ontario place as an un married mother, Juliet does not
know her
way about,” nor can easily recognize her self there: “The closer we get home the
more we disappear” (Brand, 1994, 14), says Dionne Brand. Thus she writes to Eric,
the man she met by “Chance”, now her companion at
some shift must have taken
place [...] concerning where home was. It had stopped being at
Here turns appropriate
Ondaatje’s observation “we live permanently in the recurrence of our
own
stories” (Ondaatje, 2007, 136),[4]
or Faulkner’s often quoted line from Requiem
of a Nun, “The
past isn’t dead, it isn’t even past,” to say that home, the place
of one’s origin and past lingers in the present to beckon a return..
With her recent The
View from Castle Rock, Mhunro has
travelled far into her family’s past.
We
might expect nostalgia to run through this quasi memoir, treading, in
part, the same territory as her father’s story, The
McGregors. As a matter of fact, heimveh echoes in
the title story. There, on sighting the bountiful
coast of
I was struck with a feeling
familiar, I suppose, to many people whose long history goes back to a
country
far away from the place where they grew up. […] Past and present lumped
together here made a reality that was commonplace and yet disturbing
beyond
anything I had imagined (ibidem 7).
But,
soon afterwards, she makes it clear that her journey into her
family’s past could not be tinged with the disturbing malady of nostos suffered by exiles, or by people
more recently removed from their families’ land of origin,
Italian-Canadians,
Chinese-Canadians, people who have negotiated their hyphenated identity
in
memoirs like Fiorito’s, Wah’s or Choy’s. In fact, in the same account,
she
explains:
There was an historical
awareness of that recent past, even a treasuring or exploitation of it,
which
is only possible when people feel themselves most decidedly removed (ibidem 21).
The aching need that has moved
writers like Joe Fiorito in their memoir- journeys to know “what we are
and
where we are from” (Fiorito, 1999, 158) in Munro’s ‘memoir’ is more
distinctly
sensed in a story included in her latest collection but dating back to
her
earliest writing: “Home” - a story which brings Munronian readers unto
a more
familiar ground than Scotland – the south western Ontario provincial
town where
the narrator returns to see her re-married father to hospital, and to
find that
the vocal presence of a coarsely domineering step-mother obliterates
the
“special” space of her dead mother (a trope in her stories, like home,
looming
everywhere, whether in absentia or as a “stricken shadow’’[5]).
In that story, back in the place she grew up in, and by the memory of
which she
“was greatly moved when she lived more than a thousand miles away”
(VCR,
288), she writes:
[…] the house does not mean as
much to me as it once did […] it seems to me it was myself that I loved
here –
some self that I have finished with (ibidem
290).
And
of the town she says:
The town, unlike the house,
stays very much the same […]. Nevertheless it has changed for me. I
have
written about it and used it up. Here are more or less the same banks
and
hardware and grocery stores and the barbershop and the Town hall tower,
but all
their secret, plentiful messages for me have drained away (ibidem
300).
Yet, Munro has recently
published another story in Harper’s,
“ Child’s Play” – to prove that there is still some self she has to
finish with
and there are still secret messages from within or around the south
western
Ontario country town – the town that, far from having been ‘used up,’
remains
the primary proving ground of her genius loci
and sense of place which, to quote Welty again, “is as essential to
good
writing as a logical mind”(Welty 1990, 128).
Many sophisticated theories as
to the concept of space, time and truth, would turn useful for the
interpretation of this story – from Derrida’s ‘differance’ to Bakhtin’s
‘Carnival Ambivalence’. Derrida could
certainly sound appropriate help to interpret the shifting of a
supposedly
single identity into a three-fold ‘I’ through the triptych
Marlene- Verna- Charlene, when he says .”The
I constitutes the very form of resistance. Each time this identity
announces
itself, each time a belonging circumscribes me […]someone or something
cries:
“Look for the trap, you are caught. Take off, get free” (online
article, 117).
Or we can adopt Alisa Cox’ comment on the Bachtinian concept of the
carnivalesque (47) in reference to the
representation of Verna’s body and to the parodic effect of the title
announcing as ‘play’ what turns out to be a chilling crime.
Certainly, theories
about the uncanny cannot be evaded when reading this story. But I’ll
leave it
to specialists to deal with all that. And I will simply read this
narration as
I would in the classroom, with the idea of the ‘double’ in mind and
glances
at Munro’s earlier writings, from which
many patterns recur in this story – many more, in fact, than
can be discussed here: the indictment of
parents, the mother-daughter relationship[6],
the “menace of love,”[7]
the fallacy of memory, the everlasting presence of the past, “sprouting
up
fresh” in a switchback.[8]
There is not much of the
representation of the homecoming in realistic terms in this story -
even though
the divide between the first time sequence and what follows is a return
home
from camp, with the children’s disquieting feeling that they would soon
“resume
[their] old lives, and the counsellors would go back to being ordinary
people”
(78). A typically Munronian leap in the time sequence prevents us from
knowing
more about the school children’s and counsellors’ going back home, back
“to the
normal,” to “being ordinary people.” Nevertheless, this too is a return
story,
because it is made of Munro’s return to her own familiar space –
Munro’s ever-present
‘little stamp of native soil,’ fictionalized in previous stories with
the names
of Hanratty, Jubilee or Walley and here unnamed, is where the protagonist
lived in a house-home situated like Rose’s place in “Who Do You Think
You Are”
on a characteristically boundary zone “between decent and fairly
dilapidated”
(75). It is also the town of the two schoolgirls whose lives interact
with hers
against the two main ‘backdrops’ declared by the author – the Second
World War
and religion.
Except for
authorial declaration, World War II and Christian Protestantism, like
the town
of origin, remain mostly unheeded and offstage. But we may argue that
echoes of
“bombing raids and battles, news of sinking ships”- “the constant,
though
distant backdrop of [the protagonists’] lives” - may have awakened
those
violent instincts of which we hear the explosion in the second part of
the
story - and which we could not have expected from the narration of an
ordinary
camping experience in the first. And we learn that religious practice
at camp,
regularly enforced, even though without “much harping on” (74), is what
one of
the characters retreated to in adulthood, to be shrived of a repressed
sense of
guilt for a childhood crime – a crime which the writer keeps hidden
from the
reader till a final chilling revelation.
Unaware of the
appalling secret, the reader fares through the narration of “Child’s
Play,”
taking it first at face value, as an ordinary vivid account of “the
hazards of
life as a child” (NY, 2002, 74). Following Munro’s typical turns and
shifts,
deferrals and prolepsis, acquainted with her ‘recalcitrance’ to spell
meanings,
we negotiate our perspectives from her usual fractured time structure,
and look
at three schoolgirls’ behaviour simply as to a case of
interrelationship
between peers. An extreme case. We see the attraction between two of
them and
their aversion, even repulsion, against a third pal. We had seen this
kind of
connections and dis-connections played in “Day of the Butterfly,” “The
Found
Boat,” and later in “Fathers,” even though in those stories feelings of
repulsion
for the outsider, fabricating or strengthening sympathy within the
group, only
amounted to mockery, suspicion and unease and never exploded into a
crime.
In Munro’s insights
about children’s lives, once again exhibited in “Child’s Play,” we can
perhaps
recognize a view of the dual instinctive mechanism triggered by fear
which
Russell identifies as of “friendship within the tribe and hostility to
all
others” (Russell, 13). We find an example of this in “Illinois” (a
story now
collected in The View from Castle Rock),
with Susie and Maggie, who “were bound together in an intense
relationship
loaded with secret rituals and special jokes and fanatical loyalties
[…] as if
they had chosen each other against the rest of the world” (101).
The representation
of that instinctive drive towards cohesion and aversion turns “Child’s
Play”
into a horror story in the line of Lord
of the Flies, or similar anti-utopian accounts of the evil in
children. We
might read in it an utterly pessimistic verdict on human nature.
“Child’s Play” is
no ‘Song of Innocence,’ yet such a verdict would be at odds with what
Munro
says in “Fathers” “about this matter of what molds or warps us,” which
is
“mysterious” and “uncomforting,” but also “unaccusing” (FY 2002, 71).
And if
Munro’s characters had not some trust in man’s future we would not have
heard that
in “Silence,” that conspicuous silence of Munro’s trilogy, Juliet will
keep on
“hoping for a word” from her daughter who has fled home, even though
she will
not do this in a strenuous way, but rather “as people who know better
hope for
undeserved blessings, spontaneous remissions, or things of that sort”
(NY
2004,160).
Above all, we cannot stop at
one first reading of this story. Because we know we must read Munro’s
stories
as “searchingly” as we can – as she has done, according to her own
declaration
(in the “Foreword” to her latest book), in writing about her ‘self.’
Then, trying to comply with
Poe’s tenet that short stories need a reader who participates in the
making of
meaning, I’ll seek a meaning in this story by trying to identify ‘the
other,’
the target of instinctive hostility, and also by looking at names heard
against
the important, albeit remote, backdrop of religion.
The ‘other’ here is
the strange, the uncanny, the ‘unheimliche’- what eludes expectations
and
amazes on any homecoming, if to return home, or to retrieve the self,
is
expected to be back to “the normal.” The ‘other’ as such is embodied by
Verna,
one of the three girls who form a trinity-like palimpsest of the kind
through
which Munro has often woven her perceptions of children’s misrule and escape.
Verna is the
girl who came
to live with her grandmother (whose name, ironically, was Mrs Home in
spite of
her failure to protect her granddaughter). Mrs Home sheltered Verna in
her
rooms at the back of a “tall, ugly” and yellow house of which the
narrator’s
family rented the rooms at the front. The spatial opposition in the
“double
house”(75) anticipates the two girls’ conflicting attitudes to each
other:
clinging, coiling attachment on the part of Verna,[9]
repulsive aversion on the part of the girl inhabiting the front rooms.
Verna
would stand at the corner of the yellow house[10]
“watching” the narrator (76), like a special agency, or double, capable
of
observing and criticising the self ;[11]
The narrator said she hated her (“ had an aversion to her unlike
anything [she]
had felt up to that time for any other
person”), adding later in an explanatory aside (unusual in Munro) that
“children use the word hate to mean various things. It may mean they
are
frightened” [12]:
cohesion and hostility are reinforced by fear. In fact, she was
threatened by Verna’s “squinty-eyed expression” (76) – a deformity
reflected in
the off-centered door to the house – fearing not physical harm “so much
as some
spell, or dark intention.” That hate/fear “is a feeling you can have
when you
are very young even about certain house faces, or tree trunks, or very
much
about moldy cellars or deep closets” (75), or, we might remember, about
“deep
caves under the kitchen linoleum” (LFW, 210). Verna had a power, “as if
there
were an understanding between [them] that could not be described and
was not to
be disposed of. Something that clings, in the way of love, though on
[the
narrator’s] side it felt like hate”(77).
Who is Verna to
provoke such
a feeling? To have such a power?
The narrator
calls attention
to her name: “And the name – I dislike that. It does not sound like
spring to
me.” Carrying no sound of spring and rebirth, the name may bring some
resonance
of Avernus, the entrance to the infernal regions, and intimations of
death. The
resonance is heightened by Verna’s look: she had a head that made one
think of
a snake, snakes having been symbolic in many cultures of the dead
returning to
the upper world. “With her drooping snaky head,” her “look of menace,”
“evil
expression,” and perhaps evil eye, with her being not “communicative in
the
ordinary way” (75) (like Myra in Day of the Butterfly), and capable of
a
“harassment more subtle, more secret than could be described,” she is
the
uncanny slyly surfacing into the home ground (the ‘heimliche’); she is
the
‘unheimliche’ which, to follow Freud’s famous essay (The
Uncanny, 1) is frightening because it appears as the opposite
of what is known and familiar.
That
uncomfortable presence creeping into the routine
of ordinary life brings also echoes of the snake tempting Eve, when
Verna
invokes friendship with unwanted offerings - like Myra’s in “Day of the
Butterfly”[13]
and
Frances’ in “Fathers.” Or echoes of the Biblical Leviathan.
We
feel entitled to
propose the connection, because the girls at camp must have come across
references to the ‘crooked serpent’ even in their “hearty, secular
style” (74)
practice of religion, and because, biblical associations being frequent
in
Munro’s stories,[14]
in “The
View from Castle Rock” Old James recites:
There
go the ships and there is that leviathan whom thou hast made to play
therein.
That crooked serpent, the dragon that is in the sea (VCR, 76).
A proleptic
quotation in
Munro’s story cycle, to bring the snake into play.
Symbol of death, of
the other’s dark intentions, and of sly, coiling, tempting powers
impossible to
describe,[15]
Verna
comes from unknown provenance to inhabit the opposite, darker side in
the home
inhabited by the narrator, whose name is Marlene.
The connection of
this name with the fish, the symbol of Christian salvation, is made
clear at
one crucial point in the story, when in a beguiling voice, a nurse
addressed
Marlene with a sentence fraught with hidden meaning: “You are the
Marlin” (81).
The marlin: the fish.
The snake, the
fish, Verna’s
love, Marlene’s hate, death and salvation, temptation and redemption,
the
horror and the “strange delight” the sight of Verna arouses, all these
are
polarities that build an albedo-negredo opposition in which Verna is
always
looming after Marlene like a shadow[16],
like Marlene’s dark side, her alter ego. The unpleasant hidden
connection
between the two girls is made explicit when, on some errand with a
schoolmate,
Marlene came face to face with Verna, and “the other girl said a
horrifying
thing to [her]. She said, “I used to think that was your sister” (77).
The undesired duplicity is
complicated and eventually reversed by Marlene’s cherished bond and
unavoidable
complicity with Charlene, the girl she approved of at camp and by whose
predilection she was “flattered” (74). If once she was mistaken as
Verna’s
sister, she and Charlene were matter-of-factly called on the Roll “Hey,
Twins,”
without being given the “time to deny it” (73). Like Verna, the
so-called “twin
sister” exerted a preposterous power over Marlene, not in a subtle or
secret
manner, but ostensibly, in a given for granted way.[17]
In spite of their childhood intimacy, between the two pals there were
differences;[18]
and
with the return home, after camp life had revealed itself as
“makeshift” (79)
and “provisional” (78), their paths parted: they never met again until,
much
later in life, Marlene finally responded to a reiterated appeal from
her “old
childhood buddy” (81) - her old twin and ostensible double - now in her
death
bed in a Toronto hospital. Repulsive Verna, embodying the “other” or
the other
side of the self, was rejected in childhood. In adulthood, it was the
twin
sister to be discarded - as she deserved to be, if we hear correctly
when we
listen to her name: Charlene. Doesn’t Charlene sound like charlatan?
Isn’t she,
then, a fraud strenuously trying, like a body guard, to disguise[19]
Marlene and hide her from the dark side of her self (Verna)? On the
other hand,
we learn that there was an ominous, secret understanding between Verna
and
Marlene which scared the latter; and, if we want to attach to Marlene
the
symbolism of the fish, we will note that Verna had long flapping hands
(79) as
if, like a fish, she had fins, and an “undeciphered” pattern on her
rubber cap,
probably a fish, pushing into Marlene’s palms when Marlene kept Verna’s
head
under water (84).
Thus, in this subtle
entanglement of similarities, differences and reversals we will not
simply see
a case of clear-cut black and white dopplengangler, pervaded by
something
uncanny in an urge “to
project outward “something foreign to itself,” (“The Uncanny,” part
II).
There we will see, rather, a three-fold interlacing of identities, of
which
parts are alternatively shed off, like the skin of a snake, to
accompany a
change, perhaps a renewal.
The thread which is interwoven
in the three girls’ lives is the word “special,” which I take as a
synonym with
uncanny, that which is mysterious in the familiar[20].
There is a hammering
throughout the story on the word ‘special’ which identifies with Verna
– one of
the retarded pupils set adrift on the camp – and has also to do with
Charlene’s
“ingratiating, teasing, self-mocking” “special” voice as well as with
Marlene’s
“special” achievement- a book entitled Imbeciles
and Idols, which is an indictment of the failure to recognize the
sacred,
magical, dangerous, or valuable in the diminished or different, that is
in the
‘other,’ as well as an indictment of the failure to
discover the special in the world around
us for which, as Wordsworth complained, we have eyes that do not see
and ears
that do not hear.[21]
The book, we
assume, is a tribute to Verna, or to the dark side of the self, an act of recognition of the mystery and the
sacred power which may be held by special creatures and which is
concealed by
their repulsive aspect, as in the crawling creatures coiling in the sea
of the
Ancient Mariner ‘s redemption story. Listen to Marlene’s intentions:
I was trying to explore the
people who are mentally or
physically unique. The words deficient, handicapped, retarded, […] put
aside a
great deal that is remarkable, even awesome […] or at any rate
peculiarly
powerful. And what was interesting also was to discover a certain
amount of veneration
as well as persecution, and the ascribing […] of quite a range of
abilities,
seen as sacred, magical, dangerous, or valuable (80).
The
book – out of print now like a buried conscience - is also Marlene’s
form of
expiation, which her dismissed childhood pal Charlene will seek in a
retreat
into religion and in a final, but unspoken, “special” confession. The
guilt the
two old buddies sought to be shrived of was their drowning of Verna,
which is
revealed in the final part of the story.
What is Munro doing
with that purposeful and playful drowning, a thoughtless, forgettable
momentary
act of teenage hysteria?
- I have already discarded the
possibility that the writer may intend to show that evil is inherent in
the human mind and ready to come forth as soon as the occasion is
propitious
for children, supposedly unsophisticated human beings, to revert to the
primitive element that is within us all.
- The narrator/author may be
fulfilling
- She may want to represent
“the tumble of reason, the sparks and spit of craziness,” the treachery
of dayliness,
as in Rose’s wild rebellion against her stepmother Flo in Who
do You Think You Are
(17). After all, ‘tumble’ is the verb the narrator uses to describe the
beginning of what happened after Verna had arrived at the camp to
restore her
rights over Marlene (79), after “the clouds darkened” while the campers
“were
having [their] outdoor Devotions (79): “At
the moment we tumbled, Verna had pitched towards us” (84).
- Marlene and
Charlene’s murder might demonstrate a way to attain dominance over the
evil
side of the self, that “dark and
disputatious self” (NY 2002, 71) that “had to be beaten out of” the
narrator in
“Fathers,” a way to get rid of it as
of the mother’s “stricken presence”[22]
in other stories concerned with the existential (or mother’s) quest.
- Or it might be a
metaphorical illustration of the retrieval of the true self, of a way
“to get
straight”[23]
with it
- as we would be inclined to believe, if we believe what Marlene felt
about her
complicity in the crime:
Charlene and I kept our eyes
on each other […]. I don’t think we felt wicked, triumphing in our
wickedness.
More as if we were doing just what was – amazingly – demanded of us, as
if this
was the absolute
- Or, if we want to
see the murder inscribed against the backdrop of religion, we might see
in it
the coming true of the Biblical vindication against the aquatic serpent:
In that day the
Lord with his sore and great and strong sword shall punish leviathan,
the
piercing serpent, even leviathan that crooked serpent; and he shall
slay the
dragon that is in the sea” ( Isahiah
27:1, The Holy Bible, 600).
I use may or might
for all the above suggestions in compliance with Munro’s often
discussed
rhetoric of supposition.
The modality of
supposition is inscribed in the very first statement in the opening
paragraph -
“I suppose” - and then
sustained throughout the story, told in
the mode of uncertain recollection, by means of a strenuous use of
modals and
conditionals,[24]
to
culminate in the very last riddle: “Is there not something in the
water?”
The story’s last
word is ‘water’,[25]
to
assert no remission of the enigmatic status of Munro’s fiction.
Water, the water
wherein the leviathan was made to “play,” and doomed to die, the water
of many
drownings[26]
in
Munro’s stories, in which there has often surfaced a ‘something’[27].
What better element
to refract the truth of the girls’ crime into waves of meaning?
The truth about
that ‘something,’ an identity shifting through the intricacies of a
three-fold
‘I,’ had already been debunked by the narrator’s earlier question, “Is
this in
any way true?”. In a typical Munronian manner, the question comes in
the story
after the narrator has convinced the reader of the plausibility of the
crime,
with an unexpected chilling revelation, putting to her account the
“crazy
accuracy” that Del in Lives of Girls and
Women had hoped to put in her writing. This manner poses Marlene’s
memory
of the childhood play, or playacting, into the shade of ambiguity,
while
foregrounding the indeterminacy of the Marlene-Verna-Marlene-Charlene
relationship. The indeterminacy is further enhanced by the litotes in
the
closure, which is no closure at all, but, rather, a ‘sideshadowing’
device, as
defined by Morson,[28]
that invites the reader to remember that Munro’s strategic concern in
her art
of storytelling is
to move away from what
happened to […] the kind of idea that life is not just made up of facts
that
happened …but all the things that happen in fantasy, the things that
might have
happened, the kind of alternate life that can almost seem to accompany
what we
call our real lives. (Radio interview).
In order to
grasp that
alternate life we must believe “without any proof” -
as the narrator of “The Ottawa Valley” -
“that we have connections that cannot be investigated, but have to be
relied on
(SIB 201).
Munro does not
construct a
closure of absolute existential security, nor does she make us certain
about
whether that appalling ‘child’s play’ was really an intentional crime
or
playacting, but she shows that the return of Verna, Marlene’s buried
self, into
the latter’s life is narratable - even though it remains unknown how
Marlene
could have made her journey to “safety” (80), keeping even her
conscious ego – Charlene-
‘far hence’ and silent for so long.
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Abbreviations
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of My Youth
FMY
Hateship,
Friendship, Courtship, Loveship,
Marriage
HFCLM
Lives
of Girls and Women
LGW
Something
I’ve been Meaning to Tell You SIB
The
Love of a Good
Woman
LoGW
The
Moons of Jupiter
MJ
“The
New
Yorker”
NY
The
Progress of
The
View from Castle Rock
VCR
Who
Do You Think You Are
WDY
[2] These questions
lead me back to comments I have made in another paper. There I noticed
that in the trilogy
“Chance,” “Soon,” “Silence,” Juliet first detours from,
then disclaims, and on her return fails to recognize her parents’ town.
Her
daughter, in turn, buries the notion of home under unremitting silence,
leaving
Juliet with the frustrating anguish of maternal love for a daughter who
had
been urged to Northern regions by a spiritual “hunger for the things
that were
not available for her at home.”
[3] Susan Neiman, Evil
in Modern
Thought - foreword to Anne Giardini,
The Sad Truth about Happiness,
London, HarperCollins, 2005, 12.
[4]
“[…] we
live with those retrievals from childhood that coalesce and echo
throughout our lives, the way shattered pieces of glass in a
kaleidoscope
reappear in new forms and are songlike in their refrains and rhymes,
making up a
single monologue. We live permanently in the recurrence of our own
stories,
whatever story we tell” (Ondaatje 2007, 136).
[5] In “Friend of My Youth,” the
first person narrator resents her mother’s
“reaching out all the time to cast her stricken shadow” (FMY, 24), in “Family Furnishings the
narrator relates “[…] my mother was
changed from a mother into a stricken presence” (HFCLM, 96).
[6] Cfr. Ferri, L.” Mothers and
Other Secrets, ” in Alice Munro Writing Secrets, Open
Letter, Eleventh Series, No 9,
Fall 2003, Twelfth Series, No 1, Winter 2004.
[7] This
is a phrase from “Fathers” (NY, 2002, 70)
to
compare with similar ones: “I had seen
the faces of dying people before […] even the face of the man I had
been afraid
to love” (“Child’s Play “77); “What I have
been shying away from is that it could have been done for love”
“(Before the
Change”, LoGW, 291); “The bitter lump of love” ( FMY 26);
“I would feel an impatience with the flowery
language, the direct appeal for love and pity. She would get more of
that , I
thought (more from myself, I meant), if she could manage to withdraw
with
dignity, instead of reaching out all the time to cast her stricken
shadow”
(FMY; 24).
[8] Cfr. “What’s done is done,
what’s done remains” (84).
“And then there is a switchback, what’s been all over and done with
sprouting up fresh, wanting attention, even wanting you to do something
about
it, though it’s plain there is not on this earth a thing to be done” (73)
[9] Verna
would interfere in the
narrator’s life “full of private rituals and aversions” (76), “spoiling
[her]
solitary games,” in a seemingly child-like attempt to make a friend in
the new
environment in which she had been delivered from we don't know where.
[10] The
yellow painting seemed “to be the very colour of insult and the front
door
being off-center adding a touch of deformity.”
[11] Cfr. Otto Rank ‘s study of the
double.
[12] To be near her would mean taking risks, which reminds us
of the danger
on home ground experienced in “Family Furnishings”: the risk of seeing
one’s life
through other eyes than one’s own - “There was a danger whenever I was
on home
ground. It was the danger of seeing my life through other eyes than my
own” (
HFCLM 111).
[13] The utterance “I hated the […]peppermints […]
that she kept offering to me” (76) reminds
us of the disclaimed offering of the butterfly by
[14] See, for example,
references in
“The Turkey Season” or the whole story “Walking on Water.”
[15] “I remember saying she was
awful in a way I could not describe “ (78).
“Charlene seemed to have got the idea that Verna had actively harassed
me. And
I believed that was true, except that the harassment had been more
subtle, more
secret, than I had been able to describe (78).
[16] Verna, a shadow-like opposing
self, in light of the fact that she will
be murdered by Marlene and her conscious, visible ego (her ‘twin’
Charlene), to
loom in guilt through their lives, reminds us of the double in the way
the
double was conceived in primitive societies – representing both the
living
person and the dead. This shadow survives the self, insuring
immortality and
thus functioning as a kind of guardian angel as well as a kind of
threatening
spirit. (see Otto Rank, Il Doppio,
chapter 4).
[17] Her power was of one who “had
the confidence that anybody would want to
do as she asked, not just agree to do it” (74).
[18] In their playful
conversations they “never grew tired of inspecting and tabulating” each
other’s
features: “We both had brown hair but
hers was darker. Hers was wavy, mine bushy.
I was half an inch taller, she had thicker wrists and ankles. Her eyes
had more
green in them, mine more blue” (74).
[19] “We should think of some way to
disguise you” (78).
[20] The coincidence of the two
elements is suggested in the notation: the hours of the Specials had
been changed to coincide with the ordinary
school hours ( 77)
[21] Cfr. Coleridge, Biographia
Literaria, chapter XIX.
[22] Considerations on the
functioning of Verna as the mother-figure
functions in other stories are invited
by the way Verna is called , by Marlene’s mother, “the poor thing,”
which is
the precise attribute given to the narrator’s mother in “Winter Wind”
(SIB,
195) and in “Family Furnishings” (HFCLM, 96, 97)
[23] The expression applies to the
mother in “The Progress of Love”
(17) (Munro, 1987)
[24] Here are some random examples
of how supposition, indeterminacy and
conjecture, instead of certainty, are constructed through the use of
modals,
verb tenses and adverbs: “I would have been ashamed, I
suppose. […] ( 81) ; “Charlene
kept saying “Imagine. Imagine. She’s here. I can’t believe it.
Do you think she has followed you?” “Probably” I said (78); “I suppose there was
talk in our house , afterwards” (73); “People thought we must be twins”
(73);
Even before that we must have noticed” ( 74); “I may have approved of
Charlene,
but I was not sure how to make friends with her” (74); “It’s supposed to have
begun in this long periods of sitting around the camp fire stirring the
manioc
porridge or whatever, while the men were out in the bush deprived of
conservation because it would warn off the wild animals (74); “There is
no
reason to suppose that not to be true” (75); “I don’t know if Mrs. Home
went
away and came back with her” (75); “I can’t remember her telling me her
name
[…..] and I don’t believe I would have asked her” (75); “She was a good
deal
taller than I was and I don’t know how much older” (76); “We must have been sent on some
errand by one of our mothers. I did not
look up but I believed I heard a chuckle
of greeting or recognition as we passed.” (77); “ [..] my idea of the
town’s
size and complexity was still such that it seemed I was escaping Verna
altogether. I realized that this was not true, […]” (77); “There were
couple of
ways that Verna could have walked to school but the way she chose was
past our
house.” (77); “I would always look in the direction from which she
might be
coming, […]” (77); “It was probably not true that every day during the
past two
weeks had been hot and sunny, but most of us would certainly go away
with that
impression.” (78); “Or so I believed.” (77); “Perhaps you are married
[…]”
(80); “I could have written to Charlene, in care of her parents […]”
(80); “I
can imagine the unease starting, […]” (84); “I
have not kept up with Charlene. I don’t even remember how we said
good-bye. If
we said good-bye.” (79); ““We had been walking around perhaps the same
time and
on some of the same street or paths on the campus” (80); “Perhaps you are married […]?
Perhaps you have a family?” (80); “Perhaps
I wanted to think I’d made as much efforts as I could” (81); “Or that I
might
make a simple U-turn, […]” (81); “Of course she might have written the
note
first […]” (82); “I don’t know if she would recognize you […]” (82);
“Marlene.
I am writing this in case I get too far gone to speak.” (82); “The directions were not very
clear, […]” (82); “must
have been painful for him to talk” (83); “The
motor boats on the lake were supposed to
stay a good distance” (84); “And we seemed to be lifted” 84; “We may
have cried
out …first in fear and then in delight “ (84); “This could have been an
accident” (84); “We could have been forgiven” ( 84); “We might have
lost our
grip on the rubber head” (84); the crucial one of the supposition is
when
Marlene’s hesitant visit to the hospital is described and thought “I
might make
a simple U-turn , taken the next elevator down” (81): then the story
would have
taken an entirely different turn, the mystery of ‘something’ that had
happened
in childhood would not have been retrieved and the ‘death by water’ not
remembered.
[25] Water in Munro is associated
with desire and death. We are informed of
the children’s longing to jump into water in this story (74); the 3
boys in the
opening of “The Love of a Good
Woman” seek escape from the
‘disabling life’ at home with a swim in
the cold water of the Peregrine river and find a dead body ‘‘close in
front of
their eyes;’’ “Walking on Water,” with the wondrous paradox of the title, offers a parody of the journey theme and envisions the quest for self-revelation as a
drowning; in the Found Boat, when Frank lets the two girls Carol and
Eve get
into the boat, he pushes them off crying “here is to the watery
grave!”, thus
frustrating the expectations of love and communion attached to that
“something”
they had found in the water.
[27] In
“The Found Boat,” sailing on
a log down the Wawanash, Eva and Carol “saw a place where something
was caught ” (SIB 127); in “The Love of a Good Woman,”
the three boys walking down the Peregrine River “were close enough to
the water
to have their attention caught by
something more extraordinary than car tracks” (LoGW 6). [emphases
added]
[28] Gary Saul Morson explains that most narratives are
developed through
‘foreshadowing’ (with its tendency to present events as inevitably
leading
toward fixed, pre-ordained futures) and ‘backshadowing’ (foreshadowing
ascribed
after the fact), which tend to reduce the multiplicity of possibilities
in each
moment. But there are literary works which try to convey temporal
openess
through a device he calls ‘sideshadowing.’ Sideshadowing champions the
incommensurability of the concrete moment and rejects the conviction
that a
particular code, law or pattern exists, waiting to be uncovered beneath
the
heterogeneity of human existence; and instead of the power of a system
to
uncover an otherwise unfathomable truth, it expresses the ever-changing
nature
of that truth and the absence of any predictive certainties in human
affairs. Sideshadowing suggests that to
understand an event is to grasp what else might have happened. Time is
not a
line but a shifting set of fields of possibility. Morson argues that
this view
of time and narrative encourages intellectual pluralism, helps to
liberate us
from the false certainties of dogmatism, creates a healthy skepticism
of
present ortodoxies, and makes us aware that there are moral choices
available
to us. Morson explores the manner in which elements of temporality –
including
such issues as contingency, rumour and the viability of omens, among a
ghost of
other topics inform narratives.