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CONVEGNO INTERNAZIONALE DEL FORUM LOU SALOMÉ - DONNE PSICANALISTE IN RETE
FIRENZE, 10 NOVEMBRE 2007

La Casa di Parole - Alice Munro
A cura di Adalinda Gasparini


P Spunti di riflessione per il convegno. Primo invito ai relatori
P Invito ai lettori


NOTE DI LETTURA DI CLARA TERROSU

PNemico, amico, amante... P
(The Bear Came over the Mountain)
PChi ti credi di essere
PDimensione
PLa danza delle ombre felici

PBiografia di Alice Munro
PSullo stile di scrittura di Alice Munro



PLaura Ferri (Centro Siena-Toronto): Home, Homecoming, "Child's Play"<>










...Toute interprétation est une projection
et c'est précisément cette co-participation
du lecteur et de l'écrivain qui devient
une co-énonciation si importante
car elle témoigne de la réception de l'oeuvre
de son impact sur son public. (Héliane Ventura)







Spunti di riflessione per il convegnO SU ALICE MUNRO
Milano 10 novembre 2007

 

 

Ognuno sa come funziona una casa, come essa delimita lo spazio e crea collegamenti tra uno spazio chiuso e l'altro e fa vedere in modo nuovo quello che c'è fuori. Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare come funziona una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per gli altri. (Alice Munro)


 

Care Socie del Forum Lou Salomé,

Ho pensato, per cominciare a formare il tessuto del convegno, dopo mesi di lettura e riflessione, di proporre alcuni dei temi ricorrenti in Munro, che spero incontrino il vostro interesse di psicoanaliste appassionate di letteratura. Questa lista, parziale e arbitraria, ha lo scopo di far emergere spunti e materiali in attesa dei temi e dei titoli di chi intende intervenire, avvertendo la pregnanza delle intersezioni possibili  fra il lavoro psicoanalitico e questo particolare lavoro letterario. Alcuni temi saranno lasciati cadere, o andranno modificati, altri se ne aggiungeranno: questa lettera aperta è solo un modo per cominciare a scambiare fra noi, così che prendano forma le nostre idee e le nostre aspettative.

Ho chiesto a Héliane Ventura, che ama la psicoanalisi, quali temi, leggendo Munro, le avevano fatto desiderare il contributo di uno psicoanalista: la sua risposta è stata che vorrebbe si parlasse del rapporto con la madre, perché è troppo scottante senza la chiave psicoanalitica. Anche da qui viene il primo spunto tematico.

 

 

Primo spunto

Madre e figlia: un abbraccio mortale?

 

Il sogno di mia madre di Munro, che si può leggere integralmente nel sito, è sufficiente a farci comprendere a quale livello la scrittrice riesca a nominare la ricchezza e la distruttività di questa relazione. Inevitabile collegarci al convegno del Forum, LAKLEIN: i modi possibili sono tanti quante sono le persone che si metteranno in gioco, diversi a seconda del momento della vita di ciascuna di noi. Personalmente penso a una ciclicità nell’avvicinamento e nell’allontanamento alla madre, come una spirale che non si esaurisce, fino alla morte. E che forse come figura ogni donna eredita e lascia in eredità ad altre donne, bonificando paludi venefiche, non certo sterilizzando acque nelle quali può cominciare la vita, anche con un primitivo lichene. A questo proposito, chi di noi ha letto il libro di Julia Kristeva (Melanie Klein ou le matricide comme douleur et comme créativité. Le génie féminine, t. ii, La folie, 2000; tr. it. Melanie Klein. La madre, la follia, 2006) troverà nei racconti di Munro, che sicuramente non conosceva Kristeva, e probabilmente neppure Klein, segmenti narrativi estremamente efficaci nel nominare la complessità del femminile.

 

Secondo spunto

Un’ombra sull’educazione

 

E proseguimmo, con due persone sedute alle nostre spalle, fiduciose in noi, perché senza alternativa, e con noi due fiduciosi in un perdono futuro per tutto ciò che quelle bambine dovevano ancora constare e condannare: esitazioni, arbitri, avventatezze, insensibilità, i nostri errori, insomma, naturali e speicifici. (Alice Munro, Miles City, Montana; ne Il percorso dell’amore, p. 112)

 

In questo racconto un uomo e una donna viaggiano a lungo in macchina con le loro bambine, e nel ricordo di lei, voce narrante, affiora dall’infanzia l’episodio della morte di un bambino, suo vicino di casa. Durante una sosta le bambine vogliono fare il bagno in piscina, e i genitori insistono perché la sorvegliante le lasci entrare anche se non è orario di apertura. La bimba più piccola rischia di annegare, e i due ripartono dopo questa incursione della morte nel viaggio.

Freud ha spesso parlato di educazione, anche se non le ha mai dedicato un saggio in particolare. Nel 1908, a proposito del piccolo Hans, aveva scritto che la psicoanalisi avrebbe dovuto essere considerata dall’educatore illuminato come una  guida di inestimabile valore per la condotta da tenere nei confronti del bambino. Nel 1913, nella 'Prefazione al metodo psicoanalitico di Oskar Pfister', dopo aver posto la domanda “…se non sia il caso di utilizzare la psicoanalisi ai fini dell’educazione…” (OSF, VII, p. 184), Freud scriveva: “I vantaggi che ne deriverebbero sono evidenti… […] Con l’aiuto della psicoanalisi l’educatore può agire profilatticamente sul bambino ancora sano. […] Tale attività … dovrebbe essere di un’utilità inestimabile, e tale da rendere spesso superfluo l’intervento del medico”.

 

Il rapporto fra educazione e psicoanalisi fa parte degli impossibili esistenti, e preferirei pensare a un’educazione psicoanaliticamente ombreggiata, per significare anzitutto che non ci sono lumi grazie ai quali possiamo risolvere i drammi dell’educazione. Poi, un’ombra sull’educazione è qualcosa che richiama la ferita narcisistica che l’insegnante deve riconoscere se si interessa davvero di psicoanalisi. Ed è anche un’ombra, nel senso di uno strumento che può attenuare un eccesso di calore e luce, un’aspettativa idealistica che, nascondendosi la difficoltà e la violenza del rapporto fra genitore e figlio, fra maestro e allievo, rischia un finale tragico.

Nelle parole di Alice Munro che aprono questo spunto tematico, l’ombra di cui parlo è vissuta ed espressa, per vie diverse dalla psicoanalisi, con arte e chiarezza. Possiamo ritrovare, in termini lontani dalla corrente rimozione eufemizzante, il bisogno di perdonarsi, di perdonare i genitori, di sperare nel perdono dei figli, qualcosa di molto vicino alla gratitudine kleiniana che ferma la distruttività dell’invidia. Un brano di Lacan può legare questo secondo spunto tematico al primo, e al terzo:

 

 Questo discorso dell'altro, non è il discorso dell'altro astratto, dell'altro nella diade, del mio corrispondente, neanche semplicemente del mio servo, è il discorso del circuito nel quale sono integrato. Ne sono uno degli anelli. È il discorso di mio padre per esempio, in quanto mio padre ha fatto degli errori che sono assolutamente condannato a riprodurre - è quello che si chiama Super-ego. Sono condannato a riprodurli perché bisogna che io riprenda il discorso che mi ha lasciato in eredità, non solo perché sono suo figlio, ma perché non si fermi la catena del discorso, e io sono appunto incaricato di trasmetterla nella sua forma aberrante a qualcun altro. Devo porre a qualcun altro il problema di una situazione vitale, in cui ci sono tutte le chances che inciampi anche lui, in modo che questo discorso compia un piccolo circuito in cui si trovano presi tutta una famiglia, tutta una congrega, tutto un campo, tutta una nazione o la metà del globo. Forma circolare di una parola che è giusto al limite del senso e del non senso, che è problematica.

Ecco cos'è il bisogno di ripetizione come lo vediamo sorgere al di là del principio di piacere. Esso vacilla al di là di tutti i meccanismi di equilibrazione, di armonizzazione e di accordo sul piano biologico. Esso non è introdotto che dal registro del linguaggio, dalla funzione del simbolo, dalla problematica che interroga l'ordine umano.

[...]

La vita non è presa, nel simbolico, che frammentata, decomposta. L'essere umano stesso è in parte fuori dalla vita, partecipa dell'istinto di morte. E solo da qui può affrontare il registro della vita.  (Il Seminario 1954-1955, pp. 116-117)

 

 

 

Terzo spunto

La casa di parole

 

Ognuno sa come funziona una casa, come essa delimita lo spazio e crea collegamenti tra uno spazio chiuso e l'altro e fa vedere in modo nuovo quello che c'è fuori. Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare come funziona una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per gli altri.

(Alice Munro)

 

Mi sembra qualcosa di nuovo, o detto in maniera nuova, forse perché una donna parlando e scrivendo fa affiorare parole che non isolano la carne. La metafora del racconto, e per estensione del lavoro letterario, come una casa, costruita e allestita secondo il gusto della sua proprietaria, la scrittrice, e aperta ad altri, ai familiari, agli amici, alle persone con cui si lavora, ai visitatori occasionali - a tutti noi lettori – mi pare potesse venire solo da una donna.

In ogni caso è molto vicino a concettualizzazioni psicoanalitiche, come l‘area transizionale di Winnicott, che ha le sue radici nella parola kleiniana, capace di far entrare nel linguaggio bimbi molto piccoli o pazienti psicotici.

Una suggestione associativa: Xynos, in greco comune, e connesso, si trova in Eraclito contrapposto a idiotes, privato:

 
Per quelli che sono svegli uno e comune è il cosmo,
mentre quelli che dormono si ritirano uno ad uno in un cosmo privato.
(Diels 89)

 

 

Quarto spunto

L’origine del mondo

Leggendo il saggio Le tracé de l’écart ou « L’origine du monde » réinventée dans « Lichen » d’Alice Munro (2005), ho annotato qualcosa, come faccio di solito leggendo, e ho pensato di inserire le mie note nella pagina del sito insieme al saggio di Héliane Ventura, con la speranza che le socie facciano altrettanto, per avviare uno scambio fra noi, che ci aiuti a preparare un convegno dove si senta una partecipazione corale. (Le indicazioni bibliografiche per il racconto di Munro, e il testo del saggio di Ventura sono nel sito)

 

 

L’indirizzo del mio sito è www.alaaddin.it, e nella home page, in basso, c’è un riferimento al convegno: è il link per la pagina dedicata a Alice Munro.  

Ringraziando tutte voi per la fiducia che mi avete accordata, e in particolare la presidente Valeria Medda, auguro buon lavoro a tutte,

Adalinda Gasparini
Firenze, 26  marzo 2007

NOTE DI LETTURA - INVITO AI LETTORI
Adalinda Gasparini

Autore (Auctor, chi accresce), imprime sulla carta nuove parole, trasforma l'esperienza in messaggio, rivolto a chi potrà raccoglierlo. Se da una parte l'autore si rivolge idealmente al sistema di comunicazione, potenzialmente illimitato, dell'editoria e della rete, dall'altra, per la solitudine e il rischio di ogni scrittura, ha un gesto simile a quello del naufrago che chiude un messaggio nella bottiglia.
Se, essendo maniacale, l'autore fantastica che tutto il mondo possa ascoltarlo, la sua parte melanconica lo rende sempre più piccolo, isolato e scuro, e allora offre una parola, un biglietto, il suo testo, chiudendolo in una bottiglia che forse non arriverà mai a destinazione. L'Autore vive lo stesso dramma di tutti: nessuno, a partire dai genitori, lo ha mai compreso e amato come avrebbe meritato. Forse a differenza di altri non riesce a rassegnarsi, o trova questa via di parole, che si ripiega su se stessa proprio quando sembra puntare diritta alla meta, oppure, come nel labirinto, permette di giungere al centro dopo che si è persa ogni speranza.
Un libro in fondo non è diverso da uno spartito: come la musica esiste quando l'esecutore comincia a suonare, il racconto ha luogo quando un lettore lo apre e lo legge. La perizia del lettore è importante quanto quella dello strumentista.
Il lettore è accanto allo scrittore, alle sue spalle, se ne allontana per poi stringersi al suo fianco, e mentre legge, parla, di sé, delle persone che ha incontrato, perché facilmente somigliano ai personaggi di cui sente la storia, e rinarra in sé, esegue, riproduce la melodia e l'armonia con le sue varianti. Spesso il lettore scrive, annota, per non essere da meno dell'autore, o perché teme di perdere un'idea, un'intuizione nata dalle pagine che sta leggendo.
Scrive Héliane Ventura:

Presentare Munro è coinvolgere l'ascoltatore in una ricerca ermeneutica che è anche una ricerca dell'anima: si tratta di far parlare indici impercettibili per far emergere intimità segrete; si tratta anche di trovare un ritmo e un passo d'indagine, nei quali la letteratura e la psicoanalisi hanno legami fondamentali, per meglio mettere in luce le pulsioni segrete delle vicende umane. (giugno 2007)

Scambiando impressioni di lettura con Silvia Albertazzi, ci siamo dette che leggendo Munro per la prima volta avevamo pensato che ci sarebbe piaciuto essere raccontate da lei. Sperimentavamo con Munro la fiducia che qualcun altro potesse scrivere di noi, della nostra esperienza. Una sorta di fedeltà alla vita senza illusioni, come se Alice Munro avesse compreso in massimo grado, con la sua scrittura, quanto scrive Freud, in particolare nell'Avvenire di un'illusione. Senza per questo accanirsi contro le illusioni, che sono semplicemente parte del gioco, spesso tragico, della nostra vita.
Se il lettore, come tanti di noi, scrive leggendo, lo invitiamo a contribuire al nostro girotondo in onore di Alice Munro e della verità che lascia affiorare, qualunque sia il suo mestiere, simile o diverso dai nostri, psicoanalisti, critici letterari, storici, traduttori, mandandoci le sue note di lettura.




NEMICO, AMICO, AMANTE...

Hateship, Friendship, Courtship. Loveship, Marriage, 2001; tr. it. Susanna Basso.
© Einaudi – Torino, 2003 e 2005


 

NEMICO AMICO AMANTE


1° racconto:

Il titolo si riferisce al gioco di due adolescenti (Sabitha ed Edith) che,  scrivono il proprio nome vicino a quello di un ragazzo ed eliminano tutte le lettere comuni. Con le lettere restanti dicono in sequenza: nemico, amico, spasimante, amante, sposo. Alla fine “della conta” c’è il verdetto.

 

Personaggi:

Johanna:    protagonista, governante, nata a Glasgow, viene abbandonata dalla madre all’età di 5 anni per sposarsi, non si hanno notizie del padre. Vive in istituto fino a 11 anni, quando  viene trasferita in Canada dai Dixon,  per lavorare nel loro vivaio e assolvere l’obbligo scolastico ;  dopo la scuola lavora, prima in una casa di riposo, poi dalla Sig.ra Willets, anziana madre del titolare di una fabbrica di scope. Resta con lei 12 anni imparando a leggere bene, a guidare l’auto ed anche a condurre la barca. Alla sua morte (96enne) eredita un po’ di denaro. Cerca un nuovo lavoro e risponde all’inserzione di Mr. McCuauley.

Mr. McCauley:   padrone e titolare di un ex Ag. d’Ass.ni, svolge ora un’ attività di consulenza. Risiede in Exhibition Road, che ogni giorno percorre a piedi, indossando completi a tre pezzi con soprabito o cappotto,  cappello grigio e scarpe lucide, per raggiungere il suo ufficio sopra la pelletteria.

Sabitha: nipote (orfana di madre, Marcelle) di Mr. McCauley col quale vive prima di trasferirsi in un college  a Toronto

Edith: amica di Sabitha, insieme giocano e “inventano” una corrispondenza fra Johanna e Ken che si rivelerà fondamentale per lo svolgimento del racconto. L’unica volta che Johanna scrive a Ken, allegando la sua lettera a quella di Sabitha, prima di mettere l’indirizzo e chiudere la busta, come ha sempre fatto, finchè la fanciulla è vissuta con lei, le fanciulle aprono la busta col vapore. Alla lettera di Johanna non seguirà risposta, ma quando Sabitha riceverà nuovamente posta dal padre, con l’aiuto di Edith, scriverà a macchina una lettera per Johanna e così il rapporto epistolare avrà inizio.

Hermann Shultz: ciabattino e padre di Sabitha, lavora tutto il giorno nell’umile bottega.

Ken Boudreau: padre di Sabitha, accompagna Johanna alla Fiera dell’Ovest, ma attualmente vive a Gdyna nello Saskatchewan, dove ha ottenuto, a titolo di risarcimento di un debito, un hotel.

Roxanne: cugina della madre di Sabitha, accompagna la giovane in un collegio di Toronto per fanciulle benestanti.

 

Trama:

Il racconto è ambientato in autunno, in un paese dell’Ontario con abitudini molto provinciali, il commercio si è spostato verso la statale, c’è un nuovo discount, un motel ed night-club; una volta l’anno si svolge una fiera, dove Ken Boudreau accompagnerà Johanna, prima di trasferirsi a Gdyna. L’unico negozio ancora presentabile, è la Boutique di Milady dove la protagonista acquisterà un sobrio abito marrone, consigliata personalmente dalla titolare, che la dissuaderà dalla scelta iniziale: un elegante tailleur verde con profili e  bottoni in velluto.

Johanna si prepara per intraprendere il viaggio che la condurrà da Ken.

Prima di partire però,  provvederà alla spedizione dei mobili di Ken e Marcelle, che ancora si trovano nel fienile di Mr. McCauley, al quale Johanna scriverà una lettera di congedo, rinunciando alla paga delle ultime tre settimane e ricordandogli come scaldare lo stracotto di manzo appena cucinato, che gli basterà per almeno tre pranzi. Questo non placherà l’ira di Mr. McCauley, soprattutto quando scoprirà della spedizione dei mobili; infatti, Ken gli aveva chiesto dei prestiti che a suo avviso, coprivano ampiamente il valore degli stessi.

Comunque Johanna parte e, quando arriva da Ken, lo trova a letto con la febbre e la bronchite; è talmente intontito che non la riconosce subito, ma lei si prodiga per curarlo e sistemare la casa, che è il famoso hotel, ormai in stato di totale abbandono. Non accennerà mai alle lettere, che lei ha ricevuto, ma che lui non le ha mai scritto e questo silenzio favorirà la loro convivenza che, inaspettatamente, li condurrà al matrimonio ed alla nascita di Omar.

Mr. Mc Cauley morirà dopo circa due anni dalla partenza di Johanna e nel necrologio sul giornale, si legge che della famiglia restano la nipote Sabitha Boudreau, il genero con la moglie Johanna ed il piccolo Omar di Salmon Arm, nel British Columbia, dove la famiglia si è trasferita. Al funerale, celebrato con rito anglicano, Sabitha, graziosa, snella e seria, indosserà un sofisticato cappello nero. Accompagnata da Roxanne non parlerà con nessuno di sua iniziativa, quasi non  ricordasse chi fossero gli abitanti di quel paesino.

 

 

2° racconto:

Il ponte galleggiante

Il titolo si riferisce al ponte galleggiante sopra quella che Ricky, di professione cameriere, definisce “La Palude del Borneo”. Qui Ricky (18enne) bacia Jinny (42enne), molto debilitata dalla chemioterapia. La sta riaccompagnando a casa, perché il marito con la collaboratrice domestica appena assunta, si sono fermati a casa dei genitori addottivi di quest’ultima, che doveva ritirare un paio di scarpe. La coppia, molto ospitale, li aveva invitati ad entrare, ma Jinny, stanca, per la visita dall’oncologo, era rimasta in auto ad aspettare.

 

Personaggi:

Jinny:   protagonista, 42 anni, in chemioterapia

Neal:    marito di Jinny, maggiore di 16 anni, insegnante c/o l’Istituto Correzionale per giovani

Detenuti

Helen:  collaboratrice famigliare appena assunta, adottata dai Bergson, dopo anni trascorsi al Children’s Aid  con la sorella Lois, perché vittime di un padre incestuoso.

Matt e June Bergson:  genitori adottivi di Helen e Lois, vivono in una decorosa roulotte, isolata tra i campi, circondati da rottami.

Ricky: giovane figlio di June, lavora come cameriere nel ristorante Sammy’s

 

Trama

Il racconto descrive il ritorno a casa di Jinny (in chemioterapia) dopo la visita dall’oncologo. Il marito la va a prendere con il furgone, nel quale c’è Helen che l’aspetta; Neal l’ha appena assunta come colf. La casa è stata predisposta per accogliere l’ammalata, sgomberando il soggiorno ed affittando un letto dell’ospedale. Prima di rientrare però, devono passare dalla sorella di Helen a ritirare un paio di scarpe, ma Lois si è dimenticata di portarle con sé, così Neal decide di andare a prenderle a casa dei genitori addottivi di Helen, che tenta in ogni modo di dissuaderlo, senza riuscirci.  Matt e June vivono in una decorosa roulotte, circondata da campi  e rottami e sono molto ospitali, infatti invitano Neal ad entrare per bere una birra e mangiare un po’ di chili. Jenny, molto debilitata, preferisce restare fuori, anche se nella roulotte c’è l’aria condizionata che le sarebbe di ristoro, considerando la calura estiva. Si avventura nel campo di mais e rischia di perdersi fra le gli alti filari, ma dei rumori l’aiutano a tornare verso il furgone. E’ Matt, che uscendo di casa ha sbattuto la porta ed i cani si sono messi ad abbaiare; vedendola nel campo pensa che sia andata lì per urinare e le domanda perché non sia invece entrata in casa, ma lei afferma di stare bene. Lui si offre di portarle del chili o qualcosa da bere, ma lei rifiuta, allora le racconta una barzelletta dai toni molto ironici, ma Jinny si offende, a causa degli espliciti riferimenti sessuali. Matt torna in casa e poco dopo arriva Ricky, giovane, allegro e spensierato. Tra i due si stabilisce una certa complicità, quando scoprono entrambi di non usare l’orologio e Ricky spiega di poterne fare a meno e di riuscire sempre a trovare qualche indicazione circa l’ora esatta. Al ristorante dove lavora, ad esempio, c’è l’orologio nella cucina e nel percorso quotidiano casa/lavoro, c’è l’orologio del tribunale. Vedendo che Jinny è stanca, Ricky si offre di accompagnarla a casa e sceglie il percorso  che gira intorno alla cava, verso ovest, perché più luminoso, ma sta per imbrunire. Ben presto Jinny si accorge di essere sopra un ponte, ci sono ponti ovunque e l’acqua è scura, ma il cielo è pieno di stelle. Si trovano in quella che Ricky definisce la Palude del Borneo ed invita Jinny a scendere dall’auto e ad osservare le stelle, affermando che in primavera in quel punto si sentono le rane gracidare; la riva è contornata di canneti, ma non c’è la luna e questo dispiace un po’ a Ricky, che cinge la vita di Jinny e la bacia per poi ritirarsi appagato. Le chiede se quella sia la prima volta che cammina su un ponte galleggiante ed afferma che per lui è la prima volta che bacia una donna sposata. Lei gli risponde che probabilmente ne bacerà parecchie e, sospirando, Ricky afferma che sì, è probabile. Improvvisamente si ricorda di Neal, ma è il senso di leggerezza e d’indulgenza, unito ad un’affettuosa ilarità a prevalere sul vuoto e sul dolore.

 

3° racconto:

Mobili di famiglia

 

Il titolo si riferisce ai mobili di famiglia, definiti di tutto rispetto,   che la protagonista eredita e tiene attualmente in casa, anche se il risultato è quello di un ambiente un po’ troppo stipato. Vengono descritti in particolare, i tavoli da cucina e soggiorno con rispettive sedie, il divano e la poltrona allungabile, tende leggere e tendoni a fiori, centrini e riquadri bianchi ricamati, appoggiati anche su braccioli e schienali ed un quadro, eseguito con  nastri di raso rosa, raffigurante una damina.

 

Personaggi:

narratrice: protagonista, nipote di Alfrida alla quale fa spesso riferimento. Frequenta il college, si fidanza, si sposa e diventa scrittrice.

 

Alfrida, detta Freddie, dal fratello che è il padre della narratrice: protagonista, scrive articoli per signore su di un giornale ed ha fondato un club, detto di Flora Simpson, nel quale le massaie si confrontano scambiandosi consigli su questioni domestiche, famigliari ed estetiche. Orfana di madre, il padre ha avuto altri figli con la seconda moglie, coi quali però non è in contatto; frequenta la famiglia della narratrice, della quale è zia, scambiando vivaci opinioni politiche con il fratello, che  riguardano sia il sindaco di Montreal che il presidente Americano, ma anche la famiglia reale e fra tutti predilige   la Duchessa di Kent. Inventa nomi ridicoli per i russi, convinta che volessero “foderare gli occhi del mondo di fette di salame” e non si fida del papa che chiama popò. Ha una figlia, della quale si scopre l’esistenza solo al termine del racconto, perché è stata data in adozione, essendo lei nubile e che la cercherà solo quando oramai è ricoverata in casa di riposo.

 

Bill: convivente di Alfrida per un certo periodo, lavorava in una distilleria di whisky ed è descritto come un uomo alto, galante, dai capelli ondulati grigi. Durante l’unico pranzo nella loro casa, al quale la narratrice partecipa da sola, si comporta molto educatamente, ma limita la conversazione a poche frasi  di circostanza.

 

Altri parenti descritti nei pranzi di famiglia, ma senza nomi; sono soprattutto personaggi femminili. Nemmeno della narratrice e del  fidanzato si conosce il nome.

 

Trama:

Il racconto descrive la vita della narratrice, nella quale risalta il personaggio di zia Alfrida, che le sarà di grande stimolo, perché come lei, diventerà scrittrice. La famiglia non ha una vita sociale pubblica, i pranzi vengono organizzati solo per commemorare le ricorrenze; le donne, conversano prevalentemente in cucina, mentre rigovernano, descrivendo vari acciacchi e malori; gli uomini seduti in veranda o nel corso di brevi passeggiate, accennano a notizie relative alle finanze, dando un’occhiata al raccolto, ma a tavola si fanno apprezzamenti prevalentemente sul cibo, tranne quando l’ospite é Alfrida. Generalmente sola, si presenta preferibilmente d’estate, indossando  prendisole di seta a righe, non bella, ma febbrile ed impetuosa, è descritta dal fratello come tutta pepe. Il rapporto sarà incrinato dalla sua scelta di convivenza con Bill, perché sposato; agli occhi della famiglia, Alfrida ha perso la dignità. Sarà la narratrice a ricucire, ma solo per una volta, la relazione, durante la sua frequenza la college. Alfrida, già da tempo, l’aveva invitata a pranzo e lei si presenterà da sola, anche se a quel tempo era già fidanzata con un giovane benestante, amante dell’Opera e di Amleto.

Un po’ d’intimità viene recuperata nella cucina, dove le due donne rigovernano insieme, pulendo e riponendo con cura le belle stoviglie decorate con fregi di fiori azzurri, dono della madre di Alfrida, nonna della narratrice, morta tragicamente per l’esplosione di una lampada.

La conclusione, inaspettata, descrive l’incontro della narratrice, nel giorno del funerale del padre, con la figlia di Alfrida che la  riconosce, avendola vista in fotografia e le rammenta di quando la madre con suo padre, tornavano dal liceo insieme, sentendo suonare a festa le campane, perché la guerra era finita. Anche la narratrice si rammenta di quel racconto, ma pensava che i due fossero bambini e che giocassero col cane Mack. Può darsi che il cane ci fosse, afferma la figlia di Alfrida, ma i due erano adolescenti, essendo nati nei primi anni del ‘900. Una nota stonata è data dalla comunicazione della figlia di Alfrida circa i commenti di questa sulla narratrice, descritta come una persona furba e senza cuore.

Le ultime righe del racconto sono un brevissimo flash back del ritorno a casa della narratrice dopo il pranzo a casa di Alfrida. Durante il percorso a piedi, si ferma a bere un caffè  nella calda luce del tardo pomeriggio, pensando al lavoro cui si dedicherà, descritto, come una mano che acciuffa qualcosa nell’aria per poi scriverne.

 

4° racconto:

Conforto

Il titolo si riferisce al significato che la protagonista, Nina, conferisce al proprio matrimonio, dal quale ricava dolcezza e conforto, soprattutto dopo la morte del marito per sclerosi laterale amiotrofica. A ciò si aggiunge il sentimento per Ed, titolare dell’Agenzia di Onoranze Funebri, ma soprattutto amico, che le fa visita, donandole un mazzo di rose bianche, insieme alle le ceneri di Lewis. Tra i due c’era stato un breve momento di tenerezza, nella cucina di una comune amica, Margaret, mentre i reciproci consorti dibattevano vivacemente in salotto, circa l’evoluzione della specie secondo Darwin  ed il religioso impegno di Kitty, membro della Chiesa Anglicana. Un unico bacio,  sul collo, dono prezioso, che Nina ricorda ogni anno, a Natale durante l’assolo di  Ed nella corale del Messia. E’ la riposta di Ed, alla domanda che Nina gli rivolge, a concludere il loro incontro: - Tu credi nelle anime ? – Sì.

 

Personaggi:

Nina: protagonista, ex insegnate di latino

Lewis Spiers: marito di Nina, docente di biologia, ateo convinto, viene definito come un girovago, anche se non propriamente hippy, fino a quando non incontra Nina

Margaret: amica e collega di Nina, giocano a tennis nel tempo libero

Paul Gibbings: preside del Liceo, molto comprensivo, cerca di mediare le diatribe fra Lewis,  genitori e studenti, circa le continue polemiche fra religione e scienza

Ed e Kitty Shore: titolari dell’Agenzia di Onoranze Funebri ed amici di famiglia

Bruce: figlio degli Shore, si occupa dell’Agenzia

 

Trama:

Il racconto inizia quando la protagonista, tornando a casa dopo un partita di tennis con l’amica Margaret, trova nel letto, il cadavere del marito, sofferente da tempo di sclerosi laterale amiotrofica, morto suicida.  Avevano programmato insieme l’evento, proiettandolo però nel futuro e Nina dava per scontata la sua presenza, invece Lewis, che detestava ogni forma di rito, preferì diversamente. Probabilmente aveva  ormai superato quella che definiva la soglia tollerabile dell’invalidità. Le cartine delle quattro confezioni di analgesici utilizzati,  erano sul comodino, vicino al bicchiere dell’acqua, quasi completamente vuoto. Nina le prese e cominciò a cercare disperatamente un messaggio del marito, tra le coperte, le lenzuola, sotto al cuscino, nel cassetto del comodino, sotto alla lampada, dentro e sotto le pantofole e nel libro che stava leggendo. Sarà Ed Shore a consegnarle un biglietto ben ripiegato, affermando di averlo trovato nella tasca del pigiama, mentre si prendeva cura del defunto per ricomporne la salma.

Il messaggio è intitolato: La Lotta tra Genetisti e Figli di Darwin per l’Anima di una Generazione di Smidollati

C’era un Santuario di  conoscenza

Che sulla riva del  lago affacciava

Dove campioni di ottusa ignoranza

Ascoltavan le prediche di chi  li tediava…

E il numero Uno, il più gran Seccatore,

Era uno stronzo  ognor sorridente

Che aveva un’unica idea fissa in mente:

Dir  loro quello che  avevano  a  cuore.

 

Quando il preside del liceo dove Lewis insegnava, nel corso di una conversazione telefonica, si offre di fare da cerimoniere per celebrare, non un elogio, ma un ricordo dell’estinto, stimato come valido insegnate, Nina  sostiene che Lewis ha lasciato una poesia che lei leggerà ad alta voce davanti a tutti e gli recita lo scritto. La conversazione telefonica si conclude bruscamente e le ceneri di Lewis saranno consegnata da Ed a Nina, sola nella cucina di casa, unitamente al mazzo di rose bianche. Sorseggiando il tè che Nina ha preparato, converseranno  brevemente; Ed negherà di avere letto il biglietto di Lewis e risponderà alle domande di Nina sulle modalità di conservazione e ricomposizione di un cadavere. La minuziosa e disinvolta descrizione, unita al tono serio della voce, ricorderanno a Nina il Lewis di due sere prima che, indebolito, ma soddisfatto, le parlava delle creature monocellulari, senza nucleo e coppie cromosomiche, che per quasi due terzi della storia del pianeta, erano state l’unica forma di vita. Dopo il congedo di Ed  Nina salirà in macchina nella notte fredda e senza vento, portando con sé la cassetta delle ceneri e la svuoterà in un terreno paludoso illuminato dalla luna. Un brivido nauseante la percorrerà, mentre infilando le mani nelle ceneri fresche sentirà i minuscoli brandelli di materia. Si stupirà di riuscire a restare in piedi, calma, come sollevata da ferrea devozione, nonostante il freddo pungente.

 

5° racconto:

Ortiche

Il titolo si riferisce all’irritazione dei due protagonisti, causata dalle ortiche site ai margini di un campo da golf, nel quale Mike si era recato a giocare, accompagnato dalla narratrice, sua amica d’infanzia. Un temporale con forte vento irrompe, mentre si trovano alquanto distanti dalla sede del club, costringendoli alla fuga in direzione del margine del campo. Qui il terreno è declinante e cespuglioso verso una zona incolta, ma con alcuni alberi che possono offrire riparo;  a causa della pioggia, scivolano sulle ortiche che irritano loro mani, avambracci e caviglie.

 

Protagonisti:

Narratrice: protagonista, attualmente divorziata, vive sola a Toronto; le due figlie sono rimaste a Vancouver col padre e periodicamente la vanno a trovare, manifestando non pochi problemi. Lei trascorre molto tempo scrivendo, incontrando le amiche e frequentando un amante col quale ride e fa passeggiate nel bosco. E’ compiaciuta di stimolarlo sessualmente, ma a volte va in crisi, così decide di andare a trovare l’amica con la quale scambiava confidenze durante il periodo della gravidanza.

 

Sunny: amica della narratrice, erano gravide contemporaneamente e nel tempo libero leggevano Jung e discutevano di Simone de Beauvoir, anche se i reciproci mariti non approvavano questi loro interessi. Si trasferisce a Uxbridge, causa il trasferimento del marito ed è qui che la protagonista le verrà a fare visita, incontrando il suo amico d’infanzia, Mike, che ora è ingegnere civile, come il marito di Sunny.

 

Mike McCallum: amico d’infanzia della narratrice, la incontra nella casa di campagna dove lei viveva da bambina.  Il padre, che lavora per la famiglia della narratrice, è perforatore di pozzi, che spesso in estate richiedo un intervento, a causa della siccità. Pranzano quasi sempre insieme a casa di lei e condividono divertenti giochi, imbrattandosi di fango insieme ad altri bambini che giocano alla guerra. Da adulti si ritrovano imprevedibilmente, nella casa di Sunny, il cui marito è Ingegnere edile; ora Mike è sposato, ma attualmente la moglie è in Irlanda coi figli.

 

Johnston: marito di Sunny e collega di Mike.

Mark, Gregory e Claire: figli di Sunny e Johnston;Gregory vorrebbe accompagnare Mike al golf, ma la madre non glielo permette, insistendo perché vada con tutti loro in piscina. La narratrice e Mike si ritrovano da soli.

 

Trama:

Inizialmente la protagonista ricorda la sua infanzia nella casa di campagna e l’emozionante amicizia con Mike, l’avventurosa traversata del fiume sopra le bianche pietre, tra ninfee e cespugli incolti, l’incontro con un gruppo di fanciulli che giocano alla guerra, dividendo i ruoli fra guerrieri ed assistenti/infermiere, che costruiscono munizioni con fango, ghiaia, erba e rametti, i primi contatti per medicare il corpo di Mike ferito dai nemici, l’imbarazzante ritorno a casa, imbrattati di fango e la complicità non manifesta, durante i pranzi a casa di lei, mentre lui  spalmava il pane col  ketchup. Lo ritroverà imprevedibilmente, in casa di Sunny, molti anni dopo, ormai adulti e genitori, ma entrambi con evento luttuoso alle spalle. Per la narratrice si tratta del divorzio, che procura non pochi problemi alle figlie, per lui, purtroppo, è la morte del figlio minore, Brian, causata dalla propria auto durante una retromarcia. Il bambino non era in casa a dormire, come previsto, si era alzato, non visto. Mike confida alla narratrice questo terribile segreto mentre tornano dal golf, dopo il temporale che li ha visti ancora una volta insieme, in cerca di un riparo, scivolare nella terra bagnata coperta di ortiche, abbracciandosi e baciandosi per la prima ed ultima volta, quasi compiendo un rituale di sopravvivenza.

 

6° racconto:

 

Post and Beam

Il titolo si riferisce ad uno stile architettonico della West Coast, precisamente definito Post and Beam Construction, che realizza ville senza intonacarle, semplici e funzionali, immerse totalmente nell’habitat naturale. Il tetto è piatto, sporgente oltre le pareti, le travi interne a vista, il caminetto in pietra, sale fino al soffitto e le finestre, lunghe e strette, sono prive di tende. Il concetto di contemporaneità e di dominio dell’architettura, sostenuto dal progettista, viene ribadito dal marito della protagonista, ogniqualvolta mostri la casa a qualcuno.

 

Personaggi:

Lorna: protagonista, ha 24 anni, due figli ed ha conosciuto il marito al rinfresco di un matrimonio svoltosi nel refettorio della chiesa unitaria del paese di cui era originaria. L’attrazione è  immediata e reciproca, per le doti sia fisiche che intellettuali di lui e per la semplicità e la giovinezza di lei, definita come un fiore di campo. In realtà Brendan era in cerca di una moglie intelligente e senza grilli per la testa.

Brendan: marito di Lorna, insegna matematica ed assolve tradizionalmente e razionalmente il ruolo di marito.

Lionel: ex studente di Brendan, orfano di madre, definito come un vivace talento matematico all’età di 16 anni; a causa di un crollo nervoso, finisce in ospedale psichiatrico. Ritrova Brendan quando, ormai abbandonati gli studi, lavora per la casa editrice della Chiesa Anglicana. Scrive semplici poesie, un po’ confuse, che dedica a Lorna.

Elizabeth e Daniel: figli di Lorna e Brendan

Polly: cugina maggiore di Lorna, non ha padre, da bambine giocavano spesso insieme, perché le loro case erano vicine.

Beatrice: madre di Polly e zia di Lorna è solo nominata nel racconto

 

Trama:

Lorna e Brendan vivono a Vancouver in una moderna villa con i loro due figli e Lionel, del quale Lorna ha conosciuto la madre, ormai deceduta, fa loro visita frequentemente dopo cena.

Lorna, che ha sofferto durante i primi mesi di matrimonio per la lontananza dalla famiglia di origine, è ora completamente assorbita dal ruolo di madre; il figlio minore non cammina ancora, e lei trova una certa complicità nell’amicizia con Lionel, che le dedica poesie. I due si confidano spesso, raccontandosi eventi del passato. In questo contesto familiare s’inserirà la cugina Polly, che decide di soggiornare presso di loro per un po’. Questo fatto non entusiasma Brendan, molto abitudinario razionale; le conversazioni di Polly lo infastidiscono, i suoi problemi di mancata indipendenza dalla famiglia d’origine lo preoccupano, perché teme che questa presenza, protraendosi troppo a lungo,  possa interferire con la loro vita. Lorna cerca di rassicurarlo, affermando che il soggiorno sarà solo di due settimane, ma non osa raccontagli episodi  della sua vita che la vedono legata affettivamente alla cugina. Percependo queste velate tensioni, un giorno che Brendan è partito presto per insegnare ai corsi estivi, Polly decide di visitare Vancouver da sola e Lorna le fornisce tutte le indicazioni necessarie. Lei si recherà a fare un passeggiata coi bambini, modificando l’usuale percorso e raggiungendo la casa dove Lionel vive, nella zona a nord di Vancouver. Alla padrona di casa dirà che suo marito è stato professore di Lionel all’università e che lei, pur sapendo che ora Lionel è assente perché si è recato dal padre per qualche giorno, deve cercare un libro della biblioteca che gli ha prestato; infatti la data della consegna è scaduta. Si ritroverà così nella stanza del suo amico-confidente, da sola, a guardare fuori dalla sua finestra, respirando l’aria che lui respira, osservando il letto, il cassettone, il tavolo  il fornello a due piastre, la credenza. Nessuna traccia del libro, ma non era certo quello l’obbiettivo di Lorna, che invece si siede per terra nel centro della stanza e rimarrebbe lì per ore, se la voce di Elizabeth non la chiamasse dal cortile.

Un altro giorno invece, Lorna e Polly lo trascorreranno ad Ambleside Beach, cariche di asciugamani, giochi, pannolini, cibo e del delfino gonfiabile di Elizabeth.

 In spiaggia Polly racconterà di un tipo che la corteggia e che lei definisce troppo serio, perché cerca moglie, come fece Brendan a suo tempo, ma lei non ne è innamorata, come lo era Lorna de marito. Lorna si affretta a rispondere che lei è innamorata ancora e Polly afferma che forse può funzionare se lui ti piace abbastanza ed uscendoci insieme, trovi i lati positivi della faccenda.
- E quali sarebbero i lati positivi ? – dice Lorna alzandosi per controllare Elizabeth in groppa al delfino. – Fammi  pensare un attimo – risponde Polly ridendo – Scherzo, ce ne sono tanti, volevo solo fare la spiritosa.

Il week end successivo, Lorna e Brendan devono partire per Penticton, perché invitati al matrimonio di un laureando di Brendan. Nel cercare una valigia per il viaggio, Lorna entrerà nella stanza di Polly,  trovandola  in lacrime nel letto ed alla sua domanda:- Cosa c’è ?,  Polly risponderà:- Tu non mi vuoi -.Lorna si difenderà affermando di non avere potere, che il marito le da  venti dollari per volta, mentendo, perché invece possiede un suo conto corrente.

Il contesto della festa per il matrimonio si rivelerà ideale: il clima estivo, le colline, l’ombra dei pini, i balli e lo champagne. Lorna si coricherà ubriaca concedendosi al sesso per la gioia di Brendan. Al mattino, indebolita, ma non scontenta, lo osserverà giocare con Elizabeth sulla riva del lago: costruiscono un castello di sabbia.

Per tutto il viaggio di ritorno un pensiero insistente tormenterà la mente di Lorna: immagina che Polly si sia impiccata nella sua cucina e fantastica sui minimi particolari dell’evento, dall’abbigliamento, al ritrovamento del cadavere. Ricorda inoltre, quando da bambina, nella casa della nonna, restò sola con la cugina, maggiore di cinque anni, per un giorno intero. Polly voleva fare una torta, ma le mancava un ingrediente, così le fece indossare il cappotto e lasciandola in un angolo del giardino in attesa che lei tornasse dal negozio. Al suo ritorno la coprirà di baci, perché ricordandosi dei rapitori di bambini e si affrettandosi a riportarla in casa strofinandole le manine infreddolite.

La lettura delle favole per intrattenere Elizabeth e la recita dei passaggi più noti delle medesime, aiuteranno Lorna a distrarsi solo parzialmente da pensieri tanto angoscianti. Infatti, cercherà mentalmente di fare patteggiamenti con la propria coscienza, domandandosi a cosa avrebbe potuto rinunciare, pur di ritrovare la cugina in vita e si accorgerà di non potere scegliere.

Assorta in tali pensieri scorgerà la propria casa apparire tra gli alberi e subito udirà le voci di Polly e Lionel, del quale si era completamente scordata, provenire dal giardino.

I bagagli verranno scaricati, Daniel sistemato nel suo lettino mentre Elizabeth resterà in giardino a saltellare, nell’attesa che Lionel con Polly e Brendan,  gonfino a riempiano di acqua la sua piscina di plastica. Sono tutti contenti e Lorna li osservava dalla finestra pensando a Polly e Lionel, un’ipotesi non considerata, ma che forse non avrebbe avuto seguito. Qualsiasi cosa fosse accaduta a Polly con gli uomini, di certo il suo cuore non si sarebbe spezzato.

Elizabeth la stava chiamando, perché l’acqua della piscina era fredda ed anche Brendan la invitò a scendere in giardino. Lorna pensò che il patto da rispettare era questo: continuare a vivere come aveva fatto fino ad ora, accettando che i bambini crescessero e che lei e Brendan invecchiassero. Non aveva mai considerato il  matrimonio come fine ultimo della sua esistenza. I patteggiamenti, a quel tempo, non facevano ancora parte della sua vita.

 

7° racconto:

Quello che si ricorda

I ricordi si riferiscono all’unico incontro erotico che la protagonista ebbe con Eric, medico, dopo il funerale dell’amico di famiglia, Jonas e la vista che insieme fecero alla zia di lei, degente in casa di riposo. Meriel vorrebbe trasformare mentalmente gli eventi, inserendoli in un contesto diverso dall’appartamento in cui lui viveva a Kitisilano e nel quale si svolsero realmente. Lei avrebbe preferito un modesto albergo nel West End di Vancouver, ma nonostante ciò, per tutta la vita ed anche dopo la morte del marito, Meriel tornerà mentalmente all’emozione del loro incontro, chiamando segretamente Eric, Amore mio e ricavandone quasi un medicamento miracoloso.

 

Personaggi:

Meriel: protagonista, si sta preparando per i funerale dell’amico di famiglia

Pierre: marito di Meriel, e compagno di università di Jonas, insegna lettere

Jonas: ingegnere, scapolo, cambia spesso lavoro muore a causa di un incidente stradale

Muriel: zia di Meriel, insegnate d’arte e pittrice, ha condotto un’esistenza libera ed appagante ed ora è ospite di una casa di riposo chiamata Maniero Principessa.

Eric Asher: medico che ha soccorso Jonas, accompagnerà Meriel a visitare la zia dopo il funerale ed avranno un incontro erotico a casa di lui. Poi la condurrà al traghetto diretto a casa.

 

 

Trama:

Meriel è in una stanza d’albergo col marito e si sta accuratamente preparando per il funerale dell’amico deceduto in un incidente stradale. Pierre e Jonas si conoscevano dai tempi  dell’università, pur frequentando facoltà diverse ed in antitesi, l’uno lettere Classiche e l’altro Ingegneria. Il rinfresco dopo la funzione si svolge nella casa dei genitori di Jonas e vi partecipa anche la madre di Pierre. Tutto è stato organizzato con cura: i rododendri della siepe in giardino sono fioriti, in tavola ci sono piatti di ceramica e tovaglioli ricamati, gli ospiti posso servirsi di mousse al salmone, tartine di gamberetti, prosciutto, cetrioli e funghi, sfoglie alla salciccia, torta al limone e frutta. Meriel non si può trattenere a lungo, perché ha programmato di visitare la zia degente presso una casa di riposo, ma dovrà andarci da sola, perché Pierre deve rincasare per tempo, come stabilito con la baby sitter che si occupa dei loro figli. Jonas si offrirà  di accompagnarla; nel percorso da Dundarave al Maniero Principessa, Meriel è molto imbarazzata, sia a causa dei silenzi di Jonas, sia perché le capita raramente di parlare con un uno sconosciuto e di trovarsi da sola in macchina con lui. La zia Muriel è sola e sta fumando, ma la riconosce immediatamente ed afferma che l’uomo che l’accompagna, che nel frattempo è andato a procurarsi due sedie, non è suo marito. Meriel le spiegherà che è un medico, ma non riuscirà a dirle dell’incidente e del funerale, perché  lui interverrà precisando di non essere lì in veste ufficiale. - Oh, no – dirà zia Muriel – è qui con lei – Infatti – confermerà Jonas. Durante la visita la zia racconterà delle sue amicizie e dei suoi trascorsi amorosi, affermando di essere stata, ai suoi tempi,  un demonio. Sarà lei a congedarli spontaneamente, perché stanca.

Jonas  propone a Meriel, che accetta subito con entusiasmo, una passeggiata in Stanley Park e dopo che lui ha parcheggiato, scendono contemporaneamente dalla vettura incontrandosi sul marciapiede. Le gambe di Meriel cominciano a tremare e gli chiede di portarla da un’altra parte; lui, dopo averla guardata dritta negli occhi, le risponde semplicemente: - Sì.

Andranno nell’appartamento di lui, prestatogli da un amico che si trova su di un peschereccio al largo di Vancouver Island. La sera, faranno appena in tempo a raggiungere Horseshoe Bay per consentire a Meriel di prendere il traghetto che la deve riportare a casa, ma solo dopo la morte di Pierre, avvenuta a distanza di trent’anni, ricorderà che Eric che rifiutò di baciarla, prima che lei salisse sul traghetto. – Non lo faccio mai – disse, mettendola al riparo da false speranze. Non lo rivedrà mai più, ma sentirà ancora la sua voce, il tono serio, ma contemporaneamente leggero, percepirà il suo viso ed il distacco e non capirà come abbia potuto soffocare così a lungo un tale ricordo. Probabilmente se non ne fosse stata capace, non sarebbe rimasta con Pierre,  oppure avrebbe potuto condurre una diversa esistenza, un genere di vita a cui non aveva mai pensato prima. Invece, prima del decesso di Pierre, gli comunicò, perché informata dalla madre di Jonas, la morte di Eric avvenuta per incidente aereo, nel corso di un volo di emergenza

 Solo ora, respirando la fresca aria rarefatta, può pensare  ad un’ altra vita, con percorsi, trappole e traguardi, alla luce dei quali, anche le sue difese nei confronti di Eric diventeranno un’espressione del suo modo di economizzare le emozioni, quasi una guida. E forse, anche Eric, nel suo nuovo immaginario, avrebbe avuto un ruolo diverso.

 

 

8° racconto:

Queenie

E’ il nome della sorella di secondo letto della protagonista; il padre, vedovo si  è risposato con Bet che ha avuto una figlia da nubile, Queenie, maggiore di tre anni di Chrissy. Tra le due s’instaura subito un fraterno rapporto di amicizia e complicità.

 

Personaggi:

Chrissy: narratrice e protagonista

Queenie: sorellastra di Chrissy

Bet: madre di Queenie e matrigna di Chrissy, fa la rappresentate di cosmetici

Stan Vorguille: datore di lavoro e, dopo la morte della moglie, convivente di Queenie, insegna musica

Andrew: studente di Stan, fa amicizia con Queenie durante una festa di Natale nella loro casa

Lesile: amico di Stan, appassionato di musica, felicemente scapolo, invita fuori a cena Chrissy

 

Trama:

 

Queenie e Chrissy s’incontrano alla Union Station di Toronto dopo anni che non si vedono, perché la prima è fuggita da casa per andare a vivere con Stan, che è rimasto vedovo. Queenie si occupava della casa di Stan durante la malattia della moglie, che lui ha accudito amorevolmente fino al decesso. La loro improvvisa fuga sorprende tutti; vivono in una modesta casa in affitto i cui proprietari sono Greci ed hanno in comune il servizio igienico. Molti mobili della vecchia casa di Stan non ci sono più e Chrissy non capisce che fine abbiano fatto, ma presume siano stati venduti. Le condizioni economiche della coppia non sono delle migliori, infatti Stan, che insegna musica agli studenti, la sera suona il pianoforte in un ristorante e Queenie fa la cassiera in un cinema. Chrissy è in cerca di lavoro ed inizialmente servirà al banco di un drugstore sito nel seminterrato di un condominio, ma verrà licenziata subito.

In occasione del Natale Queenie organizza un festa, invitando gli studenti di Stan, ormai adulti e la famiglia dei greci, proprietari dell’appartamento che porteranno del vino fatto  da loro; fra gli studenti qualcuno porterà del rum, altri lo sherry, alcuni dei dischi ballabili. Queenie cucinerà sfoglie alla salsiccia e pan di zenzero e la signora greca dei biscotti.

Tutti si divertono e Queenie balla con uno studente di nome Andrew che desidera imparare a suonare “Al chiaro di luna”;  faranno poi il gioco della sedia e Stan, ogni volta Queenie gli passa accanto, la prende sulle sue ginocchia. L’unica cosa che avanza dal banchetto è una torta cucinata da Queenie che non si riuscirà più a trovare nei giorni successivi, scatenando le ire di Stan. E’ convinto che Queenie l’abbia regalata ad Andrew e per tranquillizzarlo, la donna dovrà mentire, affermando che sì, non si era ricordata subito, ma  l’aveva donata a lui, perché non poteva tornare a casa dai parenti per festeggiare il Natale. La torta invece, era stata avvolta da Queenie in un panno da cucina e poi nella carta oleata e racchiusa in un sacchetto, appeso al gancio nella veranda. Quando, giorni dopo, Queenie la ritroverà, ne assaggierà un pezzo, ma poi butterà via tutto, senza farne parola con Stan.

Chrissy, un giorno dovrà andare all’Ufficio Postale, per ritirare della corrispondenza di Queenie, ma non saprà mai chi le abbia scritto, pur supponendo che si tratti di Andrew. Queenie è eccitatissima nell’aprire la lettera, e prega Chrissy di servire il tè a Stan ed all’amico di lui, Lesile che è venuto a trovarlo, perché lei è in ritardo e deve andare la lavoro. Lesile inviterà Chrissy a cena, e la sua compagnia si rivelerà molto adeguata per la ragazza, che si sente un po’esclusa del mondo, costruito a modello di coppie, padre e madre, padre e matrigna, Stan con la prima moglie e poi Queenie.

Quando ormai Chrissy è alla scuola per insegnanti, riceverà dal padre una lettera che le comunica la nuova fuga di Queenie. Non saprà mai con chi sia fuggita, nemmeno dopo la morte del padre, ma ogni Natale riceverà gli auguri da Stan.

Ora i figli di Chrissy sono adulti e durante i viaggi, che spesso intraprende con il marito, ha spesso la sensazione di vedere Queenie: tra la folla di un aeroporto, con un gruppo di donne all’uscita di una chiesa, con un gruppo di bambini diretti in piscina ed infine, anni dopo, ormai anziana, sola e trascurata, in un supermercato. Chrissy inizialmente non si soffermerà, ma dopo aver caricato la spesa in macchina, inventerà una scusa con il marito e tornando indietro a cercarla, ma Queenie, che un tempo l’aveva abbandonata, ora non c’è più.

 

 

9° racconto:

The Bear Came over the Mountain

Probabilmente l’orso citato nel titolo é Aubrey, che Fiona, la protagonista, incontra nella casa di riposo chiamata Lagoverde. Viene ricoverata al comparire dei primi segni di deterioramento mentale, seppure lievi e non invalidanti. Tra i due nasce una tenera ed affettuosa amicizia, di grande conforto per entrambi, ma Aubrey è ricoverato solo temporaneamente e quando la moglie lo riporterà a casa, Fiona entrerà in depressione. Sarà il marito, Grant, a trovare una soluzione che concluderà il racconto con un lieto finale.

 

Personaggi:

Fiona: protagonista, è vissuta in una grande villa con i genitori. Il padre, stimato cardiologo è, tra le mura domestiche, un tenero e mite marito;  la madre, islandese, donna robusta in tutti i sensi, non nasconde le sue inclinazioni politiche di estrema sinistra. La casa è frequentatissima da persone di ogni genere, che si accaniscono in vivaci dibattiti e vari colloqui, anche con accenti stranieri. Fiona non sente la necessità di frequentare alcun circolo universitario o politico, ma a volte in casa risuonano le note dell’Internazionale.

 

Grant: marito di Fiona, si conoscono dai tempi dell’università ma lei prende un po’ in giro lui ed anche altri corteggiatori. Sarà quindi una sorpresa per Grant, ascoltare la dichiarazione di Fiona sulla spiaggia di Port Stanley in una fredda giornata di sole: - Credi che ci divertiremmo se ci sposassimo ? – E’ urlando che lui le risponderà: - Sì –

Fiona aveva dentro il fuoco della vita, ma non ebbero figli.

 

Krissy: infermiera della casa di riposo

 

Aubrey: in carrozzella a seguito di un coma, è degente solo temporaneamente a Lagoverde. Nel periodo che frequenta Fiona, oltre a giocare al Bridge, riuscirà anche ad alzarsi per brevi percorsi sostenuto da lei che afferma di averlo conosciuto da giovane, nel negozio del fabbro dal quale suo nonno si serviva.

 

Marian: moglie di Aubrey, lo riporta a casa al termine del ricovero, come era stato preventivato e rimane sorpresa della visita che Grant le farà, chiedendole di consentire, che almeno qualche volta, il marito possa incontrare Fiona. Con insospettabile coraggio telefonerà a Grant, dopo il loro congedo e lo inviterà alla Festa danzante dell’Associazione Ex combattenti. Seguirà la visita di Aubrey a Fiona.

 

Trama:

Nel racconto è descritto l’insorgere di un deterioramento mentale senile della protagonista, la quale suggerisce al marito di ricoverarla in casa di riposo. Qui Fiona si ambienterà, accettando i limiti ed i condizionamenti imposti dal regolamento e quando, dopo un mese come previsto, Grant si recherà a farle visita, la troverà seduta ad un tavola da bridge accanto ad un invalido. Si tratta di Aubrey, che Fiona afferma di avere conosciuto da giovane e che diventerà il suo fidato compagno, al punto di cadere in depressione quando la moglie lo riporterà a casa al termine del ricovero per la riabilitazione. La sensibilità di Grant lo indurrà a prendere contatto con la moglie di Audrey, favorendo l’insorgere di una amicizia fra loro e la continuità dell’affettuoso rapporto fra i due anziani non più autosufficienti.


CHI TI CREDI DI ESSERE  ?

 DI ALICE MUNRO

1978

vince il maggior premio letterario del Governo Canadese

 

(Il titolo è il rimprovero di Miss. Hattie, insegnante di liceo, a Rose che non copia la lunga poesia scritta alla lavagna, perché cerca d’impararla a memoria, riuscendoci e lo dimostrerà, ripetendola davanti a tutta la classe. Non basta, dovrà fermarsi oltre l’orario di scuola per trascriverla tre volte. Tanta presunzione va punita.
Questo è ciò che pensano anche altri, ma soprattutto, Flo, la matrigna di Rose.)

 

Personaggi

 

Rose                               protagonista

Flo                                  matrigna

Brian                              fratellastro di Rose, diventerà ingegnere

Billy Pope                      cugino di Flo, lavora nella macelleria

Tyde                               macellaio

Becky                             figlia di Tyde, forse violentata dal padre

Robert                            fratello di Tyde

Cora                                amica preferita di Rose durante l’adolescenza

Donna e Bernice             altre amiche di Flo

Prof.ssa Henshawe         insegnante in pensione – c/o la sua casa alloggiano borsiste dell’università, tra queste Rose

Miss. Hattie                   insegnate d’inglese, zia di Milton, il nonno aveva aperto la Filanda in paese

Miss Mattie                    gemella di Hattie, casalinga

Patrick                            marito di Rose, benestante, timido, intellettuale

Anna                               figlia di Rose

Jocelyn                           amica di Rose conosciuta nel reparto maternità, casalinga

Clifford                           marito di Jocelyn, violinista col quale Rose ha una relazione

Tom                                docente universitario del quale Rose è un po’  innamorata

Dorothy                          amica di Rose, single, conduttrice radiofonica

Milton                            lieve insufficiente mentale, vive con le due zie gemelle 

Phoebe                           moglie di Brian, calma e ligia al dovere

Simon                            insegnante, conosciuto ad un party, trascorre un’intensa notte d’amore con Rose, morirà di tumore al pancreas.

Ralph                             compagno di classe di Rose e suo complice, specializzato nelle imitazioni, si arruola in marina, ma a seguito di un incidente, tornerà a                                      casa con pensione d’invalidità. Morirà, cadendo e ferendosi alla testa.


Trama

L’ infanzia e l’adolescenza di Rose si svolgono nella casa di Hanratty (Ontario) sita nel retro del negozio, che il padre, (restauratore di mobili e tappezziere) conduce con l‘aiuto della seconda moglie, Flo. Il rapporto di Rose con la matrigna è inizialmente carico di conflittualità; Flo lamenta il mancato rispetto, l’eccessiva ilarità di Rose, che gioca col fratellastro Brian, ma a volte assume atteggiamenti provocatori, per i quali verrà punita. Il padre arriverà a colpirla con la cinghia e Flo, forse pentita, le porterà in stanza, pomata e cioccolata calda.

La madre di Rose è morta quando lei era ancora nella culla e Flo rappresenta la moglie ideale per il padre. E’orfana di madre dall’età di 12 anni, cresciuta in una famiglia di agricoltori, forte, ma ingenua quanto basta, pratica  ed operosa, ha la capacità di cavarsela da sola, senza usare troppa razionalità, che nelle donne stona. Questa è l’opinione del padre di Rose, che vede in lei   gli aspetti peggiori della femminilità: non sa fare lavori manuali, (la madre era una bravissima tappezziera), ama studiare, dalla letteratura alla storia medioevale, dalla geografia al francese, dall’algebra al latino, ha una vivace dialettica ed a volte si esibisce tra i compagni di scuola, raccontando i piccoli scandali del paese. Assiste anche ad  episodi violenti e provocazioni nei confronti di ragazzine indifese ed un po’ insufficienti mentali, da parte dei giovani bulli, compagni che eviterà accuratamente di frequentare, preferendo invece, studentesse un po’ più grandi con comportamenti spiccatamente femminili, abiti e atteggiamenti di velata seduzione.

Il padre si ammala gravemente, ha problemi polmonari e morirà prima che riescano a condurlo all’ospedale dei veterani, come il medico aveva consigliato di fare. L’ultima sera la trascorreranno in casa riuniti, c’è anche il cugino di Flo che si era offerto di accompagnarlo all’ospedale con la sua auto, che attualmente è dal meccanico per una riparazione.

Rose andrà a Toronto, per la prima volta da sola, per acquisti; precedentemente ci era stata con Flo.

Trascorrerà la notte da una cugina del padre, ma durante il viaggio in treno sarà importunata da un sacerdote, un ministro della Chiesa Riunita, come si definirà, prima di allungare timidamente la mano, nascosta sotto al giornale, mentre finge di dormire. Rose non troverà il coraggio di reagire  e si lascerà toccare, restando  immobile al suo posto, vicino al finestrino. Giunti in stazione, lui l’aiuterà ad infilarsi il cappotto, quindi si defilerà velocemente.

Rose, che ha vinto una borsa di studio, per poter frequentare il college, troverà lavoro nella biblioteca. La responsabile è amica della Signorina Henshawe, che ospita giovani borsiste e Rose si stabilirà da lei.

Patrick, ventiquattrenne benestante, di origine scozzese, specializzando in storia, frequenta la biblioteca e s’innamora di lei, proteggendola dagli abusi di un utente che aveva tentato di afferrarle una gamba, per poi scappare via velocemente. La condurrà a casa della sua famiglia che vive a Vancouver Island, vicino a Sidney, in una villa con giardino, dotata di grandi vetrate che si affacciano sul mare e le regalerà un diamante.

Patrick ha due sorelle, Joan e Marion, più giovani di lui, ma più grandi di Rose, che durante un pranzo la  interrogano circa i suoi hobby: - cavallo, barca a vela, golf o tennis ? – No. No. No. Interverrà il padre,  affermando che forse è un genio intellettuale, come Patrick, il quale, imbarazzato,  comincerà a declamare ai presenti l’elenco di premi e borse di studio da lei vinti. La famiglia sembra compatta contro Patrick, ma l’alleanza dura poco, il padre in realtà disprezza le figlie, lamentandosi del tempo che dedicano ai loro giochi, barche e cavalli, ma soprattutto dei costi. Rose, preoccupata, domanda a Patrick se sia la sua presenza a determinare un tale comportamento. Con soddisfazione lui le risponderà: - Tu non piaci, perché io ti ho scelta. - 

Ad Hanratty le cose non andranno meglio: tovaglia e centro tavola in plastica, menù a base di salsicce campagnole, gentilmente offerte da Billy Pope, con contorno di rape e patate gratinate, toglieranno completamente l’appetito a Patrick. Gli sforzi di Rose nel cercare un argomento di conversazione naufragheranno ed il commento conclusivo del fidanzato sarà: - Avevi ragione, è una topaia, sarai contenta di  essertene andata –.

Tornerà ad  Hanratty da sola, per un fine settimana, donne e ragazze che prima la ignoravano, ora la fermano per strada augurandole tanta felicità, chiedendole di mostrare loro l’anello ed esclamando, sapendo che sarebbero andati a vivere nella Columbia Britannica: - Che bello ! E’ vero che non viene mai l’inverno ? –

Litigheranno; lei voleva lasciarlo, affermando che non l’amava, insultandolo, dandogli del codardo e del moralista, lui le scriverà un biglietto,  suggerendo di non vedersi per due settimane, per stabilire quali siano i loro veri sentimenti. Lei penserà che la fuga da Patrick comporti  necessariamente l’allontanamento dalla casa della professoressa Henshawe e dalla biblioteca, ma rivedendolo, tra gli scaffali dei libri, nella semi oscurità, con il lungo collo che emerge dalla spalle ossute, coperte dalla vecchia camicia scozzese, si commuoverà,  pensando che é una persona dignitosa e che non ha cercato la sua pietà.

Poi vede se stessa correre verso di lui, abbracciarlo con slancio, ridendo e piangendo, affermando che é tutto a posto, che lo ama.. Sta per lanciarsi, da uno scoglio o sopra un accogliente letto d’erba e fiori, non lo sa, ma lo farà.

Tenterà di analizzare questa sua reazione, dopo il divorzio, ricordando i momenti di tollerabile normalità del loro matrimonio, durato dieci anni: la nascita di Anna, l’ansia per una sua malattia, ma anche le cenette, la posa della tappezzeria, le spese affrontate insieme. Non ha  confidato a nessuno dei violenti litigi, la testa battuta contro la spalliera del letto, il vetro di una finestra della sala da pranzo rotto dalla salsiera che gli aveva lanciato contro, lui a volte la perdonava, a volte la picchiava. Insieme si domandavano che cosa facesse scattare la reazione, forse una vacanza avrebbe giovato ad entrambi, forse capitava a tutte le coppie. Forse, quel sabato, avrebbe dovuto lasciarlo là, tra i libri.

Lo rivedrà nove anni dopo il divorzio, all’aeroporto di Toronto, sola, stanca e bagnata nel suo trench stazzonato; lui, di spalle, in un bar, appesantito.

Lei si ferma e lui si gira, puntando in direzione dei tavoli; ha un aspetto moderno e gradevole, leggermente compiaciuto, vedendola assume un’espressione infantile, facendo una smorfia, quasi un monito selvaggio. Rose si domanda come possa odiarla tanto, perché lei sarebbe pronta a farsi avanti, con tutta la sua buona volontà.

La sua relazione con Clifford era iniziata durante il loro terzo anno di matrimonio, in casa di lui, sposato con Jocelyn, che Rose aveva conosciuto al reparto maternità. Avevano dato un party e Clifford, di professione violinista, vestiva in nero, capelli chiari e lunghi, pelle abbronzata, grazie allo sci,  il tipico artista, molto vicino alle abitudini ed alle aspirazioni di Rose. I loro rari incontri successivi si svolgeranno in un parco, in un bar, nel retro del teatro, mai in hotel. Così, in occasione di una tournée con l’orchestra per la quale lui suonava, decidono di trovarsi alla stazione degli autobus di Powell River per poi cercare un albergo. Rose avrebbe detto a Patrick che andava a Vancouver, da un’amica del college. L’incontro sarà un fallimento, lui arriva in ritardo, lei vorrebbe accompagnarlo a teatro, lui rifiuta, è cambiato, ha i  capelli corti, è pallido e le dice che se andassero fino in fondo la cosa non gioverebbe a nessuno. Lei l’osserverà suonare, seduta nell’auditorium e nel cuore della notte gli telefonerà, sentendosi dire di stare tranquilla e di dormire. La loro amicizia continuerà con la presenza di Jocelyn.

Clifford avrà successo e si trasferiranno a Toronto in una grande casa di mattoni sull’orlo di un precipizio. Hanno installato una sauna, dove lui trascorre molto del suo tempo, perché è terrorizzato dall’artrite, che afflisse per anni il padre. Rose ogni tanto va a trovarli.

Una volta, lei, Clifford e Jocelyn, dopo un party nella loro nuova casa, sbronzi e rilassati, si siedono davanti al camino, Rose consiglia di smettere di bere, e Clifford suggerisce di fare l’amore, e comincia a spogliare la moglie e poi Rose,  che il mattino seguente tornerà nella sua casa di campagna adagiata sul fianco di una montagna.

E’ un po’ isolata dal resto del paese e le cure di Rose per rendere l’arredamento piacevole, le daranno un aspetto accogliente. Anna ci vivrà per un breve periodo, dopo le vacanze di Natale e riuscirà a crearsi subito nuove amicizie fra i compagni di scuola, ma la situazione è per Rose molto pesante. Il suo lavoro alla radio, le difficoltà quotidiane da affrontare in un piccolo paese con tutti i negozi in fondo alla valle e l’impossibilità di realizzare un incontro con Tom, docente universitario al quale tiene molto, causa i reciproci impegni, la stressano molto.

Con la collega della radio Dorothy, si scambiano alcune confidenze circa i loro rapporti con gli uomini; Dorothy ha lasciato il marito per un giornalista che dall’Inghilterra le aveva scritto di amarla e lei organizza subito la partenza. Purtroppo quando arriva in Inghilterra lui è già partito per il Kenya.

Rose riceverà una lettera da Patrick nella quale  le spiega che è intenzionato a chiedere il divorzio ed a risposarsi con Elizabeth. Desidera che Anna vada a vivere con loro e la verrà a prendere al termine della scuola. La vita di Anna cambierà radicalmente, avrà una stanza con letto a colonne, baldacchino, copriletto, camicia da notte e cuffietta in tinta e prenderà lezioni di danza ed equitazione.

Rose è di nuovo sola, ma esce e cammina per le strade, osservando le finestre illuminate del sabato sera. Immagina se stessa in contesti differenti, è un attrice e sa come adattarsi al copione: potrebbe sedersi su costosi divani, sotto ad arazzi di velluto, ma anche partecipare a feste in locali pieni di posters, illuminati da lampade con scritto Coca Cola, o in stanze piene di libri e di riproduzioni. La invitano ad un party, dove incontrerà Simon che ha origini ebree e le racconterà della fuga in treno all’età di 14 anni con la sorella maggiore ed un altro ragazzo. Li avevano mandati a stare dai parenti francesi, per allontanarli dalla Polonia, ma dovranno scappare ancora, superando altre ispezioni.

Il week end che trascorrono insieme è perfetto, infatti Rose aspetterà Simon il fine settimana successivo, ma non vedendolo arrivare, non avrà il coraggio di telefonargli. Non può certo immaginare che si ammalerà gravemente e morirà  dopo circa un anno. Riceve la notizia a Vancouver, dove si trova per una nuova serie televisiva, da una giornalista che era al party durante il quale lei e Simon si erano incontrati. Le riprese televisive non le daranno nemmeno il tempo di commentare il triste evento.

Brian si era sposato con Phoebe, donna calma e servile; Rose le telefonerà dopo aver visitato Flo; erano due anni che non la vedeva e si rende conto che le problematiche senili la stanno consumando. Phoebe la inviterà a cena e seduti nel giardino, vicino alla piscina, dove la loro figlia minore sta cavalcando un drago gonfiabile, decideranno per il ricovero di Flo in casa di riposo. Per prima cosa Rose visiterà l’ospizio e descriverà a Flo le ampie stanze e tutte le attività ricreative che occupano la giornata degli ospiti, ma Flo sembra più interessata al menù. Il mattino seguente si alzerà di buon ora, dicendo a Rose, che scambia spesso per un assistente sociale:

 - Sono pronta, andiamo; l’hanno mandata qui apposta per portarmi là, in quel posto dei poveri –

<>Qualche tempo prima Flo le aveva scritto, rimpoverandola di essersi esibita con un seno nudo in una produzione televisiva nazionale intitolata “Le Troiane”. Un’altra volta, invitata ad una manifestazione per la consegna di un premio sia Rose che ad altri attori,  in un hotel di Toronto, si presentò con una vistosa parrucca grigia con sfumature azzurrine e  le sue spontanee osservazioni destarono subito una certa ilarità nel corso dell’evento. La stessa parrucca verrà ritrovata da Rose sotto al letto di casa, durante le pulizie subito dopo il ricovero e mostrata a Flo nel corso di una visita.

<>- Che cos’hai lì ? Uno scoiattolo morto ? – No è una parrucca – risponderà Rose indossandola e suscitando vivaci risate in Flo che comincerà dondolarsi nel letto domandando il perché delle sbarre e subito dopo informandosi sul suo comportamento e su quello di Brian.

 - Non litigate, vostro padre non lo sopporta. Hai visto quanti calcoli mi hanno levato, li hai mostrati a tuo padre ?

- Certo li ho portati a casa.

- Bene, sono contenta che siano lì. E si adagerà nel letto chiudendo gli occhi.

Nel corso di una delle ultime visite ad Hanratty, Rose rividrà Ralph, il compagno di classe, suo complice al liceo. Ha ottenuto l’invalidità a causa di una ferita riportata durante la carriera navale, zoppica e trema, infatti deve usare entrambe le mani per portarsi alla bocca il bicchiere di birra. Lo sguardo però è identico a quello dei tempi giovanili, l’occhiata che si scambiano manifesta la reciproca cospirazione e confidenza che Rose ricorderà nel tempo, anche  dopo avere letto la notizia della sua morte a causa di una caduta, e sempre sentirà la sua presenza vicino.


 

DIMENSIONE

Pubblicato su Repubblica il 12.08.2006

 

Il titolo si riferisce ad un elaborazione mentale di Lloyd, marito di Doree, ricoverato in ospedale psichiatrico a seguito dell’assassinio dei loro tre figli, il maggiore dei quali in età scolare. Durante una visita della moglie, le comunica di sapere che i loro figli esistono, pur non essendo vivi; sono semplicemente in un’altra dimensione. Forse, sostiene, esistono innumerevoli “altre dimensioni”, comunque lui riesce ad accedere a quella nella quale si trovano attualmente i loro figli.

 

Personaggi:

 

Doree: protagonista, fa la cameriera in un Motel

 

Lloyd: marito di Doree, conosciuto nell’ospedale dove la madre di lei era ricoverata a seguito di un intervento alla schiena

 

Sasha, Barbara Ann e Dimitri: sono i loro tre figli

 

Maggie: amica di Doree

 

Signora Sands: collabora con l’assistente sociale che assiste Doree, dopo il ricovero del marito in ospedale psichiatrico; le trova una casa ed un nuovo lavoro.

 

Trama:

 

Doree è la cameriera di un motel, conosce Lloyd che fa l’inserviente nell’ospedale dove la madre è ricoverata a seguito di un intervento chirurgico alla schiena. S’innamorano, si sposano, vanno a vivere in campagna e lui, che trova lavoro in una fabbrica di gelati, si occupa anche dell’orto.

Hanno tre figli, Sasha, Barbara Ann e Dimitri, che nei primi mesi di vita soffre di coliche, problema mai evidenziatosi con gli altri due figli. Doree integra l’allattamento al seno col biberon, ma nasconde questa iniziativa al marito, che è contrario. Quando però il biberon si sostituisce completamente al seno, il fatto non è più celabile. Cominciano le liti, che si ripresenteranno ogni volta che Dimitri ha un problema, dal semplice raffreddore al lento apprendimento della deambulazione. Secondo Lloyd, tutto dipende dal fallito allattamento, ma i suoi rimproveri non si limitano a questo, infatti non vuole che i figli frequentino la scuola pubblica e desidera educarli personalmente. Così Doree farà amicizia con Maggie che si offre di accompagnarla in auto, sia a ritirare i programmi scolastici messi a disposizione dal Ministero, unitamente agli schemi delle lezioni, che a consegnare i compiti che Sasha esegue regolarmente, manifestando ottime capacità di apprendimento. A volte le due madri, Maggie ha due figli, si fermano a chiacchierare un po’ sedute in panchina, mentre i bambini giocano. Tale amicizia alimenterà la gelosia di Lloyd, che attribuisce a Maggie la responsabilità dell’allergia di uno dei suoi figli, sostenendo che tali problemi sono sempre causati dalle madri. Il diniego di Doree aumenterà l’intensità del conflitto, che però esploderà per un altro motivo: aveva comprato un barattolo di spaghetti leggermente ammaccato, pagandolo meno e Lloyd sostiene che probabilmente era avariato e che solo una matta poteva comprare veleno per la famiglia. Doree deciderà di uscire di casa e mentre si sta infilando il cappotto, il marito le dirà: - Non farlo ! Ti avverto ! –.  Andrà a casa di Maggie, la quale, alla telefonata di  Lloyd, risponderà rassicurandolo che la mattina seguente accompagnerà personalmente sua moglie a casa. Doree s’informa sul tono di voce del marito ed accetta di trascorrere la notte in casa di Maggie, non potendo certo prevedere la tragedia che l’avrebbe accolta al ritorno:

Lloyd ha soffocato col cuscino Dimitri e Barbara Ann;  Sasha, che aveva tentato di scappare, è stato strangolato.

 

Te la sei voluta ! – Affermerà Lloyd – Ieri sera, quando ho chiamato, era già successo !

 

Alla polizia dirà di averlo fatto per risparmiare ai figli la sofferenza di vedersi abbandonati dalla madre.

 

Il racconto si conclude con Doree che assiste ad un incidente, mentre si trova su  un mezzo di trasporto pubblico: un giovane alla guida di un camion, esce da una via laterale e taglia la strada all’autobus. Forse si era addormentato al volante; viene catapultato per aria ed atterra sull’asfalto di schiena. Doree lo soccorre e si offre di restare con lui fino all’arrivo dell’ambulanza.





Alice Munro by George Waldman, for The Time

BIOGRAFIA DI ALICE MUNRO

(Traduzione e sintesi di Clara Terrosu - dal sito Answers.com)

 

 

Casa natale di A. Munro, dove ha vissuto fino al 1939Nasce a Wingham nell’Ontario, in Canada nel 1931 da Robert Eric Laidlow, allevatore di volpi e pollame e da Anne Clark, insegnante.

E’ considerata la più grande scrittrice contemporanea del Nord America. Ha vinto per tre volte il prestigioso premio letterario del Canada “Governor General’s Award”.

 

Comincia a scrivere da adolescente e pubblica la sua prima opera “La dimensione di un ombra” nel 1950, durante gli anni dell’università che trascorre anche lavorando come cameriera e bibliotecaria.

Nel 1951 lascia l’Università per sposare James Munro e si trasferiscono a Vancouver. La prima figlia, Sheila, nasce nel 1953 e la seconda, Jenny nel 1957. Si trasferiscono a Victoria nel 1963, dove pubblica col marito i Libri Munro e qui, nel 1966, nasce la terza figlia Sara.

 

In questa casa la scrittrice ha vissuto dal 1939 al 1949La sua prima collezione di racconti è del 1968: La danza delle ombre felici. Acclamata, vince  il prestigioso premio letterario Canadese “Governor General’s Award”.

Il successo si ripete nel 1971 con una collezione di racconti intitolata “Vite di ragazze e donne”.

L’anno seguente divorzia dal marito e torna ad Ontario ottenendo il titolo di scrittrice residente presso l’università. Si risposa con Gerald Fremlin, geografo,  nel 1976 e si trasferiscono in una fattoria nella campagna esterna all’Ontario, dove risiedono attualmente.

 

Con “Chi ti credi di essere ?” pubblicato nel 1978, vince ancora il Governor General’s Award.

Poi, fino al 1982 viaggia per l’Australia, la Cina e la Scandinavia, ottenendo nel 1980 la nomina di Scrittrice residente sia presso la British Columbia University che presso l’Università del Queensland.

Nei dieci anni successivi pubblica una collezione di racconti che aumentano la sua fama, vincendo premi nazionali ed internazionali. Spesso, alcuni racconti appaiono su pubblicazioni come The New Yorker, The Atlantic Monthly, Grand Street, Madamoiselle e Paris Review.

Alcuni titoli: Segreti svelati, Stringimi forte, non lasciarmi andare, Nemico Amico Amante, In fuga, Il sogno di mia madre, Il percorso dell’amore, Odio, amore e matrimonio.

 

Nel 2002 la figlia Sheila pubblica le memorie infantili, intitolate Vite di madri e figlie: crescendo con Alice Munro.

In un intervista del 2006 per presentare la sua collezione The View from Castle Rock, afferma di non potere pubblicare altre collezioni.


Alice Munro : Il suo stile di scrittura

(Traduzione di Clara Terrosu dal sito answers.com)

 

 

Molte storie della Munro sono ambientate nella Contea dello Huron nell’Ontario. Una delle prime caratteristiche della sua scrittura è la forte influenza locale. Un’altra è la narrazione di tutte le conoscenze che servono a dare il senso del mondo. Molti confrontano il setting dei suoi racconti, che si svolgono in piccole città, con le descrizioni di altri scrittori americani delle zone rurali del Sud. Come nella scrittura di William Faulkner o Flannery O’ Condor,  i suoi protagonisti affrontano spesso i radicati costumi e le tradizioni locali. Tuttavia la reazione dei protagonisti della Munro, è meno intensa che negli equivalenti personaggi del sud.

Alice cattura l’essenza di ogni uomo, ma i sui personaggi femminili sono più complessi, perché trattano ad esempio, del conflitto fra il desiderio d’indipendenza e la vita domestica,  la creatività ed i doveri, la sessualità e la vita delle donne artiste.

Molti protagonisti si possono inserire nel genere letterario definito come Gotico del Sud dell’Ontario. I suoi lavori sono spesso paragonati a quelli di grandi scrittori, ad esempio la scrittrice americana Cinzia Ozick, la definisce come il nostro Chekhov.

Alice Munro è apprezzata per i toni discreti e le sfumature ironiche; tra i suoi temi ricorrenti, la povertà, la vergogna e le sottili differenze fra i ceti sociali.

Un argomento frequente del suo lavoro è stato il dilemma del passare degli anni di una ragazza e delle condizioni determinate dalla sua famiglia e dalla piccola città nella quale è cresciuta. In un recente lavoro come Odio, amore e matrimonio e In fuga, lei ha spostato la sua attenzione verso i conflitti di una donna di mezza età e dell’ anziano. E’ un segno del suo stile per personaggi  che sperimentano una rivelazione che illumina, dando significato ad un evento.

Come Helen Hoy osserva, le risorse della Munro, il lucido linguaggio e la padronanza del dettaglio, danno ai suoi racconti una notevole precisione. La prosa della Munro rivela le ambiguità della vita: ironica e seria nello stesso tempo. I luoghi del suo stile, il fantastico che si approssima all’ordinario con facilità e con altri modi che evocano la vita semplicemente.

Come nota Robert Thacker: Gli scritti della Munro creano qualcosa che equivale ad un’empatica unione fra lettori, critici evidenti per la maggior parte fra loro. Noi siamo annegati nei suoi scritti, con le sue descrizioni così veritiere e realistiche,  non imitazioni,  ma piuttosto sensazioni di essere se stessi o semplicemente essendo esseri umani  viventi.

Numerosi critici hanno anche asserito che le storie della Munro hanno spesso l’emozionalità e la profondità letteraria di novelle.

 

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La danza delle ombre felici

Ed. La Tartaruga, 1968

 

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1)    Walker Brothers Cowboys : Il padre della protagonista, Ben Jordan, è un rappresentante di prodotti sanitari nelle zone rurali. Un giorno conduce con sé i figli e si fermano a casa di Nora, vecchia amica che non vedeva da anni e che non era a conoscenza di questa sua nuova attività. Le mostra il campionario, ricordando i tempi passati,  insieme alla vecchia madre, ormai cieca. Nora si cambia d’abito ed offre da bere, poi invita Ben a danzare e giunta l’ora del congedo, chiede loro di tornare, portando anche la moglie.

2) Le case splendenti : Mary compra le uova dalla Signora Fullerton. abbandonata dal secondo marito, molto più giovane di lei. La zona in cui vivono è stata venduta ed ora sorgono nuove case bianche e splendenti, costruite per giovani famiglie in cerca di un futuro migliore. Macchie di alberi incolti separano le vecchie case, come quella della Signora Fullerton,  le une dalle altre; il loro aspetto è disordinato ed incivile. Carl, marito di Mary è un agente immobiliare e nel corso di una festicciola per i bambini, loro figlio si chiama Danny, spiega a tutto il vicinato che da anni esiste un progetto per la costruzione di una strada proprio dove sorge metà della casa della Signora Fullerton ed altre “baracche”. Ora intendono attuarlo, naturalmente pagando la Fullerton. La petizione è subito sottoscritta, da tutti, ma non da Mary, che si allontana dalla festa col figlio, infilandosi le mani in tasca.

3) Immagini : La madre della protagonista è gravemente malata e Mary McQuant l’assiste. Il padre chiede alla figlia di accompagnarlo a vedere le trappole per topi muschiati lungo il fiume. Ne trovano alcune e proseguendo nel loro cammino incontrano Joe, che vive da solo in una baracca sotto terra. La bimba è inizialmente un po’ spaventata a causa dell’accetta che Joe fa vibrare nell’aria. Joe li invita nella sua “cantina” che si trova in un campo poco distante; unico suo compagno un gatto, al quale ogni tanto offre del whisky. Quando Ben e la figlia tornano a casa è ormai buio e Mary McQuant  è furente, ma subito si prodiga per togliere stivali e calze bagnati alla bimba e servire la cena. Ben, che aveva chiesto alla bambina di non nominare l’accetta, racconta di Joe, affermando di avere trovato il marito giusto per Mary; lei risponde che un tipo così dovrebbe essere rinchiuso. La cena si svolge in una complice atmosfera tra padre e figlia.

4) Grazie per il passaggio : Pop’s Cafe – George ed il cugino sono venuti al lago per visitare le madri, una delle quali dovrà tornare a casa, che sono ospiti di un soggiorno balneare per sole donne. Decidono di trascorrere lì la notte e cercano compagnia per il sabato sera. Trovano Adelaide e la sua amica Lois e nell’attesa che quest’ultima si vesta conversano brevemente con la madre di lei; poi si procurano una bottiglia di whisky e cercano un posto tranquillo dove sostare. George ed Adelaide restano in macchina, Lois ed il cugino trovano un fienile. Torneranno in città dopo la mezzanotte per accompagnare a casa le due ragazze, quindi i due cugini si allontaneranno udendo la voce rozza e sconsolata di Adelaide gridare: - Grazie per il passaggio ! -.

5) Lo studio: La protagonista cerca uno studio per scrivere e lo trova dai Malley, ma ben presto il padrone di casa manifesta la propria diffidenza nei confronti della provetta scrittrice che, nonostante il marito ed i figli, intende trascorrere parte del fine settimana da sola, nel nuovo spazio che ha trovato. I consigli del signor Malley circa l’arredamento, non vengono graditi, ma lui regalerà alla scrittrice una pianta, un cestino per la carta ed una teiera e spesso andrà a farle visita, raccontandole un po’ di se’. I modi sbrigativi ed i rifiuti ad approfondire la conoscenza, usati dalla protagonista, indispettiscono il padrone di casa, che smetterà di comunicare con lei e si limiterà a scriverle dei biglietti. La situazione di tensione esploderà una mattina, a causa dei disegni e delle scritte lasciate nel bagno, che si trova sulle scale. Malley accusa l’inquilina, che sostiene possibile da parte di chiunque, imbrattare il locale, essendo privo di chiave. La giustificazione non viene accetta, insinuazioni ed ostilità fomentano la rabbia della protagonista che ben presto si trasformerà in depressione, conducendola alla decisione di abbandonare lo studio. Unica soddisfazione, immaginare il signor Malley intento a strofinare con le sue goffe maniere le pareti del bagno.

6) La cura : La protagonista, studentessa delusa affettivamente,  fa la baby sitter ed una sera viene invitata a curare i bambini dei Berryman. Essendo depressa si ubriaca, e rendendosi conto della gravità della situazione, chiede aiuto ad un amica che si trova in compagnia. Il gruppetto di ragazzi la raggiunge per  aiutarla e dopo avere pulito il tappeto che si è imbrattato ed i vestiti, le somministra una buona dose di caffè, poi  i giovani si mettono a ballare, ma i padroni di casa rientrano prima del previsto. Tutta la scuola verrà a conoscenza del fatto e la ragazza vivrà una situazione di emarginazione finché una compagna non fuggirà di casa con un uomo sposato, attirando su di se tutti i pettegolezzi. In occasione del funerale di un parente, la giovane, ormai sposata, rivedrà il suo ex, motivo della cocente delusione, perché lavora nell’impresa di pompe funebri. Lo sguardo sorpreso di lui sarà contraccambiato con una distaccata cortesia.

7) L’ora della morte : Muore Benny che ha 18 mesi, a causa dell’acqua calda posta sulla stufa da Patricia, bambina prodigio che indossa abiti da scena (deve interpretare la fanciulla del West) confezionati per lei dalla madre, orgogliosissima delle sue doti canore. Prima dell’incidente i bambini stavano giocando in casa della signora McGee, quando arrivò Bram, l’arrotino, che passa abitualmente da quelle parti. Dopo l’incidente, udendolo tornare, Patricia comincerà a gridare che lo odia ed i tentativi per calmarla saranno inutili, tanto da somministrarle un sedativo ed anche una dose di whisky, per riuscire a metterla a letto. Le vicine di casa rideranno tetramente raccontando il fatto ed alludendo alla “cantante” e “futura stella del cinema” e disprezzeranno ancora di più la madre, che tanto vantava i successi canori della figlia.

8) Il giorno della farfalla : La farfalla è una piccola spilla di bigiotteria che Myra trova nella confezione di popcorn offertole dalla compagna di scuola. Conduce un’esistenza un po’ isolata, a causa del fratello minore, Jimmy, che frequenta la prima classe nel medesimo istituto, ma soffre di episodi d’incontinenza e lei deve accudirlo anche durante l’orario scolastico. Infatti, trascorrono insieme l’intervallo e sostano sulla veranda che delimita lo spazio maschile da quello femminile. Una delle insegnanti, la signorina Darling, chiede alle compagne di classe di essere più gentili con Myra, ma i suoi consigli generano solo ilarità. La protagonista, che viva a circa un  km dalla città, fa colazione nel guardaroba con i panini preparati dalla madre ed un giorno, percorrendo la strada che conduce all’istituto, vede davanti a lei Myra col fratellino; sono sulla collina; li chiama ed offre loro  i popcorn. Usa toni rassicuranti e comprensivi nel commentare il comportamento di Jimmy, che inizialmente si era nascosto dietro il cappotto della sorella. Nasce da ciò un’ affettuoso scambio verbale con riferimenti alle materie scolastiche. Poco dopo però, Myra smette di frequentare la scuola. Le due amiche si rivedranno solo durante una vista di alcune compagne di classe all ’Ospedale dove Myra è stata ricoverata, presumibilmente per leucemia. Il sabato successivo la trasferiranno al St. Joseph’s Hospital di London, dove le infermiere sono tutte suore; una sua zia, sorella del padre, lavora là. Di tutti i doni che riceve dalle compagne, Myra desidera regalare qualcosa alla protagonista, che sceglie un astuccio in similpelle dotato di specchio, con gli accessori per la cura delle unghie, un burro di cacao ed un fazzoletto orlato in oro. Le fanciulle, festeggiano Myra come per un compleanno, mangiando torta e gelato alla fragola; il tutto è stato organizzato dalla signorina Darling. Prima del congedo le dita delle due amiche si sfiorano con la promessa di rivedersi a casa di Myra, per giocare insieme, quando tornerà dal ricovero a London. La protagonista avverte un senso di prigionia in questa situazione, con Myra, il cui delicato collo spunta dal camice troppo grande, nel suo letto di sofferenza coperto di doni, carte e nastri colorati, inseriti in un contesto sconosciuto, odoroso di etere. Sarà un’infermiera a “liberarla”, offrendole una tazza di latte e cacao.

9) Maschi e femmine : Il racconto si apre con la minuziosa descrizione di come il padre della protagonista, prima uccida e poi scuoi, le volpi argentate che alleva. Gli animali vengono tenuti in un recinto con un alta palizzata di tipo medioevale, che la notte sarà chiuso da un lucchetto posto sul cancello. L’ambiente è pulito ed i piattini per l’acqua ed il cibo, ricavati da vecchie lattine, sono legati alla recinzione e vengono riempiti dall’esterno. Esistono percorsi nei quali le volpi possono correre ed ogni animale ha un nome, inciso sulla targhetta di latta accanto alla porta del recinto. Il nome viene dato loro solo dopo  l’ anno di sopravvivenza, che garantirà la capacità riproduttiva. La protagonista ha un fratello, Laird, con il quale assiste al lavoro di scuoiatura delle volpi che, private della loro splendida pelliccia, si rivelano piccole e misere, simili ai topi, tanto da essere raccolte in un sacco e seppellite insieme ai rifiuti. La notte, prima di addormentarsi, sia la protagonista che il fratello, cantano, ma lei non si addormenta subito, perché immagina di vivere in un mondo nel quale possa dare prova del suo coraggio, audacia e spirito di sacrificio: va a cavallo, spara e salva la gente da edifici bombardati. Anche le volpi cantano, la notte, in un coro di frenesia collettiva. Di giorno, la protagonista, porta l’acqua alle volpi ed aiuta il padre nel taglio dell’erba. In casa, invece, le vengo assegnati dei compiti, come il pelare le pesche scottate nell’acqua bollente o l’affettare le cipolle. Lei odia il noioso e deprimente  lavoro nella cucina che d’estate è buia e soffocante, preferisce il lavoro all’aperto, al quale riconosce una certa rituale importanza. La madre però si lamenta delle sue poche permanenze in casa e spera che Laird cresca in fretta per sostituirla nell’aiutare il padre e quando la nonna va a fare loro visita, racconta di come lei sbatta la porta e sieda scomposta, cosa che, dopo avere udito tali commenti, esibirà con premeditata intenzione. Le volpi si nutrono di carne di cavallo, che viene procurata loro dalla macellazione degli equini vecchi ed inutili. La protagonista assiste col fratello all’uccisone di un cavallo maschio e quando sarà il turno della femmina, l’aiuterà a fuggire. Laird però, la vede spalancare il cancello ed al termine della macellazione, alla quale gli è stato consentito di assistere, riferisce il fatto alla famiglia, seduta per il pranzo. Le lacrime inondano il volto della protagonista che attende, con gli occhi bassi, di essere cacciata dalla tavola, ma ciò non accadrà. L’assoluzione le giunge dal padre: - Lascia perdere, è soltanto una femmina ! – Sarà il suo commento.

10) La cartolina : Helen fa la commessa ai Grandi Magazzini Kruberg, ex King e si occupa del reparto abbigliamento per bambini. E’ fidanzata con Clare MCQuarrie, di famiglia benestante, con dodici anni più di lei, la madre del quale, colpita da emiparesi, che le ha tolto l’uso della parola, è ormai allettata. Clare è andato in Florida, come ogni inverno, con la sorella Porky ed il cognato Harold e le scrive una cartolina, nella quale le domanda come trascorra l’inverno lì a Jubilee invitandola a fare la brava; il tempo in Florida non potrebbe essere migliore. Prima di fidanzarsi con Clare, Helen aveva avuto una relazione con Ted Forgie, ex annunciatore radiofonico che si era ammalato di tubercolosi, cosa che gli conferiva un aspetto più adulto. Incontrerà Clare, nella caffetteria del Queen’s Hotel e faranno amicizia grazie alla disponibilità di lui, che vedendola un po’ depressa inizierà a raccontarle qualcuna delle sue storie. Helen conserva ancora qualche lettera di Ted, ma pensando all’eventualità di un prossimo matrimonio con Clare, decide di sbarazzarsene. Giunge inaspettatamente Alma, amica della protagonista, per darle la notizia del matrimonio di Clare, cosa che Helen inizialmente si rifiuta di credere, ma l’annuncio è riportato sul giornale locale. Nonostante lo shock, il mattino seguente Helen andrà al lavoro ed Alma la raggiungerà per l’ora di pranzo, informandola del ritorno della coppia. La sposa, è una donna robusta, divorziata ed ha le stessa età dello sposo; ipotizzano che sia ricca, anche se Clare non è da meno. La sera, durante la cena, la madre di Helen afferma piangendo che quando un uomo perde il rispetto di una donna, non la sposa più e la giovane ribatte che se fosse vero in città non ci sarebbero più matrimoni, poi si ritira nella sua camera, per uscirne a notte fonda. Vuole stanare Clare dalla sua casa, è in macchina, e dopo avere parcheggiato, tira giù il finestrino e si mette ad urlare: - Ehi, Clare McQuarrie, voglio parlarti, esci di lì ! Vieni fuori se hai il coraggio ! – Buddy Shields, guardia notturna, suo ex allievo del catechismo,  le chiede se abbia intenzione di svegliare tutta la città e lei gli risponde che sta facendo la serenata agli sposini. Lui si offre di accompagnarla a casa e cerca di farla ragionare, quando Clare, grasso e assonnato, ma vestito di tutto punto, esce, attraversando il prato: - Helen, va a casa ora e porta i mie saluti alla mamma – poi guardando Buddy: - L’accompagni tu ? – Tutto il vicinato osserva la scena. Seguono le raccomandazioni di Buddy ad Helen ed il racconto di un episodio di due amanti clandestini impantanati in un campo,  soccorsi con un trattore. – Queste cose accadono ogni giorno – affermerà Baddy, ma Helen, vedendo  Clare per la prima volta in questa nuova luce, un uomo che non da spiegazioni ha solo voglia di allungare le mani e di “toccarlo”.

11) Il vestito rosso : La madre della protagonista le confeziona un abito di velluto rosso per la festa di Natale della scuola alla quale, inizialmente, la fanciulla non voleva partecipare. Ci andrà con la sua amica Lonnie, che verrà subito invitata da Harold, mentre il primo cavaliere della protagonista, Mason, considerato l’eroe della scuola, non farà nemmeno terminare la musica e la riaccompagnerà al bordo della pista. Da qui la ragazza si rifugerà nel bagno, restandoci finché Mary, che ha curato gli addobbi, non la inviterà a fumare nello stanzino dei bidelli; poi suggerirà di uscire per andare a bere una cioccolata, ma mentre Mary si reca a ritirare il cappotto, Raymond invita la protagonista e la conduce velocemente al centro della pista. Da qui la fanciulla riuscirà solo a fare un gesto di scusa verso Mary, che è appena uscita dal guardaroba. Al termine della festa, insieme a Lonnie ed Harold, torneranno verso casa, dove Raymond si congederà con un piccolo bacio. Girando attorno alla casa, per entrare dal retro, la fanciulla vedrà la madre, seduta ad aspettarla con in mano una tazza di te.

12) Domenica pomeriggio : Alva fa la domestica dalla famiglia Gannet, che è proprietaria di un isola nella Georgian Bay, dove ha fatto costruire tre ville, una per ogni figlia. La casa che occupano abitualmente è spesso invasa da molti ospiti, che Alva deve servire ed i suoi piatti sono graditi. Lei pranza nella cucina ed a volte prende in prestito dei libri nello studio del Signor Gannet, ma non sempre, nel tempo libero ha voglia di leggere; un giorno ad esempio, scriverà alla famiglia, descrivendo l’ambiente nel quale lavora. La figlia minore dei Gannet ha 14 anni ed Alva s’intrattiene piacevolmente con lei, che ha molti abiti e sta scegliendo quali portare sull’isola per la prossima vacanza. Al sopraggiungere della padrona di casa, Alva scende al piano di sotto e torna in cucina, dove ci sono ancora molti bicchieri da lavare. Sta pensando all’isola, alle nuotate che potrà fare; forse l’avrebbero anche portata in barca; si apre la porta ed entra il cugino della Signora Gannet che, consegnandole  un altro bicchiere da lavare, le cinge le spalle ed indugia leggermente sulle sue labbra. Poi le dice di essere stato invitato a trascorrere una settimana sull’isola, ma già lo stanno reclamando ed Alva rimane immobile, appoggiata al bancone delle cucina, sentendosi però rilassata da quel rapido contatto. Questo non lo aveva previsto, qualcosa ancora le sfuggiva e pensando all’isola, non può escludere il desiderio di andarci.

13) Un viaggio sulla costa : L’undicenne May vive a Black Horse, borgata di tre case, un negozio ed un cimitero, con la nonna di settantotto anni che ipotizza di fare un viaggio sulla costa e la zia Hazel, in età da marito che lavoro in un negozio del paese, un po’ più distante. Nel tempo libero frequenta feste da ballo e la domenica canta nel coro. May e la nonna gestiscono l’unico negozio della borgata, che fornisce anche la benzina ai viaggiatori di passaggio, come l’ipnotizzatore che un giorno si ferma e girando qua e là, illustra le sue capacità “terapeutiche”. L’anziana donna è alquanto diffidente, May pone domande e lui decide di darle una dimostrazione, utilizzando proprio la nonna, che sostiene di poter resistere a tale condizionamento. L’esperimento inizia con l’ausilio di un apri bottiglia, che la donna deve fissare. May osserva e stenta a trattenere le risa, mentre l’uomo domanda all’anziana se ci veda ancora: il viso della vecchia è alla stessa altezza del suo. L’ipnotizzatore indietreggia ed esclama : - Ehi, ma cosa succede ? Signora, si svegli, , si svegli ! – Ma la nonna, senza perdere l’espressione di disprezzo verso l’uomo, cade riversa sul bancone con un tonfo. – Non è colpa mia ! -  si affretterà  ad aggiungere il mago provetto, lasciando cadere l’apri bottiglia – non mi era mai successo prima – dopodichè fuggirà e May, correndo fuori dal negozio, udrà il motore dell’auto che si allontana. Non c’è nessuno, i cortile sono deserti, ha cominciato a piovere; May tornerà indietro e si siederà sui gradini del negozio, osservando la strada, La nonna giace riversa sul bancone, morta, ma vittoriosa.

14) La pace di Utrecht : Le due sorelle Maddy ed Helen si ritrovano nella casa natale dopo la morte della madre per Parkirson. Nel cassetto di un vecchio tavolino Helen ritrova alcuni appunti sulla pace di Utrecht, che nel 1713, mise fine alla guerra di successione spagnola. Helen ha due figli e Maddy un amico, Fred,  forse amante, sposato, la cui moglie è invalida. La sera trascorrono un po’ di tempo nella veranda, bevendo e fumando e spesso Fred fa loro compagnia. Durante una visita alle anziane zie nubili, Annie e Lou, che conservano tutti gli abiti dell’anziana deceduta, Maddy viene a conoscenza del tentativo di fuga della madre dall’ospedale, prima di morire. A seguito di questo fatto, le infermiere la bloccano nel letto, utilizzando una tavola di legno posta di traverso. Fu Maddy ad accompagnarla in ospedale; l’anziana era convinta di uscire dopo tre settimane. Tornando a casa dalla visita alle zie, Helen trova la sorella in cucina, intenta a preparare la cena, ha invitato Fred, ma nel parlare delle due anziane, ricordando la madre ed il proprio desiderio d’indipendenza, una fruttiera le scivola dalle mani e si rompe. Helen suggerisce alla sorella di andarsene dal paese; - Lo farò – afferma Maddy – ma poi aggiunge di non riuscirci.

15) La danza delle ombre felici : La Signorina Marsalles, insegnante di pianoforte, vive con la sorella, ex insegnate di francese e tedesco, che purtroppo ha perso l’uso della parola e spesso é accudita dalla vicina di casa, la  Signora Clegg. Ogni anno le due anziane Signorine,  organizzano una festa, nella quale gli ex alunni della Signorina Marsalles si esibiscono al pianoforte. Segue sempre un rinfresco e la consegna di un dono a ciascun partecipante; poi tutti i bambini andranno a giocare nel piccolo giardino, mentre le madri resteranno in casa a conversare. Un anno però, ci saranno dei nuovi invitati: gli alunni della Greenhill School, lievi insufficienti mentali, ai quali la Signorina Marsalles si sta dedicando. L’esibizione di ogni bambino è annunciata con tono festoso dall’anziana insegnante; una fanciulla di nome Dolores Boyle, magra, biondissima, dall’aspetto malinconico, suonerà  la danza delle ombre felici, musica gaia e serena, tanto da sembrare impossibile che sia una ragazza così triste ad eseguirla. Questo fatto impedirà ai partecipanti, al termine della festa, l’uso dei prevedibili toni di compatimento nei confronti dell’anziana insegnante, considerata ormai fuori gioco...

16) Danzando con le ombre, commento di Oriana Palusci : Lo stile di scrittura della Munro è completamente diverso da quelle delle sue compatriote anglo canadesi, Margaret Laurence e Margaret Atwood, (note anche a livello internazionale) che hanno dato vita ad opere più lunghe ed ambiziose.  L’apparente dimensione dimessa di Alice Munro, è costituita da frammenti discorsivi, che vanno ricostruiti con cura, per poter comprendere l’interiorità dei suoi personaggi. Un lettore europeo potrebbe affiliare i racconti della Munroa a Virginia Woolf o alla tecnica Joyciana, l’improvvisa rivelazione che illumina anche il più banale degli oggetti. Sono delle short stories attinte nella memoria e modificate con libera creatività, che nascono in una zona rurale, dove realmente la scrittrice è nata e vive e dove il suo inconscio entra in contatto con le ombre dei suoi vissuti. Ne emergono figure femminili infantili, giovani, adulte ed anziane, consapevoli dei mali del mondo, ma non per questo rassegnate. In un’intervista rilasciata nel 1982, la scrittrice descrive la costruzione di una storia come quella di una casa fatta di spazi aperti e chiusi, collegati gli uni agli altri, mai statici, Le parole sono i mattoni sui quali appoggiare i ricordi e l’immaginario. In questa raccolta il periodo storico è situato tra gli anni ’30 e ’60. L’io femminile, talvolta raccontato in prima persona, talvolta in terza, emerge nelle figure filiali femminili, affiancate da fratelli maschi, sorelle o amiche. Il padre è un lavoratore autonomo, alleva volpi, fa il commesso viaggiatore, e la madre, senza nome, è chiusa in casa, dedita ai lavori domestici o ammalata. Le fanciulle crescono in un ambiente triste, opprimente e banale, dove l’esterno offre qualche spiraglio di vitali novità. È l’io narrante che si distacca dal contesto, anche dalla figura paterna, incarnata così bene in Ben Jordan. Le donne faranno i conti con altre donne, madri, figlie, sorelle, nonne e gli uomini saranno ricacciati nelle oscure zone della psiche, quasi per evitare che una loro demoniaca presenza, ostacoli l’emancipazione femminile. Valido esempio è il signor Malley, proprietario dello studio che la protagonista affitta per potere scrivere in pace, richiamando la Virginia Woolf di una stanza tutta per sé. Emerge anche il vuoto lasciato dalla morte della madre, che impedisce alle due sorelle de “La pace di  Utrecht”, di comunicarsi i reciproci fallimenti esistenziali. I riti sociali, feste familiari e celebrazioni, si susseguono nei racconti, ma l’imprevisto può comparire, come per l’esibizione del brano tratto dall’Orfeo ed Euridice di Gluck, intitolato appunto la danza delle ombre felici. Orfeo cerca di strappare Euridice al mondo delle ombre. È Dolores a suonarlo al pianoforte, una insufficiente mentale, cosa che rende difficile ai presenti cogliere appieno il senso dell’armonia che tale musica dovrebbe creare.  






Laura Ferri
Centro Siena-Toronto
Home, homecoming, “Child’s Play”

 

Il presente articolo è uno dei lavori presentati durante il Convegno ‘’Alice Munro - The art of the short story / L’arte del racconto” che si è tenuto presso il Centro Siena-Toronto, Università di Siena nei giorni 4-5 maggio 2007. Gli atti del convegno saranno prossimamente pubblicati dallo Iacobucci Centre, Toronto, in un volume a cura di Francesca Balestra, Caterina Ricciardi, Laura Ferri. I diritti sugli atti e sui singoli articoli sono dello stesso Iacobucci Centre.



“Should the writer  […] write about home?” asks Eudora Welty (129). Alice Munro has always done so. From her bildung collection Who Do You Think You Are to her more recent stories, home has often appeared as the locus of her fiction - an interlacing ribbon which ties the corpus of her work into a kind long short story cycle, interconnected through excursus and recursus in a mode that Ingram calls “the tension between the one and the many” (qtd in Lynch, 18). Home is the place from which characters like Rose, the prototype of the Munronian quester, have ventured on many different journeys “to manage a transformation” (WDY, 64) –  and towards which they have attempted their own homecoming[1]

In all its complexities, the homecoming - like the journey away - can entail the encounter with the strange, the unknown and the unheimlich. More ostensibly, the return home can be germane with death, the weight of secrets, baffled expectations, jolting revelations, and most often failure in recognizing the place as it has been remembered.

But what is home as place of self legitimization? What does it mean to return to that persistent reality?[2] Susan Neiman in Evil in Modern Thought says: “Home is the normal – whatever place you happen to start from, and can return to without having to answer questions […] a place where we know our way about.”[3]

But home is not so easy to locate. In the trilogy “Chance,” “Soon,” “Silence,” there is a metaphorical representation of home’s refusal to be either the “normal,“ or the  heimlich. In the painting Juliet bought for her parents because it reminded her of her parents’ place, the woman waiting for the man who walks with a scythe on his shoulders is hanging upside down. And with this allusion to a reversal of reality through memory or time, as well as with Munro’s “recalcitrance” to spell meanings, we remain uncertain about where home can be. Perhaps, we may even suspect, it is in regions far from the narrator and author’s native place, maybe in the North – the site which is debated as making the identity of Canada, where Juliet’s daughter had fled and which she herself had almost reached travelling past the borders of many regions,  through “an unfamiliar […] terrifying […] exhilarating landscape where she would meet her fate” (NY  2004, 133). Or perhaps, we must remain convinced that home is in the past, with one’s roots. When returning to her parents’ Ontario place as an un married mother, Juliet does not know her way about,” nor can easily recognize her self there: “The closer we get home the more we disappear” (Brand, 1994, 14), says Dionne Brand. Thus she writes to Eric, the man she met by “Chance”, now her companion at Whale Bay: "I should never have come here. I can't wait to come home" (NY, 2004, 149). But later, expectations  having  soon been baffled, Munro says:

some shift must have taken place [...] concerning where home was. It had stopped being at Whale Bay with Eric and had slipped back to where it had been before, all her life before    (ibidem, 157).

 

Here turns appropriate Ondaatje’s observation “we live permanently in the recurrence of our own stories” (Ondaatje, 2007, 136),[4] or Faulkner’s often quoted line from Requiem of a Nun, “The past isn’t dead, it isn’t even past,” to say that home, the place of one’s origin and past lingers in the present to beckon a return..

With her recent The View from Castle Rock, Mhunro has travelled far into her family’s past.

We might expect nostalgia to run through this quasi memoir, treading, in part, the same territory as her father’s story, The McGregors. As a matter of fact, heimveh echoes in the title story. There, on sighting the bountiful coast of Nova Scotia, towards which he himself had embarked his family on the crossing towards a ‘new life,’ Old James is overwhelmed by nostalgic memories of the world left behind. He cannot join in the immigrants’ cheers on that “day of wonder” (65) and laments: “What does it matter to me? It cannot be my home. It can be nothing to me but the land where I will die”(VCR 80). However, Munro cannot but remain a distant witness of the immigrant experience and of the feelings brought by the crossing over the ocean - a motif common to other Canadian fictions - Lives of the Saints, Away, Alias Grace. It is true that in “No Advantages,” when visiting her forebears’ graves in the Ettrick Valley, she admits:

I was struck with a feeling familiar, I suppose, to many people whose long history goes back to a country far away from the place where they grew up. […] Past and present lumped together here made a reality that was commonplace and yet disturbing beyond anything I had imagined (ibidem 7).

 

But, soon afterwards, she makes it clear that her journey into her family’s past could not be tinged with the disturbing malady of nostos suffered by exiles, or by people more recently removed from their families’ land of origin, Italian-Canadians, Chinese-Canadians, people who have negotiated their hyphenated identity in memoirs like Fiorito’s, Wah’s or Choy’s. In fact, in the same account, she explains:

There was an historical awareness of that recent past, even a treasuring or exploitation of it, which is only possible when people feel themselves most decidedly removed (ibidem 21).

 

The aching need that has moved writers like Joe Fiorito in their memoir- journeys to know “what we are and where we are from” (Fiorito, 1999, 158) in Munro’s ‘memoir’ is more distinctly sensed in a story included in her latest collection but dating back to her earliest writing: “Home” - a story which brings Munronian readers unto a more familiar ground than Scotland – the south western Ontario provincial town where the narrator returns to see her re-married father to hospital, and to find that the vocal presence of a coarsely domineering step-mother obliterates the “special” space of her dead mother (a trope in her stories, like home, looming everywhere, whether in absentia or as a “stricken shadow’’[5]). In that story, back in the place she grew up in, and by the memory of which she “was greatly moved when she lived more than a thousand miles away” (VCR, 288),  she writes:

[…] the house does not mean as much to me as it once did […] it seems to me it was myself that I loved here – some self that I have finished with (ibidem 290).

 

And of the town she says:

The town, unlike the house, stays very much the same […]. Nevertheless it has changed for me. I have written about it and used it up. Here are more or less the same banks and hardware and grocery stores and the barbershop and the Town hall tower, but all their secret, plentiful messages for me have drained away (ibidem 300).

 

Yet, Munro has recently published another story in Harper’s, “ Child’s Play” – to prove that there is still some self she has to finish with and there are still secret messages from within or around the south western Ontario country town – the town that, far from having been ‘used up,’ remains the primary proving ground of her genius loci and sense of place which, to quote Welty again, “is as essential to good writing as a logical mind”(Welty 1990, 128).

Many sophisticated theories as to the concept of space, time and truth, would turn useful for the interpretation of this story – from Derrida’s ‘differance’ to Bakhtin’s ‘Carnival Ambivalence’.  Derrida could certainly sound appropriate help to interpret the shifting of a supposedly single identity into a three-fold ‘I’ through the triptych  Marlene- Verna- Charlene, when he says .”The I constitutes the very form of resistance. Each time this identity announces itself, each time a belonging circumscribes me […]someone or something cries: “Look for the trap, you are caught. Take off, get free” (online article, 117). Or we can adopt Alisa Cox’ comment on the Bachtinian concept of the carnivalesque (47)  in reference to the representation of Verna’s body and to the parodic effect of the title announcing as ‘play’ what turns out to be a chilling crime.

Certainly, theories about the uncanny cannot be evaded when reading this story. But I’ll leave it to specialists to deal with all that. And I will simply read this narration as I would in the classroom, with the idea of the ‘double’ in mind and glances at  Munro’s earlier writings, from which many patterns recur in this story – many more, in fact,  than can be discussed here: the indictment of parents, the mother-daughter relationship[6], the “menace of love,”[7] the fallacy of memory, the everlasting presence of the past, “sprouting up fresh” in a switchback.[8]

There is not much of the representation of the homecoming in realistic terms in this story - even though the divide between the first time sequence and what follows is a return home from camp, with the children’s disquieting feeling that they would soon “resume [their] old lives, and the counsellors would go back to being ordinary people” (78). A typically Munronian leap in the time sequence prevents us from knowing more about the school children’s and counsellors’ going back home, back “to the normal,” to “being ordinary people.” Nevertheless, this too is a return story, because it is made of Munro’s return to her own familiar space – Soweto – after she had insistently reiterated that she had used it up. And, if we attempt a more engaging reading, we may see that “Child’s Play” is, in fact,  a return story in that it has to do with the return of the ‘heimlich’, through disturbing representations of its opposite - the ‘unheimliche’- into which it has transformed itself in a process of removal deliberately operated by the conscious ego.

Munro’s ever-present ‘little stamp of native soil,’ fictionalized in previous stories with the names of Hanratty, Jubilee or Walley and here unnamed, is where the protagonist lived in a house-home situated like Rose’s place in “Who Do You Think You Are” on a characteristically boundary zone “between decent and fairly dilapidated” (75). It is also the town of the two schoolgirls whose lives interact with hers against the two main ‘backdrops’ declared by the author – the Second World War and religion.

Except for authorial declaration, World War II and Christian Protestantism, like the town of origin, remain mostly unheeded and offstage. But we may argue that echoes of “bombing raids and battles, news of sinking ships”- “the constant, though distant backdrop of [the protagonists’] lives” - may have awakened those violent instincts of which we hear the explosion in the second part of the story - and which we could not have expected from the narration of an ordinary camping experience in the first. And we learn that religious practice at camp, regularly enforced, even though without “much harping on” (74), is what one of the characters retreated to in adulthood, to be shrived of a repressed sense of guilt for a childhood crime – a crime which the writer keeps hidden from the reader till a final chilling revelation.

Unaware of the appalling secret, the reader fares through the narration of “Child’s Play,” taking it first at face value, as an ordinary vivid account of “the hazards of life as a child” (NY, 2002, 74). Following Munro’s typical turns and shifts, deferrals and prolepsis, acquainted with her ‘recalcitrance’ to spell meanings, we negotiate our perspectives from her usual fractured time structure, and look at three schoolgirls’ behaviour simply as to a case of interrelationship between peers. An extreme case. We see the attraction between two of them and their aversion, even repulsion, against a third pal. We had seen this kind of connections and dis-connections played in “Day of the Butterfly,” “The Found Boat,” and later in “Fathers,” even though in those stories feelings of repulsion for the outsider, fabricating or strengthening sympathy within the group, only amounted to mockery, suspicion and unease and never exploded into a crime.

In Munro’s insights about children’s lives, once again exhibited in “Child’s Play,” we can perhaps recognize a view of the dual instinctive mechanism triggered by fear which Russell identifies as of “friendship within the tribe and hostility to all others” (Russell, 13). We find an example of this in “Illinois” (a story now collected in The View from Castle Rock), with Susie and Maggie, who “were bound together in an intense relationship loaded with secret rituals and special jokes and fanatical loyalties […] as if they had chosen each other against the rest of the world” (101).

The representation of that instinctive drive towards cohesion and aversion turns “Child’s Play” into a horror story in the line of Lord of the Flies, or similar anti-utopian accounts of the evil in children. We might read in it an utterly pessimistic verdict on human nature.

“Child’s Play” is no ‘Song of Innocence,’ yet such a verdict would be at odds with what Munro says in “Fathers” “about this matter of what molds or warps us,” which is “mysterious” and “uncomforting,” but also “unaccusing” (FY 2002, 71). And if Munro’s characters had not some trust in man’s future we would not have heard that in “Silence,” that conspicuous silence of Munro’s trilogy, Juliet will keep on “hoping for a word” from her daughter who has fled home, even though she will not do this in a strenuous way, but rather “as people who know better hope for undeserved blessings, spontaneous remissions, or things of that sort” (NY 2004,160).

Above all, we cannot stop at one first reading of this story. Because we know we must read Munro’s stories as “searchingly” as we can – as she has done, according to her own declaration (in the “Foreword” to her latest book), in writing about her ‘self.’

Then, trying to comply with Poe’s tenet that short stories need a reader who participates in the making of meaning, I’ll seek a meaning in this story by trying to identify ‘the other,’ the target of instinctive hostility, and also by looking at names heard against the important, albeit remote, backdrop of religion.

The ‘other’ here is the strange, the uncanny, the ‘unheimliche’- what eludes expectations and amazes on any homecoming, if to return home, or to retrieve the self, is expected to be back to “the normal.” The ‘other’ as such is embodied by Verna, one of the three girls who form a trinity-like palimpsest of the kind through which Munro has often woven her perceptions of children’s misrule and escape.

       Verna is the girl who came to live with her grandmother (whose name, ironically, was Mrs Home in spite of her failure to protect her granddaughter). Mrs Home sheltered Verna in her rooms at the back of a “tall, ugly” and yellow house of which the narrator’s family rented the rooms at the front. The spatial opposition in the “double house”(75) anticipates the two girls’ conflicting attitudes to each other: clinging, coiling attachment on the part of Verna,[9] repulsive aversion on the part of the girl inhabiting the front rooms. Verna would stand at the corner of the yellow house[10] “watching” the narrator (76), like a special agency, or double, capable of observing and criticising the self ;[11] The narrator said she hated her (“ had an aversion to her unlike anything [she] had felt up to that time  for any other person”), adding later in an explanatory aside (unusual in Munro) that “children use the word hate to mean various things. It may mean they are frightened” [12]: cohesion and hostility are reinforced by fear. In fact, she was threatened by Verna’s “squinty-eyed expression” (76) – a deformity reflected in the off-centered door to the house – fearing not physical harm “so much as some spell, or dark intention.” That hate/fear “is a feeling you can have when you are very young even about certain house faces, or tree trunks, or very much about moldy cellars or deep closets” (75), or, we might remember, about “deep caves under the kitchen linoleum” (LFW, 210). Verna had a power, “as if there were an understanding between [them] that could not be described and was not to be disposed of. Something that clings, in the way of love, though on [the narrator’s] side it felt like hate”(77).

       Who is Verna to provoke such a feeling? To have such a power?

       The narrator calls attention to her name: “And the name – I dislike that. It does not sound like spring to me.” Carrying no sound of spring and rebirth, the name may bring some resonance of Avernus, the entrance to the infernal regions, and intimations of death. The resonance is heightened by Verna’s look: she had a head that made one think of a snake, snakes having been symbolic in many cultures of the dead returning to the upper world. “With her drooping snaky head,” her “look of menace,” “evil expression,” and perhaps evil eye, with her being not “communicative in the ordinary way” (75) (like Myra in Day of the Butterfly), and capable of a “harassment more subtle, more secret than could be described,” she is the uncanny slyly surfacing into the home ground (the ‘heimliche’); she is the ‘unheimliche’ which, to follow Freud’s famous essay (The Uncanny, 1) is frightening because it appears as the opposite of what is known and familiar.

That uncomfortable presence creeping into the routine of ordinary life brings also echoes of the snake tempting Eve, when Verna invokes friendship with unwanted offerings - like Myra’s in “Day of the Butterfly”[13] and Frances’ in “Fathers.” Or echoes of the Biblical Leviathan.

We feel entitled to propose the connection, because the girls at camp must have come across references to the ‘crooked serpent’ even in their “hearty, secular style” (74) practice of religion, and because, biblical associations being frequent in Munro’s stories,[14] in “The View from Castle Rock” Old James recites:

There go the ships and there is that leviathan whom thou hast made to play therein. That crooked serpent, the dragon that is in the sea (VCR, 76).

 

A proleptic quotation in Munro’s story cycle, to bring the snake into play.

Symbol of death, of the other’s dark intentions, and of sly, coiling, tempting powers impossible to describe,[15] Verna comes from unknown provenance to inhabit the opposite, darker side in the home inhabited by the narrator, whose name is Marlene.

The connection of this name with the fish, the symbol of Christian salvation, is made clear at one crucial point in the story, when in a beguiling voice, a nurse addressed Marlene with a sentence fraught with hidden meaning: “You are the Marlin” (81). The marlin: the fish.

       The snake, the fish, Verna’s love, Marlene’s hate, death and salvation, temptation and redemption, the horror and the “strange delight” the sight of Verna arouses, all these are polarities that build an albedo-negredo opposition in which Verna is always looming after Marlene like a shadow[16], like Marlene’s dark side, her alter ego. The unpleasant hidden connection between the two girls is made explicit when, on some errand with a schoolmate, Marlene came face to face with Verna, and “the other girl said a horrifying thing to [her]. She said, “I used to think that was your sister” (77).

The undesired duplicity is complicated and eventually reversed by Marlene’s cherished bond and unavoidable complicity with Charlene, the girl she approved of at camp and by whose predilection she was “flattered” (74). If once she was mistaken as Verna’s sister, she and Charlene were matter-of-factly called on the Roll “Hey, Twins,” without being given the “time to deny it” (73). Like Verna, the so-called “twin sister” exerted a preposterous power over Marlene, not in a subtle or secret manner, but ostensibly, in a given for granted way.[17] In spite of their childhood intimacy, between the two pals there were differences;[18] and with the return home, after camp life had revealed itself as “makeshift” (79) and “provisional” (78), their paths parted: they never met again until, much later in life, Marlene finally responded to a reiterated appeal from her “old childhood buddy” (81) - her old twin and ostensible double - now in her death bed in a Toronto hospital. Repulsive Verna, embodying the “other” or the other side of the self, was rejected in childhood. In adulthood, it was the twin sister to be discarded - as she deserved to be, if we hear correctly when we listen to her name: Charlene. Doesn’t Charlene sound like charlatan? Isn’t she, then, a fraud strenuously trying, like a body guard, to disguise[19] Marlene and hide her from the dark side of her self (Verna)? On the other hand, we learn that there was an ominous, secret understanding between Verna and Marlene which scared the latter; and, if we want to attach to Marlene the symbolism of the fish, we will note that Verna had long flapping hands (79) as if, like a fish, she had fins, and an “undeciphered” pattern on her rubber cap, probably a fish, pushing into Marlene’s palms when Marlene kept Verna’s head under water (84).

Thus, in this subtle entanglement of similarities, differences and reversals we will not simply see a case of clear-cut black and white dopplengangler, pervaded by something uncanny in an urge “to project outward “something foreign to itself,” (“The Uncanny,” part II). There we will see, rather, a three-fold interlacing of identities, of which parts are alternatively shed off, like the skin of a snake, to accompany a change, perhaps a renewal.

The thread which is interwoven in the three girls’ lives is the word “special,” which I take as a synonym with uncanny, that which is mysterious in the familiar[20].

There is a hammering throughout the story on the word ‘special’ which identifies with Verna – one of the retarded pupils set adrift on the camp – and has also to do with Charlene’s “ingratiating, teasing, self-mocking” “special” voice as well as with Marlene’s “special” achievement- a book entitled Imbeciles and Idols, which is an indictment of the failure to recognize the sacred, magical, dangerous, or valuable in the diminished or different, that is in the ‘other,’ as well as an indictment of the failure  to discover the special in the world around us for which, as Wordsworth complained, we have eyes that do not see and ears that do not hear.[21]

The book, we assume, is a tribute to Verna, or to the dark side of the self,  an act of recognition of the mystery and the sacred power which may be held by special creatures and which is concealed by their repulsive aspect, as in the crawling creatures coiling in the sea of the Ancient Mariner ‘s redemption story. Listen to Marlene’s intentions:  

I was trying to explore the people who are mentally or physically unique. The words deficient, handicapped, retarded, […] put aside a great deal that is remarkable, even awesome […] or at any rate peculiarly powerful. And what was interesting also was to discover a certain amount of veneration as well as persecution, and the ascribing […] of quite a range of abilities, seen as sacred, magical, dangerous, or valuable (80).

 

The book – out of print now like a buried conscience - is also Marlene’s form of expiation, which her dismissed childhood pal Charlene will seek in a retreat into religion and in a final, but unspoken, “special” confession. The guilt the two old buddies sought to be shrived of was their drowning of Verna, which is revealed in the final part of the story.

What is Munro doing with that purposeful and playful drowning, a thoughtless, forgettable momentary act of teenage hysteria?

- I have already discarded the possibility that the writer may intend to show that evil is inherent in the human mind and ready to come forth as soon as the occasion is propitious for children, supposedly unsophisticated human beings, to revert to the primitive element that is within us all.

- The narrator/author may be fulfilling Del’s plan, in Lives of Girls  and Women, “secretly to turn” her hometown (Jubilee then) “into black fable”(206).

- She may want to represent “the tumble of reason, the sparks and spit of craziness,” the treachery of dayliness, as in Rose’s wild rebellion against her stepmother Flo in Who do You Think You Are (17). After all, ‘tumble’ is the verb the narrator uses to describe the beginning of what happened after Verna had arrived at the camp to restore her rights over Marlene (79), after “the clouds darkened” while the campers “were having  [their] outdoor Devotions (79): “At the moment we tumbled, Verna had pitched towards us” (84).

- Marlene and Charlene’s murder might demonstrate a way to attain dominance over the evil side of the self, that “dark and disputatious self” (NY 2002, 71) that “had to be beaten out of” the narrator in “Fathers,” a way to get rid of it as of the mother’s “stricken presence”[22] in other stories concerned with the existential (or mother’s) quest.

- Or it might be a metaphorical illustration of the retrieval of the true self, of a way “to get straight”[23] with it - as we would be inclined to believe, if we believe what Marlene felt about her complicity in the crime:

Charlene and I kept our eyes on each other […]. I don’t think we felt wicked, triumphing in our wickedness. More as if we were doing just what was – amazingly – demanded of us, as if this was the absolute high point, the culmination, in our lives of our being ourselves (84).

 

- Or, if we want to see the murder inscribed against the backdrop of religion, we might see in it the coming true of the Biblical vindication against the aquatic serpent:

In that day the Lord with his sore and great and strong sword shall punish leviathan, the piercing serpent, even leviathan that crooked serpent; and he shall slay the dragon that is in the sea” ( Isahiah 27:1, The Holy Bible, 600).

 

Might it simply have been an act of instinctive vengeance or, rather, of symbolic deliverance and purification?

I use may or might for all the above suggestions in compliance with Munro’s often discussed rhetoric of supposition.

The modality of supposition is inscribed in the very first statement in the opening paragraph - “I suppose” -  and  then sustained throughout the story, told in the mode of uncertain recollection, by means of a strenuous use of modals and conditionals,[24] to culminate in the very last riddle: “Is there not something in the water?”

The story’s last word is ‘water’,[25] to assert no remission of the enigmatic status of Munro’s fiction.

Water, the water wherein the leviathan was made to “play,” and doomed to die, the water of many drownings[26] in Munro’s stories, in which there has often surfaced a ‘something’[27].

What better element to refract the truth of the girls’ crime into waves of meaning?

The truth about that ‘something,’ an identity shifting through the intricacies of a three-fold ‘I,’ had already been debunked by the narrator’s earlier question, “Is this in any way true?”. In a typical Munronian manner, the question comes in the story after the narrator has convinced the reader of the plausibility of the crime, with an unexpected chilling revelation, putting to her account the “crazy accuracy” that Del in Lives of Girls and Women had hoped to put in her writing. This manner poses Marlene’s memory of the childhood play, or playacting, into the shade of ambiguity, while foregrounding the indeterminacy of the Marlene-Verna-Marlene-Charlene relationship. The indeterminacy is further enhanced by the litotes in the closure, which is no closure at all, but, rather, a ‘sideshadowing’ device, as defined by Morson,[28] that invites the reader to remember that Munro’s strategic concern in her art of storytelling is

to move away from what happened to […] the kind of idea that life is not just made up of facts that happened …but all the things that happen in fantasy, the things that might have happened, the kind of alternate life that can almost seem to accompany what we call our real lives. (Radio interview).

 

       In order to grasp that alternate life we must believe “without any proof” -  as the narrator of “The Ottawa Valley” - “that we have connections that cannot be investigated, but have to be relied on (SIB 201).

       Munro does not construct a closure of absolute existential security, nor does she make us certain about whether that appalling ‘child’s play’ was really an intentional crime or playacting, but she shows that the return of Verna, Marlene’s buried self, into the latter’s life is narratable - even though it remains unknown how Marlene could have made her journey to “safety” (80), keeping even her conscious ego – Charlene- ‘far hence’ and silent for so long.


 

Works Cited and Consulted

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__________ Friend of My Youth.Toronto: Penguin Books, 1991.

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Welty, Eudora. The Eye of the Story. New York: Vintage International, Random House, 1990.

 

Abbreviations

Dance of the Happy Shades                                                    DHS

Friend of My Youth                                                                 FMY

Hateship, Friendship, Courtship, Loveship, Marriage           HFCLM

Lives of Girls and Women                                                        LGW

Something I’ve been Meaning to Tell You                                SIB

The Love of a Good  Woman                                                    LoGW

The Moons of Jupiter                                                                MJ

“The New Yorker”                                                                    NY

The Progress of Love                                                               PL

The View from Castle Rock                                                     VCR

Who Do You Think You Are                                                    WDY



[1] Often fleeing dissatisfaction with unrewarding parenting or in different searches for the self, (which in Munro is cognate with the mother), other female protagonists of her stories have left and returned home. In “Before the Change, ” the narrator, burdened with the frustration of unrequited love and with the guilt for having given away her newly born baby, returns to a run-down home dominated by a sort of malevolent surrogate mother, to discover that her father is giving to his female patients what she herself, in spite of her acquired freedom from social conventions, had refused to have: abortion; in “Family Furnishing,” the narrating daughter returns home, from her Toronto rooming place, for her father’s funeral to be told – or to guess - about a family secret; in “The Progress of Love,” after divorce and her own life away as a liberated daughter, Phemie, again a first person narrator, is brought back onto her home ground by her father’s telephone call announcing her mother ‘s death and stirring memories of complex interrelationships within her family’s past; in “Fathers,” Daliah returns to spy the father even if she hated him to the point of wishing his death; in “The Peace of Utrecht,” the narrator returns to her hometown  with her young daughter who, on seeing the mother’s old home asks: “Mother, is that your house?” The mother felt that “[her] daughter’s voice expressed a complex disappointment….; it contained the whole flatness and strangeness of the moment in which is revealed the source of legends, the unsatisfactory, apologetic and persistent reality” (DHS 197).

[2] These questions lead me back to comments I have made in another paper. There I noticed that in the trilogy “Chance,” “Soon,” “Silence,” Juliet first detours from, then disclaims, and on her return fails to recognize her parents’ town. Her daughter, in turn, buries the notion of home under unremitting silence, leaving Juliet with the frustrating anguish of maternal love for a daughter who had been urged to Northern regions by a spiritual “hunger for the things that were not available for her at home.”

[3] Susan Neiman, Evil in Modern Thought  - foreword to Anne Giardini, The Sad Truth about Happiness, London, HarperCollins, 2005, 12.

[4]  […] we  live with those retrievals from childhood that coalesce and echo throughout our lives, the way shattered pieces of glass in a kaleidoscope reappear in new forms and are songlike in their refrains and rhymes, making up a single monologue. We live permanently in the recurrence of our own stories, whatever story we tell” (Ondaatje 2007, 136).

[5] In “Friend of My Youth,” the first person narrator resents her mother’s “reaching out all the time to cast her stricken shadow” (FMY, 24),  in “Family Furnishings  the narrator relates “[…] my mother was changed from a mother into a stricken presence” (HFCLM, 96).

[6] Cfr. Ferri, L.” Mothers and Other Secrets, ” in Alice Munro Writing Secrets, Open Letter, Eleventh Series, No 9, Fall 2003, Twelfth Series, No 1, Winter 2004.

[7]   This is a  phrase from “Fathers” (NY, 2002, 70) to compare with similar ones:  “I had seen the faces of dying people before […] even the face of the man I had been afraid to love” (“Child’s Play “77);  “What I have been shying away from is that it could have been done for love” “(Before the Change”, LoGW, 291); “The bitter lump of love” ( FMY 26);  “I would feel an impatience with the flowery language, the direct appeal for love and pity. She would get more of that , I thought (more from myself, I meant), if she could manage to withdraw with dignity, instead of reaching out all the time to cast her stricken shadow” (FMY; 24).

[8] Cfr. “What’s done is done, what’s done remains” (84). “And then there is a switchback, what’s been all over and done with sprouting up fresh, wanting attention, even wanting you to do something about it, though it’s plain there is not on this earth a thing to be done” (73)

[9] Verna would interfere in the narrator’s life “full of private rituals and aversions” (76), “spoiling [her] solitary games,” in a seemingly child-like attempt to make a friend in the new environment in which she had been delivered from we don't know where.

[10]  The yellow painting seemed “to be the very colour of insult and the front door being off-center adding a touch of deformity.”

[11] Cfr. Otto Rank ‘s study of the double.

[12] To be near her would mean taking risks, which reminds us of the danger on home ground experienced in “Family Furnishings”: the risk of seeing one’s life through other eyes than one’s own - “There was a danger whenever I was on home ground. It was the danger of seeing my life through other eyes than my own” ( HFCLM 111).

[13] The utterance “I hated the […]peppermints […] that she kept offering to me” (76) reminds us of the disclaimed offering of the butterfly by Myra in “Day of the Butterfly.” There are several similarities between Verna an Myra in their being ‘special’ in their call, one marked by deformity, the other by disease (leukemia), the one having an expression of superior “puzzlement” (76) and not being ‘communicative’ in any ordinary way (75), the other and her brother being “like small figures carved of wood, for worship or magic […] cryptically uncommunicative” (DHS, 101) – a description which reminds us of the ‘unique’ people Marlene intended to explore in her essay written in adulthood having “a certain amount of veneration as well as of persecution […] quite a range of abilities, seen as sacred, magical, dangerous” (80).

[14]  See, for example,  references in “The Turkey Season” or the whole story “Walking on Water.”

[15] “I remember saying she was awful in a way I could not describe “ (78). “Charlene seemed to have got the idea that Verna had actively harassed me. And I believed that was true, except that the harassment had been more subtle, more secret, than I had been able to describe (78).

[16] Verna, a shadow-like opposing self, in light of the fact that she will be murdered by Marlene and her conscious, visible ego (her ‘twin’ Charlene), to loom in guilt through their lives, reminds us of the double in the way the double was conceived in primitive societies – representing both the living person and the dead. This shadow survives the self, insuring immortality and thus functioning as a kind of guardian angel as well as a kind of threatening spirit. (see Otto Rank, Il Doppio, chapter 4).

[17]  Her power was of one who “had the confidence that anybody would want to do as she asked, not just agree to do it” (74).

[18] In their playful conversations they “never grew tired of inspecting and tabulating” each other’s features: “We both had brown hair but hers was darker. Hers was wavy, mine bushy. I was half an inch taller, she had thicker wrists and ankles. Her eyes had more green in them, mine more blue” (74).

[19] “We should think of some way to disguise you” (78).

[20] The coincidence of the two elements is suggested in the notation: the hours of the Specials had been changed to coincide with the ordinary school hours ( 77)  

[21] Cfr. Coleridge, Biographia Literaria, chapter XIX.

[22] Considerations on the functioning of Verna as the mother-figure functions  in other stories are invited by the way Verna is called , by Marlene’s mother, “the poor thing,” which is the precise attribute given to the narrator’s mother in “Winter Wind” (SIB, 195) and in “Family Furnishings” (HFCLM, 96, 97)  

[23] The expression applies to the mother in “The Progress of Love” (17)  (Munro, 1987)

[24] Here are some random examples of how supposition, indeterminacy and conjecture, instead of certainty, are constructed through the use of modals, verb tenses and adverbs:  I would have been ashamed, I suppose. […] ( 81) ; “Charlene kept saying “Imagine. Imagine. She’s here. I can’t believe it. Do you think she has followed you?” “Probably” I said (78);  I suppose there was talk in our house , afterwards” (73); “People thought we must be twins” (73); Even before that we must have noticed” ( 74); “I may have approved of Charlene, but I was not sure how to make friends with her” (74);  It’s supposed to have begun in this long periods of sitting around the camp fire stirring the manioc porridge or whatever, while the men were out in the bush deprived of conservation because it would warn off the wild animals (74); “There is no reason to suppose that not to be true” (75); “I don’t know if Mrs. Home went away and came back with her” (75); “I can’t remember her telling me her name […..] and I don’t believe I would have asked her” (75); “She was a good deal taller than I was and I don’t know how much older” (76); “We must have been sent on some errand by one of our mothers. I did not look up but I believed  I heard a chuckle of greeting or recognition as we passed.” (77); “ [..] my idea of the town’s size and complexity was still such that it seemed I was escaping Verna altogether. I realized that this was not true, […]” (77); “There were couple of ways that Verna could have walked to school but the way she chose was past our house.” (77); “I would always look in the direction from which she might be coming, […]” (77); “It was probably not true that every day during the past two weeks had been hot and sunny, but most of us would certainly go away with that impression.” (78); “Or so I believed.” (77); “Perhaps you are married […]” (80); “I could have written to Charlene, in care of her parents […]” (80); “I can imagine the unease starting, […]” (84); “I have not kept up with Charlene. I don’t even remember how we said good-bye. If we said good-bye.” (79); ““We had been walking around perhaps the same time and on some of the same street or paths on the campus” (80); “Perhaps you are married […]? Perhaps you have a family?” (80); “Perhaps I wanted to think I’d made as much efforts as I could” (81); “Or that I might make a simple U-turn, […]” (81); “Of course she might have written the note first […]” (82); “I don’t know if she would recognize you […]” (82); “Marlene. I am writing this in case I get too far gone to speak.” (82); “The directions were not very clear, […]” (82); “must have been painful for him to talk” (83);  “The motor boats on the lake were supposed to stay a good distance” (84); “And we seemed to be lifted” 84; “We may have cried out …first in fear and then in delight “ (84); “This could have been an accident” (84); “We could have been forgiven” ( 84); “We might have lost our grip on the rubber head” (84); the crucial one of the supposition is when Marlene’s hesitant visit to the hospital is described and thought “I might make a simple U-turn , taken the next elevator down” (81): then the story would have taken an entirely different turn, the mystery of ‘something’ that had happened in childhood would not have been retrieved and the ‘death by water’ not remembered.

[25] Water in Munro is associated with desire and death. We are informed of the children’s longing to jump into water in this story (74); the 3 boys in the opening of “The Love of a Good  Woman”  seek escape from the ‘disabling life’ at home  with a swim in the cold water of the Peregrine river and find a dead body ‘‘close in front of their eyes;’’  “Walking on Water,”  with the wondrous paradox of the title,  offers a parody of the journey theme and  envisions the quest for self-revelation as a drowning; in the Found Boat, when Frank lets the two girls Carol and Eve get into the boat, he pushes them off crying “here is to the watery grave!”, thus frustrating the expectations of love and communion attached to that “something” they had found in the water.   

[26] There are the drowinings or death by water of Austin Cobbett in Picture of the Ice,” of  Eric in “Silence,” of Mrs Farris in the “Epilogue” to Lives of Girls and Women. who “threw herself into it”(202), of Mr. Willens in the Peregrine River, in “The Love of a Good Woman,” of Steve Gauley and the quasi drowning of a girl in “Miles City Montana,” a drowning scene in “Baptizing,” aside from Eugene’s symbolic submersion and Frank McArter possible drowning in “Walking on Water.”

[27]  In “The Found Boat,” sailing on a log down the Wawanash, Eva and Carol “saw a place where something was caught ” (SIB 127); in “The Love of a Good Woman,” the three boys walking down the Peregrine River “were close enough to the water to have their attention caught by something more extraordinary than car tracks” (LoGW 6). [emphases added]

[28] Gary Saul Morson explains that most narratives are developed through ‘foreshadowing’ (with its tendency to present events as inevitably leading toward fixed, pre-ordained futures) and ‘backshadowing’ (foreshadowing ascribed after the fact), which tend to reduce the multiplicity of possibilities in each moment. But there are literary works which try to convey temporal openess through a device he calls ‘sideshadowing.’ Sideshadowing champions the incommensurability of the concrete moment and rejects the conviction that a particular code, law or pattern exists, waiting to be uncovered beneath the heterogeneity of human existence; and instead of the power of a system to uncover an otherwise unfathomable truth, it expresses the ever-changing nature of that truth and the absence of any predictive certainties in human affairs.  Sideshadowing suggests that to understand an event is to grasp what else might have happened. Time is not a line but a shifting set of fields of possibility. Morson argues that this view of time and narrative encourages intellectual pluralism, helps to liberate us from the false certainties of dogmatism, creates a healthy skepticism of present ortodoxies, and makes us aware that there are moral choices available to us. Morson explores the manner in which elements of temporality – including such issues as contingency, rumour and the viability of omens, among a ghost of other topics inform narratives.

 







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ultima revisione: 7 ottobre 2007